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Studio Murena, il jazzcore italiano che vuole superare i confini

Studio Murena, il jazzcore italiano che vuole superare i confini

| Alberto Adustini

Lo Studio Murena è una delle realtà più interessanti emerse in questi ultimi anni in Italia. Sono in sei (Carma – MC, Matteo Castiglioni – Piano e Synth, Marco Falcon – batteria, Giovanni Ferrazzi – elettronica, Maurizio Gazzola – Basso, Amedeo Nan – Chitarra), vengono da Milano e suonano una personalissima rilettura del jazz, declinato a piacere come jazzcore o come preferite, base sulla quale trova terreno fertile il rap di Carma (all’anagrafe Lorenzo Carminati).

Li abbiamo raggiunti per chiacchierare un po’ sul loro club tour, sul loro ultimo disco Wadi Rum e sui loro progetti futuri.

Ciao ragazzi, bello vedervi tutti e sei e grazie della disponibilità.

SM: “Grazie a voi!”

Partiamo dal vostro nuovo album anche se risale ormai al maggio dello scorso anno, Wadi Rum. Come mai questo titolo e perché la scelta è ricaduta su questo luogo così evocativo? E curiosità mia, ci siete stati per caso?

Carma: “No nessuno di noi ci è mai stato. Poi per il resto è partito tutto da come hai detto tu, ci è sempre piaciuto scrivere musica riferendoci a luoghi lontani, o a non-luoghi che ci aiutasse un po’ a descrivere la realtà. Già nel primo disco avevamo scritto un brano, ripensando ad un brano degli Isotope 217, Utonian, che racconta di un mondo immaginario, un altro pianeta da cui osservare la terra.

Per questo disco invece abbiamo pensato appunto alla Valle della Luna in Giordania con la stessa ottica appunto, partendo da alcune foto scattate da un nostro amico poco prima del lock down, e da queste abbiamo iniziato a ragionare e a sviluppare questa sorta di concept sull’aridità di Milano.”

Prendo spunto da quanto avete appena detto perché la scelta di un posto così antipodico rispetto a Milano, che è presente nel disco, la si avverte come sfondo alle storie che raccontate. La domanda quindi che vi volevo fare è quale ruolo ha Milano nel disco e per voi personalmente.

Carma: “Beh, Milano è sicuramente la città che ha dato il via al nostro collettivo ed è anche una metropoli dalla quale hanno origine e si formano un sacco di realtà, idee, progetti, quali è anche Studio Murena. Milano poi da un lato si contrappone all’idea di deserto, dall’altro si accomuna ad esso, se si parla di “deserto mentale, interiore”, quindi c’è questa forte dicotomia in tutto il disco”.

A livello di composizione dei brani come procedete? I testi vengono aggiunti in un secondo momento o a volte create il brano su di qualcosa di già esistente? E a livello di suoni, quanto ha influito l’aver lavorato con Tommaso Colliva? E ultima, quanto è cambiato il disco da quando siete entrati in studio a quando è finito masterizzato e “confezionato”?

Carma: “Per quanto riguarda testi e musica nascono praticamente sempre insieme, è sempre stato così. Poi negli anni il metodo è cambiato molto, è aumentata l’intimità tra noi sei, si è affinata, ma il modus operandi è rimasto lo stesso diciamo”.

Giovanni: “Per quanto riguarda i suoni, diciamo che tutto è cambiato con Tommy, che è produttore e quasi direttore artistico del disco. In realtà già in fase iniziale, su un paio di brani (Corri e Marionette) che erano ancora dei demo, ci ha dato delle dritte, dei consigli, delle indicazioni. In studio poi si è adoperato molto sui suoni di chitarra e pianoforte principalmente, ha ampliato il ventaglio timbrico in tutte le direzioni. In realtà appunto già in fase embrionale, parlare con lui su quale direzione prendere, cosa volevamo fare, ci ha aiutato molto per poi scrivere i pezzi. È stata sicuramente una figura fondamentale”. 

Vi siete fidati. E affidati.

Matteo: “Beh sì, e lui si è fidato di noi. Quando ci aveva mostrato interesse per il nostro progetto non abbiamo fatto altro che accettare e fidarci, perché conosciamo bene il suo lavoro”.

Nel disco ci sono parecchie collaborazioni. Voi siete già al secondo disco ma siete ancora relativamente giovani, eppure nel vostro disco trovano spazio mostri sacri come Fresu, Danno del Colle der Fomento, Ghemon. Come sono nate queste collaborazioni e come è andata per la scelta dei brani? Sono stati in qualche modo “assegnati”?

Carma: “Sono state esperienze super arricchenti per tutti. Poi ovviamente ognuno c’ha il suo santino, tipo per me Danno è stata un’esperienza magica e super importante. Però tutte le collaborazioni sono nate da interessi dimostrati dai collaboratori, molto prima rispetto alla stesura dei brani. Cioè Ghemon è stato il primo nostro supporter, non inteso come supporter con la spunta blu, ma il primo vero che ha iniziato a scriverci “continuate così””.

Giovanni: “Poi alcune collaborazioni sono nate durante il tour, come con Laila Al Habash e Arya. Con Fresu addirittura forse lui ci ha seguito su Instagram, e si è dimostrato subito interessato e vero, e gli abbiamo mandato in tempo zero la strumentale, ci ha registrato sopra un paio di cose e con l’aiuto di Tommaso l’abbiamo inserito in diversi punti. Come siamo contentissimi di aver lavorato con Gabrielli (Enrico, Calibro 35 tra le varie cose, NdA)”. 

Voi siete ormai ininterrottamente in tour da quasi due anni, quindi vi chiedo, anche in relazione alle collaborazioni e agli endorsement di peso che avete ricevuto, che tipo di facce si vedono ai vostri live? Perché mi aspetto sia quello che ascolta hip hop come l’appassionato di jazz.

Giovanni: “Per quanto riguarda il pubblico siamo stati davvero mega contenti, specialmente per le date nei club, in quanto siamo partiti con tanta ansiamo ma ne stiamo uscendo, chi più chi meno, molto felici. Poi ogni tanto vedi tra il pubblico gente che sembra avere degli enormi punti di domanda mentre guardano l’esibizione, ma in generale abbiamo avuto un sacco di sale piene, dai cinquantenni e diciassettenni che erano lì per noi e la nostra musica”.

Siete già al lavoro su del nuovo materiale?

Carma: “Sì, di brutto. Abbiamo un bel po’ di carne al fuoco. Ci sono un sacco di belle demo ma non siamo ancora andati studio da Tommy per fargliele sentire e partire “ufficialmente” coi lavori per il disco nuovo però ci siamo vicini ecco”.

E lavorare in sei com’è?

Maurizio: “Avrei un sacco di parolacce da dire. Vai tu Carma che sei più diplomatico (si ride…)”

Carma: “È complicatissimo lavorare con tante teste, specialmente su un processo creativo e soprattutto quando tutte e sei ci tengono tanto. È un lavoro di mediazione costante tra le varie pulsioni creative, non smettiamo mai di scornarci tra di noi, ma se vi sono piaciuti i dischi prima, che abbiamo fatto pure quelli scornandoci, vuol dire che sta diventando proprio il nostro modus operandi”.

Avete mai preso in considerazione, o tu Carma in particolare, di rappare in inglese?

Carma: “Ci abbiamo pensato, ci abbiamo ragionato su, per ora però l’idea è quella di fare qualcosa di figo, potente, in italiano, cercando di portarla anche fuori dai confini”.

Va bene ragazzi, direi che vi abbiamo rubato già abbastanza tempo, per cui vi ringraziamo e a questo punto speriamo davvero di riuscire a sentirci per il prossimo disco.

Carma: “Assolutamente, grazie a voi!”