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Mese: Febbraio 2020

Non Voglio Che Clara “Superspleen Vol. 1” (Dischi Sotterranei, 2020)

Attenzione, maneggiare con cura! Avete tra le mani, o nelle orecchie a seconda, un signor disco, tra i più belli sentiti in questo primo scorcio di 2020, a parer mio.

Superspleen Vol. 1 dei Non Voglio Che Clara è un disco malinconico il giusto, arreso ma non troppo, con picchi di scrittura immaginifici. E mi sto trattenendo. Prendete la conclusiva Altrove/Peugeot, intorno al minuto 2:20: quel cambio di registro, quella virata quasi agnelliana (nel senso di Manuel, non dell’animale), “è un dolore passeggero che si cura col veleno”, il finale che gli Slowdive direbbero well done guys! Da mozzare il fiato. La rimando in loop da settimane.

È un disco dal peso specifico rilevante, è un disco non immediato seppur facilmente fruibile, frutto di un linguaggio ricercato, soppesato, ma non aulico. Per fare un parallelismo stareste leggendo un Erri de Luca, o un Culicchia, non Gesualdo Bufalino ecco. 

Canzoni che sono sguardi, spesso all’indietro, talvolta al presente, di rado al futuro, verbi quasi sempre coniugati al passato, pop d’alta classe, con aperture più radiofoniche, come ne La Croazia o San Lorenzo, o i tempi più dilatati di Ex-Factor, passaggi nei territori dell’indie contemporaneo di Epica Omerica, ma ci sono idee e linfa nuova lungo tutto questo disco, come quando si sdrammatizza ne Il Miracolo o si ammicca agli anni ’80 con La Streisand.

Probabilmente il passaggio focale del disco sta in Liquirizia, che mi piace pensare sia stata posizionata a metà disco proprio per questo, “e il gusto dolce amaro della liquirizia”, è il clima generale che si respira e che permea queste dieci riflessioni, queste dieci diapositive, appese al muro, che Fabio de Min e i suoi sodali, osservano, con il giusto distacco, senza sprofondare nei ricordi, senza lasciare il passo ai rimorsi, ma con una consapevolezza nuova, più fresca, più sincera.

Credo che questo Superspleen vol. 1 sia il classico caso di disco hic et nunc, per quanto mi riguarda, perché i Non Voglio Che Clara mi girano attorno da sempre, come satelliti, ma per questioni orbitali o altro non avevo mai inviato una stazione spaziale a studiarne la composizione (ok ok, la smetto). E sì che di occasioni, voglio dire: i loro primi dischi con l’Aiuola Dischi, quando per me quell’etichetta era quasi esclusivamente Babalot o Arte Molto Buffa, e la loro provenienza geografica, a pochi chilometri da casa mia, e quella scena indipendente con Valentina Dorme, i mitici Es e molte altre band oramai di culto, ma mai una volta che fosse scattato il fatidico colpo di fulmine.

Fino a qualche settimana fa. Ora Superspleen vol. 1 è entrato a pieno regime nelle rotazioni di queste settimane di smart working e forzata reclusione, “E di cantare chissà quando smetterò”, ci si domanda su Superspleen… Ecco, non a breve, per quanto mi riguarda, anche perché prima vorremmo il vol.2.

 

Non Voglio Che Clara

Superspleen Vol. 1

Dischi Sotterranei

 

Alberto Adustini

THINKABOUTIT “Marea” (Totally Imported, 2020)

È un viaggio musicale, quello che ci propongono i THINKABOUTIT con Marea, il loro nuovo album uscito a quattro anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio. Tutto il tempo trascorso, tutta la fatica e la ricerca stilistica fatti dal collettivo sono tangibili in queste 16 tracce, che un po’ si discostano dalla loro musica precedente. 

Anticipato dai due singoli Arturo Gatti e I Fly High, che già lasciavano presagire il cambio di rotta da parte del collettivo barese, Marea si presenta come un disco decisamente eterogeneo, che passa dall’elettronica alle chitarre, con anche diversi richiami al jazz. 

Tornando alla metafora del viaggio, troviamo tracce come Tokyo o Adriatico che, a dispetto del nome, sembrano voler trasportare chi ascolta proprio in un locale jazz degli Stati Uniti, uno di quelli dove trombe e sassofoni dominano la scena. Al contrario, canzoni come 2008 ricreano un’ambientazione pittoresca del Sud Italia.

Sulla stessa scia troviamo anche Leave This Place, dove invece sono le parole a farci pensare al viaggio, o forse più a una fuga per inseguire i propri sogni. “Grab your dreams and drive away, put ‘em in your suitcase and never look back”, cantano all’inizio del pezzo. 

Il brano più particolare di tutti però è sicuramente Parlesia, realizzato in collaborazione con il pianista e compositore Mario Nappi. Il titolo si riferisce al gergo tipico dei musicisti napoletani e allora, su una base di pianoforte, ad una prima parte in inglese si accosta una seconda in napoletano, senza forzature o stranezze, come se fosse il proseguimento più naturale del mondo.

Un’atmosfera mediterranea si mischia dunque a sonorità internazionali, accentuate anche grazie al passaggio dall’italiano all’inglese nei testi. Una scelta azzardata forse, ma che nel complesso funziona e rende le canzoni quasi “cinematografiche”, nel senso che potrebbero funzionare bene come la colonna sonora di qualche film indipendente. 

Marea è quindi un album decisamente evocativo, che fin dal primo ascolto riesce a trasmettere immagini nitide attraverso parole e musica, che nella maggior parte dei brani tende a fare da padrona. 

Sono proprio queste immagini a funzionare da collante tra canzoni così diverse tra loro; il fil rouge che accompagna l’ascolto.

 

THINKABOUTIT

Marea

Totally Imported, 2020

 

Francesca Di Salvatore

Evviva i cambiamenti! Intervista ai Management

Sono le 18:00 del 15 Febbraio a Bologna e i Management sono appena arrivati al Locomotiv Club. Mentre il resto della band si prepara per il sound-check, mi dirigo nei camerini per l’intervista a Luca Romagnoli, frontman della formazione abruzzese.

 

Ciao Luca! Finalmente siete tornati con il nuovo disco, Sumo ed un nuovo tour a due anni dall’ultimo lavoro. Siete pronti a ritornare sul palco?

“Siamo prontissimi! Ci siamo preparati a lungo, anche perchè ci sono stati molti cambiamenti, di vario genere, anche nel modo in cui presentiamo i brani, sia nuovi che vecchi.”

 

Ve lo avranno già chiesto ma mi sembra una domanda dovuta: a proposito di cambiamenti, perchè avete fatto questo cambiamento di nome, da Management del Dolore Post-Operatorio al solo Management?

“Certo, domanda lecita! Tant’è che già prima ci chiedevano il perchè ci chiamavamo così ed ora che abbiamo cambiato, insomma un casino! Con il nuovo disco, Sumo, e questa nuova attitudine, volevamo cancellare tutta quella parte provocatoria e iconoclasta che ci ha rappresentato, dato che oggi se ne fa anche fin troppo uso a livello spettacolare. Vediamo contenitori senza contenuto e si fa fatica poi a distinguere la provocazione intelligente dalla sterile provocazione; tutto questo apparato ha cominciato ad avere sempre meno valore per noi. Ci siamo voluti concentrare fortemente sulla musica, sulla poetica, gli arrangiamenti, la produzione. Volevamo parlare solo attraverso le canzoni, su disco e dal vivo; dove prima c’era molto dialogo, quasi spesso un monologo fatto di rabbia e imprecazioni ora c’è pulizia. Vogliamo arrivare solo attraverso i nostri brani.
Quindi l’ultima provocazione è stata proprio quella del nome, che a livello estetico rappresentava la nostra parte schizofrenica.”

 

Parliamo del nuovo disco, Sumo, uscito lo scorso Novembre: l’ho ascoltato attentamente ed infatti ho notato questi cambiamenti che tu mi hai appena citato. Rispetto ai precedenti lavori c’è una diversa attitudine, sia nei suoni, sia ne testi finanche alla interpretazione. Meno irriverenza, meno rabbia, ma comunque sempre intenso e a tratti malinconico. Me lo hai già in parte accennato, ma cosa è cambiato?

“Siamo già arrivati al quinto disco e nei lavori precedenti abbiamo sempre registrato in maniera folle e compulsiva negli spazi che avevamo tra un tour e l’altro, con quell’urgenza di scrivere e non ci siamo mai fermati veramente. Così abbiamo deciso di fermarci: finalmente riesci a capire dove sei arrivato e quali sono le strade che vuoi prendere. Ci siamo resi conto che dal primo disco ufficiale, Auff, del 2012, erano passati 6 anni e che eravamo cambiati. Oltre ai cambiamenti di cui abbiamo parlato nella domanda precedente c’è stata una consapevolezza; ogni disco rappresenta un periodo e non per forza deve essere coerente col precedente, anzi io sono conto la coerenza artistica, per carità! Per cui ora volevamo raccontare questo nuovo periodo, con tutte le nostre incertezze, le paure, il dolore di un amore finito, una persona che non c’è più, un’assenza, una lontananza. Ci sentivamo di raccontare nuove cose ed è quindi uscito questo disco molto nostalgico, più malinconico, super intimo. Noi scriviamo tante canzoni prima di registrare e non ci sembrava che altre canzoni all’interno di questo disco avessero un senso.”

 

Come nascono le canzoni dei Management? Qual’è la filiera creativa?

Io e Marco di Nardo scriviamo sempre allo stesso modo, forse neanche tanto normale, in quanto lui si dedica esclusivamente alla musica, agli arrangiamenti ma senza conoscere la tematica della canzone, che io inserirò in un secondo momento. Lavoriamo a comparti separati ed io amo scrivere solo se già conosco la musica. Non riesco a stare 7/8 ore con foglio e penna in mano, non mi uscirebbe nulla! Devo avere già una musica in cui posso venire immerso.
Anche perchè uso quel tempo diversamente, vado al bar, mangio, bevo, mi masturbo! Mi viene assai facile invece lasciarmi trasportare dalla musica e scrivere in maniera istintiva e molto ritmica, mi piace che le parole abbiano un ritmo sulla musica.”

 

La vostra musica è influenzata da altri artisti o band? Avete dei riferimenti musicali?

“Proprio per il motivo che ti dicevo prima, per la modalità di scrittura, Marco è influenzato dai suoi ascolti per quanto riguarda la musica, io invece sono sempre stato appassionato del grande cantautorato italiano, i mostri sacri! Marco, essendo anche produttore, ha un ascolto più aggiornato e internazionale.”

 

Che ne pensate dell’attuale scena italiana?

“Non credo che ci siano dei geni, compresi i sottoscritti! Però devo dire che c’è tanta qualità e tante cose da dire e una cosa che io vedo in maniera positiva è che i giovani stanno sostituendo la vecchia guardia! Ma questo “indie” di cui molti si lamentano che sta diventando pop, non credo sia così! Semplicemente sta entrando nel mainstream inteso però non negativamente. Sta diventando la nuova musica nazionale, quindi non c’è più spazio per Albano, fenomeno relegato magari ai nostri genitori o ai nostri nonni. Ora per i giovani ci sono finalmente i giovani! Ed è una cosa buona che si sia creato tutto questo spazio, cosicché anche nel piccolo ci sono tante band “minori” che riescono ad esporsi. Quello che forse un po’ mi dispiace è che si sia quasi eliminata la questione alternativa, il mondo alternativo vero, quello contro, quasi non esiste più.”

 

20200215 management bologna siddhartamancini 53

 

Si, negli anni è un aspetto che è effettivamente cambiato, una volta c’era una differenza più netta tra quello che era visto come “alternativo” e il “mainstream”…

“Si esatto, noi una volta ci posizionavamo come alternativi e non avevamo nessuna intenzione o il pensiero di dire “Un giorno andremo a Sanremo”, oppure “Farò i palazzetti”, mentre oggi c’è questa possibilità ed è un pensiero di tutti. Questo è positivo, però esclude anche un pensiero, che è fondamentale nella musica, cioè di avere una scena che sia contro e che si ponga come alternativa totale alla televisione, alla radio, al sistema. C’è una sorta di omologazione, per forza di cose.
Però appunto sono fiducioso che nella storia, negli anni, arriveranno sempre dei giovani con la voglia di distinguersi e che vogliono rompere il culo agli altri giovani che fanno sempre la stessa cosa. Per esempio, fino a qualche anno fa, sono stati quelli della trap a farlo! Però adesso essendo diventata fenomeno mondiale, ripercorrono anche loro sempre i soliti cliché. Si è presa tutto lo spazio ma alla fine ora dicono tutti sempre le stesse cose, stessi argomenti.”

 

Quindi avete visto Sanremo?

“Bè si, in parte, distrattamente, ma comunque non me ne vergogno!”

 

Avete mai pensato di partecipare?

“Quando eravamo più piccoli, proprio per il discorso dell’alternativo, Sanremo era quella cosa, che schifo! Ora è diventato solo spettacolo, una vetrina, di conseguenza se uno vuole proporre la sua canzone ci può andare senza problemi, tanto non è in gara con nessuno. Però negli ultimi anni si sta facendo tantissimo spettacolo a discapito delle canzoni, che se ci si pensa, quali restano? Le canzoni per sempre ormai non esistono più, soprattutto in quel contesto, in cui Sanremo sembra quasi un Festivalbar, preparazione al possibile tormentone estivo e finisce là, non si crea un fenomeno culturale.”

 

Tornando al disco Sumo, mi ha colpito molto la citazione della poetessa Patrizia Valduga…

“E’ tutto legato al cambiamento, che nell’arte è fondamentale, cercare sempre una nuova verità, sperimentare. Siamo organismi biologici, sempre in continuo cambiamento e per quale motivo uno deve essere sempre uguale a se stesso artisticamente se dal punto di vista biologico, organico, non lo è? Quella quartina bellissima di Patrizia Valduga fa riferimento proprio al cambiamento continuo che fa si che io non sono quello di 10 anni fa, ma ero comunque io, diverso da ora. Al contempo chi mi guarda come può dire “tu non sei quello di prima”?!
Siamo quella cosa che cambia, ma tutti noi, a prescindere dalla musica.”

 

Avete un concerto, una situazione, che vi rimarrà indelebile per sempre?

“Sicuramente quello che non dimenticheremo mai, proprio perchè tra eventi unici e importantissimi della tua vita, quando siamo andati al Circolo degli Artisti a Roma, a breve distanza dall’uscita di Auff (2012). Eravamo ancora quasi sconosciuti, ci siamo ritrovati invece con il locale pienissimo e non ce lo aspettavamo! Soprattutto abbiamo fatto un bellissimo concerto, forse il migliore di tutti.”

 

Invece concerti che andate a vedere?

“Io sinceramente non vado spesso a vedere concerti, mi dà un po’ fastidio stare in piedi stretto in mezzo alla gente, mi viene l’ansia, mi fa male anche la schiena! Però l’ultimo concerto, fammici pensare! A parte qualche cosa indie l’ultimo grosso concerto è stato Vasco Rossi.”

 

Per quanto riguarda i testi, scrivete in italiano. Una scelta naturale o una presa di posizione? Avete mai pensato di rivolgervi a un pubblico internazionale?

“Abbiamo da sempre scritto in italiano, dando importanza alla nostra lingua, al testo, alla poetica, di quello che diciamo al pubblico tra una canzone e l’altra; è sempre stato molto importante.
Non abbiamo nessuna pretesa di andare a suonare all’estero, anche se in realtà ci siamo andati.
Mi piace quando il pubblico ascolta e capisce bene la tua lingua e recepisce le emozioni.
C’è da dire che una volta suonammo a Berlino davanti a un pubblico esclusivamente tedesco ed è stato molto bello per l’approccio diverso all’ascolto; tutti si facevano prendere dalla ritmica, ballavano senza ovviamente capire le parole. Bellissimo. Però a me, che scrivo soprattutto i testi, piace che si capisca e in Italia si fa molta più attenzione alle parole che in altri paesi.”

 

Al di là di questo tour, progetti futuri?

“Noi vogliamo solo scrivere canzoni, quindi finito questo tour ci rimetteremo a scrivere il disco nuovo e lo vorrei far uscire il prima possibile, perchè siamo stati fermi due anni e siamo impazziti. Un po’ di pausa l’abbiamo presa, abbiamo capito chi siamo, vediamo che succederà, magari sarà completamente diverso ma lo vogliamo fare subito perchè aspettare altri due anni fa male!”

 

 

Siddharta Mancini

Big Thief @ Locomotiv Club

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• Big Thief •

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+
Pays P

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Locomotiv Club (Bologna) // 22 Febbraio 2020

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Foto: Francesca Garattoni

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Pays P

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Grazie a Locomotiv Club

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Mecna @ Locomotiv Club

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• Mecna •

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Locomotiv Club (Bologna) // 21 Febbraio 2020

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Corrado Grilli, in arte Mecna, è un rapper e cantautore italiano che negli ultimi dieci anni ha raccontato tramite i suoi testi una generazione. La sua musica è spesso definita come “romantica”, adatta ad un pubblico principalmente di ragazze, ma in realtà non è così: il pubblico del Locomotiv Club di Bologna stasera è particolarmente vario.

Una novità di questo tour rispetto ai precedenti è la presenza di una piccola band che lo accompagna durante il live, composta da Alessandro Cianci (chitarrista), Andrea Dissimile (batteria) e uno dei suoi produttori Marco Lvnar (tastiera e pc).
La scenografia è semplice ma suggestiva, con delle luci diffuse e una macchina per il fumo.

Il concerto inizia poco dopo le 22, partendo subito con Fuori dalla Città, un brano del suo ultimo album Neverland scritto in collaborazione con il produttore Sick Luke, accompagnato da giochi di luce blu e viola pazzeschi, scaldando così fin da subito il pubblico.

Nella scaletta si alternano brani nuovi e brani più vecchi: Laska, Lungomare Paranoia, Blue Karaoke e Disco Inverno. Non potevano mancare i classici come la trilogia dei trentuno (31/07, 31/08 e 31/09), brani a cui i fan sono affezionati e per cui si emozionano ogni volta che li canta.

Mecna inoltre ci rivela che il brano 71100 si riferisce alla città di Bologna, dicendo che la sente un po’ come se fosse casa sua e lo dedica a tutti noi presenti in sala.

A seguire, con Si Baciano Tutti invita tutte le coppie presenti a baciarsi e parte così il momento più romantico della serata. 

La chiusura del set principale arriva con Un Drink O Due, lui si avvicina sempre di più al bordo del palco cercando il contatto visivo ed emotivo con i fan e ripete il ritornello della canzone numerose volte.
Finita la canzone esce dal palco, ma il pubblico continua a cantare “come se, quando vuoi, se ti va, ci beviamo un drink o due…?” fino a quando non ritorna per fare gli ultimi due brani.

Il concerto si conclude con Pazzo di Te e Canzone in Lacrime e i ringraziamenti al pubblico lasciando il palco.

Corrado è sempre pazzesco nei suoi live, trasmette emozioni incredibili e uniche sempre, ci racconta storie e i suoni della sua musica ti trasportano altrove. 

E come lui stesso dice nel testo di Micidiale: “non importa quanta strada hai fatto, quanto hai sognato, in quanti ti hanno detto hai spaccato, riavvolgi e rifai da capo”.[/vc_column_text][vc_column_text]

Testo: Margherita Lambertini

Foto: Alessandra Cavicchi

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Grazie a Locomotiv Club

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Califone “Echo Mine” (Jealous Butcher Records, 2020)

Un nuovo album dei Califone è sempre e comunque una splendida notizia.

Provenienti da Chicago e attivi dal 1997 (dopo la dipartita dei sensazionali Red Red Meat), per questo ottavo lavoro sulla lunga distanza, in formazione “a tre”, con Ben Massarella, Brian Deck ed ovviamente sua eminenza Temistocles Hugo Rutili (per gli amici Tim), i Califone ci consegnano un disco che ci ricorda, semmai in questi sette anni di quasi silenzio ci fosse venuto qualche dubbio, che siamo di fronte a dei fuoriclasse. Punto.

Vi basteranno poco più di 60 secondi per concordare con me, un’intro di chitarra, qualche manipolazione, e poi l’inconfondibile incedere califoniano (non manca una erre, sia chiaro), una spruzzatina di slide guitar, quel pseudo blues strascicato, e la voce di Rutili a trascinarsi (e trascinarci) da vent’anni e più. Siamo sempre nei territori cari ad Heron King Blues, ma si sconfina spesso, senza pudore e senza remore, già con il ritmo folle (per gli standard compassati dei nostri, s’intende) di Bandicoot, con sfuriate di Hammond e divagazioni decisamente colorite. 

La successiva, mirabile, Night Gallery/Projector, in maniera del tutto inaspettata ma perfettamente naturale, evolve in un finale quasi “kosmik”, per lasciare il passo alla strumentale Howard St & The Beach Nov 1988 After 11, dove è Ben Massarella e le sue percussioni a tenere la rotta prima di accompagnarsi all’organo verso il finale. Si sperimenta ancora, come in Carlton Says: Find it. It’s Still There con l’apparizione di una registrazione di una voce femminile, o nella minimale Flawed Gtr.

I quasi sette minuti di Echo Mine, il brano che dà il nome al disco, sono tra i più ispirati dell’intero disco, e costituiscono davvero la perfetta fotografia di quello che i Califone rappresentano, l’incedere lento, cadenzato, uno tappeto sonoro ora scarno, ora più intrecciato, la melodia incerta che si intreccia ad intromissioni rumoreggianti, e la voce di Tim a suggellare un piccolo miracolo.

I Califone hanno deciso di tenersi i botti alla fine, pare di capire; Snow Angel V1 è una gemma chitarra e voce, che in certi passaggi mi ricorda i 16 Horsepower di Sackcloth ‘n’ Ashes, con un coro a far capolino e a rendere tutto più struggente. By the Time the Starlight Reaches Our Eyes pare citare certi momenti del Tom Waits di Bone Machine, per poi espandersi e dilatarsi in un lungo crescendo strumentale.

I titoli di coda giungono con Snow Angel V2, versione “elettrica”, chitarra + basso + batteria di Snow Angel V1, che in questa veste diventa quasi una ballad in salsa Califone.

Gran bel disco questo Echo Mine che ci regala dei Califone ancora in piena fase creativa, a rimarcare che l’universo creato da Tim Rutili e compagnia, già sconfinato, è ancora in espansione.

 

Califone

Echo Mine

Jealous Butcher Records

 

Alberto Adustini

 

VEZ talks to – Ep. 1 “An Early Bird”

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Abbiamo intervistato An Early Bird occasione dell’uscita del nuovo singolo Talk To Strangers distribuito da Artist First.

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Foto: Luca Ortolani

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PARLARE AGLI SCONOSCIUTI:
IL NUOVO SINGOLO DI AN EARLY BIRD

 

IL RITORNO DEL SONGWRITER CON TALK TO STRANGERS, BRANO CANTATO INSIEME ALL’ARTISTA OLD FASHIONED LOVER BOY

 

Reduce da un anno ricco di live – circa 70 tra Italia ed Europa e al fianco di artisti come Scott Matthews, Stu Larsen e Grant Lee Phillips, torna An Early Bird con il nuovo singolo Talk To Strangers, distribuito il 21 Febbraio da Artist First.

Talk To Strangers, prodotto presso Il Faro Studio di Somma Lombardo da Claudio Piperissa e Lucantonio Fusaro durante le sessions del secondo full length del cantautore, racconta la sensazione di non sentirsi totalmente capiti dalle persone più vicine. Da qui nasce il bisogno paradossale di aprirsi agli sconosciuti sentendosi a volte anche più capiti.

Musicalmente il brano continua un percorso di ricerca che ha progressivamente spostato il cantautore dai suoni indie folk del primo album Of Ghosts & Marvels – uscito nel 2018 – a quelli più scuri dell’EP In Depths, uscito alla fine del 2019 per Ghost Records.

Il risultato richiama un solido songwriting di stampo folk-pop con delle derive dreamy, tra Travis, Ben Howard e Sparklehorse, e vede la partecipazione di Old Fashioned Lover Boy, altro artista appartenente alla scena alt folk italiana.

“La cosa è nata in modo molto spontaneo perché io e Alessandro siamo molto amici: è semplicemente venuto a trovarmi durante le registrazioni e ci abbiamo messo davvero poco a entrare nella dinamica di collaborazione. È la prima volta che lascio cantare qualcun altro parte delle mie canzoni eppure sono felice di averlo fatto perché il risultato mi emoziona molto”.

Il secondo full length di An Early Bird è presumibilmente previsto per seconda metà del 2020.

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Francesca Michielin @ Rocket

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• Francesca Michielin •

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Rocket (Milano) // 20 Febbraio 2020

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Foto: Luca Ortolani

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FA IL SUO RITORNO IN ITALIA MACHINE GUN KELLY MERCOLEDÌ 1°LUGLIO 2020 @ BOLOGNA, SEQUOIE MUSIC PARK!

OLTRE 600 MILIONI DI STREAMING PER “BAD THINGS (FT. CAMILA CABELLO)”, “I THINK I’M OK (FT. YUNGBLUD / TRAVIS BARKER)” E “WHY ARE YOU HERE”

IL NUOVO ALBUM “TICKETS TO MY DOWNFALL” PRESTO IN USCITA

UNO SHOW HIP HOP CON TUTTA LA CARICA ROCK

FA IL SUO RITORNO IN ITALIA

MACHINE GUN KELLY

MERCOLEDÌ 1°LUGLIO 2020 @
BOLOGNA, SEQUOIE MUSIC PARK



Prezzi biglietti:
Posto unico: € 30,00 + diritti di prevendita

Biglietti in prevendita esclusiva per gli iscritti My Live Nation
dalle ore 11:00 di giovedì 20 febbraio 2020


Biglietti disponibili su ticketmaster.it, ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati dalle ore 11:00 di venerdì 21 febbraio 2020

L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali.

Machine Gun Kelly, di nuovo in Italia per un’unica data mercoledì 1° luglio al Sequoie Music Park di Bologna.

Machine Gun Kelly, pseudonimo di Richard Colson Baker, è un rapper e attore statunitense originario di Cleveland.
Nel 2012 rilascia l’album di debutto Lace Up, subito alla #4 della Billboard200 con oltre 178.000 copie vendute. L’album, contenente alcuni tra i singoli più rilevanti della sua carriera come Wild Boy, Invincibile, Stereo, gli vale una vittoria agli MTV European Music Awards nella categoria Miglior Artista Statunitense.
Nel 2015 i singoli Till I Die e A Little More anticipano l’uscita del secondo album General Admission.
Nel 2016 pubblica il brano Bad Things in collaborazione con Camila Cabello: il singolo, subito in testa alla classifiche mondiali con oltre 454 milioni di stream su Spotify e quasi 300 milioni di views su Youtube frutta loro un Radio Disney Music Awards come Miglior Collaborazione.
Nel 2017 esce il singolo At My Best, una collaborazione con Hailee Steinfled che insieme a Bad Things fa parte del terzo album Bloom. Bloom debutta nella Top10 della Billboard200 raggiungendo la #3 della R&B/Hip-Hop Album Charts.
Binge è il titolo del suo EP rilasciato il 21 settembre 2018 e entrato nella top 25 nella Billboard.

Nel 2019 Baker rilascia Hollywood Whore, El Diablo e I Think I’m Okay con Yungblud e Travis Barker (110 milioni di streaming), singoli che anticipano l’album Hotel Diablo che debutta al numero #5 della classifica di Billboard 200.

L’artista negli anni decide di esplorare anche nuovi orizzonti oltre alla musica e a partire dal 2014 fa il suo debutto come attore in film come Beyond the Lights – Trova la tua voce e nel 2019 è tra i protagonisti di The Dirt in cui veste i panni del batterista Tommy Lee.

A dicembre 2019 pubblica il nuovo singolo intitolato Why Are You Here, un mix perfetto tra rock, rap e punk che raggiunge un enorme successo superando i 12 milioni di streaming e entrando in rotazione nelle radio italiane più importanti.

La traccia anticipa il nuovo album in uscita a breve. MGK ha rivelato che questo progetto avrà un’influenza prevalentemente pop punk e si chiamerà Tickets To My Downfall.

 

foto: Luca Ortolani

 

 

Info:
www.livenation.it

WILLIE PEYOTE ROCK IN ROMA – IPPODROMO DELLE CAPANNELLE 21 LUGLIO 2020

Orari
Apertura porte: 19.30
Inizio concerti: 21.45

Prezzi dei biglietti
Posto unico intero: € 20,00 + € 3,00 d.p.

I biglietti sono disponibili online su rockinroma.com e ticketone.it dalle 16:00 di mercoledì 19 febbraio
e in tutti i punti vendita Ticketone e Box Office Lazio dalle 16:00 di sabato 22 febbraio

Info e Contatti ROCK IN ROMA: www.rockinroma.comwww.the-base.it
mail to: [email protected]
Tel. 06.54.22.08.70 – Info diversamente abili: 06.54.22.08.70

 

Annuncio di fuoco, tutti sotto il palco: WILLIE PEYOTE live il 21 luglio all’Ippodromo delle Capannelle sul palco del ROCK IN ROMA!

 

I biglietti sono disponibili online su rockinroma.com e ticketone.it dalle 16:00 di mercoledì 19 febbraio e in tutti i punti vendita Ticketone e Box Office Lazio dalle 16:00 di sabato 22 febbraio.

 

Alla vigilia della prima delle quattro date consecutive al Teatro Concordia di Venaria Reale – traguardo raggiunto per la prima volta da un artista italiano – l’artista torinese annuncia il nuovo tour estivo. Dopo il grande successo dei live invernali, attualmente in giro per l’Italia e completamente sold out, il cantautore e rapper è pronto per questa nuova avventura.

 

Willie Peyote sarà protagonista della stagione live estiva con un tour ricco di date, occasione per riascoltare i brani dell’ultimo disco “Iodegradabile”, che ha debuttato nella TOP 5 della classifica FIMI, e canzoni ormai culto come “Non Sono Razzista Ma…”, e “Metti Che Domani”.

 

Con 4 album in studio all’attivo, Willie negli anni ha ottenuto sempre più consensi da parte del pubblico ma anche della critica, che loda la sua capacità di fondere l’energia e la padronanza tecnica della musica rap con testi che guardano alla canzone d’autore per come affrontano le tematiche sociali e attuali, il tutto con un’ironia tagliente e divertente. Il suo progetto “Sindrome di Tôret”, pubblicato nel 2017, viene accolto molto positivamente e raggiunge la Top 10 della classifica FIMI degli album più venduti, contemporaneamente il brano “Ottima Scusa” viene certificato disco d’oro. Nel 2018 collabora con i Subsonica, con i quali incide la traccia “Incubo”, firmando un sodalizio che non si traduce solo in studio ma anche nella dimensione live: Willie, infatti, è ospite fisso di tutte le date nei palazzetti dello sport del tour del gruppo torinese.

WILLIE PEYOTE
Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, nasce a Torino nel 1985 da padre torinese di Barriera e madre biellese. Il suo nome d’arte unisce Wile E. Coyote con il peyote, pianta allucinogena proveniente dall’ America settentrionale. Willie è un riferimento al suo vero nome, Guglielmo. È considerato una delle figure più interessanti e innovative della scena Indie italiana contemporanea. Nel 2011 pubblica il suo primo album solista, “Il manuale del giovane nichilista”, che già dal titolo suggerisce la sua visione del mondo e il suo modo di comunicarlo ai suoi ascoltatori, condensato in un provocatorio mix di cinismo, autoironia e denuncia sociale. Due anni dopo, nel 2013, esce “Non è il mio genere, il genere umano”, che sembra riconfermare il suo pseudo-pessimismo antropologico Nel 2015 pubblica per ThisPlay Music “Educazione Sabauda”, disco che lancia definitivamente Willie. L’album è costellato di citazioni più o meno dirette, rivolte ai grandi nomi del rap, del rock e della canzone d’autore (Cypress Hill, The Clash, Francesco Guccini), tanto che si chiude con un testo intenso e poetico “(E allora ciao)” in cui viene citato Luigi Tenco. Particolare attenzione ha suscitato la canzone “Io non sono razzista ma…”, contenuta nell’album, che è stato eseguito il 23 aprile 2017 nel programma televisivo Che tempo che fa presentato da Fabio Fazio. Il 6 ottobre 2017 esce “Sindrome di Tôret”, prodotto da 451. Il disco, che secondo Willie è la coniugazione ideale dei suoi due istinti musicali, quello rock e quello hip-hop, è stato accolto molto positivamente. Nel 2018 esce “8” dei Subsonica, contenente una collaborazione di Willie Peyote che canta nel brano “L’incubo”, pubblicato come singolo l’8 marzo 2019. Il 25 ottobre 2019 esce il suo nuovo progetto discografico, “Iodegradabile”, anticipato dal singolo “La Tua Futura Ex Moglie”, che ha ottenuto un ottimo riscontro sui principali network radiofonici.

 

Rock in Roma

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ReCover #5 – Queen “Innuendo”

• A ritmo di una danza surreale •

 

È all’incirca l’una e mezzo del pomeriggio, sto tornando a casa da lavoro col solito carico di pensieri e stanchezza palpebrale: non mi accorgo che il DJ alla radio ha annunciato la mia canzone preferita dei Queen, Freddie Mercury comincia a cantare e in automatico le lacrime scendono. 

Il perché succeda questo ogni volta che sento i Queen, nei miei quasi trent’anni non l’ho mai capito: avevo qualche mese quando l’album uscì, per cui ero troppo piccola per ricordare quando il 24 Novembre dello stesso anno Freddie scomparve; sebbene abbia stampato nella memoria il ricordo di me a circa 4 anni, inginocchiata sui sedili posteriori dell’auto e la testa incastrata tra i poggiatesta, mentre nelle casse risuonava una voce celestiale. 

La silhouette di Freddie Mercury nella cover della cassetta di Made in Heaven lasciava spazio alla mia fantasia: lo immaginavo alto, moro, coi capelli lunghi e senza baffi: mia mamma me l’aveva sempre descritto come bellissimo e con gli stessi baffi di mio padre, ma per me aveva più che altro un “carattere” che mi trasmetteva una forza indescrivibile, aveva la forma della sua voce.

Questa piccola digressione basta a giustificare l’emozione che provo ogni volta che sento i Queen? No. Sia chiaro, ho fatto le mie ricerche ed è un’esperienza condivisa. La mia migliore amica tempo fa mi disse “è tutto normale: è Freddie!”.

Forse è vero, è semplicemente Freddie.

Ma non è della mia amata cover blu di Made in Heaven di cui dobbiamo parlare oggi, ma di quella di Innuendo, uscito il 5 Febbraio del 1991, a soli 20 mesi di distanza da The Miracle: musicalmente un ritorno alle origini, per la felicità dei fan di lunga data. Il titolo stesso alludeva ai fasti di A night at the opera, e il singolo omonimo all’album ne ricalca il tono solenne.

Il processo di registrazione fu lungo a causa della malattia di Freddie Mercury, ancora nascosta al pubblico: ad ogni tre settimane di lavoro ne seguivano due di stop. 

Per la prima volta in copertina non troviamo i volti dei membri del gruppo, ma un’illustrazione di metà Ottocento riadattata e colorata da Richard Gray e Angela Lumley, che si occuparono dell’intero artwork.

L’idea fu del batterista Roger Taylor, che vide l’illustrazione in un vecchio libro e la propose come copertina. 

Jean Ignace Isidore Gérard, noto con lo pseudonimo di Grandville, è l’autore dell’ormai celebre illustrazione. Scomparso anch’esso giovane a soli 43 anni, Grandville ebbe una carriera estremamente prolifica. Si divideva fra caricatura e satira politica, illustrazione editoriale, grafica, ma fu molto di più che un eccellente illustratore: la sua mente, come fa quella dei grandi artisti guardava oltre il suo tempo, e le sue opere divennero fonte d’ispirazione per il movimento Surrealista.

Charles Baudelaire, che scrisse numerosi saggi sugli illustratori più influenti del proprio secolo, non aveva molta stima di Grandville: davanti ai lavori dell’artista provava disagio e inquietudine “come in un appartamento in cui il disordine è sistematicamente organizzato, dove bizzarre cornici poggiano sul pavimento, dove i dipinti sembrano distorti da una lente ottica, dove gli oggetti vengono deformati se spinti insieme, angoli in cui i mobili hanno i piedi in aria e in cui i cassetti spingono invece di estrarsi”.

I commenti del tutto percettivi, sono stranamente superficiali sebbene pronunciati dal padre del Simbolismo, ed estremamente classicisti per provenire dal padre della Modernità.

Nell’intera produzione artistica di Grandville c’è una forte disgiunzione fra le opere di maggior successo e quelle che passarono in sordina. Il critico contemporaneo Charles François Farcy, nel cercare di spiegare i vari tipi di graphic design ha stabilito una scala gerarchica di qualità: il primo livello è quello del piacere derivante dall’apparenza fisica del soggetto; il secondo livello riguarda i lavori che trattano questioni filosofiche e morali.

Ne consegue che alla prima categoria appartengono le opere più “facili” e pop, mentre alla seconda quelle di più difficile lettura, ma più valide artisticamente.

Per cui i lavori su commissione come Le Fiabe di La Fontaine, Don Chisciotte, I Viaggi di Gulliver, Robinson Crusoe, riscossero un grande successo, ma erano progetti editoriali estremamente rigidi dal punto di vista creativo: non lasciavano spazio ad un illustratore come Grandville di poter intervenire liberamente, poiché il lungo processo di produzione non consentiva sgarri e l’illustrazione era subordinata al testo.

Per cui la necessità di creare un libro del tutto “suo” lo portò a mettere nero su bianco Un Altro Mondo, il libro illustrato da cui i Queen trassero la cover per Innuendo.

Quanto di più vicino al concetto di albo illustrato contemporaneo ci possa essere, Un Altro Mondo mette in scena una vicenda in cui le immagini, protagoniste, mandano avanti una meta-narrazione accompagnata da pochissimo testo, un viaggio in cui gli antieroi scoprono un mondo altro, del tutto ribaltato ma spietato specchio di quello reale. La vera satira la fece proprio con questo libro, riuscendo a mettere in luce le assurdità della realtà tramite inversioni di ruolo che di norma hanno il compito di rafforzare lo status quo nel mostrare l’assurdità dei contrari, ma che in questo caso sortiscono l’effetto contrario: mettere tutto in discussione.

Con l’illustrazione Il Giocoliere, Grandville ci mostra la nostra insignificanza con un immagine apparentemente giocosa, che però dopo qualche secondo ci lascia un sorriso amaro.

È curioso come proprio questa illustrazione sia finita casualmente per essere la copertina di Innuendo: la band sapeva che sarebbe stato l’ultimo album con Freddie, e l’intero progetto rimane avvolto da un’atmosfera inquieta ma distesa, serena ma malinconica.

Ho trovato lo spirito di Un Altro Mondo estremamente in linea con I’m Going Slightly Mad: anche il videoclip ne condivide l’atmosfera surreale, con Freddie che indossa un casco di banane, Brian May con un becco da pinguino, Roger Taylor con un bollitore in testa e John Deacon con un cappello da giullare; per non parlare delle analogie tra il testo di Innuendo e Il Giocoliere di Grandville, il Matto, colui che danza al ritmo della sua melodia interna; libero di essere se stesso, consapevole della sua brevità su questa terra.

Nessuna maschera, non è più The Great Pretender, ma “anything you want to be”.

 

recover queen

 

Cinzia Moriana Veccia

Viaggio nell’Isola di Merio

Merio, classe 1988, inizia ad ascoltare hip hop nel 2005, poco dopo a scrivere testi e a fare freestyle. Ha cominciato il proprio percorso artistico nel duo Fratelli Quintale (assieme a Frah Quintale), con cui ottiene da subito ottimi riscontri grazie a performance live e a uscite come Weekend col Morto Mixtape.

Nel 2015, Merio e Frah decidono di separarsi per intraprendere delle carriere soliste. 

Merio pubblica diversi singoli e il 19 novembre 2019 esce Madame Putain, singolo che segna un cambiamento di stile musicale e l’inizio della sua collaborazione con l’etichetta Hokuto Empire. 

In occasione dell’uscita del nuovo singolo Isola gli abbiamo fatto qualche domanda per sapere di più sulla canzone e su come sta andando il suo progetto da solista.

 

Ciao Merio! Il 31 gennaio è uscito il tuo nuovo singolo Isola: come è nato e di cosa parla? 

“Diciamo che Isola fa parte di un capitolo composto da tre pezzi che sono Madame Putain, Isola ed il prossimo, che dovrà uscire tra un mesetto circa. In pratica ho voluto raccontare la mia ultima storia sentimentale ma al contrario, nel senso che Madame Putain parla della fine di questa relazione mentre Isola è come il ritorno a quel momento in cui ti accorgi che non ti trovi più bene con una persona e non riesci ancora a capirne il motivo, quindi è più l’espressione di una mia riflessione interiore. Questa considerazione era nata in una sera in cui mi ero ripromesso che avrei richiamato la mia ragazza il giorno seguente per raccontarle tutto ciò che mi ero minuziosamente studiato, ma poi, il giorno dopo, ho sentito in casa andare in loop questa base e questo fatto ha dato il via alla mia voglia di scrivere e mi sono scordato di tutto. In poche parole questo pezzo rappresenta un viaggio interiore che racconta di quel momento in cui nessuno dei due ha il coraggio di dirsi che la storia è finita.”

 

Nel brano racconti di un’inaspettata svolta. Ci sono state altre giornate in cui ti sei accorto che bastava poco: il sole, un evento inatteso per dimenticare tutti i propositi della sera prima? 

Si esattamente, nella canzone in particolare, quando dico “volevo chiamarti ma è spuntato il sole”, è ovviamente una metafora. Il sole può essere inteso sia come una bella notizia ricevuta, o conoscere una persona che ti piace e ti fa dimenticare un po’ tutto, oppure anche semplicemente una meravigliosa giornata di sole che dà una svolta al tuo umore e fa cambiare tutti i tuoi propositi.”

 

Dopo aver intrapreso il tuo percorso da solista, ti senti ancora influenzato dall’esperienza Fratelli Quintale con tuo fratello? 

“Sicuramente con mio fratello ho iniziato a fare musica quindi questa esperienza me la porterò sempre dietro. Sono molto cambiato rispetto ad alcuni anni fa e cerco di far crescere la mia musica insieme a me e alla gente che mi segue, perchè non mi piace fare sempre le stesse cose, diciamo che mi annoio facilmente ed ho sempre bisogno di nuovi stimoli.
Ad esempio rispetto al mio disco da solista Pezzi di Merio che è uscito nel 2018, i contenuti sono molto diversi e anche i prossimi singoli che pubblicherò in futuro avranno nuovi orizzonti. Sto attualmente creando una mia identità musicale a livello di suono ma senza forzarla, facendola venire fuori nel modo più naturale possibile e quindi lascio che le cose facciano il loro corso.”

 

Quali sono gli artisti che ascolti più spesso in questo periodo? 

“Non saprei darti una risposta ben definita in quanto ascolto praticamente qualsiasi cosa spaziando tra i vari generi dalla musica sudamericana, elettronica fino alla trap e vado a periodi a seconda del mio stato d’animo. Mi piace lasciarmi ispirare un po’ da tutto.”

 

Quali obiettivi hai per il tuo futuro? Hai in mente delle collaborazioni con altri cantanti?

“Collaborazioni per il momento ancora non lo so, sicuramente voglio fare qualcosa e ho alcune idee ma ancora niente di deciso. A breve usciranno altri singoli fino ad arrivare alla pubblicazione di un nuovo album.”

 

E per quanto riguarda i live?

“Per il momento siamo fermi, però sicuramente faremo qualche apertura ad alcuni festival questa estate anche se saranno comparse relativamente brevi.”

 

Margherita Lambertini