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I Gazebo Penguins e i loro dischi inevitabili quanto necessari

I Gazebo Penguins e i loro dischi inevitabili quanto necessari

| Francesca Garattoni

Dopo le quattro date evento per presentare il loro ultimo disco, Quanto, e in vista del prossimo tour in giro per tutta l’Italia, abbiamo intervistato i Gazebo Penguins, che si confermano una delle band più interessanti in Italia. E probabilmente la miglior live band che vi possa capitare di incontrare.
Ci ha risposto Capra.

 

Ciao ragazzi, grazie intanto per la vostra disponibilità e benvenuti su VEZ Magazine. A noi il disco è piaciuto davvero molto, per cui iniziamo col chiedervi quando avete iniziato a comporre le nuove canzoni e quanto tempo è stato necessario per avere le sette che sono poi finite nel disco.

“Allora, avevamo iniziato a buttare giù un po’ di bozze ancora prima del lockdown e successivamente abbiamo continuato a lavorarci anche durante i vari isolamenti forzati, ma onestamente pochissima della roba lavorata in quei periodi è finita nel disco, giusto un paio di giri. Quando si è potuto ricominciare a suonare da seduti abbiamo deciso di rimetterci in gioco, rivisitare le nostre canzoni e provare a dargli un senso un po’ deviato per il periodo deviato in cui ci si trovava a vivere.

Dopo quel tour, denso di sentimenti parecchio antitetici, è partito il lavoro più serrato verso il disco nuovo. Se dovessimo sommare tutti i mesi arriviamo tipo a contare quasi tre anni, ma in realtà i mesi più intensi e produttivi saranno stati otto.”

 

Si è trattato di un disco difficile da fare? E cos’è cambiato in voi rispetto al passato? Intendo soprattutto a livello compositivo, se negli anni è cambiato il modo di realizzare e registrare poi i brani. 

“È stato un disco nato e cresciuto in maniera molto diversa dagli altri.
Nel silenzio. Magari nemmeno tutti assieme. Le bozze dei pezzi crescevano settimana dopo settimana davanti allo schermo di un computer, senza fretta, cambiando e sostituendo parti se non ci convincevano più, riscrivendo fino a dieci finali diversi per la stessa canzone, a volumi bassi, senza amplificatori. E quando una prima scaletta del disco ci sembrava ok, abbiamo portato tutto il sala prove e alzato la manopola del gain.”

 

Sbaglio se dico di sentire una sorta di continuità, un trait d’union, tra Nebbia e Quanto? Sia come tematiche che molto anche a livello di sonorità.

“Probabilmente sì. Alla fine la ricerca del suono per noi è forse la prima cosa che emerge quando ci mettiamo a scrivere un disco nuovo. E la ricerca del suono non parte da zero, fa sempre parte di un percorso che hai intavolato nel momento in cui hai cominciato a prendere la musica sul serio. Procede. E si sposta man mano.
Sulle tematiche non sarei invece così sicuro di darti ragione.
Però, se volessimo trovare un tratto di continuità, potrei dire che Nebbia partiva da una riflessione sulle relazioni collegate a una dimensione – uhm – meteorologica, mentre Quanto prende spunto da tanti concetti cari alla meccanica quantistica e alla fisica del novecento per provare a raccontare storie del mondo, quello in cui viviamo, quello in cui vorremmo vivere, quello che non vivremo mai. In entrambi i casi si parte da una dimensione molto terrena, che da un album all’altro opera come uno scavo in profondità, nei recessi della materia e del tempo.”

 

Com’è nata l’idea di inserire il sax? Credete che in futuro potrà esserci spazio per altre sperimentazioni, anche più presenti e impattanti?

“Magari! Sulla strumentale di Nubifragio ci sembrava perfetto il suono del sax, uno strumento a fiato, un suono fatto di aria, che creasse qualcosa di turbinoso, ipnotico, e le idee portate da Mallo (Manuel Caliumi) in studio sono state esattamente quello che speravamo.”

 

Un po’ in controtendenza con quanto accade ormai sempre più frequentemente nello showbiz, non siete dei grandi utilizzatori delle collaborazioni, salvo rare eccezioni. C’è una motivazione dietro a questa scelta? E qualora ne aveste la possibilità, con quale artista, presente o passato, vi piacerebbe collaborare?

“Abbiamo sempre fatto uscire un disco nuovo solamente per un motivo di necessità. Non abbiamo mai avuto pressioni, né interne né esterne: un disco arrivava quando era il momento, quando per noi diventava inevitabile, necessario. Siamo legati all’idea, forse anacronistica, che la musica nuova che arriva debba rappresentarci nel modo più trasparente possibile, che sia qualcosa di nostro, in una maniera integra, completa. E, senza voler peccare di supponenza, ci piace l’idea di poter suonare tutto quello che ci serve per realizzarlo.
Detto ciò, non abbiamo nulla contro le collaborazioni, specialmente se diventano qualcosa che riesce ad entrare un po’ più nel cuore della composizione, senza essere troppo di superficie.
Abbiamo iniziato a fare qualche chiacchiera con i Post Nebbia, per capire se sia possibile inventarsi qualcosa che vada proprio in questa direzione.”

 

Come sono andate le quattro date di presentazione di Quanto? Avete già capito quali potranno essere i brani che entreranno in pianta stabile nelle scalette? La risposta del pubblico – almeno per quanto visto a Bologna – era stata davvero travolgente, segno che Quanto funziona davvero!)

“Guarda, la presentazione di Quanto nella quattro date di dicembre è stato qualcosa di assurdo. L’idea precisa che avevamo, concordata assieme a Garrincha e ToLoseLaTrak, era quella di portare dal vivo, per la prima volta, il disco nuovo, senza la possibilità di ascoltarlo prima in streaming o altro. Suonarlo dal vivo, e comprarlo esclusivamente dal vivo. (Il fatto che, alla fine dei concerti, un sacco di persone abbia poi deciso di comprarsi il cd o il vinile di Quanto appena ascoltato per la prima volta è stato chiaramente per noi una sensazione incredibile, un senso chiaro di missione compiuta).
Ridare centralità al momento del live, riportare il concerto nel cuore dell’ascolto – che è un po’ la nostra visione della musica. E restituire al concerto dal vivo anche quell’aspetto di scoperta che un po’ si è perso negli ultimi anni: scoprire qualcosa di nuovo, che poi ti possa piacere o ti faccia cagare è uguale: sarà comunque qualcosa che prima non conoscevi. E fare in modo che un disco nuovo diventasse, alla fin fine, un momento per ritrovarsi, un incontro di persone, dal vivo, portate lì per sentire un concerto.
Per quanto riguarda le scalette, al momento, in questa prima parte del tour che è seguita alle date di anteprima, abbiamo deciso di rinnovarci ad ogni weekend, senza portare mai le stesse identiche canzoni da un posto all’altro in cui ci ritroviamo a suonare. Ce ne sarà una più punk, una più classica, una più dilatata, una più revival e via così.” 

 

Dopo oltre quindici anni di onorata carriera continuate ad avere sempre lo stesso contagioso entusiasmo dell’inizio, i vostri live sono sempre una festa clamorosa e la cosa che più mi fa piacere è che accanto a noi, seguaci della prima ora ormai quarantenni, ci son sempre più giovani e giovanissimi che conoscono le canzoni parola per parola, dalle più vecchie alle più recenti. Non deve essere stato per niente facile per voi star lontano dai palchi per così tanto tempo. Cos’è significato ritornare in mezzo alla vostra gente senza impedimenti, come non fosse mai successo niente in questi due anni?

“Un grande, enorme . Quattro concerti che hanno spazzato via quella sensazione di sfaldamento e freddezza che, per un certo periodo, parevano inscalfibili. Ma che non hanno cancellato il senso di impotenza che ha scavato a fondo, su cui ancora ci si trova a inscurirsi e pensare. Cercheremo di suonare il più possibile, perché il tempo perso non esiste più, è irrecuperabile, ma riempire di musica il tempo a venire è ancora possibile. E via andare.”

 

Alberto Adustini