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Mese: Luglio 2019

Wolfmother @ Rock Planet

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• Wolfmother •

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Rock Planet Club (Pinarella di Cervia) // 06 Luglio 2019

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Foto: Luca Ortolani

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SETLIST:

 

Scansione 29 giu 2019 10.34 pagina 2

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Barley Arts e Rock Planet

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Ligabue @ Stadio Dall’Ara

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• Ligabue •

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Start Tour 2019

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Stadio Renato Dall’Ara (Bologna) // 06 Luglio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sabato 6 luglio allo Stadio Dall’Ara di Bologna è stato come ballare sulla scia temporale che mi ha riportata dritta al 1994 al mio primo concerto di Luciano Ligabue.

Cantante nazionalpopolare, Liga ci ha abituato ad una colonna sonora per ogni momento della nostra vita interpretando il cambiamento della società italiana.

Anche il più coraggioso dei suoi detrattori non potrà che confermare. O forse no.

In realtà è sempre molto figo sbeffeggiare un fan di Ligabue o affermare con un sorriso arrogante quanto questo cantante sia terribile e questo virile sport nel 2019 è addirittura arrivato al livello 5.0 con metodologie sempre più versatili.

Perchè da fastidio vederlo sul palco, tanto che c’è chi si prende la briga di scrivermi in privato per dirmi “non è più lo stesso” (classe 1960, 30 anni sui palchi, Guinnes dei Primati. Cosa vi sfugge?).

Puristi della musica, amanti degli orpelli linguistici e musicali, estimatori della “nicchia” che non vi siete mai fatti una ragione del suo seguito, lasciate che vi illumini.

Saper raccontare con semplicità e allegria la scarna realtà della nostra vita, ci fa ricordare quanto in verità siamo effettivamente lontani dai miti che vorremmo emulare.

Saper rimanere ancorati al reale per quanto possa sembrare “sempliciotto” perché “i contenuti sono sempre gli stessi” non è cosa da poco in un mondo che tende all’apparenza dimenticandosi della sostanza.

La vita vera e il conseguente racconto del reale smaschera costruzioni fantastiche e falsi miti ai quali ci raccontiamo di somigliare, ma che in realtà non ci appartengono e rispecchiano quanto di più lontanto ci possa essere a ciò che realmente siamo.

È il cinismo de “la realtà fa male” che è inaffrontabile quello che ci fa con così poca delicatezza far prendere le distanze da quello che invece ci rappresenta nella nostra interezza.

La realtà della provincia, gli amici del bar, il calcio, le botte nei denti. Il neorealismo italiano che ha caratterizzato decenni al cinema consacrando mostri sacri alla regia come Visconti, Rossellini e il nostrano Fellini.

Ed è lo stesso realismo che Ligabue ci racconta invitandoti a bere un caffè allo stadio. Ne abbiamo bevuti parecchi di caffè assieme a lui.

Alle 21:15 le luci si spengono e i maxischermi sul grande palco si accendono in un turbinio di luci.

Esaltati e un po’ commossi ci accorgiamo che come sempre stiamo compiendo un viaggio. Un viaggio chiamato “Live di Luciano Ligabue”.

Tra fan attempati come me, giovani e bambini, due ore di musica scivolano leggere tra le note di Tra palco e realtà, Marlon Brando, A che ora è la fine del mondo? e i nuovi singoli che vanno a comporre Start, il nuovo lavoro di Ligabue, uscito proprio nel 2019.

Non esente nemmeno l’attualità italiana vissuta attraverso il contest del <<quale metà dello stadio urla più forte?>> che non ha visto un vero vincitore perché come dice Luciano non importa vincere, perché a noi non importano le differenze che ci separano, ma quelle che ci uniscono.

Di concerti del rocker di Correggio ne ho visti qualcosa tipo …anta e Piccola stella senza cielo e Certe Notti mi hanno un po’ stufato (sorry) ma rimango comunque soddisfatta con la chiusa e i saluti finali sulle note dell’ormai leggendaria Urlando contro il cielo.

Un consiglio, Luciano: dedica più tempo a quelle chicche poco famose e nascoste alle quali, ingiustificatamente a parer mio, non dedichi abbastanza attenzione. Prima fra tutti Piccola città Eterna.

Come sempre grazie zio perché le serate in tua compagnia sono sempre speciali.

Grazie anche a Parole e Dintorni.

 

Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Mirko Fava

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I Viito: anima e cuore.

Ci sono cose che nascono e svaniscono in fretta e cose che invece, dal momento in cui prendono vita, non fanno altro che crescere giorno dopo giorno senza nessuna pretesa e senza la fretta di raggiungere un risultato immediato.

Credo che il segreto per fare in modo che tutto ciò che desideriamo arrivi a noi, non sia solo la determinazione e la giusta dose di ambizione, ma penso sia fondamentale la cura, l’attenzione minuziosa nei confronti di ciò che amiamo fare e il modo in cui decidiamo di metterci in gioco e portare avanti quello in cui crediamo, il tutto senza mai tralasciare un aspetto fondamentale: l’umiltà.

Se dovessi pensare qualcuno in grado di viaggiare su questa linea in perfetto equilibrio, penserei sicuramente a Vito e Giuseppe che insieme formano i Viito con due i, due lettere identiche, vicine, ma soprattutto due basi solide ed è proprio da quelle basi che circa un anno e mezzo fa è nato un progetto musicale che ho amato sin dal primo istante.

Colpo di fulmine.

Dopo l’uscita del primo singolo Bella come Roma (gennaio 2018) ho aspettato l’uscita del secondo, poi del terzo e del quarto fino ad arrivare al primo attesissimo album Troppo forte, ricco di tutta quella vita che spesso viviamo ma non riusciamo a descrivere perché guardarsi dentro a volte è un duro lavoro, tra attimi di nostalgia e altri di speranza, tra malinconia ed entusiasmo, tra voglia di superare il passato e concentrarsi sul presente… Una cosa è certa: nelle canzoni dei Viito regna l’amore in ogni sua forma, tempo e declinazione. Regna la voglia di raccontare la verità che per quanto a tratti possa far male è sicuramente una delle cose che ricerchiamo e di cui abbiamo più bisogno e regna la voglia di riuscire a trovare sempre e comunque un lato positivo.

Lontani dagli schemi e dalla banalità nel raccontarsi, questi due ragazzi con la loro musica sono una boccata d’aria fresca, un bel punto vivo, un angolo a parte in questa nuova scena musicale italiana e una volta entrati in contatto con così tanta energia, quell’angolo diventa automaticamente uno dei posti preferiti in cui rifugiarsi, una volta schiacciato play e dato il via alla riproduzione dei loro brani, tutto sembra prendere forma e diventare possibile. E’ possibile sentirsi leggeri e allo stesso tempo imparare a dare il giusto peso a persone ed avvenimenti.

Dalla capitale a Bolo Centrale, è stato un piacere per me realizzare questa intervista…

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Torniamo un po’ indietro nel tempo, al principio di tutto quando eravate due studenti fuori sede che condividevano la stessa casa. Qual è stato il momento in cui avete deciso di unire le vostre passioni e diventare insieme i Viito? Un ricordo particolarmente bello di quel periodo? 

Inizialmente abbiamo cominciato a scrivere canzoni insieme per gioco. Pensavamo di poterle proporre a qualcuno anche solo come autori, non necessariamente cantarle e suonarle in prima persona. Il momento esatto in cui abbiamo deciso di essere i Viito è stato in una mattina di settembre 2016, quando Giuseppe ha proposto il nome del progetto a Vito. Pochi minuti dopo avevamo una pagina Facebook e un anno dopo un contratto discografico. Di quel periodo ricordiamo le nottate passate a curare le ferite di vecchie relazioni attraverso la musica; è stata un’autentica terapia.

Sembrate due persone caratterialmente all’opposto eppure traspare allo stesso tempo anche la vostra forte complicità, come se foste davvero fratelli. La cosa bella è che siete entrambi protagonisti di ciò che fate. Sempre. C’è stato un momento in cui avete pensato di mandare tutto all’aria e mollare la presa? E quant’è stato difficile credere fino in fondo in un progetto musicale come il vostro in questo panorama Indie-pop ormai ricco di nomi emergenti dove crearsi un proprio spazio non è poi così semplice. Lati positivi e negativi della vostra esperienza?!

Sembra banale dirlo ma il nostro rapporto è quanto più si avvicina a quello di due fratelli. Hai presente quando dici “ho un fratello che è l’opposto di me… ci rompiamo le palle a vicenda ma ci vorremo bene per la vita”? È così. In realtà abbiamo anche molte cose in comune, una su tutte: dare la massima priorità alla trasparenza e alla fiducia nei rapporti della vita, che siano personali o lavorativi. Insomma abbiamo una radice solida che ci tiene uniti, poi come in un albero i rami puntano in direzioni svariate, ma questo è un bene perché i frutti sono tanti e genuini. Non riusciremmo a smettere perché quello che facciamo nasce da una reale esigenza, anche per questo “non crederci” è sempre stata un’opzione che non esisteva.

Chi scrive tra i due?

Entrambi.

L’estate scorsa, proprio in questo periodo usciva “Compro Oro” uno dei singoli che ha anticipato l’uscita del vostro album d’esordio, quest’anno è arrivata “Bolo Centrale” seguita poco dopo da “Sistema solare” Qual è il bilancio di questi ultimi mesi? Quante e quali cose sono cambiate e in che modo siete cambiati voi?

Abbiamo cambiato città, abbiamo scritto tanto, per la prima volta abbiamo anche cancellato quello che avevamo scritto per riscriverlo da capo (è stata una novità per noi), abbiamo provato a migliorarci sotto ogni aspetto di questa passione-lavoro. E stato giustamente faticoso, ma anche bello. Siamo felici dei risultati e molto carichi per quello che verrà.

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Tornando a Bolo Centrale, brano che sembra anche un po’ omaggiare la città che vi ha recentemente adottato dopo Roma, com’è nata l’idea di girare il video catturando attimi “di passaggio” proprio all’interno della stazione di Bologna Centrale? E’ un video semplice eppure d’impatto, lo definirei speciale perché estremamente vero. Quale messaggio volevate trasmettere?

Pochi giorni dopo l’uscita de brano abbiamo incontrato Olmo Parenti che, insieme a Marco Zannoni e Arturo Vicario, ha realizzato il video. Quando Olmo ci ha raccontato la sua idea abbiamo subito capito che era quella giusta, quella che interpretava a pieno lo spirito della canzone. L’unico messaggio che volevamo mandare, se di messaggio si stratta, è “osserva e assapora le cose piccole e autentiche che ti sono attorno perché sono le più preziose”.

Da quando vi ho scoperti ad oggi, ho visto crescere a dismisura la vostra fan- base eppure non è mai cambiato il vostro modo di interagire col pubblico che vi segue. Come vivete l’aspetto “social”? 

Cerchiamo di essere spontanei, questa cosa dei social la stiamo digerendo a piccoli passi… è un mondo che ti fagocita e distorce quello che sei con molta facilità. Ma c’è una parte bellissima di tutto questo: il rapporto diretto che abbiamo con chi ci segue con interesse. Stiamo diventando una specie di famiglia e in privato cerchiamo di rispondere sempre a tutti.

Dai Festival ai sold out nei club e date extra fino al nuovo tour “Mi farei arrestare”. Da 4 singoli ad un album che è andato davvero -Troppoforte- cosa state provando in questo momento in cui state “raccogliendo” e vedendo i frutti del vostro lavoro e della vostra passione? E tra ormai direi centinaia di palchi vissuti, ce n’è uno che ricordate o vi ha emozionato in particolar modo?

 A volte guardiamo le foto e i video dei nostri scorsi concerti e ancora ci emozioniamo come quando eravamo lì sul palco. Altre volte siamo con la testa proiettata sul futuro: scriviamo, progettiamo, sogniamo. La musica per noi è così, non si ferma, non si celebra più di tanto, ma scorre… come linfa, come sangue, è una cosa viva. Ci ricordiamo tutti i palchi come ci si ricorda di tutte le notti passate con un nuovo amore. Questo amore, tra noi e il nostro pubblico, è giovane e noi crediamo (speriamo) che durerà nel tempo.

E’ questo il bello dei Viito, riescono sempre a rendere tutto più magico, riescono a toccare tante anime e cuori perché è tutto ciò che hanno e che mostrano ed inevitabilmente tutto ciò che arriva in maniera talmente pura e diretta da non poterne fare a meno per star bene.

Il grande potere della musica.

Il loro grande potere.

Claudia Venuti

VezBuzz: i Sex Pistols e “the great rock’n’roll marketing”

Uno dei buzz più conosciuti della storia della musica è quello che vede protagonisti i Sex Pistols. Era il Giugno del 1977, le strade di Londra venivano addobbate per la grande festa del Giubileo della Regina Elisabetta II e i Sex Pistols pubblicavano il loro dissacrante singolo God Save the Queen.

Non si può però parlare dei Pistols senza tirare fuori il nome di Malcom McLaren, la grande mente che architettava ogni provocazione della band di Johnny Rotten, Sid Vicious e compagni. McLaren riuscirebbe a vendere qualsiasi cosa – anche il classico frigorifero agli eskimesi – grazie alla sua dialettica.

Gli viene naturale, è la cosa più facile del mondo per lui. Questo spiega tante cose, soprattutto come abbia fatto grazie ad un pionieristico lavoro di marketing, a far diventare famosa in tutto il mondo una band che, di fatto, non sapeva suonare.

Passato alla storia come manager del gruppo, questa definizione risulta comunque essere riduttiva per descrivere quello che è stato davvero McLaren: un curioso, spregiudicato, irriverente anticipatore di tendenze ma soprattutto il burattinaio che ha mosso i fili della grande “truffa del rock’n’roll”.

Sì, perché i Sex Pistols, una delle band simbolo del movimento punk, furono in realtà il primo gruppo creato a tavolino con uno scopo ben preciso: promuovere gli abiti creati dall’allora semi-sconosciuta stilista Vivienne Westwood, fidanzata di McLaren, venduti nel negozio “Sex”, da cui appunto presero il nome i Sex Pistols. Una enorme operazione di marketing, una delle più grosse del mondo della Musica.

Quello che riuscì a fare McLaren insieme ai suoi Pistols in quella serata di Giugno ha dell’incredibile.

God Save the Queen era uscita il 27 Maggio di quell’anno e in pochi giorni era diventata il pezzo che nessuna radio voleva passare, che le televisioni si affrettavano a censurare e che, fin dai primi versi, scandalizzava i ben pensanti. Addirittura alcuni negozi di dischi si rifiutavano di mettere in vendita il singolo, a causa del contenuto ritenuto oltraggioso.

In God Save the Queen, i Pistols si facevano beffe della sacra monarchia inglese paragonandola al regime fascista, anche se Johnny Rotten, cantante della band, dichiarò diversi anni dopo che “non si scrive una canzone come God Save the Queen perché si odiano gli inglesi. Si scrive una canzone come quella perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati.”

Il pezzo originariamente doveva chiamarsi No Future, come ripetuto ossessivamente nel ritornello diventato poi un emblema del punk, ma McLaren decise di cambiarlo in God Save the Queen, proprio per la coincidenza della sua uscita con il Giubileo d’argento della regina.

God Save the Queen è l’inno del punk inglese, che in quel “no future, no future, no future for you” racchiude tutto il senso del movimento, che non è più solo una corrente musicale, ma una vera e propria sottocultura giovanile.

Il punk era arrivato a dare una vigorosissima spallata al mondo della musica rock e ad urlare parolacce nelle orecchie dell’imbolsita borghesia inglese, disinteressata ai problemi sociali ma sempre premurosa verso la propria Regina. Era la rivolta, l’elettricità, una musica che non voleva essere condizionata da niente ad eccezione di se stessa.

Nessun futuro, nessuna speranza per il sogno inglese, nessun desiderio: la generazione dei ragazzi della seconda metà degli anni Settanta nel Regno Unito poteva anche piantare i chiodi nella bara delle proprie illusioni e i Sex Pistols erano lì per ricordarglielo: il mondo non cambia, le cose non cambiano, tutto rimane uguale, quello che puoi fare è arrabbiarti e gridare.

Il punk era l’aperta e dichiarata contestazione di ogni regola e nessuno più dei Pistols riusciva a incarnare questo atteggiamento. La band nel giro di poche settimane collezionò contratti con case discografiche, firmati e stracciati alla velocità della luce, uno dopo l’altro.

McLaren però non è il tipo che si accontenta, serviva una delle sue inverosimili trovate per tenere sempre alto l’interesse generale sui Pistols. Probabilmente avrebbe desiderato che la sua band eseguisse God Save the Queen di fronte alla faccia impassibile di Sua Maestà, ma non potendolo fare si inventò qualcosa di diverso, ma altrettanto esplosivo.

Per promuovere il singolo venne organizzata un’operazione di marketing magistrale: il 9 Giugno 1977 McLaren noleggiò una barca, che ribattezzò “Queen Elizabeth River Boat”, ci fece salire sopra i Sex Pistols e la fece navigare sul Tamigi, fino ad arrivare di fronte al Palazzo di Westminster. Qui iniziarono a suonare, facendo inevitabilmente scalpore tra i presenti.

L’attitudine di un gruppo scalcinato e violento, come i Pistols, unita alla mente da agitatore di Malcom McLaren fecero il resto. Immaginate la scena: una chiatta scivola sul Tamigi, sopra i Pistols suonano – male – e urlano oscenità mentre a riva si festeggia il Giubileo. Lo sguardo allucinato di Lydon, le magliette strappate, il corteo di freak brutti, sporchi e cattivi di cui i Pistols si circondano.

La band è guardata a vista dalla polizia inglese, che ad un certo punto li accosta e sale a bordo. La festa in barca si interrompe tra gli insulti alla regina. Nel frattempo una rissa coinvolge Jah Wobble – amico dei Pistols e poi bassista nei PIL di Lydon – e un cameraman, così la barca viene fatta attraccare e undici persone vengono arrestate.

Il resto è storia: il giorno dopo i giornali riportano a caratteri cubitali l’evento scandalistico dei nuovi selvaggi del rock e God Save the Queen sale al secondo posto delle classifiche inglesi.

La leggenda vuole che in realtà fosse addirittura al primo, mai dichiarato perché l’industria radiofonica inglese cospirò contro il brano, censurandolo come poteva.

Nei giorni successivi il singolo venne poi bandito dalla radio della BBC e l’Independent Broadcasting Authority, un’associazione che controlla e regola le trasmissioni nel Regno Unito, vietò la messa in onda di qualsiasi sua esecuzione. Questo naturalmente non fece che alimentarne il mito, arrivato fino ai giorni nostri.

 

Daniela Fabbri

 

https://youtube.com/watch?v=tHrUleT8HTs

 

Skunk Anansie @ Bologna_Sonic_Park

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• Skunk Anansie •

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+ Allusinlove

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Bologna Sonic Park (Bologna) // 05 Luglio 2019

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Foto: Luca Ortolani

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Allusinlove

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Motta @ OLTRE_Festival

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• Motta •

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Oltre Festival (Parco Caserme Rosse – Bologna) // 05 Luglio 2019

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Foto: Luca Ortolani

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Stranger Mixtape

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 P0P

presenta:

Stranger Mixtape

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Cliccate qui e seguite P0P su instagram!

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Ben Ottewell @ Germi

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• Ben Ottewell •

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Germi – Luogo di Contaminazione (Milano) // 04 Luglio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Elisa Hassert

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Stranger Things & the faboulous eighties

Il 4 luglio gli americani festeggiano la Giornata dell’Indipendenza. Noi che in Italia non festeggiamo un bel niente, e boccheggiamo a causa del caldo africano, potremo però consolarci con l’uscita della terza stagione di Stranger Things su Netflix.

Aria condizionata, un televisore e una vaschetta di gelato è quello che ci serve per farci trasportare nelle atmosfere cupe di Hawkins e seguire le avventure di Undici e dei suoi amici nerd, che tanto ci piacciono.

La serie fin dalla prima stagione è diventata da subito un cult tenendo incollate al teleschermo milioni di persone che volevano arrivare il prima possibile all’ultima puntata per avere una risposta alla domanda che li tormentava “Che fine ha fatto Will?”.

Il telefilm creato da Matt e Ross Duffer è riuscito a ricreare al meglio le atmosfere dei Fabolous Eighties e a farci respirare l’aria frizzante di quel periodo storico.

Ma come ci sono riusciti?

Sicuramente grazie alla colonna sonora che mixa in modo convincente brani creati ad hoc con i grandi successi degli anni ’80.

I Duffer Brothers hanno affidato fin dall’inizio della serie la creazione delle musiche a Kyle Dixon e Micheal Stein dei Survive (una band di musica elettronica di Austin). Synth elettronici e musiche un po’ psichedeliche che accompagnano i personaggi nel corso delle loro vicissitudini.

E’ proprio a loro che dobbiamo la ormai famosissima canzone della sigla che, già dalle prime note, ci accompagna nelle atmosfere cupe e un po’ angoscianti del Sottosopra.

Ma Stranger Things non è solo buio e ansia. La serie ci apre una finestra su quella che era la vita in una cittadina americana negli anni ’80 tra amori, amicizie e ovviamente problemi. Ed è qui, nella quotidianità, che trovano spazio quelle canzoni che tutti noi conosciamo e amiamo. 

Africa dei Toto, Runaway dei Bon Jovi, Should I Stay o Should I Go dei Clash e Heroes di David Bowie, sono solo alcuni dei titoli che compaiono nella ricca, anzi ricchissima, soundtrack della serie.

Tutto ciò che è anni ’80 trova nuova vita in Stranger Things. 

E voi siete curiosi di sapere cosa ci attende nella nuova stagione? Per scoprirlo dobbiamo aspettare domani quando le porte del Sottosopra si apriranno per noi per la terza volta…

Laura Losi

Ex-Otago e Indimenticabile Festival: l’intervista

Continua il nostro viaggio in compagnia dei protagonisti dell’Indimenticabile Festival che si terrà il 12 e 13 Luglio 2019 Bologna Sonic Park.

Una prima edizione nata per celebrare il movimento nato fuori dal circuito delle grandi etichette discografiche e dai talent televisivi, cresciuto tra concerti in piccoli club, sostenuto dal mondo social e arrivato alle grandi platee e all’attenzione dei media nazionali partendo dal basso.

Dopo l’intervista ai direttori artistici, a fare un altro pezzo di strada assieme a noi verso il 12 e il 13 luglio ci sono oggi gli Ex-Otago, un gruppo che dai circuiti indipendenti si è ormai fatto conoscere anche dal grande pubblico, specialmente dopo la partecipazione a Sanremo di quest’anno con Solo una canzone.

 

Bologna Sonic Park

Bologna Sonic Park in preparazione

Fotografia di Luigi Rizzato

 

Ciao Ragazzi! Premetto che ci siamo incontrati diverse volte e siete anche una delle prime band che abbiamo fotografato quando ancora non eravamo testata ma eravamo solo una minuscola webzine composta da due persone. Noi di VEZ vi sentiamo quindi molto vicini nonostante abitiamo sulle riviere opposte. Potete quindi raccontarci qual è la cosa che amate di più di Genova, che vi lega a quella città così da farla sentire “familiare” anche a noi?

Genova da sempre è una città che accoglie e con le sue bellezze artistiche e culinarie non può che conquistarti e farti sentire a casa! Noi con Genova abbiamo un rapporto quasi viscerale, che emerge in ogni nostro disco, è una città che ti lascia il segno nel bene e nel male e che ti porti sempre dietro ovunque tu vada.

 

 

DSC 6412

 

Un Concerto per Genova

RDS Stadium Genova, 2018

 

La vostra musica e i vostri testi sono raffinati e “alti” ma al tempo stesso immediati. Come nascono le vostre canzoni? 

Le nostre canzoni nascono piano piano, ci piace dare questa immagine: Hai presente i Lego? Montare e smontare una casetta, un castello, un intero paese. Ecco, per noi ogni canzone è un momento di gioco da una parte e un cantiere dall’altra. Come prima cosa io scrivo i pezzi, dopodiché mi riunisco con tutti gli altri componenti della band per rivederli tutti insieme e pensare alla musica da costruirci intorno. Ogni pezzo ha una sua storia, per alcuni pezzi ci basta un pomeriggio, altri invece li teniamo in un cassetto e dopo un po’ di tempo prendono forma, ma alle volte non come erano state concepite. Così capita che il ritornello di una canzone diventi il verso di un’altra. CI fa piacere che i nostri testi vengano percepiti come “immediati” quando in realtà c’è molto lavoro dietro.

 

Che ne pensate dell’uso e forse abuso che si fa della parola “indie” negli ultimi anni? Pensate che ci sia ridondanza e ripetizione a livello di temi e melodie oppure trovate che i recenti sviluppi abbiano favorito una certa dose di innovazione?

In generale sia io che gli altri componenti della band non amiamo molto le etichette, sulla parola ”indie” ti posso dire però , abuso o non abuso a parte, che è stata l’elemento chiave per portare una grande dose di innovazione nella musica italiana. Negli anni 2000 quando noi facevamo già questo genere, spesso le persone ci guardavano come degli alieni perché noi dicevamo di fare “pop” ma all’epoca il pop erano solo artisti come Eros, Giorgia e via dicendo. Da lì è nata la parola indie e siamo contenti che più di dieci anni dopo le carte in tavola siano cambiate, perché anche grazie a questo concetto, oggi sotto la parola “pop” possono essere incluse tante realtà musicali differenti. Non percepiamo una ripetizione a livello di temi e melodie anche perché, come ti ho detto prima, noi non vediamo artisti “indie”,”trap” o “rock” ma vediamo il panorama musicale italiano come un qualcosa di molto vasto e aperto a tanti generi diversi insieme.

 

 

10b

 

L’Indimenticabile Festival è al suo primo anno e l’attesa è tanta. Cosa vi aspettate da questo Festival e dal pubblico emiliano-romagnolo? 

Saliremo ancora più carichi del solito, con una gran voglia di divertirci e far divertire per il primo anno di questo bellissimo Festival. In più la l’Emilia-Romagna è tra le nostre regioni preferite, soprattutto per il cibo e la simpatia delle persone. Per questo ci aspettiamo dal pubblico emiliano-romagnolo un grandissimo affetto e tanta voglia di divertirsi tutti insieme! Aspettatevi anche qualche salto tra la folla! Noi siamo dei grandi sostenitori del contatto fisico: Andare in mezzo al pubblico, creare unione, sentire l’energia ci piace tantissimo.

 

Noi vi auguriamo il meglio e non vediamo l’ora di rivedervi!

 

Intervista di Sara Alice Ceccarelli

Foto di Alessio Bertelloni

 

Unaltrofestival 2019 @ Magnolia

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• Unaltrofestival 2019 •

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Anna Calvi
Julia Jacklin
Videoclub
Eugenia Post Meridiem

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Magnolia (Milano) // 02 Luglio 2019

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ANNA CALVI

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JULIA JACKLIN

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VIDEOCLUB

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EUGENIA POST MERIDIEM

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Grazie a Comcerto e Noisyroad

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