VEZ5_2024: Gianluca Maggi
Viviamo tempi incerti. Incerti e frenetici. Assorbiti da quotidianità sempre meno “a misura di persona”, oramai anche leggere un libro, ascoltare un disco, sta diventando un atto quasi elitario, per pochi. Anche noi della redazione di VEZ siamo presi dentro a questa gigantesca centrifuga, ma cerchiamo ancora, spesso a fatica, di ritagliarci del tempo per continuare a starci, in quella élite, e nutrirci di arte, in qualunque declinazione essa si presenti. E quindi eccoli qui i nostri 5 dischi del 2024 che ci hanno in qualche maniera aiutato a sentirci, anche per poco, più felici, migliori.
Mark Lanegan Band Bubblegum XX
Al primo posto non poteva che esserci lui. Al primo posto nella mia Top5, al primo posto nel mio cuore e anche al primo posto (e senza rivali) nella speciale classifica dello spazio occupato in casa da un artista, con un altarino composto da cd, vinili, bootleg, libri, plettri e scalette autografate che continua incessantemente ad espandersi con buona pace di mia mamma.
Al primo posto non poteva che esserci Bubblegum XX anche perché non si tratta di una semplice riedizione celebrativa, della classica operazione commerciale. Il cofanetto contiene le quindici tracce di vent’anni fa, rimasterizzate anche se non ce n’era alcun bisogno perché il disco originale aveva già un sound perfetto, il prodromico, acido e interessantissimo EP Here Comes That Weird Chill (già pubblicato in precedenza ma passato ingiustamente inosservato e da recuperare assolutamente) e una dozzina di pezzi inediti, tra cui demo, provini registrati in albergo con Troy Van Leeuwen e meraviglie finite inspiegabilmente nel cestino come Josephine.
L’arte può venire dall’anima o dal cervello e quella di Mark veniva dritta dall’anima. Un’anima incerottata, dannata e inzuppata nel whiskey (for the holy ghost). Per questo la sua era musica sincera, per questo è una fortuna poterne ascoltare di nuova a due anni dalla sua scomparsa, per questo Bubblegum XX è al primo posto della mia Top5.
Traccia da non perdere: Josephine
The Vaccines Pick-Up Full of Pink Carnations
Un mazzo di garofani lanciati sul sedile, una strada deserta vista attraverso il vetro di una macchina modernissima, il ciuffo del frontman/pilota riflesso nello specchietto retrovisore in copertina e qualche polaroid all’interno. Si presenta così il sesto disco de The Vaccines, un tentativo di opporsi all’inesorabile scorrere del tempo aggrappandosi al passato con la consapevolezza che alla fine si dovrà cedere perché, come scriveva Auden, “you cannot conquer time”.
Di conseguenza, le canzoni vivono un conflitto interiore e risultano al contempo retrò e nuove: l’impronta è chiaramente anni ’60 ma gli arrangiamenti ci catapultano ai giorni nostri grazie all’intervento dei sintetizzatori, piazzati strategicamente qua e là. In più, è sempre un piacere ascoltare le melodie che Justin Young dispensa con nonchalance e una svogliatezza molto chic dai tempi di All In White.
Cosa ci aspettavamo questa volta dai The Vaccines? Un ritorno in grande stile, ed è esattamente ciò che abbiamo ottenuto con questo disco godibilissimo, una combinazione di ballate, citazioni, espressionismo astratto e pezzi garage che si intona perfettamente al panorama rock britannico odierno.
Traccia da non perdere: Love To Walk Away (con una menzione speciale per il dolcissimo finale di tastiera di The Dreamer)
Nada Surf Moon Mirror
Il mio 2024 di concerti si contraddistingue per la sua circolarità. Si è aperto a gennaio, in una gelida Milano, con la data dei sopracitati The Vaccines ai Magazzini Generali e si è chiuso pochi giorni fa e a pochi passi da lì, per l’esattezza alla Santeria Toscana, in un’altrettanto gelida Milano, con l’unica data italiana dei Nada Surf. Il trio formato dai compagni di banco Matthew, Daniel e Ira, con la recente aggiunta di Louie Lino ai tasti bianchi e neri, si era guadagnato lo status di gruppo cult nel mondo underground degli anni ’90 grazie a Popular, non solo uno spaccato di vita liceale ma vero e proprio inno della generazione X, ed è poi diventato veramente popolare grazie alla presenza costante nelle colonne sonore delle serie TV americane. Con lo sbiancarsi dei capelli, infine, i Nada Surf sono scivolati verso un rock maturo a tinte indie – pop di cui Moon Mirror è vero e proprio manifesto. La maturità passa chiaramente attraverso il progressivo aumento delle chitarre acustiche a detrimento di quelle elettriche ma anche dalle profonde riflessioni sul senso della vita che Matt, come si fa chiamare il cantante mentre scatta foto e firma autografi nel foyer del locale, condivide con il pubblico anche quando è sul palco. Non per questo, l’album può dirsi noioso, come dimostrano la canzone da non perdere e il fatto che dal vivo i pezzi nuovi hanno lo stesso impatto di quelli vecchi: una rarità, un ottimo motivo per finire in questa classifica.
Traccia da non perdere: Intel And Dreams
The Jesus And Mary Chain Glasgow Eyes
Una delle esperienze più disorientanti della mia vita è stata ascoltare Discoteque, tratta da quest’ultimo lavoro in studio dei fratelli Reid. Almeno finché non ho letto un commento sotto al video della suddetta canzone che recita “Best song on the album, a JAMC classic”; a quel punto mi sono sentito veramente confuso. Lo sperimentalismo elettronico è fuori dal range della band, che forse ha voluto togliersi di dosso l’etichetta di gruppo-che-scrive-la-stessa-canzone-da-quarant’anni e, a quanto pare, è anche riuscita a centrare il bersaglio. Io credo tuttavia che le canzoni migliori di questo Glasgow Eyes siano quelle più tradizionali come la feroce Venal Joy, che ha un piede negli anni ’80 e un piede nel nuovo millennio, e il trittico finale vecchio stile (con tanto di omaggio a Lou Reed). Per come la vedo io, The Jesus And Mary Chain devono continuare a fare The Jesus And Mary Chain,perché nessuno è come loro e perché dopotutto Monet non è mai stato un macchiaiolo.
Traccia da non perdere: Girl71
Giorgio Canali Azul Como El Fuego
Benvenuti al “Giorgio Canali MTV Unplugged”. Il sottotitolo che mi sono permesso di assegnare all’ultimo disco di Giorgio, preceduto da una ponderata e capillare campagna pubblicitaria (un video registrato con il cellulare una sera in un locale), potrebbe anche sembrare blasfemo, come peraltro lo stesso Canali, ma non è così perché rispetta le regole non scritte del celeberrimo format. Azul Como El Fuego è infatti una retrospettiva interamente acustica, una raccolta di canzoni pescate da vari dischi vecchi che sono state rivisitate per l’occasione.
L’album, registrato con strani e atavici strumenti folk di ogni forma e fattezza, ha infatti un taglio prettamente americano, bluegrass e country, ed è per questo un’interessante novità. Piove, Finalmente Piove è trainata da un arpeggio che sembra essere stato suonato con un banjo, Precipito viene introdotta da un dolente assolo di chitarra slide mentre Morire Perché si conclude con un assolo di violino; e queste sono solo alcune delle bizzarrie sonore che si possono scovare in queste tredici tracce. Quando poi Giorgio è affetto dalla sindrome di Woody Guthrie, come in questo caso, e gli arrangiamenti sono scarni hanno maggior risalto i versi, che rappresentano il cuore delle sue canzoni, e la voce roca da fumatore incallito; questo, per me, è il più grande pregio di Azul Como El Fuego.
Postilla: avete presente Angus, il deejay barbuto di I Love Radio Rock che si ostina a mettere The Seekers? Io mi sento così quando, alla fine di ogni anno, infilo nella mia Top5 un album di Giorgio Canali.
Traccia da non perdere: Precipito