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Le Bambole di Pezza: cadere, rialzarsi ed amarsi

Le Bambole di Pezza: cadere, rialzarsi ed amarsi

| Riccardo Rinaldini

Le Bambole di Pezza sono un gruppo punk rock/pop punk italiano storico nel panorama musicale italiano, che nasce nel 2002 per poi passare una fase di stasi e in seguito di trasformazione e riaffermazione negli ultimi anni. La formazione attuale vede Morgana e Dani (componenti storiche del gruppo) alla chitarra, Kaj al basso e tastiere, Xina alla batteria e Cleo come alla voce. Caratterizzate da un suono vivace, melodico e frenetico e da una ensemble unicamente femminile, le Bambole si sono nuovamente imposte con il loro recente nuovo album Wanted, che come filo conduttore ha l’amore, la libertà e la rivolta. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Daniela Piccirillo, in arte Dani.

Ciao Dani e benvenuta su VEZ! Le bambole di Pezza sono un impegno continuo a supporto di valori come il femminismo ed equalità che vi contraddistinguono da sempre. Quanto è difficile mettersi in gioco senza sacrificare voi stesse e il messaggio che portate? Quanto costa rimanere fedeli al proprio messaggio senza snaturarsi?

“Le Bambole di Pezza hanno una missione che viene naturale da compiere, essendo cinque ragazze con una certa personalità e soprattutto con dei pensieri individuali, nel momento in cui facciamo gruppo vogliamo portare avanti il nostro messaggio e non ci viene difficile farlo. È un impegno che viene naturale, quindi tendenzialmente non sacrifichiamo mai nulla a livello artistico per il messaggio o viceversa. Noi siamo questo, decliniamo questo messaggio in più forme, il nostro nuovo disco è anche un disco d’amore, e non parliamo solo dell’amore passionale di Wanted, o di quello per la causa del femminismo, può essere anche l’amore nei confronti di sé stesse. Essendo proprio il nostro intento non ci sentiamo snaturate, vogliamo che la nostra musica abbia un valore aggiunto, un valore che noi rintracciamo nell’essere una ragazza che fa musica, con un microfono in mano e degli strumenti a disposizione, di conseguenza ci viene naturale avere qualcosa di nostro da comunicare.”

In un’intervista su YouTube tu e Cleo avete raccontato di quando suonavate e registravate senza etichette o sponsor vari. Come è stato vivere la musica in maniera così intensa, facendo tutto da sole, senza il supporto di agenzie terze? 

“Noi Bambole seguiamo molto la filosofia del “Do it yourself”, la nostra attitudine è proprio quella di rimboccarci le maniche ed essere le prime a metterci la faccia. Sui social, ad esempio, che vengono per intero gestiti da noi, ma anche in tutte le nostre scelte artistiche, non abbiamo un manager che ci dice come rispondere a delle domande o come dobbiamo vestirci o che cosa fare nei prossimi giorni. Siamo come un team di lavoro, composto da noi e da un team più tecnico, con cui condividiamo le nostre opinioni, i nostri pensieri, anche se tutti gli sbattimenti logistici e organizzativi li condividiamo  prima di tutto fra di noi, per tentare di trovare delle soluzioni sagge. Dipende dalle situazioni che affrontiamo, dopodiché ovviamente se non ci arriviamo noi, abbiamo anche il supporto di terzi, ad esempio la nostra agenzia di concerti che ha creduto molto in noi e ci ha aiutato a organizzare il tour nei club di questa primavera, una nostra produzione di cui andiamo fiere. Siamo delle ragazze abbastanza intraprendenti, anche Morgana nella band ha una vena marcatamente manageriale e probabilmente tanti anni di attività nel mondo della musica ci hanno permesso di avere delle opinioni e un paio di linee guida. Siamo ancora abbastanza cani sciolti a volte, perché dietro Le Bambole di Pezza non c’è alcun deus ex machina, ci siamo noi quindi gestiamo oneri e onori. Poi abbiamo chiaramente il supporto della discografica, i produttori che ci hanno aiutato nelle sonorità o come il team di lavoro per l’organizzazione di concerti o il team tecnico per la gestione dei nostri tanti canali durante i live. Lo spirito è sempre quello per cui prima di tutto facciamo noi, se non ce la facciamo valutiamo delle collaborazioni. Secondo me è un buon consiglio per anche altre band che vogliono avere una crescita e capire come migliorare grazie ai propri errori. Sono fondamentali una presa di coscienza e non scaricare su terzi la responsabilità che in primis è della band o dell’artista.”

Siete una band storica nel panorama musicale italiano, come è cambiata la musica e quello che la circonda negli anni?

“Una cosa che ci tengo moltissimo a sottolineare è che ovviamente il progetto Bambole di Pezza esiste da diversi anni, quindi io che sono tra le fondatrici della band ho visto attraversare vari momenti musicali, anche non tanto belli per la musica rock ad esempio o comunque per la scena alternativa, però allo stesso tempo vorrei porre l’accento sulla trasformazione di questo progetto, stiamo proprio facendo un lavoro di rebrand, con tre nuove componenti nella band ad esempio. Le Bambole di Pezza sono cambiate, quasi radicalmente sia come visione, sia come impegno, sia come progettualità, che come contenuti, che come sonorità, quindi diciamo che se mi guardo indietro ho un trascorso di rock and roll alle spalle, però adesso sento di avere una maturità da professionismo. Questa è la cosa che a mio avviso è più cambiata, nel senso che non prendo più come una volta i concerti così come venivano, in totale vena rock and roll, adesso i pezzi voglio eseguirli in maniera perfetta, faccio le prove con diligenza, mi viene l’ansia prima di suonare perché devo assolutamente ricordarmi bene le parti… cioè è proprio l’aspetto del professionismo quello che personalmente mi ha cambiata, ma come approccio, non ha influito sul divertimento ma è proprio una mentalità nuova, c’è forse più impegno. 

Per quanto riguarda la scena, ho partecipato a una scena di fermento alternativo molto vivace in Italia, dove fino alla metà degli anni 2000 c’era una scena con determinate connotazioni, quindi era musica di etichette indipendenti, che veniva fruita principalmente attraverso i concerti live, non c’era tanto scambio su social network, se non su qualche forum. Adesso la scena è completamente diversa, continuano ad esserci delle band magari alternative, ma si fa più fatica perché l’ambiente musicale italiano ha subito l’influenza dei grandi numeri di Spotify e della musica fruita principalmente attraverso piattaforme di ascolto che forniscono dati sugli stream, su ascoltatori mensili, che ti aiutano a programmare le date. Prima si viveva la musica in base al passaparola e al coinvolgimento delle persone che andavano nei locali specializzati in certi tipi di musica, adesso anche quei locali purtroppo sono sempre meno; le band dopo la seconda metà del 2000 sono diminuite perché è entrata a gamba tesa la scena rap, trap con delle produzioni artistiche da solista. Adesso grazie un po’ forse ai Maneskin c’è stato un ritorno della musica rock italiana, però la cosa che trovo molto cambiata è questa schiavitù dei numeri e dei posti che sono sempre pochi. Io poi conto tanto e confido tanto nei ragazzi, nei giovani che si mettono in gioco, purtroppo però mi scontro sempre con la dura realtà che è “Dove vai a suonare poi per farti sentire? Come fai a farti conoscere?”, perchè i circuiti ovviamente sono cambiati e anche come si cerca la musica è diverso, esiste ancora fortunatamente il passaparola però c’è stato un momento di disamore rispetto alla musica live goduta, complice forse anche il Covid.”

Secondo te è un fenomeno che tenderà ad una crescita?

“Io sono sempre di base ottimista, quindi confido che parecchi ragazzi vogliano imparare a suonare uno strumento e creare una band per esprimersi e magari la scena del panorama mondiale si modificherà anche se nelle varie chart, anche internazionali, si vedono pochissimi esemplari di band che ce la fanno, adesso è tutto incentrato sugli artisti singoli, magari accompagnati dalle band. Anche i Maneskin spero ritornino e non si lancino solo in carriere soliste… è un po’ la logica del mercato, le band discograficamente sono difficili da gestire, non si tratta di un elemento solo. Anche noi ad esempio siamo in cinque, quindi cinque teste con cui girare e rigirare le carte. Ad essere di più si fa fatica, in più facendo una musica che non è proprio in linea con la musica pop manteniamo una vena alternativa che ci rende una minoranza rispetto a come poteva essere negli anni di fermento alternativo che ti accennavo prima, anche se poi oggi comunque ho trovato nuovi stimoli e tante nuove possibilità.”

Il vostro disco è decisamente innovativo e sperimenta più suoni rispetto ai lavori precedenti. Per voi è stato difficile spianarsi la strada verso una nuova ricerca musicale? Quali sono, se ci sono stati, gli input musicali artistici che vi hanno ispirato?

“In realtà il nostro rebranding è stato un procedimento molto naturale perché ovviamente cambiando gli elementi sai di avere colori differenti, delle espressioni e delle possibilità anche artistiche diverse, dei caratteri e delle manifestazioni assolutamente fantastiche e da valorizzare. Se fai parte di questo sistema ben organizzato e ben oliato, dove c’è anche una certa complicità, una sorellanza e una profonda stima e rispetto reciproco, è un processo molto naturale quindi ti viene semplice inserirti e provare a tirare fuori dei pezzi partendo proprio dagli input individuali di ciascuna. Si crea una sinergia nella produzione, anche a livello di sonorità, per cui ad esempio la cantante, Cleo, è sempre attenta al suono e al genere per non farli risultare vecchi, c’è una costante ricerca della contemporaneità. Anche lo sguardo del nostro rebranding ci aiuta a non rimanere ancorate agli anni Novanta e Duemila, mantenendo una vena alternativa ma che risulti contemporanea. Cleo ascolta generi pesanti come il metal ma anche nella scena urban rimane fresca e contemporanea, è brava nei cantati e nelle parti rappate, Xina è orientata sulla scena grunge e stoner, Kaj suona anche con i sintetizzatori e porta avanti una contaminazione sonora e musicale, io ho le mie influenze più garage rock mentre Morgana si orienta anche verso le ballad e gli arpeggi. Abbiamo guardato tante sonorità diverse, nella scena attuale ci piace anche ad esempio Yungblud, che è un esempio di sonorità moderna che può averci ispirato, sia per il suo approccio che per i suoi contenuti, per come si pone nel racconto di sé stesso, partecipando a una scena non convenzionale. Poi ci sono state varie altre influenze, anche di passaggio, abbiamo condiviso della musica che ci sembrava interessante, però non c’era la finalità di rifare uguale quello che ascoltavamo. Poi metti tutto nel calderone e provi un po’ a sperimentare con i suoni e con la produzione stessa e questo è grazie anche alle persone che con un orecchio esterno hanno tirato fuori un’essenza che potesse anche essere moderna.”

Quindi si è trattato di guardarsi dentro e fare quasi una chiacchierata musicale fra di voi.

“Sì, poi abbiamo cercato di avere molta varietà nel disco però allo stesso tempo quando eravamo quasi a chiusura del disco volevamo che ci fosse quasi un trait d’union tra un pezzo e l’altro, che si sentisse che ci fosse l’anima della band in ogni pezzo. Volevamo coerenza tra un pezzo e l’altro, che ci fossero tanti brani di cui potersi innamorare a seconda della personalità dell’ascoltatore, per avere una molteplicità di sfumature però sempre mantenendo una certa nostra personalità a fuoco, sia come identità sonora che come contenuti.”

Si sente che l’album è vario ma ben incollato, come se fosse un viaggio, un dialogo che racconta tante cose ma con un filo comune. 

“Sì, il dialogo e la collaborazione si vedono anche nella scaletta dell’album, che si apre con Capita, uno dei pezzi nati proprio a partire da una mia linea guida con un certo immaginario a me forse ancora poco chiaro, che ho portato a Cleo e su cui ci siamo confrontate, le ho chiesto di osare e quando ha condiviso quello che aveva scritto ci siamo trovate d’accordo, siamo molto allineate. Poi è uscito il testo, Cleo lo ha cantato con una vena quasi sarcastica e ha dato vita al sottotesto del capita di prenderla in quel posto, grazie all’inserimento del foglietto illustrativo della Vaselina. C’è poi anche una critica al sistema consumistico, un inno moderno che riprende i CCCP e il loroProduci, consuma, crepa. Io ci tenevo molto a questo pezzo e lo avevo scritto per un’eventuale apertura del disco, quindi da lì ci siamo dette che il secondo brano dovesse avere una carica pazzesca ed eravamo fiere di Senza permesso, poi la title track, Wanted, che cambia atmosfera ed è anche il primo featuring, con Jack Out, che parla di questo amore passionale ed è un po’ più country e western come stile. Poi si va avanti con il resto del disco, lo abbiamo ascoltato e pensato proprio secondo una successione delle canzoni. Si arriva per esempio a L’anno del dragone dove canta la bassista  in comunione con i cori di Cleo, che danno ancora più personalità allo stesso brano che è quasi synth pop anni ‘80. Poi c’è la super ballata strappalacrime dell’amore dove si è sommersi dalle lacrime Atlantide, c’è invece la canzone Maledetta che ha un fantastico giro di chitarra ma esalta allo stesso tempo la parte urban del disco. È un disco vario e pensato, mi piace ricordare anche la scelta del titolo in inglese, proprio perché è stato pensato e voluto.”

In Capita, la prima canzone dell’album, è presente una critica alle canzoni che occupano il primo posto nelle classifiche ad oggi: quanto può impattare una canzone su una persona?

“Questo aspetto è interessante da analizzare, ad esempio noi che da donne scriviamo di quello che viviamo, delle nostre riflessioni, ci rendiamo conto che siamo portate solitamente ad ascoltare musica fatta per la maggior parte magari da uomini per poi declinarle al femminile. Quindi la riflessione che fa spesso Cleo è quella di voler rendere la nostra musica declinabile anche al maschile, cioè renderla quasi senza genere per parlare ad un’intera generazione o a persone, quindi indipendentemente dal sesso, che un po’ la vedono e la vivono come noi. Ci sono tante persone che hanno a cuore le nostre stesse tematiche, i nostri stessi valori, anche artistici. È molto facile per altri invece pensare che ascoltando determinata musica si diventi automaticamente “gangster” e duro, magari la trap ti fa sentire più forse accolto anche nel mondo dei ragazzi molto giovani in questo periodo, oppure che magari ti fa sognare un domani di diventare un figo pieno di soldi solo perché ascolti quella determinata musica. Tendenzialmente per me la musica è sempre stata qualcosa che se l’ascolti ti trascina e ti fa allineare anche con i significati, si avvicina più a te e parla a te, quindi il fatto che ciascuno scelga la musica che riesce a parlargli è, a volte, preoccupante perché non è che ci sono delle tematiche che sono così cantabili a squarciagola come inni e come valori, anzi fa molta tristezza. Non penso che influenzi il modo di vivere, di pensare, sai anche la correlazione che si faceva anni fa tra chi ascolta il metal e poi fa le messe sataniche, non per forza deve esserci questa correlazione oggi, però allo stesso tempo il fatto che si ascoltino determinate canzoni che poi diventano delle hit anche se hanno significati veramente poveri, senza alcun valore aggiunto, in cui si inneggia solo a droga, armi e puttane è veramente triste. Anche io ho sempre fatto poco caso ai testi in generale perché sai, ascoltando prevalentemente musica inglese e non essendo madrelingua, per capirne alcuni dovevo andare a leggere il testo. Spotify ci ha avvantaggiati inserendo il testo quindi oggi è più fruibile il contenuto, però oggi lavorando con la band il testo ha assunto un altro significato, è la tua bandiera, ciò che arriva subito alle persone, di conseguenza tu scegli chi vuoi essere, scegli che messaggio voler cantare. Noi vogliamo essere fiere del messaggio perché ci rappresenta, se poi alcuni artisti si sentono rappresentati da quello che cantano è una loro scelta di vita che però è molto lontana dalla mia percezione.”

L’album presenta diverse collaborazioni, tra cui J-Ax, Jack Out, Divi, Mille e Giorgieness. Com’è stato lavorare con tutti questi artisti?

“Innanzitutto sono amici, chi di vecchia data, chi di recente conoscenza. Quando scegli di collaborare con un artista lo fai come simbolo di scambio e reciproco sostegno, la cosa che tra questi featuring abbiamo apprezzato è stata anche la disponibilità, ad esempio di J-Ax che seppure vedi come la superstar, si è dimostrato molto collaborativo, presente e veloce nella composizione. Averlo nell’album è stato per noi un bellissimo gesto di stima e di appoggio anche da parte dei big della musica, perché tante volte ti senti sempre un po’ inferiore a tutti gli altri perché hai sempre questo aspetto dell’artista incompreso, sai queste sono le pene di ogni artista che non è mai contento del proprio lavoro. Invece di questo lavoro, anche io che sono molto autocritica sono molto contenta, anche alla luce delle collaborazioni. C’è stato anche Divi, dei Ministri, che ha prestato sia la sua splendida voce che la penna in Pagine, una canzone abbastanza tosta come significato che parla un po’ della critica al mondo comunque social e virtuale, con lo scream di Cleo si è creato un bel connubio di rabbia espressa con la canzone giusta. Jack Out invece è il country italiano quindi siamo felicissime di averci collaborato, è una persona umanamente splendida ed un artista molto collaborativo e propositivo, noi lo sosteniamo e lui sostiene noi. Poi ci sono le arriviamo alle ragazze, Georgieness e Mille, due artiste meravigliose che fanno generi completamente diversi, si rafforza così quello spirito di fare rete sia fra donne ma anche fra gli stessi artisti. Lo scopo di questi featuring è tentare nella scena italiana di fare rete e network più che badare a featuring per lo scambio di ascoltatori, i famosi numeri che in ambito artistico a volte sono molto fastidiosi in argomentazioni romantiche come le mie di adesso. Anche Georgieness e Mille stesse hanno collaborato con la giusta energia e la giusta affinità, nonostante anche loro non facciano il nostro stesso genere, quindi è una cosa che trascende la stessa musicalità ma è proprio una rete di persone che si sostengono reciprocamente, in amicizia prima di tutto e in stima artistica. Come se fosse un incoraggiamento che ti fa dire “Ok, spacchiamo e facciamo ancora meglio”.”

Quindi contano più l’emotività e la creatività che ci sono dietro un pezzo piuttosto che la freddezza del non conoscersi prima come artisti e semplicemente collaborare. 

“Sì perché poi sai dietro ai featuring ci sono tutte quelle cose burocratiche, devi ovviamente poi devi chiedere le autorizzazioni ai manager, pensare all’uscita di questo o di quel pezzo, a quanti ascoltatori mensili hai, se è un featuring primario oppure no, che palle. Invece l’aspetto reale è quello di gente che si conosce, si stima, si vuole bene reciprocamente e dice “Bella storia, ci sono”; quindi a noi basta questo. Poi per il resto vedremo se un domani gli equilibri cambieranno ma nel frattempo siamo contenti di avere questi ospiti nel nostro disco.”

È un album che profuma di amore, tanto nei rapporti umani quanto nei confronti di sé stessi. Secondo te è lo stesso tipo di amore o ci sono diverse sfumature per ogni tipo di rapporto?

“Allora il nostro disco fondamentalmente parla di amore declinato in tante salse, quindi ad esempio Rampicanti, uno dei singoli usciti a novembre prima dell’uscita del disco, parla dell’amore per sé stessi e di abbracciare la parte interiore più fragile ed emotiva, parla anche di autosalvarsi amandosi e accettandosi. Dentro di noi ci può essere quell’anima fragile che ha bisogno poi di quella spinta salvifica che ognuno di noi può trovare dentro sé per dire “No, basta, il fondo l’ho toccato e adesso risalgo”. Questo tipo di messaggio è un po’ dappertutto nell’album, i valori che cerchiamo di comunicare riguardano la possibilità di salvare se stessi e farcela grazie a tutti i talenti che ognuno ha dentro di sé, come in una relazione che ti fa soffrire ma che ti fa diventare più forte per esempio. Penso a Stuntman che parla di una ragazza con il cuore di chi cade ma non si rompe, essere nella vita uno stuntman significa quindi essere qualcuno che sa proteggersi, cadere bene per poi rialzarsi. C’è poi l’amore di Wanted più passionale del cowboy e della cowgirl che si incontrano in uno scambio  passionale ma anche apprezzamento vicendevole, quindi l’amore sano e tossico; c’è la relazione che ti fa soffrire in Atlantide, che ti lascia anche un sapore dolceamaro nel sapere che la relazione è finita, nell’essere sommersa ancora dalle lacrime ma avere uno spiraglio di luce. La nostra tristezza non è mai fine ad essa ma vuole essere di supporto alle persone che non hanno sempre con la giusta rabbia di spaccare tutto, come noi o tanti altri, ma hanno voglia anche di stare male per quel che c’è da star male, per poi ricominciare passando a un’altra canzone e ricaricarsi con altri temi. Lo spirito comunque è quello di alzare la testa ovunque tu sia prima di tutto e rivolgerti sempre alla luce, in vari momenti, sia quando ammiri il paesaggio e sei felice sia quando sei giù e sai che puoi solo risalire.”

In Stuntman si sente tanto lo spirito di rivalsa e rivincita di cui parli. 

“Lo spirito è quello e credo sia un simbolo che appartiene agli umani, per me forse è più una qualità femminile quella di sostenersi a vicenda che si ritrova anche in Fuori di testa con Giorgieness, che parla proprio di rivincita delle ragazze. Questo valore di supportarsi a vicenda e poi di aiutare a trovare delle soluzioni che magari il tuo cuore, i tuoi occhi in quel momento non vedono, ma la musica si, e secondo me aiuta tanto. Tante volte vuoi sentire una canzone che ti aiuti a farti prendere bene la giornata piuttosto che magari ascoltarne una che rispecchi il tuo stato vitale di quel momento, quindi quello di voler piangere e goderti solo la tristezza. Nel nostro album non ci sono pezzi puramente tristi, tentiamo sempre un po’ di girarla come un “Ok, va tutto di merda però so che in qualche maniera ce la farò”. Penso che per i ragazzi sia più difficile fare questo lavoro tra amici, ci si sostiene in maniera diversa, noi ragazze abbiamo molto scambio su questi argomenti emotivi e di sostegno per incoraggiarci con accezioni forse più profonde. Anche tra Bambole noi quando viviamo dei momenti no o dei momenti difficili parliamo molto tra di noi e sentiamo di sostenerci ognuna con il proprio carattere, facendo squadra. Si tratta di sorellanza ecco.”