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Turnstile @ Circolo Magnolia

Location

Circolo Magnolia (Milano)

Data

19/06/2024

Schiena che si incolla al sedile dell’auto, cappa di umidità sopra le teste a celare il sole, zanzare qui e lì… sì, siamo ufficialmente entrati in estate. E per noi adepti di Bruno Martino e del suo pezzo più celebre, conosciamo un solo metodo per non pensarci e combattere il disagio, ovvero andare a vedere un concerto (sì ok, anche chiudersi in casa con l’aria condizionata, ma abbiamo una coscienza green che ce ne limita l’uso).

Ed eccoci quindi al Magnolia per l’unica data italiana di quella che viene da più parti definita la miglior live band in circolazione, i Turnstile.

La serata tuttavia prevede un succoso antipasto, ovvero gli inglesi Ditz, quintetto di area post punk, capitanati da Cal Francis, frontman dalla personalità e magnetismo inversamente proporzionali alla bellezza della capigliatura, qualunque cosa questo significhi. Il set dei Ditz comunque è letteralmente spettacolare, una prima parte di chitarre taglienti, la batteria di Sam Evans mai banale, Cal Francis con la sua mimica facciale alla Buster Keaton, che organizza il pogo, separa la folla come un moderno Mosè, scende dal palco per arrampicarsi sul tetto della centrale termica, evidente citazione di Eddie Vedder al Pinkpop del 1992, in certi momenti più sguaiati mi riporta alla mente sua maestà David Yow, non ho timore a scriverlo. La seconda parte purtroppo è pesantemente segnata da un problema al microfono, ma i cinque non si risparmiano e portano a casa una prestazione mostruosa, sebbene praticamente strumentale. Andateveli a vedere perché meritano.

Poco prima delle 22 ecco che un boato del folto pubblico accoglie la band di Baltimora, e pronti via classica selva di bicchieri lanciati in aria, pogo allegro e Brendan Yates a caricare a testa bassa con la travolgente T.L.C.

I volumi e la resa invero impiegano un paio di brani a trovare la quadra, anche se l’impatto visivo e scenico colmano abbondantemente qualche minima lacuna. La scaletta attinge ovviamente principalmente da Glow On, il loro disco della consacrazione diciamo così. Il pubblico canta e partecipa con un entusiasmo travolgente, tanto che Brendan in più occasioni lascia fare per dedicarsi a tempo pieno nella sua ricerca di ripercorrere ed emulare i passi e le movenze di Patrick Swayze in Dirty Dancing (prima o poi qualcuno dovrà fare questo mash up, ovvero Yates che balla su The Time Of My Life o Be My Baby, io aspetto, nessuna fretta). 

Mi incupisco solo un attimo, quando quattro quinti della band lasciano il palco al solo Daniel Fang per cinque minuti di assolo di batteria… cioè ma veramente? 

Ma che siamo ad un live dei Dream Theater

Vabbè poco male, possiamo soprassedere, anche perché è tempo del gran finale, ovvero Blackout, un paio di minuti per rifiatare e cantare in coro ad una voce Alien Love Call e il suo mantra “Can’t be the only one” e poi l’uno due finale, da stendere chiunque, Mystery e Holiday.

Tutto bello, bellissimo, forse un po’ troppo breve (50 minuti mal contati), ma non misuriamo certo le emozioni e le sensazioni in minuti o ore. 

Per fortuna, da sempre e speriamo per sempre, sotto al palco il tempo scorre e si misura in altra maniera. L’unità di misura? La canzone. Penso.

Alberto Adustini