Torino, 11 Luglio 2023
L’ultima serata della rassegna T!LT, Turin is Louder Today, è stato un appuntamento storico. Per festeggiare i quarant’anni di carriera sono saliti sul palco dello sPAZIO211 i Melvins, storica formazione proveniente dai sobborghi di Seattle e che al grunge ha mostrato giusto le accordature ribassate di King Buzzo, vero trademark della musica di lassù, parola di Soundgarden e tante grazie anche da parte di Nirvana e Mudhoney. Vere e proprie icone viventi, testimoni di un approccio alla musica fatto di tecnica, sperimentazione, inquieta ispirazione.
Era il 1983 quando Roger “Buzz” Osborne, Mike Dillard e Matt Lukin (quel Lukin che ospitava Vedder in fuga) fondavano i Melvins. Da allora un numero imprecisato di artisti si è alternato sul palco e in studio. Presenti nel primigenio Deep Six, raccolta che presentò al mondo Soundgarden e Green River, tra gli altri, spalla dei Nirvana in tour, prodotti da Mike Patton, che spesso li ha voluti vicini ai suoi Mr.Bungle. Hanno collaborato con Jello Biafra, Pixies, Tool, Novoselic. E chiudo con le referenze.
Da parte loro i Melvins hanno esplorato ogni declinazione del metal, dell’alt-qualcosa, dello stoner, citando decine di fonti, dai Black Flag ai Black Sabbath, in rigoroso ordine alfabetico.
Ma procediamo con ordine.
I primi a salire sul palco sono stati i Treehorn, trio cuneese in bilico tra blues e stoner, affascinante prodotto delle polverose pianure della provincia Granda. Solidi, di mestiere e assolutamente a tema.
I Melvins si schierano con la seguente formazione: chitarra e voce Buzz Osborne, batteria per Dale Crover e al basso Steve McDonald. I nostri si presentano al pubblico sulle note di Take on Me degli A-ha, giusto per sdrammatizzare e far cantare tutti, da subito.
La chioma fluente di King Buzzo al lavoro è tra i tre fenomeni più ipnotici esistenti in natura. Ormai completamente bianca, quando viene colpita dalle luci illumina a giorno le prime tre fila e fa sanguinare gli occhi ai fotografi. Ma è anch’essa parte dello show, che è di una qualità altissima. I Melvins non sono solo rumore, non offrono uno stoner greve e tombale, ricordano più un Bach strafatto di peyote e che ha dimenticato la melatonina. Nello stesso pezzo si cambia tempo, accento, stile, genere, secolo e financo religione.
Non perdono un solo colpo, non una nota fuori posto. La setlist è composta da quindici brani da otto album (incisi una trentina, sia messo agli atti), ed è un menù completo, che sfama ogni appetito, comprendendo anche un omaggio ai Beatles, con una I Want to Hold Your Hand da applausi.
A quasi sessant’anni d’età King Buzzo e i suoi ci hanno regalato un concerto fatto di talento e mestiere. Un gruppo tecnicamente importante e che è stato seminale per buona parte degli artisti degli anni novanta.
Qualcuno a fine corsa si è lamentato della durata dell’esibizione, ma andrebbe loro ricordato che a volte è la qualità a battere la quantità.
Densi, duri e solidi per un’ora e un quarto di spettacolo, io sono uscito col sorriso.