Definire i Crack Cloud semplicemente un gruppo musicale, mi sembra alquanto riduttivo. Non solo perché la lista dei componenti sia attuali, che passati, che collaborativi, supera le venti persone; ma anche perché non si occupano solo di musica, ma sono un vero e proprio collettivo artistico a tutto tondo. Se pensi poi, che si sono trovati a maneggiare e produrre arte per aiutarsi a vicenda ad uscire dal mondo delle droghe e delle dipendenze, i testi prendono tutta una consapevolezza diversa.
Questo terzo disco chiamato Red Mile sembra sia anche il più maturo. Nel comunicato stampa viene definito “sia un tributo che un ritorno a casa”: dopo anni di peregrinazioni, infatti, i membri del gruppo sono tornati a Calgary, Canada, alla lunga distesa di terra conosciuta colloquialmente come la red mile. Ma cosa significa casa dopo un decennio di crescita sia personale che collettiva? Per Crack Cloud, questa è la domanda che viene esplorata in lungo e largo in questo album. Anche qui, rinchiuderli in un determinato genere è riduttivo, ogni brano è una continua sorpresa. Non mancano splendide sezioni di archi, chitarre psichedeliche, esplosioni di sax, cori e venature punk.
Ad esempio The Medium inizia con un testo incisivo e tagliente tipico del punk, addolcito successivamente dalla strofa intonata dalla voce soave ed onirica di Emma Acs, che sfocia quasi nel dream pop. Allo stesso modo il singolo che preannunciava l’album, Blue Kite, inizia con una batteria ritmata e giri di basso aggressivi per poi finire con una sezione di archi soffice e leggera. Con Lack of Lack, invece, si cambia ancora genere: un intro lungo e psichedelico, con una chitarra caledoiscopica e dai toni arabeggianti. La mia preferita però rimane I am (I was) che invece è una classica canzone art rock, con i coretti che ricordano un po’ i Talking Heads e un ritornello che ti rimane in testa.
Attraverso melodie giocose e soliloqui di chitarra, i Crack Cloud consegnano un disco di eccezionale profondità e calore. Gran parte dell’angoscia che conferiva ai loro primi lavori un’urgenza caustica è svanita, sostituita da un’introspezione sincera ma inesorabile. Gli otto brani contemplano ostacoli fisici e psichici, l’esperienza di crescere fuori dal caos, adattarsi a nuove e strane speranze e fare pace con la propria mitologia di gruppo. I testi sono taglienti ma misericordiosi, con una consapevolezza acuta ma senza mai compiacersi o commiserarsi.
Rimangono per me uno dei gruppi più peculiari che conosco, in grado di mescolare diversi generi in modo unico e impareggiabile. Quando premo play su un loro nuovo singolo so dove inizio ma non so mai dove andrò a finire, un viaggio inaspettato e davvero coinvolgente.