Emidio Clementi, letteratura musicata o musica letteraria?
Uno dei più grandi artisti italiani degli ultimi trent’anni, Emidio Clementi dai Massimo Volume in avanti è stato un riferimento per generazioni di musicisti, capace come pochi di unire e contaminare musica e letteratura. Lo abbiamo raggiunto in occasione della sua ultima fatica artistica, ovvero la messa in scena di un’opera di Andrea Pazienza, Pompeo.
Ciao Emidio, innanzitutto grazie di aver accettato il nostro invito e intanto, come stai?
“Bene, devo dire. Sto scrivendo, sto insegnando, direi che tutto procede per il meglio.”
Allora passiamo alle domande più difficili… Pochi come te hanno subito la fascinazione tra musica e letteratura, ovviamente coi Massimo Volume ma poi anche coi Motel Chronicle, o in solo, per cui volevo chiederti qual è l’aspetto che più ti affascina, che più ti stimola in questo tuo processo di commistione tra queste due forme d’espressione?
“Allora, se parliamo dei lavori miei forse il fatto che nel parlato c’è maggiore libertà nella scrittura pertanto lo spazio che essa può prendersi è più ampio che nella canzone tradizionale. Un tempo poi, quando già mi erano arrivate delle proposte di lavorare su testi degli altri, avevo sempre rifiutato, per timore di non farcela principalmente. Poi con Carnevali, che è un autore che sento molto vicino, ho superato questo blocco e forse adesso sto anche esagerando. Però ecco mi sono sempre confrontato con voci che sentivo comunque vicine.”
E tra queste c’è sicuramente Andrea Pazienza. Come nasce tecnicamente ma anche concettualmente l’allestimento di un lavoro simile? E generalmente poi come decidi di orientarti verso un’opera rispetto ad un’altra.
“Beh nel caso di Pompeo si è trattato di un lavoro nato su commissione per il festival del fumetto della Coconino. Quando me lo hanno proposto mi sono preso un po’ di tempo perché ero un po’ spaventato, soprattutto perché c’era un fumetto di mezzo, quindi un altro linguaggio rispetto al mio e alla fine mi sono un po’ buttato. Alla prima assoluta ero solo sul palco, io e le tavole. Successivamente ho voluto coinvolgere anche Corrado Nuccini per una data doppia a Bologna, e devo dire che Corrado ha fatto un grande lavoro, ha trovato le atmosfere che erano giuste per illustrare il fumetto. Poi comunque abbiamo lasciato le tavole sullo sfondo perché il pubblico potesse comunque raccapezzarsi ma è stato comunque una bellissima esperienza.”
In relazione a questa ipotetica trilogia sulla quale avete lavorato tu e Corrado, formata da Carnevali, Shepard e Eliot, tre autori di lingua inglese ma in luoghi e tempi differenti…
“Sì scusa ti interrompo perché è vero, sono autori americani quando poi l’unico americano è Shepard…”
Esatto, questo mi aveva colpito e incuriosito, ovvero come ti orienti in questo mare magnum? Per dire, già in fase di lettura o di studio di un autore poi ti immagini già come potrebbe poi essere un’eventuale trasposizione sul palco?
“Diciamo che la molla è sempre la musicalità della loro parola. Quella di Carnevali è evidente, con Eliot siamo di fronte alla poesia vera e propria, Shepard è vero che si muove in un territorio tra prosa, poesia e frammenti, ma a suo modo assomiglia un po’ ad una canzone, come me la posso immaginare io ovviamente. E quindi anche nella scelta dei brani per i Motel Chronicle, oltre a scegliere quelli che mi piacevano di più, puntavo anche a quelli che potenzialmente si sarebbero prestati meglio ad essere musicati.”
E Paul Auster, che purtroppo è recentemente scomparso, potrebbe essere un potenziale autore che potresti affrontare?
“Per quanto Paul Auster sia un autore che ho amato molto, specialmente con L’Invenzione Della Solitudine, lui è molto più legato alla prosa, non ce lo vedo tanto in un lavoro di questo tipo.”
Quest’anno invece ricorrono in vent’anni della pubblicazione di Stanza 218, realizzato con gli El Muniria, un disco che mi è sempre piaciuto moltissimo nonostante, impressione mia sia chiaro, sembra essere considerato un lavoro minore nella tua discografia. Come ricordi quel periodo e come si formò quel terzetto inedito con Massimo Carozzi e Dario Parisini?
“Guarda, io ricordo quel periodo con grande emozione, ancora di più dalla morte di Dario. Tutto il processo di quel disco fu molto faticoso, a cominciare dal viaggio, dalla realizzazione del disco e non nego, anche il live. Il disco ha una componente direi quasi naïf, visto che ha questa elettronica che al tempo non era evoluta e settata come l’attuale e ricordo che ad esempio spesso il computer si piantava. Però al contempo è stato uno dei dischi più appassionati che ho fatto. È vero che quando uscì rimanemmo delusi da un critica molto tiepida. Quello che dici tu è vero però forse è un disco che è stato ascoltato più di quanto sia stato recensito, credo.”
Come lo hai trovato il tributo che vi hanno fatto mi pare lo scorso anno con quel disco, Stagioni, dove trovano spazio sia nuove leve che artisti più “cresciuti”? E che effetto ti ha fatto sentirti risuonato in un certo senso?
“Mi sembra un grande gesto d’affetto naturalmente, il disco mi è piaciuto, qualche pezzo di più, qualche pezzo di meno. Soprattutto però mi ha dato l’idea della fragilità della nostra proposta, non so come dire… perché è un po’ difficile spostarla dal posto preciso in cui si colloca, cioè faccio un esempio, le meravigliose melodie di Cohen, di Dylan, chiunque le prenda in mano mantengono un po’ la cifra dell’autore, noi invece ci siamo sempre nutriti di quella fragilità, per cui se sposti di poco gli elementi, ecco io credo che diventi qualcosa d’altro.”
Di recente avevo fatto una bella chiacchierata con Jonathan Clancy riguardo al suo ultimo bellissimo lavoro e alla sua etichetta, la Maple Death. Tu c’hai avuto spesso a che fare con loro ma non hai mai pubblicato con l’etichetta…
“Beh Jonathan, come anche Francesca (Bono, NdA) e Laura (Agnusdei), sono miei cari amici, ho ascolto molto i loro lavori e soprattutto quello che sta facendo Jonathan con la Maple è proprio un lavoro culturale, molto esteso e molto efficace. Avevamo iniziato un lavoro insieme che poi, come spesso accade, non è andato in porto ma magari succederà in futuro. Se posso mi è piaciuto molto anche il disco di Krano, bello davvero, una bella personalità, non l’ho mai visto dal vivo ma capiterà. Senza volerla buttare nel politico però ormai trovare spazi al di fuori delle grandi etichette, delle grandi firme, sta diventando sempre più difficile. Una volta era sexy e seducente la scena indipendente, l’impressione mia è che ora anche quella sia stata inglobata nel mainstream.”
Coi Motel state preparando o lavorando a qualcosa di nuovo? Le date dello scorso anno sembra siano andate davvero bene.
“Sì, molto. Prima accennavi all’idea di trilogia ed infatti, quello che vorremmo fare ora è proprio quello di portare in scena, di creare una traccia narrativa che tenga insieme questi tre autori. Il tema probabilmente è quello della fuga, Carnevali che da Bologna va in America, Eliot dagli Stati Uniti all’Inghilterra, Shepard che è comunque un uomo della strada. Se vogliamo metterci anche il mio romanzo su Carnevali, L’Ultimo Dio, quindi sì, lo spettacolo dovrebbe debuttare il prossimo 6 dicembre qui a Bologna e speriamo di riuscire a portalo un po’ in giro e soprattutto di creare un qualcosa di un po’ più teatrale e un po’ più lontano dal reading.”
Stai anche pensando ad altri autori?
“In realtà al momento sento forte il bisogno di concentrarmi sulla parola mia, di tornare ad essere anche un autore di testi, a portare in scena parole mie.
Sto lavorando ad un nuovo romanzo che spererei fosse un po’ più corale de La Notte Del Pratello. Non so quando lo finirò perché comunque sono molto lento nel comporre…”
E novità sul fronte Massimo Volume o per il momento lo teniamo lì?
“No, teniamolo lì. Poi ovviamente nulla è finito. Vittoria sta lavorando al nuovo disco con Francesca Bono, io idem, poi ogni tanto ci sentiamo ovviamente. Se sentiremo la necessità e la voglia di fare qualcosa assieme lo faremo… perché quella è casa.”
Foto in copertina da archivio