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Counting Crows @ Tuscany Hall

Counting Crows @ Tuscany Hall

| Alma Marlia

Firenze, 6 Ottobre 2022

 

Posso solo dire che finalmente si ricomincia! Con la stagione estiva appena finita costellata di tanti concerti di artisti nostrani e internazionali, ecco che, dopo due anni di difficoltà e incertezze la stagione autunno/inverno si offre al pubblico con un panorama fatto di mille tentazioni, dove scena è divisa tra chi inizia il suo tour ora e chi recupera le date saltate a causa della pandemia: i Counting Crows sono tra questi. Mantenuto fede al numero 6 della data saltata di aprile, forse per caso o forse per scaramanzia, ieri la band americana ha fatto vibrare il palco e l’audience al Tuscany Hall di Firenze per la seconda tappa italiana del tour che segue l’uscita del loro ultimo progetto Butter Miracle: Suite One. Il Tuscany Hall ci ha accolto nella sala buia che faceva risaltare le luci sul palco che giocavano tra il fucsia e il viola, colore simbolo della città, ed era talmente fremente di iniziare che mentre buona parte del pubblico stava ancora entrando, David Keenan già stava suonando sul palco accompagnato dalla sola chitarra acustica. Cantautore irlandese di Dundalk passato dall’adolescenza da busker di Liverpool al successo internazionale di A Beginner’s Guide to Bravery che Keenan cantava con la sua voce pulita mentre il pubblico riempiva la platea sedendosi sulle poltroncine preparate per la serata. 

Chiedersi se quelle poltroncine erano lì per farci stare comodi o perché si aspettavano un pubblico di età avanza è stato un attimo, perché il cambio palco tra Keenan e gli attesissimi Counting Crows non ha richiesto molto tempo. Tutta la band è entrata senza divismi e fragori, salutando il pubblico come si salutano gli amici quando ci ritroviamo per quattro chiacchiere e una bevuta. Adam Duritz ha da tempo abbandonato i capelli lunghi, il look appare più sobrio e casual, ma poi sulla maglietta nera trionfa una bella banana wharoliana, a ricordarci che si può crescere senza annullare il nostro spirito. La serata inizia con Speedway, tratto dall’album This Desert Life del 1999, sulla band il passare del tempo lo vedi da qualche segno in più sul volto e i capelli bianchi e grigi che si alternano su barbe e capelli, ma la loro voglia di suonare, stare bene e soprattutto farci stare bene  cancellano in un attimo qualsiasi malinconia del tempo che passa, e l’aria si riempie talmente tanto di emozioni che già alle prime note di Mr Jones una parte del pubblico si è alzata in piedi, rimanendo ai margini della sala per esprimere con il corpo quelle sensazioni che la canzone fa provare. La voce di Duritz non tradisce il timbro a cui eravamo abituati, e improvvisamente il passato diventa presente e le serate passate con amici e primi amori, cocenti delusioni, sogni nei cassetti, a bere le prime birre e a reggere qualche sbronza tornano alla mente grazie a quella che era stata la loro colonna sonora. Non sai se quello è un successo irripetibile oppure sono i momenti di quella giovinezza che sono irripetibili, ma non importa capirlo, la cosa importante è lasciarsi nuovamente prendere dall’emozione di quella canzone. La serata continua tra vecchi e nuovi successi, tra cui Elevator Boots e Bobby And The Rat-Kings che vengono interpretate dalla band con potenza e dinamicità, e il rock ringrazia, mentre le storie cantate da Duritz sono vere e proprie narrazioni quasi cinematografiche, tanto i dettagli sono precisi e vivi.  Anche Hard Candy ci regala ritmo serrato e voglia di ballare, ma lascia poi il posto all’attacco in acustica di David Bryson per un’atmosfera sospesa ed intima dove tutti gli altri strumenti seguono da vero gruppo, in contrasto con una canzone che parla della solitudine di chi sceglie la strada dell’arte, che spesso ti porta lontano da chi ami. Il pubblico è diviso tra chi pende dalle loro note e le labbra di Duritz e chi quelle labbra le muove per vivere ancora più intensamente il concerto, soprattutto quando il solo pianoforte di Gillingham apre Colorblind e noi tutti galleggiamo con leggerezza nella malinconia di un suono che culla le parole e il vuoto è reso magnifico dalla musica. La fine è uno scroscio di applausi gli stessi che più tardi accolgono Rain King e la batteria potente di Bogios che, come un martello, vuole farci saltare sugli attenti, ma inutilmente perché ormai gran parte del pubblico è già in piedi, le poltroncine sono ormai troppo strette per chi un concerto lo vuole vivere come un concerto comanda, in piedi in segno di rispetto, attenzione e partecipazione per chi quelle emozioni ce le fa vivere. Da lì è invasione di campo, tutti gli spazi vuoti si riempiono di persone, sotto il palco non c’è più posto, i musicisti sono felici, si muovono ancora più di prima, mentre Powers dall’alto del suo basso fa una foto a questo che non è più un concerto, ma una festa di voci, mani e teste. Siamo tutti felici, e ci vuole, e questa felicità ci vuole, ora più che mai. 

Il concerto si chiude con la romantica A Long December che ci prepara a un bis che non si fa attendere molto. Holiday in Spain è la chiusura reale della serata, il saluto di una band con una storia che tutti vorrebbero vivere, fatta di un successo internazionale grazie ad alcuni singoli e la profondità dei testi di Duritz, oltre a delle sonorità che si incastravano nella tua vita per non lasciarle più. Un rock americano di chitarre ruggenti e momenti di intimi di riflessione di un amico davanti a una birra, o quello che preferite. Una serata fatta di sonorità grintose, ma anche evocative, forti eppure delicate, un insieme di stimoli pronti a diventare sentimenti opposti tra loro, pieni di contrasto, ma che proprio per questo, non ti lasciano andare via, e quando le luci si spengono, quelle canzoni dentro di te rimangono accese. 

 

Alma Marlia

 

foto di copertina (Roma) Simone Asciutti