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Mese: Gennaio 2022

BRING ME THE HORIZON + A DAY TO REMEMBER: Il Concerto Di Milano Spostato Al 11 Febbraio 2023

Comunichiamo che, per motivi logistici legati allo stato emergenziale, il Survival Horror European Tour di Bring Me The Horizon + A Day To Remember + Poorstacy è posticipato al 2023.

Di seguito i dettagli della nuova data italiana inizialmente prevista per il 12 febbraio 2022 al Mediolanum Forum di Milano.

BRING ME THE HORIZON + A DAY TO REMEMBER + POORSTACY
Survival Horror European Tour
11 Febbraio 2023 – MILANO – Mediolanum Forum

I biglietti precedentemente acquistati restano validi per la nuova data.
Biglietti in vendita da questo link > https://bit.ly/bmth2022

Di seguito la dichiarazione della band:  ‘Sfortunatamente a causa del perdurare dell’emergenza covid in Europa, il nostro tour programmato per Febbraio 2022 verrà posticipato. Vogliamo farvi vivere la vera ‘Post Human experience’ senza posticipare ulteriormente ma dobbiamo farlo in totale sicurezza.  Ci vediamo presto’

Cat Power “Covers” (Domino, 2022)

Un dubbio mi attanaglia, una domanda sta segnando in maniera profonda questo primo spicchio di 2022: come ci si approccia ad un disco di cover? Con quale spirito lo si deve ascoltare? E dovendo scriverne, con quale metodo lo si deve “analizzare”?
Perchè la fate facile voi, vi vedo, premi play, lo ascolti, di qualche pezzo conosci l’originale, di molti altri no, però alla fine la voce è caratteristica, c’è il taglio personale, bla bla bla.

No, così no.

Questa volta, non so per quale motivo, mi pare necessario non dico rispondere ai quesiti di cui sopra, ma quantomeno por(me)li.

Ho da sempre un rapporto travagliato coi dischi di cover, quelli interamente di cover intendo, forse perchè gli ultimi che avevo ascoltato, a memoria, non mi avevano mai entusiasmato. E non dirò quali.

Alla soglia dei cinquant’anni Chan Marshall ha pubblicato il suo undicesimo disco, il terzo di cover, intitolato enigmaticamente Covers. 

I primi due episodi (posti all’interno di una discografia clamorosa per almeno i primi sei episodi, poi qualcosa è cambiato ma non divaghiamo) risalgono al 2000 e al 2008: The Covers Record è un disco splendido nel quale Cat Power era in piena modalità Re Mida, quando qualsiasi cosa facesse o toccasse diventava oro. Il successivo Jukebox mi aveva convinto e coinvolto di meno, probabilmente, anzi sicuramente perchè inserito nel periodo, inaugurato con The Greatest, che aveva portato l’artista di Atlanta dagli esordi indie rock e molto altro verso territori maggiormente soul-oriented.

E va da sé che questo Covers non si discosta di molto dalla strada intrapresa: arrangiamenti raffinati e misurati, scelte coraggiose e talvolta decisamente riuscite (una su tutte l’apertura con Frank Ocean e la sua Bad Religion) o la sospesa A Pair Of Brown Eyes dei Pogues. Meno centrata quando mette mano al Nick Cave di I Had a Dream, Joe o ancora a quel miracolo chiamato Nico e alla sua magnifica These Days, privata degli archi, leggermente rallentata, per un risultato che non rende onore né all’originale né a Cat stessa.

Per assurdo il disco funziona di più negli episodi che meno sembrerebbero avvicinarsi alle corde della nostra, come in Pa Pa Power o alla Lana Del Ray di White Mustang, quella che pare ormai essere la sua comfort zone.

Alla fine devo far pace con me stesso e autoconvincermi che è ingiusto e probabilmente altrettanto limitante sperare e augurarsi che qualcuno rimanga sempre fedele e uguale a se stesso. Questo è. 

Per tornare alle domande iniziali quindi, se prendiamo questo Covers come l’undicesimo disco di Cat Power possiamo tranquillamente inserirlo nel solco della continuità e del sentiero intrapreso, un disco che nulla toglie e nulla aggiunge ad una discografia che si mantiene ancora molto più che eccellente; spulciando invece un po’ più nel dettaglio, brano per brano, ci sono degli inciampi che si potevano evitare, che fanno da contraltare ad episodi che ci ricordano che siamo pur sempre al cospetto di una delle più grandi cantautrici degli ultimi trent’anni, qui alle prese con un disco che nulla toglie e nulla aggiunge ad una discografia che si mantiene ancora molto più che eccellente. 

Qualora il concetto non fosse ancora chiaro.

Intanto vado a mettermi su What Would The Community Think.

 

Cat Power

Covers

Domino

 

Alberto Adustini

Fickle Friends “Are We Gonna Be Alright?” (Cooking Vinyl, 2022)

Basta una scintilla

A quattro anni dall’album di debutto You Are Someone Else – finito subito nella TOP 10 dell’Official Albums Chart – e a poco più di un anno dai due EP della serie Weird Years, i Fickle Friends tornano con il nuovo Are We Gonna Be Alright? per Cooking Vinyl. Natassja Shiner (voce e tastiere), Harry Herrington (basso e voce), Sam Morris (batteria) e Jack Wilson (tastiere) creano un album super pop che raccoglie dodici pezzi dal groove unico. 

Protagonisti i sintetizzatori, le chitarre frenetiche, incisive e i ritmi serrati. L’album trasmette tutte le sensazioni che abbiamo vissuto e sperimentato sulle montagne russe di questi due anni di pandemia: amore, tristezza, voglia di leggerezza, disperazione, desiderio di tornare a vivere nella nostra realtà. 

Are We Gonna Be Alright? è lo specchio e allo stesso tempo la reazione a tutto ciò. È quello che fa la musica: ci aiuta a capire, a vedere con occhi diversi, a processare.

Il primo brano è una dichiarazione d’amore: Love You To Death. Un pezzo che, grazie alla sua semplicità, permette alla chitarra e alle voci di giocare incessantemente, trasportandoci, rendendo impossibile il distacco del corpo. La stessa voglia di ballare che trasmette Alone, un tormentone! Una di quelle canzoni che ti vien voglia di sentire a ripetizione. “Everybody, everyone, ain’t nobody going home, ‘cause I don’t wanna be alone”! Spensieratezza e divertimento genuino. I Fickle Friends ci ricordano che basta davvero poco per stare bene, basta la socialità. E proprio Glow è un incoraggiamento a non dare per scontate quelle persone che ci fanno felici, che ci rammentano quanto possiamo essere raggianti, brillanti. Vanno celebrate, vissute, ringraziate: “You’re not a therapist but I don’t care you’re much better than that”.

In tutto il lavoro dei Fickle Friends si alternano vibrazioni positive e propositive a emozioni malinconiche, angosciate. Yeah Yeah Yeah è il brano musicalmente più pesante dell’album, è una bomba electro rock. Un pezzo che manifesta la disperazione e la pazzia da cui veniamo catturati nelle giornate che sembrano senza fine e senza scopo. Il tempo è già passato e “what have I done?”. Una sensazione comune racchiusa nell’incredibile Not Okay, un manifesto di questo periodo, un brano che ci colpisce, ci inquieta, poi ci abbraccia e rassicura.

Il disco si conclude con una tormentata Are We Gonna Be Alright? Il brano grida la paura che tutto ciò che stiamo vivendo sia impossibile da superare, che questa esperienza non ci riconduca a una vita sociale. Are We Gonna Be Alright? urla il terrore che la lontananza spenga il nostro fuoco.

Ed è vero, la pandemia ci ha soffocato, ci ha negato l’arte e la sua espressione dal vivo ma non ha estinto la fiamma degli artisti e di chi ama la musica. 

Quindi vale la pena ricordare un fondamento: basta una scintilla per farci ardere di nuovo!

 

Fickle Friends

Are We Gonna Be Alright?

Cooking Vinyl

 

Cecilia Guerra

Cara Calma “GOSSIP!” (Piuma Dischi, 2022)

Quando i Cara Calma hanno annunciato sui canali social il titolo del loro nuovo album, GOSSIP!, ricordo di aver pensato con una buona dose di pregiudizi: “ma cosa c’entrano i gossip con il rock”?

Ma la realtà è che il terzo lavoro in studio della band bresciana sembra quasi una lettera di confessione messa in musica, una confessione che non si ha paura a fare ad alta voce. Infatti, l’idea che emerge da queste dieci tracce è proprio una necessità di liberarsi di alcuni pensieri che invece prima venivano celati e vissuti come un peso. 

Un fil rouge che parte dal “ti dico che va tutto bene, anche se cado a pezzi” di Altalene – primo singolo pubblicato ad aprile 2021 – e che prosegue con continuità, sintetizzandosi bene nel “Ci apriremo e sarà come la prima volta / come se spostassimo l’oceano sulla terra” di Figli senza nome.  La stessa immagine che si delinea dal titolo della prima canzone, Balla sui tetti, evoca proprio una sensazione di libertà, di peso da lasciare andare. 

L’ascoltatore diventa quindi un confidente, un amico che si siede accanto a te e accoglie la tua rabbia e la tua stanchezza, frutto talvolta della cultura del dover essere qualcuno di importante a tutti i costi, anche a scapito di alcuni, agognati e liberatori, attimi di mediocrità e sconfitta, come quelli protagonisti soprattutto di Una Festa.

Lo stile invece resta lo stesso con cui abbiamo imparato a conoscere e apprezzare la band e che li inserisce a pieno titolo nella scena rock contemporanea nostrana, anche se è sempre piacevole scoprire come siano in grado di uscire dalla “comfort zone” dei chitarroni. Non è la prima volta infatti che i Cara Calma si lanciano in pezzi anche musicalmente più introspettivi: lo avevano già fatto con Qualcosa di importante (ft. Ambramarie) nel loro album d’esordio Sulle punte per sembrare grandi e già allora era chiaro che sapevano caricarci ed emozionarci contemporaneamente. 

Questa volta l’introspezione è affidata a Kernel – termine che indica il nucleo di un sistema operativo e a mio avviso è anche un po’ il cuore dell’intero disco (nonché probabilmente il suo pezzo forte). È un brano che si discosta parecchio dai precedenti, dove il pianoforte si prende il suo spazio e accompagna una voce a tratti supplichevole e bisognosa di aiuto. La parte strumentale, con il suo climax, si adatta alla perfezione a questa che è, tra le altre cose, forse la traccia più buia del disco. 

“The darkest before the dawn” direbbero gli inglesi, e non a caso è la penultima canzone dell’album. Compare proprio prima della coda, che s’intitola Dedica – necessaria alla fine di ogni lettera che si rispetti – ed è invece un ringraziamento non solo a noi, gli ascoltatori di questa confessione, ma anche alla musica, che allo stesso diventa tempo croce e salvezza.

 

Cara Calma

GOSSIP!

Piuma Dischi

 

Francesca Di Salvatore

Tre Domande a: Marcello Capozzi

Come e quando è nato questo progetto?

Nel 2012 scrissi la musica del brano Offshore, che dà il titolo all’album. Il testo arrivò lentamente, credo tra il 2013 e il 2014. Una volta conclusa la composizione (e mentre venivano fuori altre idee in parallelo), compresi col tempo che il brano avrebbe rappresentato il fondamento filosofico di un nuovo progetto discografico: andava coordinato un intero album intorno a quella canzone. Nel frattempo, intravedevo l’orizzonte della migrazione e tanti stimoli andarono a mescolarsi: un certo desiderio di abbracciare ampie prospettive, uno sconfinato attraversamento del nostro tempo verso l’oltre, partendo da un contesto iniziale di miseria. Veder muovere simultaneamente macrocosmo e microcoscmo come in un unico gesto, essere dentro al tempo e fuori dal tempo. Londra divenne a quel punto centrale per mettere in scena il racconto di una storia legata a un unico personaggio in transizione nel Regno Unito, nel suo personale percorso verso l’universale.

 

Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

L’album Offshore ha mediamente arrangiamenti molti ricchi e dettagliati. Ma a un certo punto accade che, dopo il percorso ascensionale sviluppato a partire dalla prima stagione, con il folk oscuro di Mors Tua si torna a muoversi ad altezza uomo. Il brano è il racconto del momento in cui il personaggio protagonista della storia si imbatte in circostanze legate al terrorismo internazionale: l’atmosfera da western urbano si addice al contesto in cui si narra del fatale incrocio di sguardi tra due uomini separati da un’arma da fuoco. La timbrica vocale è più carica rispetto ai brani precedenti del disco, a voler interpretare la maturazione del personaggio protagonista, in un percorso dilatato nel tempo. Essendo un brano arrangiato in maniera scarna intorno al mio temperamento espressivo (con molti meno elementi affastellati in stereofonia rispetto alla maggior parte degli altri brani dell’album), inevitabilmente finisce anche per rappresentarmi da vicino come interprete musicale.

 

Progetti futuri?

Smontare il set immaginario di Offshore, toglierlo da Londra e portarlo dalle parti del Nord Africa: “Certo le circostanze non sono favorevoli / E quando mai” (come cantavano i PGR). Anche questo, non sarà un progetto di facile realizzazione.

 

Tre Domande a: Andrea Cappi Multibox

Come e quando è nato questo progetto?

Questo è progetto è nato e cresciuto in tempi molto rapidi. Con le prime restrizioni legate all’aumento di contagio da Covid, nel Marzo 2020 mi sono ritrovato improvvisamente con tanto tempo libero. Ho cercato di gestire e organizzare al meglio le mie giornate concentrandomi sullo studio dello strumento, l’ascolto e la composizione. Ho voluto dare vita a un progetto che assimilasse l’esperienza e le intenzioni musicali del mio trio Flown, con cui ho inciso un disco omonimo nel 2018, e aggiungesse del nuovo materiale proveniente da mondi musicali diversi e strategie compositive per me inconsuete. Ho cercato di realizzare tutto in poco tempo così da “cavalcare l’onda” di quella particolare situazione in cui mi trovavo, anche per non disperdere le idee e far si che tutti i brani avessero una matrice e un metodo comune. Subito dopo è avvenuta la scelta dei musicisti, con i quali avevo già collaborato e collaboro tutt’ora in altri progetti.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui vi ispirate per i vostri pezzi?

Gli artisti che hanno influenzato la musica dell’album Eleven Tokens vengono da ambienti musicali diversi e sono frutto di ascolti assimilati negli anni. Alcuni di questi sono molto lontani musicalmente dal progetto Multibox ma hanno in qualche modo fornito elementi e spunti concettuali. È sempre difficile fare un elenco perché molte influenze sono implicite e frutto di assimilazioni durate anni, ma posso dire che, almeno negli ultimi tempi, ho ascoltato molto i seguenti artisti: Phronesis, Donny McCaslin, Now vs Now, David Binney, Craig Taborn, Kendrick Scott Oracle, Aaron Parks, Kneebody, Mark Guiliana, Pericopes (progetto di cui fa parte il nostro sassofonista Emiliano Vernizzi)… anche influenze dall’elettronica come Hudson Mohawke, Binkbeats, Flying Lotus, Apparat, Aphex Twin per fare qualche nome.

 

Progetti futuri?

L’obiettivo primario è quello di portare in giro il più possibile il nostro album d’esordio Eleven Tokens che uscirà per l’etichetta Emme Record Label a Gennaio 2022. Abbiamo in calendario alcuni concerti ad inizio anno all’interno di rassegne/festival nel nord Italia e speriamo di aggiungerne altri. Poi stiamo cercando di organizzare qualcosa anche all’estero, in ambito europeo, magari durante la prossima estate.
Sempre in estate ci piacerebbe registrare qualche concerto dal vivo ma dobbiamo ancora scegliere dove e in quali modalità.
Poi ci sono alcune idee in cantiere per il secondo album che speriamo di registrare a fine 2022.
La nostra speranza ovviamente è che tutti questi progetti risentano il meno possibile della pandemia.

 

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