Skip to main content

Pixies, una monografia personale

Era il 1986, i Nirvana e l’intera ondata grunge non erano ancora apparsi sulla scena, ma l’avrebbero fatto da lì a breve in tutta la loro devastante potenza deflagratoria e con il migliore arsenale sonoro a disposizione.

Erano gli anni del cosiddetto college rock, da una parte c’erano i REM di Michael Stipe, belli e di sani principi, dall’altra i Pixies, capitanati da uno strano tizio che si faceva chiamare Black Francis, con una voce isterica e qualche chilo di troppo.

Facciamo però un passo indietro. Stava finendo il secolo e io avevo iniziato il liceo. Ai tempi ero una silenziosa e insicura ragazzina di provincia. E chi non è mai stata “la reginetta del ballo” lo sa quanto sia difficile essere adolescenti timidi e abitare in provincia.

Per fortuna, proprio per le persone come me, esiste il rock, con il suo enorme potere consolatorio. Così, visto che oltre ad essere timida e insicura, ero pure incazzata e un po’ stramba, avvicinarsi al grunge fu facilissimo.

Finalmente non ero più sola, eravamo in tanti a sentirci inadeguati, strani e completamente fuori posto. Per tutti noi c’erano loro: i Pixies. Gli alieni della scena garage. Estranei al grunge, pur essendone i padri fondatori.

Oggi, nell’era dell’apparenza, una band come i Pixies non sopravviverebbe un giorno. Troppo originali, troppo menefreghisti, troppo caustici, troppo – apparentemente – normali. Per fortuna però, il loro esordio risale al 1986 e, forse, si badava meno a tutte queste cose.

I Pixies sono una delle cose migliori successe al mondo del Rock, e non sorprende che perfino i Nirvana abbiano cercato ispirazione proprio nella loro musica, alla fine degli anni Ottanta.

Kurt Cobain ammise infatti di essersi ispirato a loro, o come disse lui stesso “di averli derubati” per scrivere Smell Like Teen Spirits. Kurt voleva essere come i Pixies, suonare con loro, o almeno essere in una loro cover band. Ascoltando la musica dei Nirvana si trova la stessa identica onda anomala presente nella musica dei Pixies.

Si parte morbidi, quasi innocui, fino a salire, sempre più rumorosi e duri. Impossibile non essere d’accordo con quello che disse Manuel Agnelli quando affermò che ”i Pixies erano i Nirvana qualche anno prima. Ma più bassi e brutti”.

La storia dei Pixies, come dicevo, inizia nel 1986, quando il cantante Black Francis, all’anagrafe Charles Thompson, incontra il chitarrista Joey Santiago, a Porto Rico. Come nelle migliori storie del rock, i due mettono un annuncio su un giornale: “Cercasi bassista appassionato di Husker Du e Peter Paul & Mary“. Ed è qui che entra in gioco l’affascinante Kim Deal, che porta con sé l’amico batterista, David Lovering. Kim è la regina nera dei Pixies che con la sua personalità ha letteralmente rubato la scena e il ruolo di leader al non convenzionale Francis.

Ma andiamo con ordine: il loro primo album Come On Pilgrim, è un lavoro sicuramente acerbo, ma che dimostra già un enorme potenziale della band di Boston. E’ sufficiente leggere i testi per capire di cosa sto parlando. Sono surreali. Francis Black e i suoi hanno inventato un nuovo linguaggio, lo spanglish. Metà inglese, metà spagnolo. “Non lo facciamo per accattivarci il pubblico latino-americano”, ha spiegato in un’intervista Kim Deal, “è che talvolta lo spagnolo suona più percussivo e riesce a definire meglio quello che cerchiamo di dire”.

Tra il 1987 e il 1992 i Pixies incidono due album incredibili: Surfer Rosa e Doolittle. Ascoltarli, ancora oggi, mi crea un curioso solletico alla corteccia cerebrale. Surfer Rosa viene osannato da critica e pubblico. In tanti lo definiscono l’ultimo capolavoro “post-punk”. Tra i tanti pezzi dissonanti e ossessivi che si possono trovare al suo interno ci sono anche Gigantic e Where is my Mind, che è diventato uno dei loro brani più conosciuti anche grazie a film come Fight Club. La chiusura del disco è la psichedelica Caribou. Si tratta di un lavoro sorprendente che, come un diamante, cambia aspetto ad ogni ascolto.

La loro è musica abrasiva, isterica e, in qualche modo, grottescamente pop. Le canzoni sono corte, in perfetto stile Ramones per capirsi. “Difficile sopportare quei riff cattivi per più di due minuti” dirà una volta Kim.

 

 

 

 

Doolittle invece è un disco che ho letteralmente consumato. Una cavalcata di 12 pezzi, che parte con Debaser e termina con There goes my gun. In mezzo c’è il meglio che la musica abbia prodotto in quegli anni: Here Comes Your Man, Wave Of Mutilation, Monkey Gone To Heaven, Gouge Away e La La Love You, il brano che non ti aspetti, uno dei più assurdi di sempre, che con fischietti, cori femminili e schitarrate ironizza sul concetto di storia d’amore. L’intro di Debaser è indimenticabile: “I am un chien, anda-luuu-sia!”, che fa riferimento al cane andaluso del film di Buñuel, pronunciato in un francese stentato e ridicolo. E non solo, basti pensare al “Rock me, Joe” di Monkey Gone To Heaven. I testi di Debaser parlano di suicidio, di nevrosi, di depressione, di droga, di prostituzione e di disastri ecologici. Siete un po’ smarriti? Pensate a come si sarà sentito chi l’ha ascoltato nel 1989.

Purtroppo però, niente dura per sempre, e anche la verve creativa dei Pixies è destinata all’inesorabile tramonto. Nel 1990 esce Bossanova, l’anno successivo Trompe Le Monde. Due lavori confusi, lontani dai precedenti. Anche a causa di continue tensioni tra Kim Deal e Black Francis, nel 1992 i Pixies si sciolgono. La storia però non finisce qui.

Di solito quando un grande gruppo del passato decide di riunirsi, lo fa partendo da qualche concerto, per poi tornare in studio e produrre materiale nuovo. I Pixies no. Dal 2004 al 2012 hanno fatto concerti, per otto lunghi anni, senza mai entrare in sala di registrazione. Nessun inedito, niente di niente. Il motivo è semplice, quasi lapalissiano, a raccontarlo è Joey Santiago: “suonando molto dal vivo non avevamo tempo di entrare in studio”.

Black Francis aveva bisogno di tempo per scrivere brani adatti al nuovo suono. Nel 2013 arrivano EP1, EP2 ed EP3, con quattro pezzi ciascuno, e infine il tanto atteso Indie Cindy, che unisce al suo interno i brani dei tre EP, senza ulteriori aggiunte. A Giugno 2013 Kim Deal abbandona la band e da quel momento in poi al basso la sostituisce Paz Lenchantin.

Tralasciando gli ultimi lavori, non troppo degni di nota, quello dei Pixies è un universo bizzarro e sconclusionato. All’interno dei loro album si può trovare tutta la psicopatia del mondo del Rock: le nevrosi dei Pere Ubu, l’acidità lisergica dei Velvet Underground, l’isteria dei Violent Femmes. Hanno shakerato tutto insieme e l’hanno servito in un bel bicchiere con l’ombrellino.

Senza i Pixies, con grande probabilità, oggi non esisterebbe quello che viene chiamato “indie”. La loro influenza è stata indelebile. Anche sui miei gusti musicali.

Il linguaggio dei Pixies, il loro modo di scrivere canzoni, ha fortemente influenzato la maggior parte dei gruppi o dei musicisti che ho amato: i Nirvana, Pj Harvey, i Radiohead, per nominarne solo alcuni.

I Pixies per me sono stati un incontro fortuito, quello che quando accade cambia tutto. Fino a quel momento ero una ragazzina timida che guardava film in bianco e nero e passava un sacco di tempo a leggere libri. E’ stato come conoscere per la prima volta qualcuno come me, sfigato e altrettanto perso: “è fatta” mi sono detta, “allora non sono sola”.

 

Daniela Fabbri

Groundation al Parma Music Park

Dopo la recente inaugurazione, entra nel vivo la programmazione del Parma Musica Park, presso la Villa del Fulcino di San Polo di Torrile. A giugno si susseguiranno le date di Cannibal Corpse, Groundation, Capo Plaza, MadMan, Pinguini Tattici Nucleari e I Hate My Village – che recuperano la data rimandata per pioggia – più il festival a tema dedicato a Woodstock e la Fiera del Mistero. I biglietti sono tutti in prevendita sul circuito Ticket One, online e nei punti vendita.

Sul fronte peace and love, sabato 15 festival dedicato a Woodstock e alle sue sonorità, nel cinquantesimo anniversario dell’evento musicale più importante di sempre, e a seguire, lunedì 17, concerto degli americani Groundation – che tornano in Italia per presentare il loro ultimo lavoro “The Next Generation”. Early ticket a 10 euro più prevendita, ancora per poco tempo.

Canzone d’autore, rap, pop, rock, indie, reggae, metal. Ce n’è per tutti i gusti nel programma del Parma Music Park. Per restare sull’ultimo citato, il metal, la parte del leone spetta ai Cannibal Corpse, formazione storica del genere in concerto a San Polo di Torrile martedì 25 giugno con il tour di “Red Before Black”, apertura dei Sadlist. Ingresso 34,5 euro compresa la prevendita.

Giovedì 27 giugno si recupera la data de I Hate My Village rimandata per pioggia. Uno dei gruppi rivelazione del 2019, che nasce dall’incontro tra Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri), accomunati dalla passione per la musica africana e dall’esigenza di dare voce alla loro ricerca del “groove perfetto”. Ingresso gratuito.

Capo Plaza suonerà dal vivo venerdì 28 giugno con “20”, il suo primo album, pubblicato nel 2018 e insignito con due dischi di platino: un bel traguardo per il giovane rapper salernitano reduce anche da un tour europeo – cosa non particolarmente comune per un artista italiano – che si è concluso con un sold out all’Alcatraz di Milano. Ingresso 23 euro più diritti di prevendita.

Sabato 29 giugno i Pinguini Tattici Nucleari, con il nuovo disco uscito a marzo “Fuori dall’Hype”. Giovanissimi, con oltre 20 milioni di streaming e più di 7 milioni di visualizzazioni su Youtube, Pinguini Tattici Nucleari sono una delle band più interessanti di questi ultimi anni. L’album è anticipato – tra gli altri – dal singolo Verdura, che ha superato il milione di ascolti su Spotify in poco più di un mese. Ingresso 20,7 euro compreso di prevendita.

L’ultimo appuntamento del mese, domenica 30, sarà con la Fiera del Mistero, evento dedicato all’esoterismo e alla magia, per la prima volta nel parmense. Ingresso 7 euro più diritti di prevendita.

Duff McKagan “Tenderness” (Universal Music Enterprises, 2019)

Nel 1956 esce nelle sale Sentieri Selvaggi di John Ford. Il film western classico muore nella scena finale, quando il buon John Wayne indugia davanti alla porta di casa e rimane sul portico, poi si gira e se ne va. Il futuro, per lui, sta nel passato, il mondo che sta in quella casa non gli appartiene. Il porch, il portico, è terra di nessuno, tra esterno e interno, tra passato e futuro, tra noto e ignoto.
Il portico è quello di Springsteen di Thunder Road, un luogo che anticipa la fuga di due ragazzi, alla ricerca della libertà e del futuro.
Di Porch cantano i Pearl Jam e nel loro portico suonano e accolgono gli amici The Black Keys in quel di Nashville.

La prima immagine che mi ha raggiunto ascoltando questo album è stata quella di un McKagan in canottiera, su un dondolo con una steel guitar sulle gambe, due birre fresche su un tavolino sotto un portico a Nashville, Tennessee.

E’ un disco strano, questo Tenderness, sembra un luogo da cui osservare la realtà, sembra un tempo in cui condividere un’idea o una visione sia un dovere, oltre che un’occasione. Perché è un atto sincero, di ricerca, di scoperta, di condivisione.

Quella di Duff McKagan è una delle più belle storie di redenzione che la storia del rock ci abbia regalato. E’ una storia fatta di città, di inferni personali, di resilienze, di cicatrici. 

Qualcosa di particolare, di magico, di unico la capitale dello stato di Washington deve pur averlo. McKagan nasce a Seattle da una famiglia irlandese, lui, ultimo di otto figli, iniziato alla musica dal fratello Bruce. Il punk, in ogni sua declinazione, è il primo genere con cui Duff si confronta, suonando di tutto, dalla batteria alla chitarra. Ma è l’humus della città, il fermento musicale che ribolle nei quartieri della musica che forma il giovane McKagan. Nel 1983 parte per Los Angeles, quattro anni dopo uscirà Appetite for Destruction, il resto è storia della musica. Fin qui, una parabola mirabolante, ma nel 1994 viene ricoverato d’urgenza a Seattle, con una pancreatite gravissima. I medici non gli danno molti mesi di vita, nel caso avesse continuato a bere. E qui, proprio in questo punto, abbiamo il nostro colpo di scena. Duff comprende, la sua vita svolta di colpo. Si ripulisce, e inizia un percorso di vita e di carriera completamente nuovo e, dati i presupposti, insperato. Crea diversi gruppi, suona con musicisti provenienti da mezzo continente, collabora con Stone Gossard, Scott Weiland, con gli Alice in Chains e i Janes’s Addiction. Nel mentre scrive libri, si dedica allo sport e alle arti marziali. Duff McKagan è nato due volte, e dopo la seconda ha una fame di vita insaziabile. 

Questa storia, unita a questo album, mi ha fatto arrivare a questo portico dove incontro virtualmente Duff McKagan. Mi sono accorto cosa legava l’immagine della vita di uomo a quella di un portico grazie a una reminiscenza, uno di quei collegamenti tra ricordi o neuroni che ti bloccano qualunque cosa tu stia facendo, riallineando l’universo e dando un senso, almeno a te che scrivi, a un articolo.

Baricco, in City, parla così del portico:

In definitiva – proseguì il prof. Bandini – quell’uomo e quel porch, insieme, costituiscono un’icona laica, eppure sacra, in cui si celebra il diritto dell’umano al possesso di un luogo suo proprio, sottratto all’indistinto essere del semplicemente esistente.
[…]
Tutta la condizione umana è riassunta in quell’immagine. Giacché esattamente questa appare la dislocazione destinale dell’uomo: essere di fronte al mondo, con alle spalle se stesso.

Quell’ultima frase è Tenderness. Quell’ultima frase è il senso del disco. Ma è anche la sua intenzione, la sua finalità, la sua fisicità.

Essere di fronte al mondo, con alle spalle se stesso è anche il “never look back” di Don’t look behind you, canzone che chiude l’album. La luce è davanti a te, stai su questo portico a suonare la chitarra, petto al mondo, spalle al passato. Il percorso compiuto da McKagan porta al rovesciamento di testi e visioni dei Guns. Dell’ira di gioventù, dell’intolleranza, del santificare le feste qui c’è poco. C’è piuttosto un osservare il mondo dai templa serena di Lucrezio, inteso come regno della conoscenza. Le esperienze hanno reso quest’uomo più forte e saggio, adesso è il momento di cantare del mondo con serena e consapevole spensieratezza.

Ecco allora Last September in cui si affronta il tema della violenza sulle donne, Parkland i cui viene trattato il dramma delle sparatorie nelle scuole e Feel, dedicata all’amico Chris Cornell, ma che, sono quasi sicuro, in fondo è per tutti gli amici persi durante il cammino, compreso quello Scott Weiland con cui ha condiviso il palco. In Feel si parla di ricordo, di amore, di rise up, e non è un caso che molto del vocabolario del disco peschi nell’immaginario springsteeniano. Del resto chi meglio e più di Springsteen ha cantato di redenzione e di resilienza? Le catene, che si spezzano, la strada come metafora tangibile del percorso verso il cambiamento. McKagan cita quasi letteralmente lo Springsteen di Darkness on the edge of town in un verso: l’originale I lost my money, I lost my wife, per Duff diventa lost my job, lost my wife, lost my way. Sempre climax verso l’inferno rimane, ma in entrambi i casi toccare il fondo è l’unico modo per battere i piedi e risalire.

Ma più che nel New Jersey, il nostro McKagan sciacqua i panni in quel di Nashville, grazie all’amico Shooter Jennings, che regala un impronta outlaw country all’intero album, che scivola via piacevolmente tra steel guitar, archi ariosi e inaspettati e sezioni di fiato degni di una big band. Il caleidoscopio dei riferimenti continua con i Rolling Stones (e quasi un primo Bowie) in Chip Away.

E’ un viaggio tra i ricordi e tra temi attuali, da cui trarre insegnamenti e massime (his mama didn’t rise a man), è un tracciato compiuto seguendo una mappa di cicatrici. Ma proprio le ferite passate sono i migliori insegnamenti, se adesso, ancora adesso, possiamo cantarne sorridendo sul portico. In fondo, quello che ci vuole, è solo un po’ più di Tenderness.

 

Duff McKagan

Tenderness

Universal Music Enterprises, 2019

 

Andrea Riscossa

Joan As Police Woman @ Monk

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Joan As Police Woman •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

” Joanthology Tour “

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Monk (Roma) // 08 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Foto: Simone Asciutti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14501,14500,14503,14505,14504,14502″][/vc_column][/vc_row]

Suspekt @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14471,14472,14473,14474,14475,14476″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14477,14478,14479,14480,14481,14482″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Bon Iver @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14463,14464,14465,14466,14468,14469″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14467,14470″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Ex Otago @ Parma_Music_Park

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Ex Otago •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Parma Music Park (Parma) // 09 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Mirko Fava[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14520,14523,14524,14521,14518,14519,14522″][/vc_column][/vc_row]

Kurt Vile and the Violators @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14451,14452,14453,14454,14455,14456″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14457,14458,14459,14460,14461,14462″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Keane @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14443,14444,14445,14446,14447,14448″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14449,14450″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Oh Land @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14435,14436,14437,14438,14439″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14440,14441,14442″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Novo Amor @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14429,14430,14431,14432,14433,14434″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Major Lazer @ NorthSide

[vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14413,14414,14415,14416,14421,14423″][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14417,14418,14419,14420,14422,14424″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Francesca Garattoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]