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Mese: Ottobre 2021

Carmen Consoli @ Teatro Lyrick

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• Carmen Consoli •

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Volevo fare la Rockstar – Tour Teatrale 2021

Teatro Lyrick (Assisi) // 29 Ottobre 2021

 

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Tre Domande a: Kaufman

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

In questi tempi è complicato fare musica e lo sappiamo. La cosa peggiore è probabilmente l’incertezza e il senso di precarietà che impedisce di ragionare su progetti con un orizzonte temporale più ampio: dischi, uscite, programmazione live. Però, forse proprio da questo nasce l’idea di Parkour, un doppio a qualche tempo di distanza uno dall’altro. Una visione di insieme che questa precarietà la raccontasse davvero, fatta di collaborazioni, coscritture, lavori insieme a diversi produttori, ma anche, nei testi, di racconti di rapporti messi a dura prova, sentimenti vissuti al doppio della velocità oppure con estrema lentezza.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Pioggia, cuore e amore? Per parafrasare una vecchia canzone. Probabilmente potremmo dire che facciamo un pop malinconico, orecchiabile ed emotivo. Però autodefinirsi lo trovo sempre un po’ presuntuoso, in fondo le ragioni di chi scrive sono spesso molto diverse dalle ragioni di chi ascolta. Ed è molto bello che sia così, tra l’altro. Però “pioggia, cuore e amore” mi piace molto in realtà.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorremmo fare arrivare delle immagini, a prescindere dal soggetto, che ovviamente varia da canzone a canzone. Delle polaroid, delle fotografie che riescano a fissare nel tempo un momento emotivo. La poesia c’è già in ogni angolo delle nostre vite, basta catturarla quando la si scorge. Un po’ come fare un quadro impressionista, prestando più attenzione alla scena e meno al dettaglio.

Tre Domande a: Lamo

Come e quando è nato questo progetto? 

I brani per come sono oggi ho iniziato a scriverli nel settembre del 2019, anche se già da anni mi esercitavo nella scrittura, alla ricerca del mio modo espressivo. Dopo un’infanzia a nutrirmi voracemente dei dischi che c’erano in casa (Beatles, Dalla, Battiato e tanti altri) crescendo ho sentito il forte richiamo alla scrittura, quasi un’esigenza viscerale, che però all’inizio si manifestava in maniera disordinata e scomposta, con molta autocritica e anche un po’ di vergogna. L’esperienza da musicista per altri artisti che amo, mi ha formata e mi ha aiutata a mettere insieme le parti di me che andavo cercando. Raffaele “Rabbo” Scogna è stata una figura fondamentale per riordinare e mettere a fuoco le idee, grazie al suo talento di polistrumentista e alla sua sensibilità umana e Federico Carillo una guida importantissima per portarle a termine, grazie al suo gusto e alla sua curiosità. 

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Più che “ispirarci” a degli artisti, per me ascoltare musica che mi gasa è un vero e proprio motore di adrenalina, che alimenta il desiderio di creare. Quando ascolto musica, ciò che mi soddisfa e mi da gioia è sentire un’autenticità che si manifesta. Dei progetti contemporanei amo la spontaneità dei ComaCose, la visceralità e l’umiltà di Blanco, l’umanità è la profondità di Brunori sas, la poeticità di Lucio Corsi, la classe di Ditonellapiaga, la delicatezza di Tricarico. Dall’estero in questi ultimi due anni sono stata folgorata dallo stile e il sound di Noga Erez, l’originalità di Rosalía. Poi ci sono mille altri artisti che adoro, dai più classici e storici ai più sperimentali e psichedelici ma sarebbe impossibile elencarli tutti. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Il punto di arrivo per me è appunto essere in grado di esprimere me stessa senza fronzoli, far arrivare la mia autenticità che possa piacere o meno, ma che sia qualcosa che mi appartenga davvero. Mi rendo conto che è un percorso di ricerca continua, ma vedo che man mano continuo a scrivere, man mano si aggiunge un tassello, quindi spero che il mio primo disco che uscirà nel 2022 per Sound to be, possa essere un quadro ben rappresentativo del mio modo di osservare il mondo. In una società che tende ad omologarci, credo che l’atto più rivoluzionario sia riuscire ad esprimere tutti le nostre diverse sensibilità per arricchirci a vicenda.

Infest 2022: arriva l’Armageddon!

Hellfire Booking presenta:

Infest 2022
https://www.facebook.com/infestitaly/
https://www.instagram.com/hellfire_booking

A due anni dall’ultima edizione del festival alternativo organizzato da Hellfire Booking Agency ed Erocks Production, una nuova scossa sta per devastare il nord Italia.
Due giorni di veri e propri assalti sonori, moshpit adrenalinici e cori sovrumani ribollono sotto la superficie: l’Infest 2022 sarà più incandescente di un’eruzione vulcanica!
Ecco quindi le line up delle due giornate più bollenti dell’estate 2022, che raderanno completamente al suolo i palchi del Circolo Magnolia i prossimi 21 e 22 giugno.

 

Day one:

The Ghost Inside
http://www.theghostinside.com/

Direttamente dai palchi di festival impressionanti quali Download, Riot Fest e Full Force, i The Ghost Inside torreggiano da anni come titani sulla scena internazionale grazie a un metalcore melodico stravolgente, che ha garantito loro nientemeno che sold out da 10,000 posti in meno di cinque minuti, oltre che innumerevoli comparse su testate rinomate e podcast esclusivi.

While She Sleeps
https://whileshesleeps.com/

Vincitori di premi frastornanti che li vedono come addirittura la miglior band del Regno Unito, i While She Sleeps si contraddistinguono da più di un decennio per una branca di metalcore mordace quanto fatale. Con una label indipendente, una vera e propria «Sleeps Society» e oltre 100,000,000 stream su Spotify solo per la loro Top Ten, non c’è limite che i While She Sleeps non possano demolire.

 

Beartooth
https://beartoothband.com/

Incendio inarrestabile che brucerà in eterno, i Beartooth obliterano radicalmente ogni ostacolo sul loro percorso con un metalcore crudo e graffiato dal punk, espugnando il primo posto delle classifiche più bollenti di tutto il mondo e distinguendosi nientemeno che fra i 15 migliori screamer dell’era moderna.

 

August Burns Red
https://augustburnsred.com/

Dalla colonna sonora di «NCIS: Los Angeles» a ben due nomine ai Grammy, gli August Burns Red si distinguono in tutto. Con all’attivo collaborazioni mozzafiato con Periphery, A Day To Remember e Fit For A King fra i tanti, gli August Burns Red hanno sormontato ogni valico con un metalcore agguerrito da elementi death e progressive metal.

 

Of Mice & Men
https://www.ofmiceandmenofficial.com/

Uno degli esponenti più essenziali della scena metalcore degli ultimi dieci anni, gli Of Mice & Men hanno introdotto una generazione intera al mondo alternativo, guadagnandosi ben oltre 200,000,000 visualizzazioni su Youtube grazie al loro sound serrato e viscerale, valso loro addirittura il premio «Miglior gruppo emergente internazionale».

 

Silverstein
https://www.silversteinmusic.com/

Da un gruppo il cui ultimo album è stato mixato da un colosso quale Mike Kalajian (A Day To Remember, The Devil Wears Prada, The Bouncing Souls) non ci si può aspettare che il massimo: un traguardo che i Silverstein decimano da anni con un sound scottante e innovativo. Non per niente sono stati definiti da Kerrang! come il gruppo canadese #1 in grado di mantenere viva la scena.

 

Loathe
https://www.loatheasone.co.uk/

Detentori di un’infinità di premi «Album/band/brano migliore dell’anno», i Loathe trovano sempre un modo per superarsi, brillando addirittura fra le «100 canzoni migliori del secolo». Con un sound che miscela metalcore, nu metal e elementi sperimentali shoegaze e progressive, i Loathe si sono fatti notare da nientemeno che Chino Moreno dei Deftones. Un’impresa a dir poco incredibile.

 

Day two:

A Day To Remember
http://adtr.com/

Quando si hanno tanti premi e riconoscimenti quanto gli A Day To Remember, tenere il conto è impossibile. Dritte dalla Ocala, Florida, di cui hanno ricevuto addirittura le chiavi, le stelle polari multi-platino della scena alternativa hanno non solo accecato i palchi delle manifestazioni musicali più importanti di tutto il mondo ma dato alla luce un festival tutto loro, il brillante «Self Help Fest».

 

Black Veil Brides
http://blackveilbrides.net/

Dal set del thriller «Paradise City» alla cima delle classifiche più importanti del globo ci vuole solo un secondo per una band come i Black Veil Brides. Infinite menzioni come «Gruppo/album/brano migliore dell’anno», lodi da testate quali Revolver Magazine, Kerrang!  e Loudwire, i Black Veil Brides e la loro miscela di metalcore, glam metal, emo e rock sono un esempio impressionante di devozione alla propria arte.

 

Grandson
https://www.grandsonmusic.com/

Oltre 6,000,000 ascoltatori in tutto il mondo e 1,000,000,000 stream solo su Spotify, Grandson fa capolino addirittura due volte nella colonna sonora di «Suicide Squad», al primo posto della classifica canadese con l’ultimo album «Death of an Optimist» e nella playlist di Tom Morello (Rage Against the Machine), il quale l’ha celebrato con un remix di «Blood//Water» e ha chiesto lui di scrivere un brano assieme. Un onore senza paragoni.

 

Creeper
https://creepercult.com/

Ricevere premi come «Miglior band/album/copertina dell’anno» è incredibile per chiunque, ma pane quotidiano per i Creeper. Direttamente dagli stage più importanti del Regno Unito, i Creeper sintetizzano un incontro fra horror punk, gothic rock e emo tanto magnetico quanto sorprendente, valso loro paragoni a nientemeno che My Chemical Romance, Alkaline Trio e AFI.

 

Being as an Ocean
https://beingasanocean.com/

Da un metal estremo a un post-hardcore ricco di sperimentazioni, i Being as an Ocean non si sono mai adagiati sugli allori, coniando un progetto tanto catartico quanto dilaniante che ha cambiato il corso del metalcore intero e le cui lodi vengono tessute a più riprese addirittura da da Loudwire, Rock Sound e Rock Sins.

 

Wargasm
https://www.wargasm.online/

Da supporto di Yungblud al premio «Miglior breakthrough inglese» il passo non è corto, ma per i Wargasm sono altri i limiti invalicabili. Con oltre 2,800,000 stream per il loro brano «Spit.», i Wargasm si sono guadagnati l’investimento economico ufficiale di PPL UK, attirando perfino l’attenzione di Spotify, che li ha celebrati inserendoli in quattro playlist monumentali.

 

Non finisce qui: un altro nome bollente verrà aggiunto alla seconda giornata, per una line up finale ustionante solo a leggersi.

Sarà un evento come non ne avete mai visti. Preparatevi a sentirvi mancare il terreno sotto ai piedi.

 

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21 GIUGNO 2022
| INFEST | DAY 1 | MAGNOLIA ESTATE, MILANO
Evento FB:
https://www.facebook.com/events/5037557392942474

22 GIUGNO 2022 | INFEST | DAY 2 | MAGNOLIA ESTATE, MILANO
Evento FB:
 https://www.facebook.com/events/438583310947944

Le prevendite per l’Infest 2022 andranno in vendita esclusivamente su Dice.fm al link https://link.dice.fm/infest2022 a partire dal 25 ottobre alle 11:00, sia per un’unica giornata che come abbonamento scottante. Non fatevele scappare.

Grafica realizzata da Claudio Madkime Chimenti, https://madkime.com/ 

Per informazioni:

www.instagram.com/hellfire_booking
www.hellfirebooking.com
info@hellfirebooking.com

Tre Domande a: Boccanegra

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Gli argomenti che affronto nelle mie canzoni dipendono dal periodo e dallo stato d’animo associato ad esso. Non mi è mai successo da quando ho iniziato a scrivere di pensare: “Ah, come vorrei che un potenziale ascoltatore o ascoltatrice provi questo mentre ascolta questa parte del pezzo!”. Le canzoni, così come le poesie e le opere d’arte visive, sono spesso frutto di un tentativo non ragionato di cogliere un qualcosa di inatteso e temporaneo che ci passa davanti agli occhi: nel mio caso in particolare, quello che faccio è semplicemente cercare di riportare in maniera fedele sulla carta, sulla chitarra o su Ableton la mia visione di quel particolare momento, che essa sia densa di sentimento o si tratti di una semplice descrizione. Certo, la fantasia va allenata e può capitare che una creazione richieda del ragionamento per arrivare a maturità (in fase di produzione in studio per esempio); ma senza un margine di libertà e irrazionalità iniziale è difficile che un’idea originale prenda forma.
C’è poi un altro punto che è sempre importante ricordare, cioè che la musica si fa sempre in due, autore e ascoltatore. Ascoltando il testo di una canzone cerchiamo spesso di forzare sentimenti o pensieri al suo interno, è una maniera per sentirci compresi. Non è da escludere però che magari l’autore in testa aveva un’idea completamente diversa! Quando ero pischello e scrivevo per il gruppo (i Boccanegra) avevo il mito del brit-rock e i testi, per come li avevo io nella mia testa di adolescente, mi facevano sentire il più cool dei bad boys di Sheffield che faceva pogare tutto alle feste del liceo: se oggi risento Zucchero Candito e i vecchi pezzi, invece, ritrovo aspetti sensibili che al tempo non ero in grado di cogliere perché pensavo che altre cose saltassero di più all’orecchio.
Tuttavia, se volete, un elemento accomuna tutto quello che ho prodotto finora: il tentativo di parlare direttamente all’ascoltatore e di fare in modo che la mia musica sia per lui o per lei un amica fedele capace di mostrare una verità liberatoria e ordinata.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Durante il lockdown sono diventato un grande seguace di Tutti Fenomeni. Ha delle super trovate dal punto di vista lirico e contenutistico: in un panorama di sonorità synth già logore dopo pochi anni di musica indie e di testi copincollati sulla depressione della vita post universitaria, ho trovato i suoi pezzi una boccata di aria fresca. L’ambiente musicale di provenienza è completamente diverso dal mio, ma lo sento molto vicino per una serie di cose: dalla critica diretta priva di retorica ad alcuni aspetti della contemporaneità alla capacità di dipingere in poche parole situazioni ed atmosfere. Entrambi concordiamo sul fatto che “mediocri governano la nostra estetica”: Giorgio reagisce con un flusso di coscienza fatto di battute limpide e dritte nei denti, io ci provo con la narrazione e con la trama. Per questi motivi mi ci sono avvicinato: molti sostengono che ci assomigliamo pure, chi lo sa magari è mio fratello.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Non particolarmente, anche se mi diverte molto. In verità, postare e fare storie sui social è anche un bel passatempo, me ne sono reso conto standoci in maniera più strutturata in corrispondenza dell’uscita del Gorilla. Tuttavia, aderisco più alla “vecchia scuola” per cui un artista forma se stesso e il pubblico principalmente in live. È sul palco, al parco, alle feste e nei contesti sociali in cui si creano le connessioni e si cresce con la propria musica. Il social è una bella vetrina per fomentare l’hype, ricordare chi sei a chi ti ha visto dal vivo e per mostrare a tutti la propria attività: richiede tanto tempo oltre che una certa inclinazione caratteriale perché ci possa essere piena integrazione tra avatar sulla rete e vita reale. Ormai è qualcosa da cui non si può prescindere, per cui è diventata una necessità, a meno di scelte radicali (comprensibili), trovare una posizione non invasiva dei social nel nostro quotidiano. 

 

FORGERY SYSTEM Il nuovo brano “BLADE OF ASHES” è online.

I Forgery System sono un gruppo Groove Metal / Metalcore nato a Pavia nel 2012.
La band è formata dal cantante chitarrista Gabriele Orlando, il bassista cantante Pablo Dara, il chitarrista Daniele Maggi e il batterista Federico Fava.
Dopo aver sperimentato diverse soluzioni stilistiche con il primo album “Distorted Visions”, il gruppo ha modificato il proprio sound con l’EP “Demons Among Us” e il successivo singolo “Lost Embers”, avvicinandosi a sonorità più moderne.

Dopo l’ultima release di “LOST EMBERS” del 2020 I FORGERY SYSTEM chiudono un ciclo per aprirne uno nuovo con nuova musica, una nuova immagine, una nuova energia.
“BLADE OF ASHES” è il frutto di questo anno dove la band si ripropone in modo nuovo mettendo in
mostra il lavoro svolto in un periodo dove uscire live era impossibile.

Una rinascita vera e propria arrivata nel momento in cui le restrizioni vengono allentate e il ritorno alla normalità sembra ormai vicino.

“BLADE OF ASHES” rappresenta il taglio tra ciò che è stato, oramai estinto, e ciò che si vedrà in futuro.
“BLADE OF ASHES” è l’insieme di influenze che hanno formati I FORGERY SYSTEM;
dal chiaro richiamo ai TRIVIUM ad altre influenze che variano dai BULLET FOR MY VALENTINE ai KILLSWITCH ENGAGE.

Un insieme che potrebbe arrivare all’attenzione di un pubblico vario.
In questi 4 minuti di canzone troviamo quello che un pubblico metal vorrebbe sentire; dai breakdown ai riff di chitarra di chiaro stampo heavy, fill di batteria che anticipano I momenti più duri della canzone. Voci che si alternano da un bel grattato, allo scream alla parte clean, fino alla sovrapposizione delle due
voci che rendono ancora più massiccia la parte vocale.
L’assolo di chitarra chiude questo concentrato di influenze, nel modo più heavy possibile.
“BLADE OF ASHES” è una canzone completa, scritta da una band che dimostra di voler crescere e di voler dire la propria nella scena metal emergente.

LINK UTILI:
FORGERY SYSTEM (Fb page)
https://www.facebook.com/ForgerySystemMetal
FORGERY SYSTEM (Ig Page)
https://www.instagram.com/forgerysystemofficial/
“BLADE OF ASHES” (Spotify link)
https://spoti.fi/3pe0aao
“BLADE OF ASHES” (Youtube link)

Tre Domande a: MileSound Bass

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto MileSound Bass è nato timidamente nel 2004 quando con gli amici ci siamo appassionati spasmodicamente al mondo dell’hip hop. In quegli anni i concerti erano nei centri sociali o simili, li frequentavamo praticamente sempre. Poco dopo abbiamo cominciato a produrre beat e a scrivere rime.
Col passare degli anni mi sono avvicinato alla drum and bass che mi ha anche travolto quando sono stato un paio di mesi a Londra nel 2009. Era letteralmente ovunque.
Ho cominciato a produrla e con il mio socio SoulSwitch On e per qualche anno abbiamo cominciato a fare dei live mischiando la dnb con il rap e in seguito unendo anche la dubstep. Il nostro nome era UFO prjct.
Nello stesso periodo suonavamo anche con Charly e Gome Zeta (Gomez) mischiando diverse sonorità, elettroniche e rap, chiamandoci Fahrenheit 451 crew. Portavamo dei libri da regalare, anziché da bruciare.
Ho sempre fatto tutto da autodidatta ma nel 2011, approfittando della pausa forzata tra la laurea triennale e l’attesa per l’inizio dei corsi per la laurea magistrale, ho frequentato per qualche mese un corso sulla produzione della musica elettronica in SAE Milano. Pian piano ho fatto uscire un primo disco che racchiudeva elettronica, drum and bass, dubstep e rap. In quel periodo ero matto per questa musica e Milano suonavano dnb spessissimo.
L’anno dopo, nel 2012, è seguito Gates To The Unknown EP, principalmente dubstep unita all’IDM e glitch avevo nel frattempo cominciato ad ascoltare massicciamente. Da questo momento ogni mia produzione futura è stata caratterizzata da questo mondo. È stato amore a primo ascolto.
L’anno successivo ho pubblicato un disco ancora legato alla drum and bass e per l’ultima volta dubstep ma – appunto – totalmente in chiave IDM/glitch: ALL BORN MAD, some remain so. Ho suonato il disco in giro per l’Italia ma purtroppo dopo un live a Genova mi sono stati rubati tutti gli strumenti e hardisk con molte tracce inedite. Per qualche anno non ho più potuto suonare in giro.
Ho colto la forzatissima situazione per finire gli studi della laurea magistrale in psicologia che, nel frattempo, si erano rallentati parecchio. Ho cominciato a lavorare e pian piano anche e a comprare svariati synth e drum machine che ancora oggi popolano il mio studio. Ho cominciato ad abbandonare la produzione al computer per usare solo synth e drum machine. Attualmente uso il computer solo per editare ciò che registro dagli strumenti esterni.
Negli anni di pausa (2013-2016) ho pubblicato 3 EP con il nome Post Mortem ATTO I/II/III che racchiudevano alcune tracce salvate dal furto. I primi due erano jungle anni ’90, il terzo era prettamente IDM/glitch, non in 4/4.
Ho provato a continuare a far uscire almeno una pubblicazione – che sia almeno un singolo o un EP – all’anno ma non è stato facile dopo il 2016 quando ho cominciato a lavorare costantemente nel mondo della scuola, prima come educatore, poi come insegnante. Ruolo che ricopro tutt’ora e che mi permette anche di sperimentare la musica con gli allievi.
Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato tantissimo e ho prodotto molte tracce per i live. Durante questi due anni di quarantena ho colto l’occasione per concludere un album cominciato poco prima del furto degli strumenti e mai pubblicato. Everything’s Normal è un lavoro durato 10 anni. Da un parte ho dovuto ricreare tutto quello che era stato perso, dall’altra ho voluto ricreare ogni suono utilizzando i sintetizzatori e drum machine e infine ho potuto approfondire il tema dei sogni, dei sogni lucidi, i falsi risvegli e le paralisi notturne che sono alla base del disco.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ascolto tanta musica diversa e tanti generi diversi ma ho alcuni artisti che non possono assolutamente mancare in cuffia. Gli artisti evergreen delle mie cuffie hanno alcune caratteristiche: mi fanno emozionare, hanno un suono specifico che mi ispira, appartengono più o meno agli anni ’90/inizio 2000.
L’elenco non sarà per forza di cose completo ma cerca di essere il più esaustivo possibile. I Telefon Tel Aviv, quando erano ancora un duo, per tutte quelle melodie e chitarre che si uniscono alla perfezione sulle drums glitchate. I Boards of Canada per tutte quelle chitarre e quei tappeti ambientali giostrati magicamente su ritmi downtempo. Aphex Twin per il suo saper mischiare sapientemente tante sonorità, oltre alla pazzia. Gli Autechre per il glitch estremo. Amon Tobin  e DJShadow per il campionamento, sopratutto nei primi dischi. Burial per i ritmi e per la presa male intrinseca. U-ziq e Squarepusher per i ritmi spezzati. Carbon Based Lifeforms per i tappeti infiniti. Gli Stunned Guys e la prima scena italiana per l’arroganza del kick saturato. I Massive Attack e i Portishead per l’ovvio collegamento con il mio primo amore, l’hip hop. La prima house, ma non quella commerciale, per i pianoforti e i campionamenti funk/soul. La dance prevalentemente italiana per quel cassa-basso alternato super ignorante. La jungle spezzatissima dei primi periodi per il ritmo delirante. Ma non solo.

 

Progetti futuri?

Ho diversi progetti sottomano. Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato molto in giro per l’Italia. Per non ripetermi troppo durante i live ho prodotto decine di tracce di svariati sound. Non sono interessato a fare una compilation senza senso delle mie tracce migliori. Voglio ovviamente  raccogliere le migliori – all’interno di EP o dischi – ma che allo stesso tempo abbiamo un forte filo conduttore tra di loro, proprop come le 7 tracce di questo disco appena uscito e che parla dei sogni.
Il tempo nella giornata non è infinito e non è sicuro che potrò portare a termine ogni progetto per fare uscire almeno un EP o un disco di ogni mondo sonoro affrontato ma sicuramente continuerò a portare questi suoni durante i live.
Nel concreto ho un progetto di musica elettronica d’ascolto, proprio come questo disco.
Un altro progetto è più sul versante techno. Da quella più lenta a 100bpm passando da quella più classica a 120bpm e arrivando a quella più spinta da 140bpm in su, a tratti gabber, ma sempre downtempo.
Infine ho un progetto di strumentali rap con campionamenti dagli anni ’70. Questi sono i progetti più sostanziosi con diverse tracce (semi) complete.
Ho altri progetti ma meno ricchi di materiale già esistente. Uno è ambient e uno è jungle.

Ice Nine Kills “The Silver Scream 2: Welcome To Horrorwood” (Fearless Records, 2021)

Il quartiere dell’orrore

Abbiamo imparato bene a conoscere gli Ice Nine Kills, soprattutto negli ultimi anni e soprattutto dopo la pubblicazione di The Silver Scream, nel 2018, che li ha portati davvero in alto tra i gruppi appartenenti al panorama Post-Hardcore. La band di Boston, tre anni dopo, è pronta a deliziarci ancora con un nuovo album, che rappresenterebbe la seconda parte di The Silver Scream, intitolato Welcome To Horrorwood. Una sorta di sequel quindi, come da tradizione nel mondo delle opere horror, secondo quanto afferma il frontman Spencer Charnas.

È l’artwork della copertina, cupo e meraviglioso, ancora una volta realizzato magistralmente dall’artista Mike Cortada, l’elemento che ci trasmette le prime sensazioni. Anche questa volta, l’idea è quella di trasportare l’ascoltatore in un mondo abitato dagli assassini delle più famose opere, scritte o cinematografiche, del genere horror. Un esempio è il primo singolo pubblicato dai nostri, Hip To Be Scared, in cui vediamo la partecipazione di Jacoby Shaddix dei Papa Roach, che omaggia il celeberrimo film American Psycho, tratto dal romanzo di Bret Easton Ellis. Ricordiamo che gli Ice Nine Kills, già in The Silver Scream, omaggiarono infatti numerosi film dell’orrore, come Friday the 13th, It e Halloween, per ricordarne alcuni. 

Anche lo stile musicale non varia, e menomale. La maturazione artistica della band, comunque, col passare del tempo, si avverte. Il sound di base è quello tipico del Post-Hardcore e riprende band come We Came As Romans, Saosin, A Day To Remember e i primi Emarosa. Gli Ice Nine Kills, però, si dimostrano bravissimi nell’aggiunta di elementi che possano contraddistinguerli. Ciò che richiama subito l’attenzione dell’ascoltatore sono le veloci e impetuose cavalcate di batteria, unite a scream infernali e una piacevolissima componente gotica data dall’uso, in più casi, di violini e tastiere. Impressionanti alcuni passaggi in vero e proprio stile Deathcore presenti, ad esempio in Funeral Derangements, contornata da rapidi riff di chitarra e growl gutturali. 

Oltre al featuring di Jacoby Shaddix di cui si è parlato prima, Welcome To Horrorwood ci regala la crudissima Take Your Pick, con nientemeno che Corpsegrinder dei Cannibal Corspe. A seguire, The Box, che vede la partecipazione di Brandon Saller degli Atreyu e Ryan Kirby dei Fit For A King, un’accoppiata assurdamente grandiosa. L’ultimo featuring è quello di Buddy Nielson dei Senses Fail in F.L.Y.

Traendo le somme, Welcome To Horrorwood si rivela un album pazzesco e dominante, pieno di sorprese e musicalmente variegato, parecchio oserei dire. Gli Ice Nine Kills ci regalano una vera chicca e non potevano farlo in un periodo migliore. Del resto, ottobre è il mese dell’orrore, no? Beh, ecco la colonna sonora per vivere al meglio questo periodo da paura!

 

Ice Nine Kills

The Silver Scream 2: Welcome To Horrorwood

Fearless Records

 

Nicola Picerno

Tre Domande a: Fucksia

Come e quando è nato questo progetto?
Mariana: Fucksia nasce da una base musicale, quella che poi è diventata il pezzo dell’EP I’m a Freak.
In una fredda giornata invernale, quando l’apocalisse sembrava alle porte e “il Nulla” culturale, artistico e mentale incombeva su tutti noi, una canzone viaggiava nell’etere e nell’ethernet. Dall’estremo sud della Puglia passando per Bologna per giungere infine a Venezia I’m a Freak fu capace di creare una connessione tra tre artiste distanti geograficamente ma vicine tra loro in termini artistici.
Poppy plasmatrice di sonorità plastiche, Marzia ipnotizzatrice vocale ed io, Mari, disturbatrice professionista abbiamo iniziato a scambiarci file musicali ed a creare un primo di numerosi contatti virtuali nei quali abbiamo composto tutti i sei pezzi che compongono l’EP. Il primo incontro in presenza è stato a Bologna solo diversi mesi dopo.
L’armonia fra noi si è creata fra le note ed è così che sono nate le nostre poesie Teckno, riuscendo ad “accordarci” e viaggiare sulle stesse frequenze.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Poppy: Tutto ciò che creo fa parte di un grande bagaglio di ascolti che parte dalla musica rock di David Bowie alla musica dark new wave degli anni ’80/’90, dal noise al punk fino ad arrivare ai primi ascolti di musica elettronica come Terranova , Apparat, Moderat, Byetone, etc…  Ma l’ispirazione più grande non arriva da un artista in particolare. La mia attenzione è stata catturata, invece, da un movimento, quello dei rave party.
I ritmi tribali e i suoni dei Synth ipnotici della tekno, mi hanno subito rapito il cuore. In più la voglia di libertà che ho visto in quei party non organizzati in club, ma in posti spesso occupati o in mezzo alla natura, mi hanno fatto capire che la maggior parte della gente che vuole divertirsi e ballare, ha bisogno di questo svago come dell’aria che respiriamo.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Marzia: “Follia techno antipatriarcale”.
Follia perché senza la nostra orgogliosa imprudenza e visionaria sconsideratezza saremmo la metà di ciò che siamo e faremmo la metà di ciò che facciamo.
Techno è ciò che caratterizza maggiormente le nostre basi musicali su poi cui costruiamo linee melodiche e testi densi di messaggi che mirano a diffondere una cultura e una visione transfemminista e antipatriarcale.

Tre Domande a: Laín

Come stai vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

Sono al mio primissimo lavoro discografico e quindi un neonato in questo mondo… spero di entrare a far parte dei fortunati che riescono a vivere di musica e non preoccuparmi più di sbarcare il lunario cambiando un lavoro all’anno.
Da quel che so, in Italia era già difficile vivere di musica prima della pandemia. Tutto quello che è successo è stato solo una conferma di quanto il ruolo dell’arte e di chi se ne occupa sia poco considerato. Purtroppo per la maggior parte delle persone l’arte è soltanto una forma di intrattenimento e tantissimi “artisti” continuano a contribuire al consolidamento di questa idea.

 

Se dovessi riassumere la tua musica in tre parole, quali sceglieresti e perché?

La prima parola che mi viene in mente è Essenziale, nel senso che cerco sempre di essere chiaro e conciso quando scrivo e compongo. So che gli ascoltatori mi offrono il loro tempo e sento il dovere di riempirlo di contenuti… e poi è essenziale per me: mi aiuta a capirmi e sono sicuro che mi aiuterà a farmi capire.
Intima perché nasce dai testi dei miei diari e racconta l’uomo che sono, con estrema sincerità. La manterrò sempre molto personale perché ho ormai ben chiaro il percorso che intendo fare. Crescerà, maturerà insieme a me e dividerà la vita in capitoli, testimoniando gioie e dolori, cadute e conquiste.
La terza è Giramondo e viene dalle considerazioni dei miei primi fan: mi hanno detto tutti che le mie canzoni ispirano il viaggio e sono perfette come sottofondo in treno e simili. Mi piace moltissimo pensare che il mio viaggio interiore sia “applicabile” all’esterno e che questo album sia associato all’idea di movimento.

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Già c’è stato un piccolo concerto in acustico, in occasione della presentazione del mio album Line of Light, in uscita il 15 ottobre. Ho risposto ad alcune domande e suonato diverse canzoni in una serata magica ed emozionante.
Eravamo intorno ad un pozzo al centro di un piccolo chiostro. Si è creata un’atmosfera meravigliosa e per un’ora ci siamo dimenticati di tutto, eravamo fuori dal tempo. Non avrei saputo immaginarlo più bello di quanto sia stato.

 

Destroy Boys “Open Mouth, Open Heart” (Hopeless Records, 2021)

Carattere Californiano

Le Destroy Boys sono una band Punk Rock tutta al femminile, originaria della California, più precisamente di Sacramento, e diciamo che il loro nome è tutto un programma. Loro distruggono, ma tutto eh. Il loro sound non è così innovativo o speciale, ma vi assicuro che sa spiccare. Le ragazze californiane uniscono stili appartenenti a vari sottogeneri del Punk, rendendo così i loro album davvero dinamici, cangianti e mai noiosi. L’ultima fatica, intitolata Open Mouth, Open Heart, è una vera chicca. 

La prima traccia ci proietta immediatamente nel mondo delle Destroy Boys, parecchio influenzato da quella che, se vogliamo, è stata una delle maggiori correnti del Punk Rock, ovvero quella di scuola americana di fine anni Novanta e inizio Duemila. Nei brani dell’album c’è una nota malinconica che ricorda esattamente quei tempi, i fan del genere sicuramente la coglieranno. Ma c’è un’altra componente, assolutamente fondamentale, che caratterizza queste ragazze: l’aggressività californiana, unica nel suo genere. Se non avete ben chiaro di cosa sto parlando, beh, pensate ai Suicidal Tendencies. È un carattere innato, che dona ai brani quella grinta in più, riconoscibile soprattutto in Locker Room Bully, Te Llevo Conmigo, con strofe mid-tempo che la rendono fantasticamente poliedrica, e For What. Muzzle invece è una totale mazzata sui denti: riff molto Hardcore, ritmo veloce, circolare e volutamente ripetitivo che ti lascia senza fiato per tutto il minuto di durata del pezzo, anche questa una scelta tipica del genere. Se Sweet Tooth ricorda veramente tanto band come i Distillers, capitanati dalla fantastica Brody Dalle, ascoltando Escape non si può non pensare ai Blink-182. Una menzione d’onore va indubbiamente fatta a Lo Peor, dal sound latineggiante, e All This Love, due down-tempo meravigliose che fanno sognare un indimenticabile giro in moto al tramonto sulle grandi strade californiane. 

Insomma, le Destroy Boys sanno il fatto loro e ci regalano un full-length bellissimo. Open Mouth, Open Heart è un album ricco, sia di emozioni sia di stili musicali. L’ascoltatore compirà un viaggio attraverso il Punk e la cultura musicale californiana, al limite del dualismo, tra impetuosità e pacatezza.

 

Destroy Boys

Open Mouth, Open Heart

Hopeless Records

 

Nicola Picerno

Noah Gundersen “A Pillar of Salt” (Cooking Vinyl, 2021)

Spesso, gli incontri più significativi sono quelli che sfuggono ad ogni possibilità di previsione. Ero lì, assorta nel tentativo di fare ordine nella mia stanza o in qualche luogo interiore, tra battiti accelerati e lacrime nascoste. La porta? Credevo di averla chiusa. Invece no. Non ha bussato, è entrato con delicato fragore. Irrinunciabile, da lì in avanti. After All (White Noise, 2017) è stato il brano con cui si è presentato. Tra parentesi, in maiuscolo, apparivano anche altre quattro parole: (Everything All the Time), per un universo di senso. Ho voluto sapere chi fosse, da dove avesse ereditato quei tratti tanto decisi quanto fragili, da dove venisse. Sulla provenienza, molte delle fonti hanno sempre rimandato a Seattle, città sacra per coloro che sono cresciuti con il suono sinonimo degli anni Novanta, della rabbia che diventa urgenza espressiva, dell’imprinting del grunge. Ed è proprio dalla città di smeraldo che si snodano i fili di A Pillar Of Salt (Cooking Vinyl), il nuovo album di Noah Gundersen. 

Per presentare il singolo apripista, Sleepless in Seattle — suonato per la prima volta in un’insospettabile diretta nel marzo 2020, durante il lockdown, e riproposta in anteprima un anno dopo all’interno del format in streaming Songs & Conversation — l’artista ricorda il suo trasferimento nella metropoli, nel 2009. Un bagaglio carico di passione per quei luoghi, per le band che li hanno resi sacri, per lo spirito che animava un’intera scena. Un sogno da trasformare in realtà a qualunque costo, crescendo tra club e performance live, pubblicando sei dischi, stringendo amicizie, perdendo persone care. La bussola, però, sempre posizionata su un “nord” chiamato Space Needle che vegliava sulla possibilità di far sentire la propria voce. Dieci anni dopo, quella voce — accompagnata da una chitarra malinconica — racconta della fine di un capitolo, di una metamorfosi fredda e tecnologica, di passeggiate notturne esaurite in un vagare insonne, di bar in bar. Banconi ed ombre appoggiate ad essi che testimoniano i fasti passati — i “Glory Days” di matrice springsteeniana, come riporta un post su Instagram – senza cui certi uomini come Brian, protagonista dei versi, non sarebbero potuti essere chi sono, nella loro benedizione e maledizione. 

Oltre a lui, altri due personaggi appaiono ad inaugurare la tracklist, muovendosi sullo stesso pattern, intimamente acustico, al piano. Laurel and Hardy (gli Stanlio e Olio italiani) vestono i panni di un amore distillato in opposizione e complementarietà: un valzer in cui il ticchettio di sospiri e dolci errori — “My favorite poison / My honey mistake” — sfuma in passi che si allontanano. Un allontanamento, già dalla traccia numero due, anche da un’impronta cantautoriale mai rinnegata ma arricchita e volutamente sviluppata dall’ultimo lavoro in studio, Lover (2019), in poi. Body si impone come inno generazionale: lo specchio di chi — tenendo per mano la giovinezza ed affacciandosi sulla responsabilità adulta — stringe la pace con un certo fatalismo attivo (“Whatever happens is probably gonna happen anyway”), pur non rinunciando alla confessione più profonda di rimpianti e rimorsi (“If I told you then, what you could have been / Would you have turned around? / Would you have even listened?”).

 

 

Intersezioni di tempo e di suono, livellato — quest’ultimo — su un’impostazione ibrida tra alt-rock ed elettro-pop. Una costruzione a più strati di arrangiamenti contemporanei e soluzioni melodiche nitide che attestano raffinatezza e ricercatezza. Se per The Coast a prevalere è una linea vocale empatica ed ineccepibile che dichiara tregua alle continue battaglie esistenziali per ristorarsi di fronte all’oceano con un cuore pronto a mettersi in gioco, in Blankets e Back To Me l’obiettivo è quello della destrutturazione, sia nella forma sia nel contenuto. Un’ispirazione che rimanda, da una parte, agli Editors più elettronici e, dall’altra, al Justin Vernon più iconico con le suggestioni dei Bon Iver. Il contesto perfetto in cui far dialogare memorie che svaniscono, realtà inedite da affrontare e la tentazione di ripiombare in meccanismi antichi ed ancestrali. Qui, le frequenze timbriche di Gundersen — talvolta campionate in effetti distorti, talvolta al limite del meccanico e robotico — lanciano messaggi di identificazione universale.

Tra brani di raccordo più classici come la radiofonica Exit Signs, Magic Trick e la denuncia al mondo patinato e ingannevole della comunicazione digitale e Bright Lost Things con il riverbero del clavicembalo e delle luci abbaglianti di Broadway, Atlantis si staglia in qualità di punta di diamante. Il featuring con Phoebe Bridgers, stella attualissima del firmamento musicale internazionale, rimarca un emozionante sodalizio (oltre che un’amicizia) andato in scena già nel 2017 con il video mashup di The Killer, perla dello strabiliante disco d’esordio dell’artista di Pasadena, Strangers in the Alps (2017), e The Sound, estratto da White Noise di Noah. La naturalezza e la fluidità che avevano già caratterizzato quella collaborazione si confermano in Atlantis, trasposizione in note e strofe poetiche ed ipotetiche della leggenda di Atlantide. Le due tonalità si fondono proprio come il mare con il perimetro dell’isola ed ondeggiano in una marea di risonanze lontane: sembra di udire il canto delle sirene o il sibilo intrappolato in conchiglie colorate.

A Pillar of Salt si chiude con quella che l’autore stesso elegge a sua canzone preferita. Always There è il compimento orchestrale che, su un dolce arpeggio, distende gli scenari per elevarli a potenza onirica. Il sapiente falsetto, assieme al trionfo di archi e alle sonorità eteree, racchiude la promessa di una nuova alba. La matura consapevolezza del proprio desiderio di amare, nonostante tutto, nonostante possa essere considerata una prova di coraggio anacronistica, rischiosa, al limite della patologia. È una delle frasi più impattanti riportate, durante il periodo di promo, all’interno del puzzle di citazioni pubblicato sui canali social ufficiali: “Love grows like a cancer”. Una condanna come quella che — nella tradizione biblica — colpì la moglie di Lot per essersi voltata a guardare Sodoma, subendo la trasformazione in una statua (o colonna) di sale. A Pillar of Salt, appunto. 

La cristallizzazione dal dolore e del dolore, la metabolizzazione e la scelta di andare oltre — apprendendo la lezione, alleviandola e non dimenticando — accendono il luccichio più chiaro e sfavillante del disco. Granello dopo granello, a sciogliere le riserve, ad infondere rinnovata fiducia può essere d’aiuto l’ascolto di un album di così pregiata bellezza ed autenticità. 

 

Noah Gundersen

A Pillar Of Salt

Cooking Vinyl

Laura Faccenda 

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