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Mese: Gennaio 2021

Keaton Henson “Supernova OST” (Lakeshore Records, 2021)

Non ho mai recensito una colonna sonora. Non so come si faccia, né se si possa fare; o meglio, non sono sicuro si possa recensire una OST (Original Sound Track), senza aver visto il film per la quale è stata pensata, creata, arrangiata e realizzata. 

Non sono del resto nemmeno un grande cultore del genere, voglio dire conosco diverse persone che tra gli ascolti consueti hanno proprio le colonne sonore; ma io, un po’ per abitudine, un po’ forse per ignoranza, non mi sono mai mosso verso quei litorali, partendo da un assunto, certamente sbagliato, che non sia molto sensato scindere un film dalla sua musica, come se entrambi potessero aver vita solo se uniti, e che dividerli vorrebbe significare snaturarli e renderli altro. Il cinema muto del resto non è muto, sin dagli albori immagini e musica sono stati un connubio inscindibile e a dar maggior peso a questa considerazione piuttosto condivisibile ci sono anche le parole di Claudia Gordbman, che nel suo Unheard Melodies (una pubblicazione di diversi anni fa incentrata sulla musica nel cinema), sostiene che “change the score on the soundtrack and the image-track can be trasformed”.

Ad ogni modo non potevo lasciarmi sfuggire questo Supernova, esordio assoluto di Keaton Henson nel mondo del cinema. Il film in questione è uscito da appena qualche giorno negli Stati Uniti, è diretto da Harry Macqueen e vede come protagonisti, raffigurati anche in una splendida locandina, Colin Firth e Stanley Tucci. 

Non si tratta di un prime assoluto per l’artista inglese in ambito strumentale/orchestrale/sinfonico, avendo egli già dato alla luce un paio di anni fa lo splendido Six Lethargies, e questo nuovo lavoro continua ed espande quel clima di pathos e drama che sono da sempre presenze fisse ed imprescindibili della poetica del nostro. E credo sia proprio quello che cercava il regista, perché quando decidi di affidare la colonna sonora del tuo film ad un artista così particolare, che fa della malinconia e del rimpianto il suo terreno preferito, ti aspetti esattamente un lavoro come questo: i primi 40 secondi dell’iniziale The Night Sky sono otto, forse nove note di piano, lente, sotto le quali con un lungo crescendo si fanno strada gli archi, per sbocciare in una rapida sequenza che si esaurisce presto, per lasciar strada ad un intermezzo, Losing Tusker (Tusker è il nome del personaggio interpretato da Stanley Tucci, giusto per dare qualche riferimento in più). The Lake dona un minimo di apertura e respiro, con i violini che adagio s’incrociano in splendide volute, come nella successiva The Road To Lilly’s.

Un violoncello ed un contrabbasso compongono i quattro minuti abbondanti di A Silent Drive, dove ad una prima parte riflessiva seguono momenti incalzanti e sincopati, subito limati da un secondo passaggio più arioso ed orchestrale, Stargazing. Let Me Be With You è puro Keaton Henson, con quel pianoforte di una dolcezza abbagliante ed una coda d’archi dove non c’è molto spazio per la luce. La conclusiva Supernova è la composizione più articolata, che si manifesta in maniera quasi solenne, si sviluppa con una malinconica viola che sfocia in un finale tanto drammatico quanto magnifico.

La parola fine vien in realtà posta da Jeremy Young, un compositore ed improvvisatore, dedito principalmente alla musica concreta con registratori, tape e nastri (à la Basinski per intenderci) che ci regala un’interpretazione commovente del Salut D’Amour di Edward Elgar, qui lievemente rallentata per aumentarne, se possibile, la potenza evocativa.

Questa colonna sonora è un lavoro che trasuda Henson in ogni brano, in ogni nota quasi, dai momenti più narrativi a quelli più cupi, per cui adesso è forte la curiosità di andarsi a vedere il film, per scoprire quanto di ciò che emerge dall’ascolto trova effettiva rispondenza nella pellicola.

 

Keaton Henson

Supernova OST

Lakeshore Records

 

Alberto Adustini

Leptons “La Ricerca della Quiete” (Beautiful Losers, 2021)

Uno splendido, variopinto mosaico

 

Non sempre l’azzardo paga.

Non sempre, ma sta volta sì. Decisamente.

Il nuovo lavoro di Leptons, cantautore veneziano che risponde al nome di Lorenzo Monni, intitolato quasi provocatoriamente La Ricerca della Quiete e pubblicato dalla Beautiful Losers, è in realtà una centrifuga di idee, suoni, voci, colori, un disco vulcanico, quasi smodato nella sua apparente assenza di organicità e misura. 

È un disco abbondante ma non sovrabbondante, pregno, denso, quasi mai però pacchiano o affettato. Il suo maggior pregio è l’essere credibile nella sua densità.

Ci sono infiniti rimandi, citazioni, ci sono momenti più folk, altri ai limiti della dance, si strizza l’occhio alla musica tribale e a quella popolare, c’è del cantautorato e trovate il più delle volte decisamente azzeccate.

L’iniziale Il Canto Di Lavoro rimanda neanche tanto lontanamente all’Iosonouncane di Stormi, c’è anche un cameo in inglese con Great Escape (anche se a onor del vero lo si preferisce e convince di gran lunga di più in italiano), stralunate evoluzioni vocali di pura naturalezza e istinto in Una Lunga Vacanza, intermezzi strumentali in puro fingerpicking ne Il Diario Di Un Vulcano o ne Il Lago delle Favole, la davvero splendida Così Lontani, che rappresenta una sorta di compendio di quanto Leptons abbia messo in questo disco, una summa quasi. La Trilli finale (cos’è? Una quadriglia? Un qualche brano folkloristico? Ma arrivati a questo punto importa davvero?), è forse la perfetta conclusione di un lavoro che ha molti più meriti e pregi che limiti, un disco fatto di azzardi, rischi, non sempre calcolati, talvolta forse nemmeno necessari, ma che ce lo fanno apprezzare ancora di più. 

Si criticano spesso certi artisti perchè fanno sempre lo stesso disco, beh in questo La Ricerca Della Quiete, Leptons non fa mai nemmeno la stessa canzone.

 

Leptons

La Ricerca della Quiete

Beautiful Losers

 

Alberto Adustini

Tre Domande a: Lou Mornero

Come e quando è nato questo progetto?

“Se devo pensare a un inizio bisogna tornare indietro negli anni, molto prima che Lou Mornero avesse un nome e una forma.
2006/2007, ero in Sicilia per una vacanza in camper con amici cari e tra questi Andrea, il mio partner musicale, fece apprezzamenti alla mia voce mentre cantavamo su una canzone per farci passare il tragitto, e aggiunse che avrei dovuto mettere in piedi un progetto dove cantassi. In quel periodo iniziava l’avventura dei Male di Grace nei quali suonavo chitarra e basso. Non avevo mai considerato l’idea, mi reputavo uomo da band ma in quel momento esatto la cosa mi stuzzicò parecchio.
Passò qualche anno e nel frattempo i Male di Grace diedero alla luce l’album Tutto è come sembra, entrai poi come bassista ne I Paradisi con cui producemmo l’album Dove andrai e ad un certo punto il pensiero di un progetto solista riaffiorò dal nulla.
Tornai quindi a riabbracciare la chitarra acustica, snobbata per anni a favore dell’elettrica, e da lì partì tutto; iniziai a comporre atmosfere più lievi del solito e mi ci ritrovai con molto agio.
Con naturalezza è poi giunta l’esigenza di dare forma a quella nuova veste e proposi ad Andrea, compagno di banda ne I Paradisi, di collaborare per arrangiare e produrre questa mia idea musicale ed eccoci qui: è nato un EP, uscito qualche anno fa, e oggi GRILLI.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

“Rallentamento, tregua, viaggio!
Mi piace pensare che chi ascolta GRILLI possa godere di una mezz’ora sospesa dalla frenesia che è la vita e non alludo solo alla parte tangibile ma soprattutto alla zona invisibile, quella fatta di pensieri e angosce, quella dei mondi interni, spesso i più subdoli e complicati da gestire.
Sarebbe un gran piacere sapere che questa musica favorisse simili sospensioni poiché penso che si presti particolarmente in quanto ad atmosfere sognanti e leggere, senza considerare che nasce da una personale esigenza di rincorrere quel tipo di oblio.
E aggiungerei che il lavoro di passione e genio che Andrea ha aggiunto alle canzoni, parlo di suoni che fluttuano e arrangiamenti che avvolgono, si sposa perfettamente con la filosofia dell’abbandono e del distanziamento, non sociale, ma da se stessi.
Sospensione quindi ma non solo; anche immersione nelle suggestioni della musica, nei suoi colori e nelle sue virtù.
Dai i testi è invece arduo aspettarsi qualcosa poiché è un campo di assoluta soggettività dal momento che scrivo di quello che vivo e di come lo vivo e non è detto che ciò corrisponda al comune sentire, ma se qualcuno si ritrovasse nelle mie parole allora significherebbe che c’è qualche essere simile a me là in giro e questo m’incuriosirebbe.”

 

Progetti futuri?

“Non mancano mai! Fanno parte del mio inconscio ottimismo. Tra questi sicuramente comporre altra musica che mi aggradi al punto da volerla condividere in un futuro.
Direzioni nuove e nuovi suoni piuttosto che qualcosa di più essenziale, nuove collaborazioni.
La parte godereccia del comporre è che potenzialmente non ci sono limiti alla creatività, gira tutto intorno al mood del momento, al coraggio, alla curiosità e in questa prospettiva progettare il futuro è assolutamente eccitante. Trattandosi più di idee che di progetti sono ancora in fase nebulosa e accennata ma ci sono e già per questo sono galvanizzanti, solo che al momento non riuscirei a dirne oltre.
Come si dice: stay tuned.”

Tre Domande a: Wabeesabee

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Saverio: “Come molti credo, abbiamo indubbiamente tanta voglia di suonare, ma sfruttiamo questo momento per continuare a scrivere e riflettere.”
Andrea: “Il virus purtroppo ha infettato anche il mondo della musica, soprattutto a livello di industria e ha avuto ripercussioni in modo particolare su quegli artisti che avevano visto il 2020 come un anno di svolta. Ovviamente un po’ di preoccupazione c’è, ma siamo fiduciosi per il prossimo anno. Avevamo bisogno di far partire il progetto e per ora siamo davvero soddisfatti di come sta andando. L’unica cosa che ci manca è l’aspetto live; è triste il fatto di non avere la possibilità di potersi esprimere dal vivo e di poter interagire con un pubblico.”

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Saverio: “Ad oggi Jeff Buckley, Jordan Rakei, Tom Misch, Hiatus Kayiote, Nick Hakim e D’Angelo su tutti, mentre nel percorso che ci ha portato a questo disco ho saputo amare Joni Mitchell, Patrick Watson, Lucio Dalla, Niccolo Fabi e Igor Lorenzetti (alias di Dead Poets Society). Ultimamente Kendrick Lamar, August Greene, Anderson .Paak ed Eriykah Badu sono a ruota nelle cuffie.”

Andrea: “Nel nostro sound si possono trovare artisti che piacciono molto ad entrambi come ad esempio Jordan Rakei, Tom Misch, Hiatus Kayiote, D’Angelo, Anderson .Paak.”

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Saverio: “La possibilità di andare altrove con la mente.”
Andrea: “Personalmente vorrei far arrivare ciò che provo io mentre ascolto la musica che mi piace, quindi: generare coinvolgimento durante l’ascolto, far entrare in sintonia l’ascoltatore con l’autore, far capire che i pezzi sono stati scritti con il cuore e non a tavolino, e suscitare interesse per la produzione musicale.”

Oremèta “Saudade” (Glory Hole Records, 2021)

Il Maestrale trasporta musica esotica, la samba si mischia con le risate di tre ragazzi sul balcone.

Ma qui non siamo a Rio, siamo a Ostia.

E qui, non stiamo festeggiando il Carnevale, siamo in lockdown.

I loro ricordi, le loro esperienze ora diventano racconti, le idee si trasformano in speranze per il futuro.

Uno di loro ha una chitarra, strimpella qualcosa mentre l’altro butta giù due frasi. La ragazza guarda lontano verso l’orizzonte. Dopotutto sono fortunati, loro hanno il mare. 

Quello che all’inizio era un passatempo si evolve, cresce, fino alla creazione di una band, gli Oremèta (Chiara Pisa voce e testi, Dario Cangreo testi e voce, Giulio Gaigher compositore) che presentano il loro primo album Saudade, una serie di storie dai profumi esotici, una bossa nova romana che narra di malinconie, di viaggi, di claustrofobia, di routine temporaneamente sospese e affetti lontani.

Chiusi nelle nostre case bramiamo spazi aperti, i banconi appiccicosi dei bar, gli abbracci, la calca dei concerti; soffochiamo nella nostra fame d’aria. La malinconia ci schiaccia, appiattendoci al suolo, e l’unica via d’uscita per la sanità mentale è ricercare nella memoria i momenti in cui ci sentivamo liberi, e rivivere quella sensazione. Se fatto in gruppo poi, diventa più potente. 

Con il loro sound particolare diventa difficile “etichettare” il loro stile, si passa da testi molto profondi, temi delicati e flussi di coscienza prosperosi, a tracce molto commerciabili, fluttuando con la bossa nova in un universo contaminato dall’hip hop, invaso dall’elettronica e dal soul.

Questo album ha un cuore, poderoso, che batte dentro a tutti i brani.

Rime eleganti che feriscono come spine di rose, un flow vellutato in Pangea (feat Soulclore); la nostalgia tagliente per gli affetti lontani è il tema di Se alle Sei, la cui intro è una telefonata vera della nonna di Chiara durante il primo lockdown e racchiude tutta la saggezza che solo gli anziani hanno con la frase “Quando sei obbligato vorresti uscì”.

Il tema degli affetti al di là del mare è anche in Bakarak, la storia di un loro amico congolese, della nostalgia di casa sua, del lavoro al porto che lo fa sentire quasi vicino alla sua patria.

Saudade e Interludio sono il frutto di ricordi di un viaggio in Brasile, versi nostalgici su come il progresso alla fine approdi anche nel paesino di pescatori sperduto, e distrugga la semplicità di una vita che bastava a se stessa. Le rime serrate, affilate, colpiscono nel profondo, Dario possiede un flow autentico, caldo.

Meta, quinto brano dell album, è una ballata pop, uno sfogo post lockdown, pieno di solarità e positività, si poteva di nuovo uscire, sembrava la libertà e, altezzosi, si poteva ripensare a quel periodo di clausura quasi sorridendo.

La rabbia verso gli oppressi scoppia violenta in un hip hop denso e scomodo in Passaporto; i toni rimangono accesi in Diario, condanna verso i pestaggi di Ostia, Salvini e Casa Pound, delle spedizioni punitive ai campi di rom di Torre Maura.

Da un balcone di un palazzo di fronte al Lido di Ostia questi tre ragazzi non ci parlano solo di nostalgia e mancanza, ma anche di speranza e rinascita. Abbiamo bisogno di esprimerci, di lasciare un pezzo di noi per buggerare la morte, un motivetto che continua ad essere canticchiato rende eterna la storia di qualcuno.

 

Oremèta

Saudade

Glory Hole Records

 

Marta Annesi

“Vaffanculo”: una conversazione a cuore aperto con Giorgio Canali

In questo anno funesto, arido o quasi di occasioni conviviali e soprattutto privo di concerti, appena si è presentata l’occasione di incontrare Giorgio Canali non me la sono certo fatta sfuggire.
Non sono giornalista e quella che seguirà, più che un’intervista, sarà un’amichevole chiacchierata con Giorgio, che seguo con piacere fin dai suoi primi album.
L’occasione è l’uscita di Venti, il nuovo disco del ex C.S.I., C.C.C.P., P.G.R. insieme alla sua storica band, i Rossofuoco.
Necessitando di almeno un contatto visivo decido di andare fino a Correggio per poterlo incontrare. L’appuntamento è in un bar del paesino emiliano, che fa molto “amico che non vedi da un po’”: fanculo videochiamate, videochat, zoom e menate varie. Direi che ne abbiamo fatte abbastanza.
Sono sinceramente emozionato, mentre aspetto al tavolino con una pinta di birra. In fondo è come se Paola Maugeri stesse aspettando Mick Jagger. Passatemi il paragone dai!
Dopo pochi minuti arriva Giorgio che, vedendomi col bicchiere e la maglietta del Velvet addosso, non esita un attimo:”Il Velvet, grande! Prendo una merda da bere e arrivo!”
Torna con vodka e ghiaccio, qualche scambio di battute e partiamo con la nostra chiacchierata, di circa due ore. Provo a riassumere!

 

Ti devo confessare una cosa: è da Luglio che ascolto il nuovo disco, me lo ha fatto ascoltare Botte (amico in comune, NdR) dopo che tu glielo hai mandato in anteprima.

“Si si, ha fatto bene!”

 

Venti come sono venti i brani di questo disco, avevate tempo durante il lockdown o li avevate gia scritti?

“No, semplicemente sono venuti fuori! Io ero chiuso su a Bassano, nell’appartamento/studio di Steve, ho iniziato a buttare giù qualcosa poi li ho fatti girare agli altri; dopo dieci pezzi Steve ha proposto di andare avanti e fare un doppio e ci siamo detti, perché no, tanto di cose da dire ne ho! Anche se fino a quel momento avevo un certo riserbo nel parlare di questa situazione di merda, non volevo metterla dentro al disco.”

 

E come si fa? È difficile ignorare ciò che accade.

“Si, ogni tanto ho questi trip! Ad esempio ho un pezzo, che probabilmente sarà nel prossimo album, o chissà, si chiama 900. Ripercorrerà tutto il novecento storico, ignorando completamente l’Italia e quello che è successo qua, perché tanto è irrilevante…”

 

Inutile e irrilevante come un brano del disco.

“Ahah, si, inutile e irrilevante, che è una provocazione bella grossa! Ignorando Mussolini, CianoBerlusconi, la P2 chi cazzo sono? Perché devo parlare di questa gente qua? Se viene fuori è una bella canzone, lunghissima.
Quindi, dicevo, l’intenzione era di lasciare del tutto fuori il problema che stiamo vivendo, come se non esistesse. Anche perché non ci credi che la gente possa arrivare a livelli simili, sul fatto di accettare per oro colato tutto quello che gli si racconta, senza neanche sollevare un obiezione e che qualsiasi precetto gli si ponga di seguire lo segue.
Mi venivano in mente i documentari propagandistici di istruzione alle precauzioni anti pericolo nucleare; dicevano ai bambini di accovacciarsi e coprirsi…”

 

Hai citato questa cosa in un brano in effetti.

“Si esatto, c’è. Accovacciati e copriti, accovacciati e copriti! Indottrinamento di base, inutilissimo, anche perché se ti esplode una bomba nucleare a 4 km puoi accovacciarti quanto ti pare.
Mi sembra un po’ questo, la mascherina, il distanziamento, che poi non mi sembrano cosi utili se ci pensiamo.”

 

Che vuoi dire?

“Al di la di quel che scrivono La Repubblica e Corriere della Sera, basta guardare la Svezia, la Norvegia, la Finlandia dove non hanno fatto niente. Non c’è bisogno di tenere controllata la gente. Qua invece è il sogno da sempre! Qualsiasi regime, cattivo o buono, quello che vuole di più è l’obbedienza, se cieca ancora meglio, facendo cagare addosso la gente. Mi ricordo la dichiarazione dello psichiatra prima di suicidarsi in carcere durante il processo di Norimberga: la paura fa 90, se fai cavalcare la paura vinci!”

 

Durante il primo periodo di lockdown la gente che ti guardava e insultava dai balconi se uscivi. Un esempio fu una farmacista presa a male parole, in realtà stava solo andando a lavorare.

“Poi il paragone diventa peso, ma è così che si crea il consenso che ti consente di andare a denunciare l’ebreo che sta nel piano di fianco. Per carità non voglio paragonare le cose, assolutamente, ma il meccanismo è il medesimo. Quelli che andavano a denunciare l’ebreo non gli sembrava cosi grave andare a denunciarlo.”

 

Su questo tema sei molto attivo sui social, su facebook hai postato diversi articoli, per esempio del collettivo Wu Ming.

“Ah sì, mi sono preso anche del negazionista!”

 

Al di là di come la si possa pensare è sempre giusto avere un atteggiamento critico, porsi domande.

“Certo! Se non capisci questo…a qualcuno fa comodo che sia cosi. Dall’altra parte dell’oceano fa comodo nascondere quello che sta per arrivare, ovvero un nuovo crack tipo ’29. Dar la colpa a un virus piuttosto che a quei figli di puttana che stanno a Wall Street è più comodo. Altrimenti la gente prende il piccone e va fargli il culo a questi qua, mentre se è colpa del virus…”

 

Alla fine l’argomento è entrato lo stesso in questo disco.

“Si però se ci fai caso in metà delle canzoni non ne parlo proprio. Il problema è che quando ne parlo ci vado pesante.”

 

Vero, e infatti sei sempre stato coerente nei tuoi testi, critico, a volteprofetico. Ricordo quel pezzo del 2004 che fa “Epidemie terrificanti, nuovi contagi e vecchi mondi da evitare e noi qui in fila a farci rivaccinare..”

“Sì si, siamo lì. Semplicemente sto attento a quello che succede intorno a me e soprattutto faccio tesoro delle lezioni di storia, anche della storia moderna o attualissima. Lo vedi come va il mondo. Poi per carità non voglio ergermi a Pasolini che diceva, testualmente: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace…”. Per carità, Pasolini è Pasolini e Canali è Canali, però se uno è attento a quel che succede attorno e ragiona poi fa 2+2. Poi magari ti sbagli a fare 2+2, però se non ci provi neanche sei un coglione!”

 

È importante farsi domande, essere critici. Nei tuoi testi è palese..

“Assolutamente! Ma scusa il coprifuoco? La gente accetta il coprifuoco senza alcuna obiezione!
E poi mi danno del fascista se ne parlo! Fascista a me! Se non sei filogovernativo allora la pensi come Salvini, che dice le cose solo per comodo! Se la Meloni domani se ne uscisse con “Dio non esiste” io dovrei diventare subito credente cattolico? Perché dovrei fare o dire per forza una cosa diversa da quel che dice lei? Col cazzo!
La gente purtroppo fa questi accostamenti. Poi quando tiri fuori il concetto di negazionismo applicato a qualcosa di diverso dal negazionismo vero, che è quello di dire “i lager non sono mai esistiti” stai già facendo della propaganda di merda. Terrificante!
E non mi trincero neanche dietro a una serie di privilegi che mi sono stati tolti, tipo campare con la musica. Si, non pago l’affitto in questo momento, ma non è per questo che sto qui a discuterne, non me ne frega niente!”

 

A proposito, ti volevo fare questa domanda, che tocca anche me e il mio lavoro di fotografo. Ora eventi e concerti sono bloccati a fronte di bonus e simili..

“Fanculo, io non voglio una lira da loro, voglio solo che mi lascino libero. Non mi frega di inps e bonus. Quando vivevo in Francia avrei avuto diritto agli assegni di disoccupazione del mondo dell’arte, con 70 cachet dichiarati in 1 anno hai l’equivalente dallo Stato pagato per altri 300 giorni. Potevo fare richiesta ma non mi interessa, non li voglio. Non voglio pensare, ragionare di essere anarcoide.”

 

Anarcoide?

“Si, in realtà non sono anarchico, sono anarcoide, è peggiorativo! Però almeno non sono organizzato in una anarchia coalizzata.
Adesso cos’è sto cashback? Diventi ancora di più schiavo di un sistema che è basato sul controllo. Poi ci sono quelli che “io l’app Immuni mai e poi mai” ma poi appena ti danno 20€ vai subito a dargli i tuoi dati, per cifre irrisorie!”

 

Una presa per il culo?

“Si chiama propaganda!
Dai Basta!”

 

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Si cambiamo argomento. Come mai a Correggio? Fan di Ligabue?

“Si, sono venuto a imparare il rock’n’roll da Ligabue!
In realtà avevo la speranza di riuscire a sostituire in tutte le pizzerie le foto del Liga con il pizzaiolo ed esserci io al suo posto. Ma non ci riuscirò mai.”

 

Però sei un fan di Jovanotti.

“Certo, ma non confondiamo la merda col purè! Sono fan di Lorenzo, lo conosco, è una persona molto onesta. Può essere populista, ma è quel tipo di populismo che non mi dispiace perché è quello dei sentimenti che vengono direttamente da lui, non è un voler forzare le cose. È un buono, un ottimista.”

 

Vorresti esserlo anche tu, ottimista?

“Mi piacerebbe un sacco! Vede sempre il bicchiere mezzo pieno, io invece lo vedo sempre rotto il bicchiere, neanche mezzo vuoto!”

 

Invidia? 

“Si un po’ di invidia ce l’ho! Poi mi piacerebbe scrivere un paio canzoni con quello spirito li. Per esempio Mi fido di Te è un pezzo che spacca, che quando l’ascolto mi vengono i brividi.”

 

Se non ricordo male ne avevi fatto anche una cover.

“Si era un festival vicino ad Arezzo, probabilmente gli abitanti da quella volta mi odieranno! Mi avevano chiesto di affrontare sei brani di altri artisti, cover che mi piacevano e che avrei voluto scrivere io. Quella di Jova l’ho mescolata a Precipito, ci stava.”

 

Ma veniamo ai tuoi pezzi. Canzone Sdrucciola,  com’è nata?

“Sdrucciolamente! È partita da una batteria in 6/8 di Luca Martelli. Abbiamo fatto esattamente come fossimo dal vivo, in cui uno parte e gli altri gli van dietro.”

 

Però in questo caso eravate separati.

“Si, si. Luca le batterie le ha registrate in Sardegna, qualcuna nell’orto della sua compagna. Steve era Miami, io a casa di Steve a Bassano, Marco Greco a Bologna. Poi ci giravamo i file. Uno partiva e gli altri dietro poi io ci mettevo il testo.”

 

Quindi i testi vengono per ultimi?

“Si il testo arriva sempre dopo. Anche in sala prove, quando improvvisiamo insieme, suoniamo poi io mi porto a casa tutto, taglio edito, faccio quello che c’è da fare e poi viene fuori il testo. Raramente una canzone nasce chitarra e voce già strutturata. Poi ogni tanto qualche pezzo che nasce così, alla cantautore, c’è.”

 

Per esempio?

Rotolacampo, oppure andando indietro, Lezioni di Poesia. Ma sono davvero pochi i pezzi fatti in questa maniera. Prima nasce l’atmosfera, l’ambiente, poi ci scrivo sopra.
Canzone sdrucciola è nata cosi. In realtà stavo lavorando anche a un altro testo su quel pezzo, poi mi è venuta fuori la frase “..chissa perché la radio passa solo canzoni inutili”, bella, ed è venuto fuori tutto cosi, un testo sdrucciolo, con l’accento sulla terzultima sillaba.”

 

Questo nuovo disco mi sembra il perfetto continuo del precedente Undici canzoni di merda con la pioggia dentro.

“Si infatti è sott’inteso, non mi andava di palesarlo, ma è automatico! Venti sono le canzoni di merda.”

 

Un album pregno di citazioni.

“Si, l’ho fatto apposta questo disco. È uno dei motivi portanti dell’album. Andando a giocare, citando in ogni canzone almeno un pezzo di qualche cantautore italiano; ce ne sono almeno 26 o 27. A parte quelli internazionali che ci sono sempre stati.”

 

Io non li ho beccati tutti. Sicuramente il più facile è De Andrè

“Quella è facile, si!
Ad esempio c’è quella in Cartoline Nere, per citare I Matti di De Gregori. È stata quella che mi ha dato il là per citare. L’ho stravolta e mi son detto, “Bella cosi, andiamo avanti e citiamo tutto quello posso”, sia travisandolo, storpiandolo, ma anche copiandolo papale papale. In Morire Perché c’è “catene, bastonate, chirurgia sperimentale” di Com’è Profondo il Mare di Dalla e prima, forse più nascosto, “morire di Maggio”” (La guerra di Piero, De Andrè NdR).

 

Ti vidi in concerto le prime volte tra il 2004 e il 2005. Prima con i TARM e poi a Forlì con degli sconosciuti Zen Circus.

“Uh si! Lì era una delle prime volte che incrociavo gli Zen Circus Poi ho fatto delle cose con loro, nel primo disco, dove Andrea Appino cominciava a cantare in italiano: sono andato in studio con lui a fare le voci, mi faceva cagare come cantava in italiano, dieci volte meglio in inglese! Bisognava che fosse convinto di cantare bene anche in italiano, così l’ho stressato un po’. E poi era l’album prodotto da Brian Ritchie (Violent Femmes, NdR), ci sono andato per lui! Abbiamo anche suonato insieme, per me era un sogno!”

 

Poi con chi altro hai lavorato?

“Con Vasco (Le Luci Della Centrale Elettrica) ho fatto tutto il primo album e una novantina di date; tant’è che Nostra Signora della Dinamite è uscito un anno dopo proprio perché io ero in tournée con lui e ci tenevo vedere come andava, è stata una bella cosa! Siamo tutt’ora in contatto, credo di essere una delle dieci persone che sente i provini dei suoi dischi per primo.”

 

Poi?

“Poi Bugo, un altro di quelli che apriva i miei concerti e poi ora, ciao! Come anche i Verdena del primo album, che a fine ’90 mi portai in tour per qualche data ad aprirmi i concerti, era appena uscito Che fine ha fatto Lazlotoz, era il 98/99.”

 

Anni stupendi, c’era un bollore incredibile.

“Si ma c’è anche adesso il bollore, forse si è un po’ spento perché stanno cercando di imitare da una parte la trap inutile, e dall’altra Venditti. Sai i vari episodi di pop romano che da indie diventa mainstream. Ma poi chi se ne frega, non son qui a sparare sulla croce rossa, ognuno fa le scelte che vuole, tanto fra due anni sono tutti sepolti questi qua.”

 

C’è speranza.

“Ma sì, c’è ancora un movimento. Credo che ci sia anche un ritorno, paragonabile a quello che han tirato fuori Vasco Brondi e Dente, a un certo tipo di cantautorato, con dello spessore.
Ci sono anche delle cose che ho prodotto io; i Radiofiera, che sono dei vecchi di merda come me, esistono dal ’90. Poi c’è Prevosti che spacca, l’ho portato in giro con me in qualche data.
Poi qualcosa di nuovo, un tipo di Genova, che scrive bene, mi piace, è disimpegnato ma non va a cercare il pop facile con le canzoni d’amore e gli accendini accesi. Uscirà con la mia etichetta PsicoLabel.”

 

La tua etichetta?

“Si, è la mia etichetta storica, proprio mia. Ora vogliamo farla diventare una vera etichetta; per un po’ di tempo è stata come un tatuaggio che ognuno si metteva: “Posso uscire con PsicoLabel?” Fai il cazzo che vuoi, basta che non mi chiedi dei soldi! Era roba che facevo con gli amici. Ora invece stiamo cercando di strutturarla, insieme a Steve, farla diventare una piccola factory.”

 

Da quant’è che suoni con Steve?

“Da Rojo in poi, li eravamo tre chitarre con Fanelli al basso. Fanelli (ex Quinto Stato) tra l’altro sarà probabilmente una prossima uscita con un progetto bellissimo, Fanelli Demolizioni.”

 

Parlando di basso, mi è sempre piaciuto come esce dai tuoi dischi, anche in quest’ultimo. Mi ricorda quello di Gianni Maroccolo.

“Il basso di Marco mi piace molto, lui imita me che imito Gianni appunto, e ci piace!”

 

Lui però nasce chitarrista.

“Si, tutti i migliori bassisti nascono chitarristi, quelli col plettro in mano. Altrimenti finisci che ti menano come Pastorius!”

 

In questo momento di pausa dei concerti? Ti dai anche tu allo streaming?

“No no, non esiste proprio, è un surrogato di vita che non posso accettare. Andare sul balcone a fare gli imbecilli con la chitarrina, a parte quelli che ci andavano per controllare gli altri, o quelli che si mettevano a fare le robe in streaming? Ma vaffanculo. Ho anche litigato con degli organizzatori di festival per questo motivo. Ma perché invece non organizziamo delle cose? Forziamo un po il blocco, poi ci arrestano tutti!”

 

In realtà concerti ed eventi sono assai più controllati e regolamentati rispetto ad altri contesti come i centri commerciali ad esempio.

“Ma si, ma noi le abbiamo sempre rispettate le regole, ma poi non è bastato! Alla fine han chiuso tutto, cinema e teatri.”

 

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Da Predappio, alla musica e al tuo lavoro, come è andata?

“Facevo il chitarrista in una band di amici, che suonava molte canzoni dei Beatles, e anche molti pezzi propri. Sembra preistoria ma all’epoca era roba uscita quindici anni prima, come chi adesso suona il grunge. Poi pian piano mi sono trovato a mettere su una cosa che si chiamava Potemkin, che nei primi anni 80 in Romagna funzionava abbastanza. Insomma io trombavo, in quanto frontman!
Poi mi sono reso conto che questa cosa non mi andava bene, nel senso; perché se sono su un palco mi trombi mentre se fossi fuori non mi cagheresti? Allora ho cominciato a fare della musica completamente deficiente e inascoltabile insieme al Politrio e a Bob Zoli, morto un paio di anni fa, lui è stato uno dei pilastri e della musica indipendente a Forlì. Per sei-sette anni facevamo concerti per 100 persone di cui 90 se ne andavano e dicevano “cos’è sta merda?” Era bello, il rifiuto del piccolo star system di periferia.
Da lì abbiamo iniziato a conoscere gente che lavorava in quell’ambito, per esempio i Litfiba. Prima Bob come fonico e poi io come suo sostituto dopo un incidente. Intanto in quel periodo facevamo musica difficile, poco fruibile. Mi ricorderò sempre quando Libero Cola del Vidia ci prese dicendo, “dai vabbè, ci saranno 10 persone” e poi gli riempimmo il locale con la nostra musica di merda.”

 

Poi come sei arrivato ai CSI?

“Dopo aver cominciato come fonico per i Litfiba, abbiamo girato l’Europa, subito dopo Tre, erano la mia famiglia, poi ho conosciuto i Noir Desire e sono diventato francese, era il mio mondo.”

 

Quanto tempo sei rimasto in Francia?

“Una decina d’anni, dal ’89 al ’98, mi dividevo tra Francia e Italia. Infatti i C.S.I. sono nati che io vivevo in Francia! Tornavo qua a registrare, era il tempo di Epica Etica Etnica Pathos di C.C.C.P., registrato proprio a 2 km da qui. La mia vita è cambiata in quegli anni, dopodichè sono nati i CSI ed io ero in giro con i Noir Desire tutto il tempo. Quando i CSI han cominciato a decollare ho preso tanti di quei voli!”

 

Invece com’è andata l’esperienza con i PGR?

“Secondo me con i P.G.R. abbiamo fatto il più bel disco che abbiamo mai fatto tutti insieme, io, Gianni e Giovanni, compresi tutti i precedenti; è Ultime Notizie di Cronaca, ultimo album, del 2009! È il migliore che ci sia mai venuto fuori! Fatto tra l’altro un po’ a distanza, come questo Venti. Io e Gianni, che ci occupavamo della musica ci saremo visti un giorno e mezzo, in tre mesi di lavorazione, per il resto tutto via internet.”

 

Non sono mai riuscito a vedervi in concerto, peccato.

“Purtroppo abbiamo mollato perché nel 2006 Giovanni ha avuto un problema di salute che lo ha portato via dalle scene per parecchio tempo. Poi non si è fatto più nulla. Ma avevamo in contratto un altro disco con la Universal e cosi lo abbiamo fatto, ed è appunto Ultime Notizie di Cronaca, ed è uscito davvero bene. Se lo ascolti capisci perché! Al di fuori delle parole di Giovanni, che possono piacere o non piacere, non me ne frega un cazzo di quel che pensa la gente, però musicalmente è la cosa più riuscita e matura che abbiamo mai fatto, perché c’è tutta la mia sensibilità e quella di Gianni che si mescolano in maniera perfetta, una figata! È musica diversa, trasversale.”

 

Tornando al disco nuovo invece, ho sentito, tra le altre cose, tante tastiere in più e il violino.

“Sì sì, ma il violino c’è da sempre! C’è stato anche il violino di Rodrigo D’Erasmo, era in Tutti Contro Tutti, mentre il violino di Andrea Ruggiero c’era già in Nostra Signora della Dinamite, e in Venti c’è almeno in cinque/sei pezzi.”

 

Domanda secca. Se ti chiedessero di fare il giudice di un talent?

“Se mi pagano un tot di soldi ci vado! Massimo rispetto per Manuel Agnelli che riesce sempre a far molto bene quello che fa, poco rispetto per chi lo critica, perché sono solo invidiosi di merda. Stesso vale per Alberto che va a suonare a X-Factor i pezzi dei Verdena. Ma che vuoi? Questo lo so fare, e lo vado a fare, mi pagano, lo faccio. E se anche non mi pagavano ci andavo lo stesso probabilmente perché mi andava di farlo.”

 

Non ti sei scandalizzato.

“Ma siam matti? Mi devo scandalizzare per cosa? Se gli Zen Circus vanno a Sanremo? Poi ci sono andati in maniera super dignitosa!”

 

Così pure gli Afterhours.

“Sono stati fighissimi, hanno portato avanti un progetto bellissimo e un ‘idea unica con quell’album.
Tra l’altro devo molto a Manuel e al suo ToraTora Festival! Quando mi voleva in prime time coi Rossofuoco nonostante all’epoca vendessimo pochi dischi. Mi diceva “Tu te lo meriti, e alla gente gli faccio vedere una cosa figa!””

 

In conclusione, avete fatto davvero un bel disco, pensi sia il migliore?

“Per forza! Ma per quantità più che qualità! Tra Undici e Venti cosa scegli? E poi hai ragione tu, ha filo conduttore che va avanti; non a caso la copertina è sempre della Martina, una mia amica di Bergamo. Nella mia testa vedevo una trilogia, Undici, Venti e poi il prossimo magari sarà Giallo.”

 

Quindi hai già altri pezzi?

“Si, in realtà siamo andati oltre i venti pezzi, ce ne sono almeno tre o quattro che non sono andati dentro a Venti. Un brano è in una compilation che dovrà uscire (Her Dem Amade Me, pubblicato su supporto fisico il 4 Dicembre, NdR), un lavoro dedicato a Orso, quel ragazzo di Firenze, ucciso mentre combatteva l’Isis.”

 

Si, ricordo bene.

“Adesso sembra una roba da matti! Ma nel ’37 era normale prendere e andare a combattere; quanta gente da Francia, Italia, Germania ha deciso di andare a combattere un’idea di merda, che era il franchismo.
Il problema è che le resistenze sono celebrabili solo se sono roba vecchia, se è nuova sei uno sfigato che si batte contro un sistema che tanto ha già vinto. Vaffanculo!”

 

Quindi festeggiare oggi la resistenza ha senso?

“Certo, come aveva senso negli anni ’70. Non sono assolutamente un fan della lotta armata, ma anche quella era resistenza.”

 

Giorgio abbiamo parlato un sacco e sono quasi le 18, ci chiude il bar!

“Ah basta basta, poi qui ci arrestano!”

 

Ciao Giorgio, a presto spero!

“Speriamo, Ciao!”

 

 

Siddharta Mancini