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L’evoluzione di un artista: Finn Andrews (The Veils)

L’evoluzione di un artista: Finn Andrews (The Veils)

| Francesca Garattoni

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Non sembra, ma sono passati ormai vent’anni da quando Lavinia ha fatto irruzione nelle nostre vite e portato la voce di Finn Andrews con i suoi The Veils nelle nostre orecchie.
In occasione dell’imminente tappa milanese del tour in cui Finn presenterà i successi della sua band in un’intima versione solista, abbiamo scambiato qualche battuta con lui.

Finn, stai per tornare in Italia sette anni dopo il tuo ultimo passaggio con il tour in supporto a Total Depravity. C’è qualcosa di particolare che ti piace nel suonare – o semplicemente essere – in Italia?

“L’Italia è sempre stata un posto importante per questo gruppo. È stato il primo Paese ad interessarsi a noi ai tempi di Lavinia, e la mia ex ragazza era di Firenze, perciò ero solito passare un bel po’ di tempo lì. Gran parte di Total Depravity è stata scritta a Firenze ed è stata molto ispirata dal tempo che ho passato lì. Veramente, non vedo l’ora di tornare!”

Nel corso degli ultimi anni hai pubblicato sia il tuo album di debutto solista, One Piece at the Time, che un nuovo disco con The Veils …And Out of the Void Came Love. Il concerto a Milano del prossimo 7 Dicembre sarà The Veils in versione solista, che suona un po’ come un misto delle tue incarnazioni artistiche: che tipo di esperienza si dovrà aspettare il pubblico?

“È più che altro un’opportunità per suonare queste canzoni nel modo in cui sono nate: solo piano e voce, rese il più possibile essenziali. Non vedo l’ora anche di suonare un sacco di vecchie canzoni dei Veils, come quelle del nostro primo album The Runaway Found. Queste canzoni spesso non funzionano più troppo con la band, ma rendono ancora molto bene con me da solo. Adesso poi ci sono un sacco di canzoni dopo tutti questi anni!”

Come descriveresti la differenza tra il Finn Andrews leader de The Veils e il Finn Andrews artista solista? Che diverso impulso creativo c’è dietro queste due diverse produzioni?

“È esattamente lo stesso impulso ad essere onesto, ma The Veils hanno una storia ben più lunga e complicata da cui è piacevole allontanarsi di tanto in tanto. Mi sento molto libero a lavorare sotto entrambe le bandiere, ma ci sono delle aspettative con The Veils che invece non ci sono nel mio lavoro solista e talvolta questo può essere piuttosto eccitante.”

Gli ultimi due album de The Veils suonano molto bianco e nero, luce e oscurità: i suoni ruvidi e cupi di Total Depravity sono in aperta contrapposizione con il confortante uso del pianoforte in …And Out of the Void Came Love. Cos’è cambiato, cosa ti ha portato a passare dallo scrivere canzoni oscure, seppur seducenti, su incubi, demoni, coccodrilli e ossa che risplendono nella notte alla ventata d’aria fresca e luminosa che è l’amore in tutte le sue forme?

“Penso che lasciare Londra abbia avuto molto a che fare con questo. Stavo vivendo da tanto tempo un’esistenza parecchio malsana, molto incentrata su me stesso, e trasferirmi in Nuova Zelanda è come se mi avesse svegliato. Anche diventare padre è stata una trasformazione enorme. Penso di scrivere dell’amore in modo del tutto diverso ora – è sempre stato piuttosto misterioso per me in passato, sia l’amore per me stesso che per gli altri. Ma mia figlia ha rivelato quel mistero immediatamente, e così credo di non usare più le mie canzoni per cercare di capire quel concetto nello stesso modo di prima. Lei mi ha fatto vedere quanto semplice l’amore possa essere, credo.”

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The Veils in concerto al Locomotiv Club di Bologna, Ottobre 2016

Dal loro album di debutto nel 2004, The Runaway Found, The Veils hanno cambiato sonorità ma hanno sempre mantenuto un certo qual stile unico e riconoscibile attraverso i dischi. Sebbene, suppongo, tu possa avere ragioni per essere emotivamente attaccato ad ogni singola canzone scritta in due decadi di carriera, qual’è quell’unica canzone a cui sei più affezionato e di cui sei più orgoglioso? Perchè?

“Penso che la mia intera “carriera” se la vuoi chiamare così sia stata fondamentalmente un processo di espiazione per i torti che ho commesso nel passato. Ero sotto contratto con la Rough Trade quando avevo 17 anni, e mi sentivo una truffa assoluta, così ho fatto Nux Vomica per cercare di riparare agli errori che sentivo di aver fatto al primo giro. Questo ha continuato ad essere come la penso al riguardo (della carriera, NdA), nel bene e nel male. Sto solo cercando di imparare ad essere migliore in quello che faccio ogni volta, e così raramente mi fermo a sentirmi particolarmente orgoglioso di quello che ho fatto. Vorrei soltanto, un giorno, sapere che cazzo sto facendo, anche solo per un momento.”

Facciamo per un momento un salto nel passato, indietro al tuo primo (credo) concerto in Italia nel 2004, al Velvet Rock Club di Rimini: eravate in tour con i Fiery Furnaces e l’improvviso successo di Lavinia vi ha fatto diventare il gruppo principale invece dell’apertura quella sera. Se potessi avere una conversazione con quella versione più giovane di te stesso, all’alba della fama mondiale, cosa gli diresti?

“Oddio, avrei un sacco di cose da dire a quel giovane uomo. Penso che la prima cosa sarebbe di provare a smettere di prendersi troppo sul serio e di godersela, tanto per cambiare. Ero un personaggio molto tormentato, davvero. Avrei dovuto provare a divertirmi molto di più.”

Sento che potrei andare avanti con le domande, discutere del confronto ricorrente con Nick Cave o dibattere del significato della vita attraverso le tue canzoni, ma come ultima domanda vorrei chiederti qualcosa di più personale e forse un po’ impegnativo: cos’è la felicità secondo te?

“Più divento vecchio, più mi rendo conto che il concetto di felicità non sia di particolare utilità. È un buon modo per descrivere i bambini – loro sono veramente felici, o per lo meno dovrebbero esserlo. Ma con l’età le cose si fanno complicate, e quella parola sembra perdere di significato in tutti i sensi.
‘Appagamento’ mi sembra una parola migliore, in quanto è meno focalizzata alla ricerca e all’acquisizione di cose e più legata ad un senso di calma e forza interiore. Appagamento è quello a cui ambisco di più.”

Grazie mille per il tempo speso a rispondere alle nostre domande, non vediamo l’ora di vederti a Milano il prossimo mese!

Fotografie d’archivio di Francesca Garattoni