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Mese: Giugno 2020

DA VENERDÌ 26 GIUGNO SU TUTTE LE PIATTAFORME STREAMING BUON TUTTO Il nuovo singolo di BRASCHI

Da venerdì 26 giugno, sarà disponibile su tutte le piattaforme streaming BUON TUTTO(Effe, distribuzione Artist First), il nuovo singolo di BRASCHI, cantautore attivo dal 2014 con alle spalle, tra le altre cose, la partecipazione alla 67esima edizione delFestival di Sanremo con il brano Nel Mare CiSono I Coccodrilli.

 

Durante il lungo periodo di quarantena, mentre era al lavoro sui brani del suo nuovo album, Braschi ha ritrovato una canzone lasciata nel cassetto molto tempo prima. Quasi un segno del destino, visto che Buon Tutto appare come il miglior augurio possibile dopo un momento così drammatico.

Ecco la nascita di Buon Tutto nelle parole dello stesso Braschi:

«Il 26 giugno esce la mia nuova canzone. Si chiama Buon Tutto ed è nata quasi per caso. Durante questi mesi di clausura, come tutti, mi sono messo a sistemare un po’ di cose che avevo lasciato da parte. Quel genere di cose che pensi di mettere in ordine non appena ne avrai il tempo. Tra le tante cose accatastate, ho scoperto così di avere un vecchio hard disk che non ricordavo nemmeno di più di possedere. Una volta aperto, la memoria è volata immediatamente a tre, quattro anni fa. Ai tempi, avevo registrato l’idea per un ritornello che diceva: “tanta fortuna, buon tutto”, quasi fosse un mantra o una preghiera. Risentendola ad anni di distanza, non ci ho messo molto a capire che si trattava della preghiera giusta da fare uscire in questo momento, dopo questi mesi di stasi delle nostre vite. Per tentare di tornare a quello che eravamo e riprenderci il nostro passo naturale. Il passo successivo è stato quello di scrivere le strofe, che sono uscite di getto, come se le parole non aspettassero altro che uscire dalla mia penna. Ne è venuta fuori una canzone che rispecchia perfettamente entrambi gli aspetti principali dei mesi passati in reclusione: la solitudine e la speranza. Un inno, un tormentone punk, se vogliamo dire così. Fondamentale, in ogni senso, l’apporto di Giovanni ‘Giuvazza’ Maggiore, che più di ogni altro ha creduto che Buon Tutto dovesse venire alla luce. Se non altro perché anche il fato ci aveva messo del suo affinché ciò avvenisse. E si sa, a certe cose non ci si può opporre. Io e Giuvazza abbiamo lavorato sodo insieme, prima virtualmente e, quando il virus ce l’ha permesso, fianco a fianco nei suoi studi sopra le colline di Santarcangelo di Romagna. Il lavoro è poi continuato a Roma, dove abbiamo effettuato i mixaggi e ha trovato infine conclusione a Miami, dove ha avuto luogo il processo di mastering. “Ci vediamo domani in una notte migliore di questa”, ci toglieremo la mascherina, torneremo a guardarci in faccia e forse a quel punto non avremo più bisogno di fingere nulla. Con tutte le conseguenze del caso.»

BUON TUTTO

(Federico Braschi)

Braschi: Braschi: Voce

Giuvazza Maggiore: Chitarra, Programmazioni, Produzione Artistica

Alberto Amati: Basso

Massimo Marches: Chitarra

Fabio Grande: Mix

Antonio Baglio: Mastering

Ed. Effe

Distribuzione Artist First

Instagram: https://www.instagram.com/braschi.mp3/

Spotify: https://open.spotify.com/artist/4zsXbn9nUCqEVQffZmidN4si=3nP4yvCZTXePpZZPuZ_ovg

Facebook: https://www.facebook.com/braschiofficial/

Biografia: Braschi è un cantautore romagnolo di 29 anni, un tipo che scrive le canzoni che canta, lacui storia artistica si snoda tra Santarcangelo diRomagna e gli Stati Uniti. Nel maggio 2014 esce Richmond, il suo primo EP composto da 4 tracce registrate a Richmond in Virginia. Nel progetto sono presenti collaborazioni importanti conmusicisti del calibro di Joey Burns e JacobValenzuela, membri del gruppo Calexico che sisono scoperti fan di Braschi dopo averneascoltato i provini attraverso JD Foster, produttore responsabile del suono della band statunitense,che ha lavorato anche con Vinicio Capossela eMarc Ribot. Braschi ha poi portato Richmond in tour, prima negli Stati Uniti (tra New York, Washington DC, Philadelphia e Richmond) e, in seguito, in tutta Italia. Tra il 2014 e il 2015, il giovane cantautore è stato in tour con Dan Stuart, leader dei Green On Red, con i Nobraino e con la sua band. Nel 2016 è arrivato in finale allaXXVII Edizione del Musicultura Festival, con il brano Acqua E Neve. Tra gli otto finalisti di Area Sanremo 2016, Braschi ha ottenuto l’accesso diretto alla 67esima edizione del Festival diSanremo e ha partecipato con il brano Nel MareCi Sono I Coccodrilli nella categoria NuoveProposte. Nel 2017 esce il disco Trasparente per iMean Music & Management e distribuito da Artist First seguito dai singoli Nel Mare Ci Sono I Coccodrilli e Acqua E Neve. Tra la primavera el’estate Braschi si è esibito live in tutta Italia,partendo dal bagno di folla del prestigiosoconcerto del Primo Maggio a Roma, per aprire poi i concerti de Le Luci Della Centrale Elettrica,Francesco Gabbani eFabrizio Moro. Il suo ultimo singolo, Il Cuore Degli Altri, risale all’estate del 2019.

Protest The Hero “Palimpsest” (Spinefarm Records, 2020)

Alla ricerca della perfezione

 

Il mondo del rock è sempre stato diviso in due schieramenti: il punk e il metal.

Entrambe esprimono lo stesso concetto del mal di vivere, ma differiscono per il modo di reagire.

Il punk è il caos, è l’entropia (spacchiamo tutto, moriamo giovani).

Il metal è l’ordine, la sintropia (urliamo, distruggiamo i timpani, ma studiamolo per bene…).

Col tempo tutto si è mischiato, creando sottogeneri che galleggiano in questo universo musicale contaminato.

Alcuni gruppi sperimentano altre sonorità, come le falene sono attirate dalla luce, volano verso mete sconosciute, e delle volte riescono nell’impresa di mescolare le carte. 

Altri, rimangono ancorati alle vecchie idee, perseguendo il loro sogno di perfezione.

Per i metallari, l’esecuzione del brano è fondamentale, lo studio e l’impegno dietro ogni strumento è certosino.

E ascoltando Palimpsets il nuovo disco dei Protest the Hero si ha l’impressione di un lavoro raffinato, ricercato, sudato insomma.

La Band canadese che dal 1999 calca la scena heavy metal, dopo quattro anni e varie difficoltà torna con questo nuovo album, carico di cattivi propositi e buona musica. 

Il singolo The Canary, omaggio al biplano giallo della pioniera del volo Amelia Earhart, è metal eseguito alla lettera, ostinato e perentorio come Amelia.

From the Sky, esprime tutte le competenze tecniche del gruppo e vocali di Rody Walker, che ha dovuto lottare molto a causa di un infortunio alle corde vocali.                                      

A questo punto dell’album troviamo Harborside (Interlude) grazioso stacchetto alla Striscia la Notizia ma versione musica classica, che, come il sorbetto al limone, toglie il sapore del piatto di pesce appena mangiato e prepara il palato alla prossima prelibatezza: All Hands. Questa presenta ritmi serrati, testo criptico sull’aspettare qualcosa (una svolta, sia questa positiva o negativa non interessa) che cambi per sempre la nostra vita.                                                     

L’ album contiene dieci brani, ognuno dei quali è il risultato di una ricerca maniacale della perfezione di un sound preciso, quello heavy metal. 

La cura del dettaglio è una particolarità dei Protest The Hero: ogni accordo, ogni strumento è perfettamente coeso, così da creare un chaos ordinato, una rispettosa follia. 

Una preghiera ossequiosa e assordante al Dio dell’Heavy Metal, una miscela di Mathcore e Progressive metal, come testimoniano The Fireside, Soliloquy e Gardenias.

Un’impresa meticolosa, accurata. Uno scrupoloso reportage sull’heavy metal, che ci riporta agli albori della storia del metal, dimostrando una crescita musicale nonché personale, un’esplorazione stilistica curata nel minimo dettaglio, fino al vomito.                      

 

Protest The Hero

Palimpsest

Spinefarm Records

 

Marta Annesi

Let the Music Play @ Anfiteatro del Venda

Anfiteatro del Venda (Galzignano Terme) // 16 Giugno 2020

 

Alla fine è successo. Prima di quando sperassi(mo). Meglio anche di quanto sperassi(mo).

È stato bello, è stato vero.

Siamo tornati ad un concerto. Un concerto reale, con i crismi che deve avere. Niente drive in, niente ologrammi, niente streaming né altre diavolerie. 

Un pubblico, coi distanziamenti e le misure previste, un palco — e che palco… esagero nel dire che in Italia ci sono pochi luoghi che possono reggere il confronto con l’Anfiteatro del Venda, con quel palco affacciato sulla pianura Padana e le sue mille luci? —e gli artisti su di esso. 

Tutto bello. Tutto perfetto.

Cioè non proprio tutto, come sostengono i rappresentanti delle Maestranze dello Spettacolo del Veneto, che ad inizio serata si prendono la scena, espongono uno striscione e fanno capire senza grandi giri di parole che la ripartenza tanto sbandierata è effimera, quando non proprio inesistente, soprattutto per certi settori, quali ad esempio la cultura. Sono parole importanti, dure, come giusto che sia, perché se la facciata ci appare stia tornando ad essere bianca, nasconde dietro ancora un sacco di sporco, che sarà difficile eliminare. Ad ogni modo un in bocca al lupo a tutti loro, sperando che presto possano ritrovare un po’ di serenità. E di diritti.

È la volta poi della musica, quella suonata, quella che ci ha spinto in cima al monte Venda, sfidando il maltempo che sta trasformando questo giugno in un novembre inoltrato, e ad aprire le danze tocca a Ricky Bizzarro, rocker trevigiano, una vita sul palco, da solo, in teatro, soprattutto coi Radiofiera, che hanno un disco pronto in uscita, prodotto da Giorgio Canali, e che questo virus ci costringe ad attendere. Ricky scherza “ho scritto un libro, ma ne ho una sola copia qui”, canta, suona, coadiuvato dal Maestro Sergio Marchesini, che con la sua fisarmonica fungerà da trait d’union della serata. Con l’occasione Bizzarro presenta anche un paio di brani in anteprima, mostra la sua enorme classe con una commovente In Meso Al Prà Dea Fiera, trascina con la sempre bella Me ciamo fora, si congeda felice quanto noi di essere tornato su di un palco.

Il testimone passa ad Erika Boschiero, col suo delicato folk, in bilico tra Joni Mitchell e la canzone popolare mostra (a me personalmente, che non la vedevo dal vivo da diversi anni…) un livello artistico ed una padronanza della voce e della chitarra non comuni e che strappano applausi ed urla di approvazione da tutta la collina. Salta con una naturalezza disarmante da un toccante omaggio a GianluigiGianniSecco, ad una dolcissima Cucurrucucù Paloma, alle tradizioni bellunesi de L’omo nero.

Il giro delle province venete si chiude con il veneziano Iacampo, che non pare aver risentito di questi mesi di stop forzato e si esibisce in una deliziosa Le mie Canzoni con il suo cantautorato così personale e figurativo, per poi annunciare che “ho comprato io il libro di Bizzarro, è all’asta”, e respingere al mittente Marchesini che aveva sbagliato ingresso e strappare risa e applausi al bel pubblico.

La serata scivola via in maniera così piacevole e naturale che accetto di buon cuore di lasciare lo spettacolo anzitempo (accogliendo tra i primi per altro l’invito di Simone, il padrone di casa, di non ammassarsi all’uscita), ma la cinquenne tradisce qualche segnale di stanchezza e pur avendo apprezzato il tutto (in particolar modo l’invito di Erika Boschiero ad accendere le torce dei cellulari per creare un po’ di scena) reclama un letto, per cui sì, è un report senza finale, senza il gran finale che posso solo presumere ci sia stato, con i quattro moschettieri assieme sul palco, distanziati il giusto, ma uniti dal grande abbraccio della musica.

Sopra il Venda ci sono le nuvole, ma noi siamo tornati a riveder le stelle, già. 

 

 

Alberto Adustini

Ti ricordi i RATM ad Imola nel 2000?

 

Venite piccoli e sedete qui attorno. Vi racconto una storia.

È accaduta in un tempo ormai remoto, per l’esattezza 7305 albe fa. O tramonti, a seconda. Se ci rifacciamo, come largamente accade in tutto il mondo, al calendario gregoriano, quel 7305 diventa magicamente una cifra tonda tonda, vale a dire 20 anni.

Vedete piccoli, nella mattinata di quel venerdì 16 giugno del 2000, il vostro papà saliva in auto, forse quella di Guido, forse no, perché i problemi di memoria iniziano da subito, in direzione Imola, “Autodromo Enzo e Dino Ferrari”, per l’Heineken Jammin’ Festival. Erano tempi strani, sapete? Migliori? Forse. C’è quel pezzone dei Gazebo Penguin, Senza di Te, che ad un certo punto fa “è tutto un ricordar le cose meglio di com’erano davvero di quando avevamo qualche anno di meno”. 

Ve lo ricordate? Ogni tanto vi mostro quel video favoloso, e voi dite sempre “chi sono quei pazzi!”. Beh vediamo di non iniziare subito a divagare, che la strada fino a notte è lunga e tortuosa.

Ad ogni modo a ripensarci, a cercare di tornare indietro con la mente a vent’anni fa, non so se la frase dei Gazebo sia vera o falsa. Probabilmente non è né l’una né l’altra, perché a dirla tutta, a 17 anni (eh già, non ero ancora maggiorenne, per poco, in quel giorno), sapete quanto vi frega che la scaletta di un gruppo sia bilanciata, che l’audio sia più o meno buono, che il pubblico sia partecipe o indisciplinato o altro? Zero. Zero assoluto.

Figli miei, quel giorno io ero salito in macchina di Guido (ammettiamo che fosse la sua d’ora in poi) con un intento così semplice che davvero pare appartenere ad un’epoca che non esiste più: divertirmi, il più possibile, ascoltando un concerto.

E non c’erano pare, polemiche, shitstorm sui social per le code, per i token, se un gruppo saltava, se il parcheggio era a 10 € (che poi mi sa che eravamo ancora in Lire), o meglio, così era per me e per l’accolita a cui mi accompagnavo quel giorno. Ed il fatto che non esistessero praticamente i social di certo giovava al clima generale.

Sta di fatto che soprassedendo ai vari transfer e spostamenti vari la timeline scivola fino al primo pomeriggio. Mi trovavo sulle collinette dell’autodromo, non proprio in prossimità del palco, perché dovete sapere figli miei, che nei festival il bello solitamente arriva alla fine, e le energie vanno dosate, specie nel mio caso, che avevo come unico obiettivo della vigilia di pogare e prendere n (con n che tende a + ∞) calci e pugni durante il live dei Rage Against The Machine. Cosa volete, sono un tipo semplice.

Ricordo che ci si dilettava con degli artifici dai quali dovrete SEMPRE stare alla larga, quando diventerete più grandi (mi raccomando eh!), quando in lontananza dal palco arrivano delle note che a più di qualcuno dei presenti fanno un attimo rizzare le antenne. “Apperò senti questi come suonano”. Interrompo (temporaneamente) l’attività alla quale stavo dedicando molta attenzione per dirigermi verso il main stage, ed ascoltare sto terzetto di giovanetti che suonavano da dio, veramente. Un live breve, come d’altronde capita ai gruppi minori del pomeriggio che si esibiscono con il sole a picco sulla testa e poche centinaia di persone davanti, ma magnifico. Ricordo bene che alla fine dell’esibizione il pubblico era diventato incredibilmente più numeroso. A notte inoltrata venni a sapere che il gruppo in questione, che a quanto pare era al primissimo concerto in suolo italico di sempre, risponde(va) al nome di Muse. E siamo al primo “io c’ero di giornata”.

Il menu prevedeva anche i Punkreas, saltati a piè pari (con tutto il bene che voglio a Cippa e compagni, ma a quei tempi li vedevo in media dieci volte all’anno), i germanici Guano Apes (e se ve lo chiedete la risposta è sì, suonano ancora) che non credo siano mai andati oltre ai successi di Open Your Eyes e a Big In Japan, ma che ricordo di aver visto da sotto il palco e che fecero un numero che per l’imberbe che ero allora fu difficilmente dimenticabile: nel bel mezzo di un brano, dal nulla, entrarono tutti in modalità freeze, cioè si congelarono, in una frazione di secondo. Delle statue per diversi lunghissimi secondi. Poi, attraverso un qualche segnale che ovviamente non colsi, ripresero a suonare dallo stesso punto in cui si erano fermati. E io a bocca spalancata. Primo live anche per loro in Italia. E secondo “io c’ero”.

Dopo dei Guano Apes nuovo momento topico della giornata. Tocca ai Primal Scream. Eh già, le line up una volta erano migliori, dai, ammettetelo. Sta di fatto che io, già in posizione d’attacco per essere pronto per Zac e soci, assieme a qualche altro migliaio di persone, noto che qualcosa non torna, perché il cambio palco è insolitamente lungo, sembra tutto a posto e invece ogni tot esce un qualche tecnico, colpetto sul microfono, verifica un filo, penso avranno accordato una chitarra quattro volte. E circola la voce che siano in ritardo perché Bobby Gillespie avesse perso l’aereo. Rumours al tempo delle voci di corridoio.

Sta di fatto che alla fine, con tipo un’ora di ritardo gli scozzesi escono ed iniziano l’esibizione. La risposta del pubblico non è proprio amichevole, diciamo così. Oltre ai fischi volano oggetti di vario tipo. Il signor Gillespie, che qualche situazione del genere la deve aver vissuta, riporta la calma sulla folla inferocita con un distensivo “Hello, fuck you for waiting”. L’ho amato. Anche perché poi ricordo una versione di Swastika Eyes allucinante. E allucinata.

In mezzo a queste esibizioni c’è un simpatico aneddoto. Simpatico fin là, per me. Ad ogni modo fino a qualche mese fa ho vissuto nell’incrollabile certezza che i The Tea Party, band canadese che amo molto, non avesse suonato. E fosse anzi stata sostituita proprio dai Punkreas. Fino a qualche mese fa dicevo perché ho scritto su Twitter al cantante e al bassista, ed entrambi mi hanno confermato che suonarono appena dopo sti famigerati Muse. Ora ok le attività ricreative, ok anche che nel 2000 i The Tea Party non erano ancora entrati a regime nei miei ascolti, ma cristodio! Che poi se il web non mente quella rimane l’ultima apparizione dei canadesi dalle nostre parti. E terzo “io (non) c’ero”.

Comunque arriviamo al dunque. Che poi si esaurisce in un attimo. Ricordo che la pressione era molta. Fisica intendo. Credo fossimo sull’ordine delle 45 persone per metro quadrato. A due metri dalle transenne. Il classico “This is Rage Against The Machine from Los Angeles, California” del riccioluto signor De La Rocha e poi boh, vai a sapere tu cosa è successo. Per i primi due o tre brani sono stato più a terra che in piedi, faticando ogni volta per rialzarmi, cantare un paio di versi, evitare quello più grosso, ma divertendomi come raramente mi era capitato. 

Fino a che non arriva il coglione di turno. Un ragazzo, età indefinita, perché ricordo che aveva un berretto di lana calato sul viso fino a sotto il naso ed in bocca quella che ad un occhio distratto sarebbe potuta sembrare una sigaretta, ma che nella realtà dei fatti non lo era (mi raccomando bimbi!), e che avanzava roteando le braccia all’impazzata e tirando pugni senza senso. E vabbè all’inizio lo tolleri, lo spingi un po’ in là, ma questo torna, sempre più fastidioso, a minare l’equilibrio che anche in situazioni di tale caos esiste, e quindi ci guardiamo in due, tre ragazzi, e senza nemmeno metterci d’accordo partiamo a tutta contro il malcapitato, lo carichiamo proprio, e questo non so come o dove sia finito, l’ho visto volare da un lato e venire inglobato dalla folla. Problem solved.

Che ve lo dico a fare poi figlioli che i quattro chiudono il concerto con Killing In The Name e si vola altissimi, meravigliosa giovinezza, e butto un’ultima occhiata al mega drappo dietro al palco con l’immagine di The Battle Of Los Angeles, e alla bandiera d’ordinanza sull’amplificatore di Tom Morello e ringrazio i miei genitori che mi avevano concesso questa occasione (che poi avanzavo i Silverchair dall’anno prima quindi conto pari). Lentamente, col fiatone, risalgo il prato, vedo solo facce sorridenti, tutti accomunati dalla stessa luce negli occhi, quella preziosa, che odora di meraviglia. Noto con un filo di orgoglio che ho un calzino rosso sangue ed un ginocchio con un taglio, la cui emorragia era stata provvidenzialmente fermata dalla polvere alzatasi sotto il palco. Anticorpi. 

Fa strano, ripensando a quel giorno proprio in questo periodo, a certi commenti che ho letto proprio verso Tom Morello, da sempre molto attivo in ambito diritti umani, non solo da quando spopola il #blacklivesmatter, o addirittura verso i R.A.T.M. (facile fare la band politica stando sotto contratto con una major), e davvero mi vien da pensare che ricordiamo le cose meglio di com’erano davvero perché, in effetti, lo erano.

E adesso andate a nanna. La prossima volta vi racconto dei Nine Inch Nails a Monza. Che son vent’anni anche per quello.

 

Alberto Adustini

BAY FEST 2021 DIVENTA DI QUATTRO GIORNI! ANNUNCIATI ANCHE I SUM 41

BAY FEST 2021 IL FESTIVAL PIU’ PUNK D’ITALIA DIVENTA DI QUATTRO GIORNI!

ANNUNCIATI SUM 41

11-12-13-14  AGOSTO 2021

PARCO PAVESE | BELLARIA – IGEA MARINA | RIMINI

NEL CARTELLONE CONFERMATI ANCHE MILLENCOLIN E FLOGGING MOLLY CHE SI UNISCONO A BAD RELIGION, THE BOUNCING SOULS E CIRCLE JERKS

 

Il Bay Fest 2021 sta decisamente prendendo forma, buone notizie per chi sta già sognando il festival punk-rock del prossimo anno, per chi impaziente vorrebbe tornare “alla normalità”, per chi come la maggior parte degli appassionati vuole eventi ricchi di contenuti e musica dal vivo.

Certamente l’evento del 2021 è ancora in costruzione, sia in termini artistici e meramente organizzativi, ma intanto Hub Music Factory e LP Rock Events sono al lavoro – fin dall’inizio del lockdown – per costruire la nuova edizione, ci sono oltre 16 mesi durante i quali il festival prenderà forma  in tutte le sue dimensioni, da quella artistica a quella organizzativa, l’idea è lavorare per costruire un evento più ricco di contenuti e “spazi “ di divertimento, in una location unica per la media degli outdoor festival italiani: un festival in riva al mare!

 

Così con la conferma  del periodo – sempre a ridosso di Ferragosto, sempre sulla Costa Adriatica – si è passati a definire i contenuti e ci sono due importanti novità: la prima –  proprio nell’ottica di un festival più “influente” – è che per l’edizione 2021 i giorni diventano quattro, con una giornata in aggiunta e ribattezzata “warm-up”, un giorno in più all’insegna della musica e dei divertimenti propri di un festival punk: la birra, lo skateboard, il sole, la musica, la spiaggia e il mare dell’Adriatico a pochissimi passi…

 

La seconda novità è la conferma della band “principe” del festival, i SUM 41 torneranno in Italia con il loro “No personal space tour”, una lunghissima tournée in tutto il mondo iniziata qualche mese fa, interrotta a causa della pandemia da Covid-19 e oggi confermata per il prossimo anno:  insieme a diversi show annunciati, ci sarà anche quello al Bay Fest 2021.  Anche per i Sum 41 questi ultimi tre mesi sono stati un vero testa-coda, l’ondata di crisi dovuta alla pandemia globale e il movimento Black Lives Matter hanno portato la band – non solo ad annullare il loro tour- ma anche ad esporsi pubblicamente e creare un nuovo modo di fare comunità con i fans: sono nati una seria di appuntamenti in streaming chiamati “Live from studio Mr.Biz” con protagonista il cantante e songwriter Deryck Whibley (a questo link potete vedere l’ultima toccante puntata, uscita il 14 giugno, in cui viene rivisitata “The Hell Song”).

 

La priorità per il 2021 resta la line up artistica, l’aggiunta di Sum 41 si affianca a quella di due mostri sacri come Bad Religion e Circle Jerks, di band come The Bouncing Souls o Flogging Molly, e artisti storici come Millencolin saranno tra le tante band che si alterneranno sul palco del Bay Fest.

 

INFORMAZIONI BIGLIETTI BAY FEST 2021

Una importante decisione degli organizzatori:  il “warm-up day”, il primo giorno di festival aggiunto per l’edizione 2021 sarà gratuito ovvero compreso nell’abbonamento se quest’ultimo è stato acquistato prima del 7 Marzo 2020.

E’ da oggi disponibile il primo biglietto cumulativo per i 4 giorni di festival, si tratta del Early Bird (link 1  – link 2): potrà essere acquistato fino al 30 Giugno.  Nei punti vendita è possibile prenotare anche il camping del Bay Fest.

 

 

 

IL FERRAGOSTO PIÙ PUNK D’ITALIA DIVENTA DI 4 GIORNI!

11-12-13-14 AGOSTO  2021  @  PARCO PAVESE | BELLARIA – IGEA MARINA | RIMINI

 

Prevendite disponibili dal 16 giugno 2020 su:

Mailticket  https://www.mailticket.it/manifestazione/VY29/BAY_FEST_2021

https://www.mailticket.it/manifestazione/VZ29/BAY_FEST_CAMPING_2021

Vivaticket  https://www.vivaticket.com/it/biglietto/bay-fest-2021-abb-combo-3-days/148590
https://www.vivaticket.com/it/biglietto/bay-fest-2021-abb-combo-4-days/148591

 

Per informazioni www.hubmusicfactory.com

 

GOOD RIDDANCE 18 GIUGNO 2021 |LOW-L FEST

La band californiana era attesa in Italia al LOW-L FEST,  un
festival no-profit della provincia di Lodi che sarebbe dovuto tenersi nel
2020 e, causa Covid-19, è stato rimandato all’anno prossimo.

I punk di Santa Cruz – politicamente – non hanno mai nascosto le loro
opinioni, non sono mai stati una band che mette in secondo piano le
questioni sociali;  da anni “agganciano” l’ascoltatore con melodie
accattivanti seppur in pieno stile hardcore e nel mentre; educano
Lo fanno da anni ma ancora di più con il loro ultimo disco, il primo da
quando Trump è entrato in carica, ribadendo la loro visione con canzoni come
“Our Great Divide”, “No King But Caesar”, “No Safe Place” e soprattutto “Pox
Americana”.
I Good Riddance sono sempre stati cosi _ hardcore da atmosfere sud
californiane e testi impegnati, così fu fin da disco “Ballads From The
Revolution”, ventidue anni fa.

 

Per informazioni www.hubmusicfactory.com
https://www.facebook.com/events/254433276004713/

 

GOOD RIDDANCE Low-L Fest
Venerdì 18 Giugno 2021
Guardamiglio (LO)

Ingresso gratuito

 

The Bustermoon “Mareena Roots” (Self Released, 2020)

Di feste e d’estate

 

Anticipato dal singolo Poppoporopporoppopoporopporoppopoporopporopo, definita dalla band stessa sui social una “all together song”, una canzone che il pubblico intona sempre all’unisono durante i loro concerti e che vede quello stesso pubblico come protagonista del video, la band genovese The Bustermoon pubblica il suo primo LP Mareena Roots, il cui titolo appunto si rifà alle loro radici ben piantate nel mare della loro città.

Il disco è l’evoluzione naturale e spontanea del loro primo lavoro, l’EP Going to Taumatawhakatangihangakoauauotamateaturipukakapikimaungahoronukupokaiwhenuakitanatahu pubblicato due anni fa. Il loro marchio di fabbrica, quello che chiamano “folk’n’roll”, è ben visibile anche in Mareena Roots, dove la chitarra acustica fa da padrona. Un mix particolare e diverso dal solito, che unisce il country al rock’n’roll e al folk. Un mix che sa di feste e d’estate e che invita chi ascolta a ballare sottopalco sulle note di tracce come Traveling Love o Sweet Mama quando sarà di nuovo possibile farlo. Insomma, un disco spensierato come difficilmente se ne trovano oggi. 

Non mancano di certo le canzoni un po’ più malinconiche, come può essere ad esempio Rancho Rd, ma anche loro non abbandonano mai del tutto un certo piglio di allegria, che resta nascosto dietro alla nostalgia che si prova mentre si pensa ad una cosa bella, a prova del fatto che si può sempre trarre qualcosa di positivo, anche dalla malinconia. 

Mareena Roots, con un genere tutto suo, è quindi uno degli album che più si discosta dalla scena musicale italiana di oggi, strizzando l’occhio decisamente più agli Stati Uniti. Forse l’esempio più eclatante si sente in As I Breathe, la nona traccia del disco, che termina con il ritornello cantato in modo da ricordare un coro gospel d’oltreoceano. 

Chiude il viaggio dei The Bustermoon una ghost track, Cherry Tree, singolo che la band aveva già pubblicato la scorsa estate in collaborazione con Early Vibes e che qui viene proposto in versione riarrangiata. Un ottimo modo per chiudere quest’album carico di spensieratezza: con un sempreverde ma necessario “it’s alright”.

 

The Bustermoon

Mareena Roots

Self Released, 2020

 

Francesca Di Salvatore

LOBINA: ESCE OGGI IL NUOVO EP “CLOROFILLA”

“Clorofilla”, l’EP di debutto della giovane cantautrice genovese Lobina. Anticipato dal primo singolo “Molecole”, “Clorofilla” è da oggi disponibile sulle piattaforme di streaming e negli store digitali.

 

Il nuovo EP “Clorofilla” è il ritratto di una donna che dopo aver messo a nudo tutte le sue fragilità si scopre in grado di rialzarsi, anche dopo i colpi più improvvisi e terribili, forte e coraggiosa, capace infine di rigenerarsi.

Il racconto inizia così dal riconoscimento delle proprie debolezze di “Precipitare”, prima traccia dell’EP (“I miei atomi sensibili si raddoppiano / E non ho più anticorpi per difendermi / I miei passi consumati ti rincorrono / Ma non ho più muscoli per sorreggermi”), prosegue con l’inane speranza che tutto torni come prima in “Molecole” (“Io proverò a difenderti / Mentre speri di essere / Quel qualcuno che non sei più / Io non starò ad illuderti”), ricerca una realtà solida e consistente, come un’isola che accorci le “Distanze” tra le sponde di un mare agitato (“Conserva la mia anima / Diventa la mia isola / Prima o poi vedrai / Accorceremo le distanze”), acquista luce e colore in “Leggera”, quarta canzone dell’EP, vero e splendente turning point nella narrazione di Lobina (“Chiudi le paure / Dentro a quella stanza / Balla a piedi nudi sui dolori e non pensarci / Puoi lasciare andare / Tutti quei ricordi / E ti sentirai leggera come non sei stata mai”), prima di fermarsi infine, con l’ultima canzone “Caos”, a guardare con la giusta prudenza la lunga strada che ancora resta da percorrere (“Ancora no non mi conosco / E prendo treni, prendo aerei per cercarmi / E a volte mi trovo in uno specchio / A volte in un libro che ancora non ho letto”).

Il sound di “Clorofilla” è il risultato dell’incontro di Lobina con il produttore Simone Carbone, che in perfetta sintonia con l’autrice inserisce elementi elettronici (synth, tastiere, drum machine) ad accompagnare le melodie limpide e cristalline della sua voce.

01. PRECIPITARE
02. MOLECOLE
03. DISTANZE
04. LEGGERA feat. MARCELLO (ECE)
05. CAOS

 

Produzione: Simone Carbone @ Soundshape Studio – Genova
“Leggera” feat. Marcello ECE (traccia n.3) è stata registrata e mixata da Fulvio Masini @ Unbox Productions @ BlackwaveStudio – Genova
Testi e musica: Lobina
Foto e video: Mattia Ciafardo

 

Lobina nasce a Genova nel gennaio del 1991. A 10 anni prende in mano una chitarra 12 corde da cui non si separerà più.

Partecipa a vari concorsi (terza classificata al Varigotti Festival 2015, seconda al Premio Max Parodi, finalista al Festival Lanterne Rock 2015, semifinalista alla V Edizione del Talent per autori “Genova per Voi”).

Uno spirito di ricerca la anima, lei cerca sé stessa, si trova. Nel 2015 vive un’esperienza che le cambia la vita, per sempre. Nasce così il singolo “Aliante” (2017), chiusura di un percorso, e allo stesso tempo inizio di uno nuovo. “L’unica cosa che non mi ha fatto precipitare è stata la musica” – racconta – “Lei è l’unica certezza che ho ed è l’unica cosa che trovo, nel mio disordine”.

Sempre nel 2017 incontra Fulvio Masini, chitarrista, producer, videomaker, col quale imbocca una nuova via musicale. Alla chitarra aggiunge tastiere, synth ed effetti sulla voce.

A novembre 2017 pubblica il videoclip di “Aliante”, a maggio 2018 il secondo singolo “Distanze”.

Nel 2018, insieme all’amica e collega Jess crea #semprepiupoveritour, un format itinerante grazie al quale le due giovani cantautrici portano in giro per l’Italia i loro progetti musicali.

Nel 2019 incontra Simone Carbone, producer e sound engineer col quale nasce la sintonia che cercava per dedicarsi finalmente al suo primo EP.

“Clorofilla” rappresenta una fase della sua vita dove alcuni eventi l’hanno portata a provare un dolore così forte da non riuscire per molto tempo a guardarsi allo specchio, ma soprattutto rappresenta la sua voglia di rinascere e riprendere a respirare, per scoprirsi una donna nuova.

The Winstons ft. Mick Harvey “A Man Happier Than You”

Paesaggio lacustre accompagnato da una chitarra malinconica.

Bianco e nero, occhi neri che si alternano a luminosissime luci al neon.

Così inizia il viaggio del videoclip di A Man Happier Than You, brano contenuto in Smith (2019) de The Winstons accompagnati dal magico Mick Harvey (Nick Cave and the Bad Seeds).

Il brano è il risultato di un lavoro corale, impegnativo e “internazionale” (è stato registrato tra Londra, Milano e Melbourne) e a causa della pandemia anche il videoclip è stato filmato e assemblato “a distanza”, che è il tema chiave della canzone.

Due persone che dopo anni di lontananza si ritrovano a parlar delle loro vite, delle disavventure e delle gioie.

La nostalgia del testo, l’unione perfetta degli strumenti e con la splendida, calda, avvolgente voce di Mick Harvey che si sposa perfettamente con lo stile rock psichedelico del side project di alcuni membri degli Afterhours (Roberto Dell’Era aka Rob, Lino Gitto aka Linnon ed Enrico Gabrielli aka Enro) fa di questo brano un piccolo capolavoro.

Tre fratelli in pratica, cresciuti con una visione della musica molto vera, essenziale. Studiare suoni per evocare emozioni nell’ascoltatore, usare la voce e gli strumenti per riportare a galla sentimenti che credevamo perduti, sommersi nell’indifferenza della quotidianità.

Sul finire del videoclip il paesaggio diventa viola, ne segue un monologo sulla felicità da accapponare la pelle.

Consigliabile ascoltarlo con le cuffie, di sera, sdraiati al fresco a rimuginare su vecchie (e nuove) ferite.

 

 

The Winstons ft. Mick Harvey

A Man Happier Than You

TARMAC / Rokovoco / Sony Music

 

Marta Annesi

1DAN e la necessità di non inseguire le classifiche a tutti i costi

1DAN è un artista in grado di far confluire nei suoi pezzi le innumerevoli influenze sonore assorbite nel corso del tempo, e il nuovo singolo Magica, pubblicato il 28 maggio scorso ne è la conferma. Alcuni mesi fa ha fatto il suo debutto sulla scena con Super, pezzo che già metteva in risalto una singolare commistione di pop, elettronica, soul e trap, dal risultato efficace e sorprendente. Ora Antonio Giordano, questo il suo nome di battesimo, è tornato con una traccia ancora più definita e curata dal punto di vista produttivo, personale e intrisa di emozioni, frutto di una serie di riflessioni su alcuni momenti cruciali della sua vita. 

Nato in Campania ma di base a Milano da qualche anno, la città è risultata decisiva per la sua crescita cantautorale, grazie agli stimoli ricevuti che lo hanno convinto a perseguire i suoi sogni con determinazione e consapevolezza. In attesa di osservare come potrà evolversi in futuro il suo percorso, abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con lui per scoprire qualcosa in più su Magica. Ecco cosa ci ha raccontato.

 

Raccontaci un po’ qualche retroscena sulla nascita di questo pezzo. 

“Questo pezzo è nato esattamente un anno fa, in quel momento ero un po’ perso, sentivo di non riuscire a capirmi, non mi accettavo. Il “viaggio nel tempo” di cui parlo nel testo ha un duplice scopo: riconquistare una storia importante e ritrovare me stesso. Fortunatamente sono riuscito soltanto in uno dei due scopi.”

 

Il testo parla di una relazione conclusa con tutto ciò che ne consegue, quanto c’è di personale e quanto di romanzato? 

“Di solito cerco di romanzare poco perché non voglio che una storia venga percepita in maniera sbagliata. Questo pezzo è tanto personale, molto più di Super — il mio primo singolo — e credo che sia molto evidente in alcune frasi. Quando l’ho scritto le parole sono scivolate fuori da sole, senza che ci pensassi troppo ed è questa la parte che preferisco del brano: la spontaneità.”

 

Il sound è molto elettronico e curato, come hai lavorato in fase di produzione? 

“Ormai ho una sorta di pattern che seguo sempre per la produzione di un brano: inizialmente compongo un giro di piano con un suono che mi piace, aggiungo un beat e lo metto in loop finché non ho un primo mood a livello melodico. Conclusa questa fase, penso a raffinare le varie sezioni della canzone con bassi, suoni e plug-in vari, finché non rimango soddisfatto della struttura finale. Questa volta è stato fondamentale anche il contributo di Davide Foti, che ha alzato l’asticella con il suo lavoro di mix e master.”

 

È il tuo secondo singolo dopo “Super” pubblicato qualche mese fa, come valuti il nostro panorama musicale ora che ne fai parte da “insider”?

“Il contenuto dei brani sembra sia un optional ormai e lo scopo principale di un pezzo è di azzeccare il ritornello, anziché trasmettere qualcosa di reale e sincero. Tutto ciò porta a una corsa agli streams e alle classifiche che trovo imbarazzante, i numeri alimentano la popolarità e non la qualità musicale. In ogni caso, calo la testa perché conosco poco questo mondo ma, per quello che ho visto e percepito finora, credo quasi di odiarlo. Nonostante ciò non posso fare a meno di continuare a scrivere canzoni e sperare in un cambiamento il prima possibile.”

 

Ripercorrendo il tuo percorso, come ti sei avvicinato alla musica? Che esigenza ti ha spinto a scrivere? 

“Credo che mio fratello sia stata la mia maggior fonte d’ispirazione da ragazzino. Lui era il classico figo della scuola, amato da tutti — comprese le mie compagne di classe — e i suoi amici suonavano in gruppi pop/punk e ska. Vederli suonare dal vivo con gli occhi di un liceale, ha acceso qualcosa in me che per fortuna non si è ancora spento.”

 

C’è qualche ascolto che ti ha influenzato particolarmente e che ti sentiresti di consigliarci? 

“Non penso mai: “questo pezzo voglio che suoni come Flume”, perché vorrei provare a creare qualcosa di nuovo o almeno riconoscibile. Nonostante ciò sono sempre pronto a consigliare nuova musica e credo che gli ultimi album di Dua Lipa e The Weeknd siano incredibili, contornati da un’estetica pazzesca: non ascoltarli sarebbe un torto al buon senso.”

 

Svelaci un segreto dell’artwork: come mai proprio il delfino in copertina? 

“Non mi considero un appassionato di fotografia, ma sono solito portarmi una macchina analogica durante le mie vacanze o weekend fuori porta. L’immagine scattata dei delfini è una foto che ho fatto all’acquario di Genova quest’anno, mentre si esibivano in una danza che saprei definire soltanto “magica”. Il lavoro di Attico36, il grafico con cui ho lavorato, ha poi portato tutto a un livello superiore, creando un vero e proprio mood.”

 

Stai lavorando a qualcosa anche dal punto di vista video? 

“Assolutamente si, il video uscirà questo mese e sarà una vera e propria figata.” 

 

Sicuramente non è un periodo semplice per chi fa musica, dal tuo punto di vista come valuti le nuove forme di interazione a distanza, ovvero i concerti in streaming ed eventi simili? Credi che possano avere un impatto sul futuro dei live? 

“Credo che la comunità mondiale si sia mossa in maniera impeccabile in tutti i campi e sia riuscita a restare a galla nonostante il periodo non lo consentisse. Non sono un grande fan dei concerti in streaming e dubito che saranno riproposti in futuro — le vibes non sono le stesse — ma da appassionato di videogiochi, trovo che il concerto su Fortnite di Travis Scott sia stata una delle trovate più geniali di sempre.”

 

Filippo Duò

Muzz “Muzz” (Matador Records, 2020)

Cosa succede quando un Paul Banks particolarmente ispirato si riunisce, con l’aiuto di Matt Barrick (batterista di The Walkmen e Fleet Foxes), con il suo amico di vecchia data Josh Kaufman? Nascono i Muzz.

Con questa premessa, abbiamo ascoltato l’omonimo album di esordio Muzz uscito per Matador Records e il primo pensiero è stato “questi tre suonano come Interpol e The National messi insieme”, ma senza le atmosfere cupe dei primi né la malinconia novembrina dei secondi. Coincidenze? Direi proprio di no, dato che degli Interpol c’è l’inconfondibile voce, Banks, e dei National c’è un compositore e arrangiatore, Kaufman. E poi c’è Barrick, che ci mette del suo con una battuta rarefatta qua e là in attacco a Bad Feeling o creando eleganti atmosfere da oscuro club jazz in How Many Days.

Nonostante sia particolarmente evidente individuare i gruppi di appartenenza o le affiliazioni precedenti dei nostri tre, quello che non è affatto prevedibile è il risultato di questa collaborazione: stili e retaggi ci sono, ma sono solo il trampolino di lancio per un disco che ha un’anima e un’identità tutta sua.

L’apertura è affidata a Bad Feeling, anche singolo, che entra in punta di piedi, quasi parlando, e sfoggia un finale in crescendo di ottoni molto National. Con questa premessa, si scivola in Evergreen, un gioco di echi e atmosfere languide dal sapore vagamente War on Drugs per poi tornare ai National con Red Western Sky.

Da qui l’album prende una direzione particolarmente cinematica e si stacca da riferimenti noti per definire l’identità propria del gruppo: un’infilata di brani che, chiudendo gli occhi, liberano l’immaginazione dell’ascoltatore portandolo da un film in bianco e nero (Patchouli) ad una danza avvolgente in una piazza di paese assolata (Everything Like It Used To Be).

Ascoltare questo album è come assaggiare lo sciroppo di Mary Poppins: ad ogni cucchiaio senti il sapore che ti piace più sentire in quel momento, ti lasci andare alle immagini che i brani evocano, senza un filo conduttore preciso ma tutti accomunati da un’elegante raffinatezza compositiva e stilistica.

Il cuore dell’album lo troviamo in due pezzi ugualmente evocativi e contrapposti: Broken Tambourine, con la sua intro di piano tranquilla, dolce, il cinguettio degli uccellini, è una canzone che sa di cielo lilla del tramonto, un patio, probabilmente un dondolo che guarda al viale alberato che porta all’ingresso di una casa del Sud degli Stati Uniti e richiama atmosfere da film degli anni ’50.
Di tutt’altra pasta è invece la galoppata di Knucleduster: un tiro irresistibile, la voce di Banks, capace di una dolcezza che si può notare raramente con gli Interpol, si apre come uno squarcio di sole tra le nuvole dando all’ascoltatore un senso di speranza.

Se Chubby Checker è un pezzo rarefatto e senza fronzoli, How Many Days si distingue, oltre che per gli arrangiamenti tendenti all’improvvisazione jazz già menzionati, per il calore seducente del cantato, come cachemire che scivola sulla pelle.

La chiusura dell’album è una tripletta di brani ben costruita: si inizia con Summer Love eterea e stratificata, malinconicamente inesorabile come le ombre che a fine estate si allungano sempre di più e baciano fredde la pelle abbronzata.
Si prosegue con All Is Dead To Me che riscalda l’atmosfera con l’uso profuso degli ottoni e creando dissonanze melodiche. Si giunge infine a Trinidad: il corno, una canzone crepuscolare, una ninna nanna, un commiato gentile.

Alla fine dei 43 minuti di ascolto l’album di esordio dei Muzz ci ha presi per mano e portati in quel posto dell’immaginazione dove la musica proietta film sul retro delle nostre retine, un posto sicuro fatto di melodie che riecheggiano una bellezza assodata e al contempo ci hanno fatto scoprire nuove sonorità che solo l’incontro tra tre artisti così ben assortiti come Banks, Kaufman e Barrick poteva generare.

 

Muzz

Muzz

Matador Records

 

Francesca Garattoni

 

Endrigo “Anni Verdi”

Tre amici e la passione per la musica che dalla cantina di casa li ha portati a suonare per le feste di paese fino ad arrivare su palchi importanti. 

Si sono meritati il loro spazio nelle band alt rock italiane grazie alla malinconia che solo la voce delicata e grintosa di Gabriele Tura sa esprimere, al talento con chitarra, basso e tastiere di Matteo Tura e l’energia di Ludovico Gandellini alla batteria.

Il nuovo disco è anticipato dai singoli Infernino (affiancati dai Bologna Violenta), Smettere di Fumare e l’ultimo uscito Anni Verdi. 

Nonostante il titolo possa far pensare ad una rievocazione del passato, un racconto di una gioventù tra palchi, banconi del bar e casini, non è così. Come spiega Gabriele, questo pezzo è ambientato ai giorni nostri, nel presente. Rappresenta la vita passata un po’ allo sbando, tra concerti, interviste, birre. Sicuramente affascinante, ma col rischio di rimanere incastrati nell’adolescenza e di dover combatte per diventare adulti, per dimostrare a tutti di esser cresciuti, migliorati.

E puntualmente si ricade negli anni verdi, nelle sbronze e nelle cazzate.

Una nostalgica ballata alternative rock che esplode in un’accorata promessa.

È un lungo sabato sera, coi post sbronza, stanze di alberghi, gli imprevisti, le fan, le emozioni che solo il palco può regalare. Un trucchetto per sfuggire alla routine della vita “da grande”. Il lavoro, la famiglia, i rapporti imposti, le responsabilità vengono messi da parte, e per quella serata (o tour) esiste solo la musica; suonarla e farla vivere. 

Uno scambio di energie in eccesso. Loro esprimono, noi percepiamo, contraccambiamo e restituiamo. Benefici per entrambi le parti e s’abbracciamo. 

 

 

 

Endrigo

Anni Verdi

Garrincha Dischi / Manita Dischi

 

Marta Annesi