I Fast Animals and Slow Kids attraverso le stanze di Hotel Esistenza
La settimana scorsa ho avuto la possibilità di fare due chiacchiere con i FASK (Fast Animals and Slow Kids) in merito ad Hotel Esistenza, loro settimo album in studio, che esce su tutte le piattaforme il 25 ottobre 2024. Dopo tre anni da È già domani, la band perugina composta da Aimone Romizi (voce, chitarra), Alessio Mingoli (batteria, seconda voce), Jacopo Gigliotti (basso) e Alessandro Guercini (chitarre), racconta il proprio presente nelle sue sfumature più varie, attraverso l’immagine di un hotel composto da tante stanze, interrogandosi in merito a diverse questioni, fra cui il concetto di “vita normale”, l’accettazione sociale e il dramma di diventare adulti. Sono emerse curiosità relative ad alcune tracce dell’album, aneddoti divertenti e riflessioni di interesse attuale.
Ciao ragazzi e benvenuti su VEZ Magazine. Parliamo di alcuni temi-chiave con cui inizia l’album: cos’è per voi la normalità? C’è spazio per chi vive nel 2024 e non si sente normale?
Aimone: “Il tema è proprio questo: nessuno è normale e tutti lo siamo. Il senso di quel pezzo (prima traccia dell’album, Una Vita Normale), se vogliamo in maniera un po’ più estesa, è normalizzare la vita di chiunque. Si tende spesso a stigmatizzare, in virtù di una società, la tua posizione nel mondo, no? Più o meno dentro la società. In realtà, se poi guardiamo anche dentro le nostre vite, spesso ci siamo sentiti anche un po’ giudicati e spesso ci giudichiamo anche da soli, non solo dall’esterno. È proprio un percorso che viene da dentro, da fuori e da dei percepiti forse sbagliati che sono un po’ quelli che si basano sul fatto che il concetto di normalità esista. Se vogliamo non esiste nemmeno, perché tutto è normale se tu lo stai facendo in maniera fisiologica, personale, libera. Si parte proprio da questo assunto e, tra l’altro, lo consideriamo un assunto importante del disco proprio perché è all’inizio. È la prima cosa che dice. Pensa che questo è stato l’ultimo pezzo che abbiamo scritto e che abbiamo proprio sentito come pezzo di apertura per il disco. L’ultima cosa che scrivi è la prima che metti all’interno del disco e la prima che sentiranno tutti quanti.”
Forse anche perché, dopo aver sentito tutto quello che avevate già scritto, siete arrivati alla conclusione di quello che era un po’ il concetto principale.
Aimone: “Sisì! E poi sentivamo anche la forza del pezzo, proprio in termini di “opening song”. È un inizio: ci abbiamo messo anche la macchina che si accende! Che è una scelta quasi tamarra, se vogliamo! Però ci dava piacere, dava il messaggio giusto: “si parte!”, “ci siamo!”, “Questa è la prima cosa che vogliamo dire!”. Da qui in poi esploriamo tutta un’altra serie di temi.”
A proposito di questa prospettiva del concetto di “normalità”, il vostro Hotel Esistenza ha molte stanze ed è una bella immagine inclusiva, ognuno può trovare il proprio posto. C’è la possibilità che i social possano fare lo stesso? Valorizzano la diversità o non fanno altro che omologare?
Aimone: “Questa domanda connette anche un aspetto che è tanto personale. I social possono essere uno strumento, uno strumento incredibile. Tramite i social noi ascoltiamo della musica pazzesca, che non mi sarebbe mai arrivata alle orecchie e quindi dico “che figata!”. Al tempo stesso vedo della gente esprimersi in maniera oscena e dire le cose più terribili senza sentire il peso della colpa o senza neanche capire le parole che sta scrivendo. E perché? Perché le sta scrivendo a qualcuno che per lui non esiste, ma che dall’altra parte c’è e sente e vive male quell’aggressione verbale. Quindi il tuo approccio con lo strumento ne determina l’utilizzo. Le stanze possono esistere, possono essere meravigliose perché sono stanze di condivisione del sapere, ma possono essere anche delle stanze orrende dove viene promosso il pensiero più becero e questo è abbastanza evidente, perché è pieno di stanze del genere purtroppo. Quindi non saprei darti proprio un unico pensiero in merito a questo. Io penso che la forza stia nelle mani di chi fa uso dello strumento.”
Alessio: “Forse la cosa bella dei social è che, nonostante abbiano dei paletti abbastanza precisi come la navigazione molto veicolata, l’algoritmo che premia un certo tipo di contenuto – e questa cosa ovviamente si evolve nel tempo –, nonostante tutto ciò le unicità delle persone vengono fuori in qualche modo e c’è la possibilità di fare qualcosa di singolare e unico.”
Aimone: “Tra l’altro secondo me il concetto dell’algoritmo non è sempre per forza un concetto negativo, nel caso della musica quando si pensa “voglio fare un pezzo e questo pezzo non lo voglio far durare tanto”, può essere anche uno stimolo, no? Quindi non è sempre per forza l’algoritmo il problema, ma come ti poni davanti allo strumento.”
Una domanda che esula dal disco: quest’anno ho potuto vedere dal vivo diverse band che sembrano avere a che fare musicalmente con voi, penso agli Elephant Brain o ai Cara Calma. Vi sentite di aver influenzato una categoria di gruppi che, anche attraverso di voi, si sono approcciati alla musica dal vivo?
Aimone: “Pensarci forse ci fa un po’ paura, pensare che la nostra musica sia arrivata al livello da essere presa come esempio. Ci spaventa, poi magari è anche vero. Nel caso specifico degli Elephant Brain sono nostri amici cari. Con loro è una questione più profonda, non si tratta solo del fatto che “ascoltano i FASK”, usciamo proprio insieme. Io sono il testimone di nozze del chitarrista, siamo fratelli! Lì agisce proprio un ambito più ampio che è quello dell’amicizia, che tutto permea e tutto trasforma. I miei amici trasformano le canzoni dei FASK, noi trasformiamo le canzoni dei FASK fra di noi. L’amicizia sta proprio su un altro piano se vogliamo. Con loro non lo so, nel caso di tante altre band sicuramente ci può essere un influsso. Puoi sentire un ricordo di alcuni, se vogliamo, tòpoi, di cose che facciamo musicalmente che magari ci caratterizzano. Ma io la vedo anche con leggerezza, è quello che abbiamo fatto un po’ tutti nel corso del tempo. Si ruba nella maniera migliore possibile del termine, ci si ispira, si prendono le parti migliori e se vogliamo noi le riprendiamo e le rielaboriamo a nostro modo, in modo tale da renderle personali. Sento che possono essere un rimando e ne sono orgoglioso e mi emoziono. Però dall’altra parte, quello che mi viene da sentire di più sono le diversità. È difficile andare a creare una cosa proprio uguale ad un’altra. Siamo persone diverse e quindi anche le tue influenze si sentono, però è difficile non prestare ascolto alla parte più tua. La risposta è: sono molto orgoglioso e allo stesso tempo spaventato dal fatto che – che ne so – magari possiamo aver influenzato male.”
Vi ritenete adulti? Quand’è che ci si può sentire adulti? Siete adulti cinici o riuscite ancora ad ascoltare l’adolescente arrabbiato che è dentro di voi? (cit. Brucia, quinta traccia dell’album).
Aimone: “L’ultima domanda è la più facile. La tutela del nostro io bambino è una prerogativa essenziale della nostra vita, almeno per me, regà! Penso che siamo tutti un po’ d’accordo. Siamo ancora qui con il nostro sogno, coltivare il percorso della musica in Italia. È sicuramente un tributo, ancora, al nostro slancio di credere nel futuro, che da grandi saremo astronauti!”
Alessio: “Paleontologi!”
Aimone: “Esatto, paleontologi! Il sogno del bambino. Sicuramente quella è una parte da tutelare ed è un consiglio che do a me stesso continuamente: io voglio essere una persona espansiva e il più pura possibile. Rispetto anche alle passioni, in modo tale che ogni giorno io mi possa innamorare di una nuova cosa. Essere sempre slanciato verso il futuro, come fanno i bambini.
Il concetto del sentirsi adulti è più complesso. Io mi sentivo molto adulto a 20 anni e non capivo una mazza e adesso che ne ho 35/36 vedo delle parti di me che sono un po’ troppo infantili, se vogliamo. Diventa in anno in anno più complesso. Sicuramente in termini societari noi siamo decisamente adulti e questo comporta anche una presa di posizione rispetto a determinati atteggiamenti o contesti sociali. Bisogna incazzarsi come adulti, bisogna dire la propria in merito magari a un tema che ti sta a cuore o incazzarsi di fronte a un’ingiustizia, rispettare il proprio lavoro da adulto all’interno della società, perché votiamo e abbiamo una posizione nel mondo che è riconosciuto. Del resto, se mi sento maturo…mmh, difficile da dire. Voi, regà?!”
Alessio: “No maturo no: io dico che Brucia parte proprio dalla presa di coscienza del fatto che forse siamo tutti un po’ troppo adulti cinici in certi contesti, quindi a prescindere dall’io bambino che coltiviamo e dal sogno della musica. Poi il nostro “noi bambino” ha tante sfaccettature: non è solo quello del credere nei sogni, ma anche quello dell’incazzarsi ogni tanto davanti alcune cose. Poi sono talmente tante le cose tremende che succedono nel mondo, che ognuno può scegliere di farsi toccare da quella più vicina alle sue “corde”. Però, ecco, a volte ci rendiamo conto di esserci costruiti attorno una corazza inscalfibile che però non fa il bene di nessuno, forse neanche di noi stessi.”
Forse quello che volevate comunicare con la canzone è di lasciare perdere questi perbenismi, questa apatia generale e che alcune situazioni, forse, vanno affrontate più “di pancia”.
Aimone: “Esatto, infatti, adesso stavo pensando alla domanda se siamo più adulti cinici o più bambini. La risposta è entrambe! Io spero più bambini che adulti cinici. Però non lo so. Brucia deriva proprio da questo: ma perché, quando avevo 18 anni, io mi incazzavo e facevo un casino, invece adesso mi intristisco e basta?! Vedo le cose scorrere di fronte a me e dico “ma che mondo di merda!”. Rimane lì, su un livello, se vogliamo, di cinismo o di non azione. Cioè, è vero che le idee che avevamo a 18 anni erano sbagliate perché avevamo 18 anni, oppure no? Oppure le idee sono ancora giuste e noi dovremmo ancora portarle avanti come quando avevamo quell’energia là? È una domanda che ci assilla abbastanza, perché appunto contiene in sé stessa questo dualismo. Io spero di essere il meno cinico possibile, lo spero per me, spero di essere il più bambino possibile. Però poi non so come sono nella vita. Io, personalmente, mi sento proprio di cercare di dare spazio a questo aspetto. Se è una domenica e sono a Perugia, la città dove sono cresciuto e nato, vado a vedere un angolo della città che non ho mai visto. Perché? Perché son curioso!”
Come quando vedi l’arco di Perugia e gli dici “Sei un grande!”
Aimone: “È un grande quell’arco, immanente! Mi fa mega ridere. Cioè, se smetti di stupirti di fronte alle cose perché le hai già viste, a un certo punto la tua vita non ha più esperienze.
Una discussione che faccio spesso con i miei amici è che io mi dimentico tutto. Io sono scemo, mi dimentico le cose come un pesce rosso. E questa cosa, per esempio, ad Alessandro (Guercini, chitarrista) lo fa incazzare come una iena. Lui è l’opposto si ricorda tutto.”
Alessandro: “Mi ricordo troppo io!”
Beh, è utile dentro il gruppo avere sia l’uno che l’altro!
Aimone: “Sì dentro al gruppo, ma in amicizia è un casino perché lui si ricorda tutto, io non mi ricordo un cazzo; quindi, io sembro quello smemorato e lui sembra, invece, troppo preciso. Si creano sempre queste dinamiche per cui io, alla fine, porto avanti la mia teoria: io dimentico tutto, ma mi stupisco ogni volta!”
Così tutte le volte è un’emozione nuova!
Aimone: “È un’emozione! Magari non è nuova perché l’ho già sentita, però sicuramente, almeno, è un’emozione.”
Prima parlavi di guardare passivamente un paesaggio che, appunto, scorre, un po’ come in Riviera Crepacuore (sesta traccia dell’album). Ritorna un po’ questo scenario e, da abitante della riviera, ti dico che è una delle mie preferite. È molto potente nella sua semplicità, anche dal punto di vista dell’arrangiamento. Vi volevo chiedere come è nata e se avete qualche ricordo personale che vi lega particolarmente alla riviera?
Aimone: “È assolutamente connessa alla riviera, che è la nostra stessa riviera, perché noi siamo di Perugia, la nostra riviera è Fano”.
A Marina di Ravenna niente? Neanche un salto?
Aimone: “Varie volte! Varie volte!”
Jacopo: “Hanabi! Hanabi!”
Aimone: “All’Hanabi, che posto incredibile! Ma a parte lì, che ci veniamo molto spesso anche per un contesto culturale, per noi la riviera sono le vacanze, siamo noi ragazzini, la nostra famiglia. Andiamo lì per una settimana e ci sembra di arrivare nel posto più assurdo e più bello del mondo. E adesso, che siamo più adulti, noi ritorniamo passando per la A14 e da qui è venuta un po’ l’idea del pezzo. Vediamo la riviera d’inverno che si “spenge” e che diventa il suo esatto opposto, diventa da un posto pieno di bici, famiglie, vita, con questeinsegne che sono colorate esattamente come le vedi d’estate, ma di sotto non c’è nessuno. Quindi è un po’ lo yin e lo yang.
Sono gli opposti che coincidono in una situazione che puoi vivere in tanti modi diversi, no? È il mare d’inverno. Per noi, tra l’altro, il concetto di mare è molto molto forte. Non avendo il mare in Umbria, per noi è un qualcosa quasi di irraggiungibile, di lontano. È veramente una vacanza. È veramente qualcosa di esotico. Quindi quando lo raggiungiamo per noi è potentissimo. Anche vedere i posti dove andavi da ragazzino in giro con le bici, ritornarci, vederli adesso con gli occhi dell’adulto, magari in contesti differenti, che prima non ti potevi neanche immaginare, ecco ci porta tutta una serie di emozioni. Come il senso del sale addosso, quando però non puoi prendere il sole. È strano. Noi lo sperimentiamo girando l’Italia, adesso da adulti e iniziamo a scoprire la riviera anche in altri momenti, che non sono quelli estivi che vivevi da piccolo, cristallizzati con la tua famiglia. E allora vedi com’è la realtà, vedi com’è Marina di Ravenna, che profumo ha quando fa freddo.”
Vero, mi ci ritrovo! Noi amiamo il mare anche d’inverno. Lo abitiamo, cerchiamo di andare a ritrovare questi profumi. Mi avete parlato un po’ di casa e per questo vi ringrazio!
Faccio una domanda conclusiva: in una storia Instagram, Aimone ha definito questo album come un “album da corsa”. Se ti va di dirci a cosa ti riferivi esattamente, a quali brani.
Aimone: “Ma io mi riferisco a tutto il disco. Io lo analizzo così: molto spesso si pensa che “il disco corsa” sia un disco punk, un disco che va a 3000 e quindi mi dà la carica, mi dà la forza. Questo disco ha dentro dei pezzi così, con quella carica, con quella linea, penso appunto a Brucia oppure a È solo colpa tua. Ci sono dei pezzi che vanno più veloci, semplicemente per il bpm, li senti più forti. Però secondo me è un disco così, perché fa un percorso e non c’è niente di più bello, per lo meno per me quando vado a correre. Quando corri hai tempo di poter ascoltare, perché sei concentrato in quella cosa lì.
Quindi il disco ti accompagna nella corsa, traccia una corsa. È come andare a correre con un podcast se vogliamo. Qualche podcast se lo ascolti mentre corri, lo senti e ti dà la forza. È una forza proprio emotiva. Questo cercavo di intendere.”
Chiaro, chiaro! Grazie mille ragazzi! Un abbraccio, ci vediamo ai live!
Foto di copertina: Andrea Venturini