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Flogging Molly @ Estragon

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• Flogging Molly •

Estragon Club (Bologna) // 28 gennaio 2019

 

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E’ con un grandissimo soldout che l’unica data italiana, per questo tour dei Floggin Molly, approda all’Estragon di Bologna.

I Flogging Molly, capitanti dal carismatico Dave King, salgono sul palco dopo il live dei Buster Shuffle, scaricando la loro energia di celtic folk/punk un pezzo dopo l’altro.

Trascinati dal motore battente di Mike Alonso la grande famiglia italiana dell’irish folk accoglie i Losangelini con entusiasmo in una “bolgia infernale” e sottopalco il pogo non ha mai fine.

Siamo solo al terzo pezzo e parte Drunken Lullabies, sto ancora fotografando sottopalco, e subito verrebbe la voglia di lanciare tutta l’attrezzatura in aria e buttarmi nel pogo! La spensieratezza e la fratellanza tipica dell’irish folk emerge subito, e in un attimo ti ritrovi a ballare abbracciato con qualcuno che neanche conosci, sono solo sorrisi e pogate senza fine.

Chiaramente non possono mancare i grandi successi come Drunken Lullabies o Salty Dog o Float.

Quasi due ore di live volano e ci ritroviamo già in macchina per venire a casa, esausti e contenti, come dopo ogni buon concerto che si rispetti, e una cosa è certa, i Flogging Molly sono il classico gruppo – come nelle migliori tradizioni irish – da vedere live, perché l’energia che trasmettono è contagiosa, nessuno si è tirato indietro dal ballare!

“Cause we find ouverselves in the same old mess

singin’ drunken lullabies”

 

Setlist:

(No More) Paddy’s Lament

The Hand of John L. Sullivan

Drunken Lullabies

The Likes of You Again

Swagger

The Days We’ve Yet to Meet

Requiem for a Dying Song

Life in a Tenement Square

Float

The Spoken Wheel / Black Friday Rule

Life Is Good

Rebels of the Sacred Heart

Devil’s Dance Floor

Crushed (Hostile Nations)

What’s Left of the Flag

The Seven Deadly Sins

 

Grazie ad Hub Music Factory

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo e Foto: Michele Morri

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Neck Deep @ Zona_Roveri

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• Neck Deep •

+ Dream State | Parting Gift

 

Zona Roveri Music Factory (Bologna) // 26 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Credo che un vero orecchio critico debba sapere quando cade in fallo, quando con presunzione e forse con un po’ troppa superficialità affronta una circostanza musicale che non crede adeguata ai suoi standard.

È quello che mi è successo in quel di Bologna, più precisamente Zona Roveri, sabato 26 gennaio, per il concerto dei Neck Deep.

Essendo figlio del punk rock californiano di prima “battitura” tendo ad essere diffidente verso le nuove leve, soprattutto quelle del Pop-Punk. Oberato dall’emulazione esasperata dei Blink 182 lungo il corso degli anni, la fiamma conoscitiva e curiosa si è gradualmente affievolita, lasciando spazio ad una sorta di glaciale indifferenza verso la categoria.

Fuoco ravvivato dall’inclinazione musicale della mia compagna che ha deciso (con pieno merito) di portarmi a vedere la band Gallese. Zona Roveri è più gremita di quel che credevo, il pogo e la partecipazione scivolano costanti e dettati da grande intensità.

Le sonorità che popolano le mura del locale riecheggiano molto bene, in maniera compatta, quadrata, energica e coinvolgente.

Il morbido e il duro viaggiano su di un binario equilibrato e uniforme, la vena romantica delle tematiche si mescola alle distorsioni, la batteria detta la strada come un faro luminoso che giostra i salti e cori del pubblico che, per usare un’espressione calcistica sono il dodicesimo uomo in campo.

Un muro di suoni ben indirizzato che fa perdere di vista un dettaglio non di poco conto, ai giovani gallesi manca il basso tra le loro file. La formazione ordinaria attuale non lo prevede.

Il vecchio bassista ha terminato la sua esperienza del 2018 ma sembra che la scelta azzardata del quartetto possa apparire convincente, anche se non nego di avere molta curiosità nel sentire uno show dei Neck Deep con un basso e una voce di coro supplementare.

A questo punto arriviamo a Ben Barlow, alla sua voce e alla sua presenza. Partendo dal presupposto che sono ragazzi giovani e che l’attitudine in questo settore o ce l’hai o non puoi inventartela. Il ragazzo mescola un cocktail di genuina cattiveria, rabbia mai invasiva e sorrisi consacranti da vero Frontman buono.

Un piccolo leader dalle notevolissime capacità vocali, dallo spirito trascinante di chi sul palco sembra ci sia nato. Non nego l’amore verso personaggi cosi diretti, cosi alla ricerca del contatto col pubblico, che dimostrano che stare sul palco è una scelta dettata da un’esigenza innata di vivere e vedere perché no, a dispetto della massa, il bicchiere mezzo pieno.

L’espressività travolgente e sincera ha creato una sorta di filo conduttore familiare che ha abbattuto letteralmente il muro di scetticismo che mi avvolgeva.

Band promossa, band da seguire soprattutto in campo internazionale, band che fa ancor più rumore perché il Galles non è prettamente un’officina di situazioni musicali pop-punk, ma questi hanno le carte e lo spirito per scrivere pagine importanti per la scena.

La ricerca di una consacrazione tramite tecnicismi, virtuosismi e complesse situazioni musicali è un cliché che i Neck Deep smembrano perfettamente, dando adito al fatto che le cose semplici, d’impatto e ben suonate restano sempre le migliori, quelle che alla gente restano veramente.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

MOTION SICKNESS

GOLD STEPS

LIME ST

——

SMOOTH SEAS

PARACHUTE

——-

TORN

JUDGEMENT DAY

KALI MA

——-

SERPENTS

WHAT DID YOU EXPECT?

——-

CITIZENS

DON’T WAIT

——-

DECEMBER

1970 SOMETHIN

IN BLOOM

——-

ROOTS

WHERE DO WE GO WHEN WE GO

 

 

Grazie a Hellfire Booking Agency[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Vasco Bartowsky Abbondanza

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10824,10825,10826,10832,10831,10827,10828,10829,10841,10834,10840,10833,10835,10830,10837,10839,10842,10836,10838″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Dream State

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Parting Gift

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Basement @ Locomotiv_Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Basement •

+ Culture Abuse | Muncie Girls

 

Locomotiv Club (Bologna) // 25 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Gli Inglesi Basement, in questo Venerdì di fine Gennaio riscaldano con il loro Rock il pubblico del Locomotiv Club di Bologna e ci presentano Beside Myself, il loro ultimo album uscito nel 2018 per l’etichetta Fueled By Ramen.

In supporto Muncie Girls e Culture Abuse.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

Disconnect

Nothing Left

Aquasun

Whole

Be Here Now

Brother’s Keeper

For You the Moon

Reason for Breathing

Pine

Spoiled

Stigmata

Covet

Promise Everything

 

Grazie a Hellfire e ERocks Production[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10778,10782,10774,10783,10775,10769,10772,10789,10781,10777,10771,10787,10773,10776,10780,10784,10785,10786,10779,10770,10788″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Culture Abuse

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Muncie Girls

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Anna Von Hausswolff @ Atlas

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• Anna Von Hausswolff •

 

Atlas (Aarhus) // 25 gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

È una notte fredda ad Aarhus, temperature sotto zero e aria da neve. È la prima volta che vado a vedere un concerto all’Atlas, un locale caldo e intimo con muri rossi e palco basso.

Ci sono un centinaio di persone sparse nel locale, chi seduto sulle gradinate ai lati della sala, chi si sta godendo una birra al lume delle candele sui barili-tavolini di fronte al palco.

L’allestimento del palco è essenziale, con chitarre, una batteria e aste per i microfoni che attendono che arrivi il gruppo di apertura — Of the wand & the Moon — per intrattenere il pubblico con il loro godibilissimo neofolk.

Dopo appena mezz’ora di set, il palco viene svuotato mentre il rumore di venti tempestosi si diffonde dalle casse; la gente vince la timidezza e va a riempire lo spazio di fronte al palco mentre tutti aspettiamo l’artista principale della serata, la musicista svedese Anna von Hausswolff.

Anna von Hausswolff è un folletto biondo con la fierezza di una divinità vichinga: può accarezzare le tue orecchie con la più delicata delle melodie e un secondo dopo orchestrare un feroce muro di suono con la sua tastiera e i suoi synth degno dei più brutali gruppi death metal.

Nonostante la scaletta sia di soli sette brani, encore incluso, trascina il suo pubblico in una dimensione temporale distorta, dove musica, melodie, rumori e suoni si fondono insieme per creare bellezza.

Dopo la potenza della sequenza iniziale con The truth, the glow, the fall, Pomperipossa e Ugly and Vegenful, Anna si sposta davanti alla sua torre di tastiere e con solo voce e armonica, tiene in pugno l’intero pubblico con Källans återuppståndelse.

L’atmosfera è blu, il momento magico, la sua voce così magnetica e ammaliante: si percepisce che ha il completo controllo degli astanti, il suo carisma riempie l’intera sala.

Ed ecco che in quel momento arriva, la canzone che stavo aspettando: The mysterious vanishing of Electra con le sue atmosfere cupe, i riff di chitarra opprimenti, ossessivi che soffocano l’ascoltatore in un crescendo di agonia fino al momento in cui non riesci più quasi a respirare.

Silenzio.

Ed è lì che arriva la furia che libera i nostri demoni interiori come una tempesta. Non mi vergogno di ammettere che avevo i brividi lungo la schiena.

Il concerto si conclude con Come wander with me/Deliverance e Gösta cantata tra il pubblico.

Il sipario cala sul palco ed è ora di uscire nella luce magica data dalla città coperta da una coltre bianca.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Francesca Garattoni
Foto: Steffen Joergensen

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10792,10793,10794,10795,10796,10797,10798,10799,10807,10801,10802,10803,10804,10805″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

en

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

L’arte “perfettamente inutile” dei Pixel, la band spezzina tra Indie Rock e New Wave

Si chiamano Pixel, ma se pensate all’informatica siete completamente fuori strada.

Il gruppo spezzino tra Indie Rock e New Wave, per autodefinirsi, infatti, ha preso in prestito una canzone dei Verdena, ma con l’aggiunta dell’articolo.

Nati nel 2013, lo scorso 2018 hanno lanciato il loro primo LP intitolato “Perfettamente Inutile”. Un titolo – si potrebbe pensare – che si presta a giochi di parole e possibili strategie marketing, ma che invece – molto semplicemente – punta il dito al romanzo Il ritratto di Dorian Gray e la sua definizione di arte.

Ogni artista – dicono – quando crea, deve farlo in modo perfetto, al meglio delle sue possibilità; ma al tempo stesso deve rendersi conto che tutto quello che sta facendo potrebbe essere, per certi versi, inutile: se a quel punto vuole comunque continuare a creare, per il puro gusto di farlo e per esprimere veramente se stesso, allora sta creando arte”.

Una definizione che i ragazzi, fin da subito, si sono sentiti tatuati addosso come una seconda pelle e che hanno deciso di traslare sul loro modo di concepire e fare musica.

E che dire sul loro repertorio? Un vasto background che fa capo a diversi generi a cui la band fa inevitabilmente riferimento. Gusti personali, spunti, nuove tendenze e reminiscenze del passato: I Pixel sono curiosi, amano ficcare il naso ovunque e prendere ispirazione da elementi differenti.

Ma poi, quando arriva il momento di creare, fanno sul serio.

Da quei suggerimenti che la musica riesce a dare – in tutte le sue forme, dimensioni e generi – la band riesce sempre a trarre le sfumature necessarie a rendere la propria musica ricca e maledettamente attraente, pur mantenendo il proprio stile.

Conosciamoli un po’ meglio.

 

 Ciao Pixel! Chi siete? Raccontateci un po’ di voi!

Ciao Vez! Come data di formazione del gruppo ci riferiamo sempre al giorno in cui si sono svolte le prime prove con la nostra formazione iniziale, ovvero il 6 dicembre 2013. Andrea e Alex sono i componenti da cui è nata l’idea di creare questo progetto. Nicola è entrato a far parte della band in un secondo momento: ci aveva sentiti al concerto di presentazione di Niente e Subito ed era venuto a dirci che gli sarebbe piaciuto suonare con noi, quando poi c’è stata la necessità di trovare un nuovo bassista, abbiamo saputo subito a chi chiedere! Marco suona con noi dal 2017, da dopo le registrazioni di Perfettamente Inutile. Lo abbiamo contattato su consiglio del suo insegnante, alla prima prova sapeva già suonare alcune nostre canzoni alla perfezione e ci ha subito gasati.

Come luogo che ha avuto un’importanza fondamentale per noi, ti diciamo la cameretta di Alex, dove Andrea ha suonato per la prima volta una chitarra elettrica. Da lì è nata questa passione, iniziata col riff di Where Is My Mind dei Pixies suonato all’infinito nella sala musicale del nostro liceo, insieme ad altri ragazzi. Epica la frase “Brise, smettila con quella sirena dell’ambulanza!” urlata dal metallaro di turno.

 

Perché “I Pixel”? Siete un po’ nerd dentro? Da cosa nasce questo nome?

No, no, il nome non ha niente a che fare con l’informatica! Durante i primi tempi di attività del gruppo abbiamo proposto diversi nomi prima di arrivare a quello definitivo. Per un certo periodo eravamo propensi per “Astoria”, da un famoso teatro londinese (ora demolito) che avevamo conosciuto tramite il video di un concerto degli Arctic Monkeys, mentre il nostro primo concerto lo abbiamo fatto suonando con un nome proposto dal nostro bassista iniziale 5 minuti prima di salire sul palco: Eleanor, per la canzone dei Beatles, Eleanor Rigby… Ricordo che lo avevamo annunciato sul palco senza troppo entusiasmo. Il nome definitivo è poi arrivato su proposta del primo batterista e deriva da una canzone dei Verdena. Ci piace semplicemente come suona e il connubio che forma con l’articolo rispetta perfettamente il fatto che abbiamo sonorità internazionali, ma cantiamo in Italiano.

 

Parlatemi del vostro genere: a chi vi ispirate e come nasce la vostra musica?

Ognuno di noi ascolta generi più o meno disparati, ma nel momento in cui componiamo le canzoni che costituiscono il nostro repertorio cerchiamo di mettere d’accordo le nostre influenze, di farle sfociare in quello che poi è diventato il nostro sound, che credo sia piuttosto riconoscibile.

Alex è più indirizzato sull’Indie, ma in quanto pianista ascolta spesso anche musica classica; Marco è più improntato sul Punk e sul Britpop, mentre Nicola ascolta davvero un po’ di tutto: gli piacciono molto gruppi tecnici come i Tool, influenza riscontrabile nei suoi giri di basso. La nostra musica rispecchia soprattutto i gusti musicali di Andrea, in quanto è lui a elaborare e strutturare le idee che ogni componente porta in sala prove. I suoi ascolti spaziano molto tra l’Indie Rock, la New Wave e diversi artisti italiani. Ascolta davvero un po’ di tutto, l’importante è che ci siano bei testi e intrecci strumentali che ti smuovano qualcosa dentro. Il nostro ultimo pezzo, per esempio, è stato influenzato dai Blur, quello prima ancora da un brano dei Wire, ma non è detto che queste influenze siano riconoscibili quando ascolti le canzoni in questione (che saranno nel prossimo album).

 

Nel 2016 avete realizzato il vostro secondo EP con il quale avete intrapreso il vostro primo tour: che esperienza è stata e quali difficoltà avete incontrato? Avete qualche aneddoto simpatico da raccontarci?

Mondo Vuoto è il disco che ci ha permesso finalmente di uscire a suonare anche fuori dalla nostra Liguria. Lo abbiamo portato in diverse regioni e locali, tra cui l’Hard Rock di Firenze e il Samo di Torino, ed è stato bello vedere per la prima volta la reazione di gente con cui non hai mai parlato in vita tua che ballava e si muoveva sulla nostra musica. Ti fa capire che magari i tuoi amici che ti dicono “Questo pezzo ci sta” forse non lo fanno solo per metterti a tuo agio. Aneddoti simpatici? Così su due piedi, ti diremmo una cena offerta da un locale in cui siamo stati a suonare, di cui non faremo il nome, a base di patate lesse e fagioli. Tre di noi praticamente quella sera non hanno cenato, mentre Alex continua tuttora a dire che è stata una delle cene più buone che aveva fatto in quel periodo. Da lì in poi, ci siamo sempre fatti delle domande sulle papille gustative di Alex.

 

Il 5 marzo scorso è uscito il vostro primo LP “Perfettamente Inutile” per La Clinica Dischi: raccontateci qualcosa di questo disco.

Se pensiamo alla genesi di Perfettamente Inutile, ci viene in mente prima di tutto un periodo molto prolifico. L’EP precedente era uscito a dicembre 2016 e l’estate dopo eravamo già in studio a registrare le 9 canzoni che poi sono andate a far parte del nuovo disco. Andrea allora studiava ancora a Firenze, e ogni settimana entrava in sala prove con un’idea su cui poi lavoravamo tutti insieme, eravamo particolarmente ispirati anche se, pensandoci, anche ora siamo in un bel periodo da questo punto di vista. L’idea e il concept del disco sono totalmente racchiusi nel titolo: dopo aver letto Il ritratto di Dorian Gray, Andrea è rimasto colpito dalla frase contenuta nella prefazione “Tutta l’arte è perfettamente inutile” o qualcosa del genere, e ha deciso di usare questa parte come titolo dell’album collegandola al modo in cui noi Pixel concepiamo la musica. Ogni artista, quando crea, deve farlo in modo perfetto, al meglio delle sue possibilità; ma al tempo stesso deve rendersi conto che tutto quello che sta facendo potrebbe essere, per certi versi, inutile: se a quel punto vuole comunque continuare a creare, per il puro gusto di farlo e per esprimere veramente se stesso, allora sta creando arte.

 

Quanto della vostra terra c’è nella vostra musica?

Tutti e quattro viviamo e siamo nati in provincia di Spezia (tranne Nicola, che è nato in Emilia-Romagna) e siamo tutti molto legati alla nostra terra. Andrea e Nicola abitano a Santo Stefano di Magra, un piccolo paese di provincia dove abbiamo anche la sala prove, Alex abita proprio in città mentre Marco vive nelle Cinque Terre, a Riomaggiore. L’unico che non vive fisso qui è Andrea, che ha studiato prima a Firenze e ora a Milano, ma torna ogni fine settimana nella madre patria. Tuttavia, nella nostra musica non ci sono riferimenti espliciti a Spezia o alla Liguria in generale, ma sicuramente il posto in cui vivi influenza, in modo o diretto o indiretto, il tuo pensiero e quindi le cose che scrivi quando componi. Quindi si potrebbe dire che almeno a livello inconscio, la nostra musica è influenzata dal nostro essere spezzini. Belina!

 

Quali sono i vostri progetti futuri?

Siamo a buon punto con la composizione di nuove canzoni e abbiamo in mente di pubblicare un nuovo album. Quest’estate entreremo in studio per registrare il nuovo materiale che avremo composto fino a quel punto e a momento debito lo pubblicheremo. Nei nuovi brani, stiamo mantenendo una linea col nostro stile, ma al tempo stesso stiamo introducendo molte idee che fino a ora non avevamo preso in considerazione in fase di composizione. Siamo molto contenti di quello che sta venendo fuori e delle demo che stiamo realizzando, noi stessi non vediamo l’ora di ascoltare il lavoro finito.

 

Formazione

Andrea Briselli (voce e chitarra)

Alex Ferri (chitarra e tastiera)

Nicola Giannarelli (basso)

Marco Curti (batteria)

 

Singoli estratti da Perfettamente Inutile.

I Sogni degli Altrihttps://www.youtube.com/watch?v=62FGRgWzi94

Carosellohttps://www.youtube.com/watch?v=CXGFUzZdrNM

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

 

Beat Saber vi insegnerà a duellare contro la musica

Assuefacente, coinvolgente, allucinogeno. Quello proposto da Beat Saber è un avveniristico viaggio ancestrale, che fonde indissolubilmente due pulsioni connaturate nell’essere umano: la guerra e il ritmo.

Così come i tamburi conducevano gli eserciti al fronte, due spade laser “suonano” uno spartito che va affrontato, sconfitto, battuto, per l’appunto, facendo propria l’armonia imposta dal livello di turno, dalla traccia scelta tra le diciassette che compongono la playlist del software.

La produzione di Hyperbolic Magnetism, autentico fenomeno del momento tra gli appassionati di videogiochi e non, è un così detto rhytm game, un gioco musicale. Si avvale della realtà virtuale, tramite visori come Oculus Rift e PlayStation VR, per proiettare l’utente in un’ambientazione che strizza l’occhiolino agli scenari distopici di Blade Runner e a quelli iniettati di neon di Tron Legacy.

Un palcoscenico certamente asettico e di per sé poco scenografico, eppure ideale per ospitare la cascata di cubi che andranno letteralmente fatti a pezzi utilizzando una coppia di controller equipaggiati di accelerometri, che nel videogioco assumono le sembianze di due spade laser caratterizzate ognuna da un colore specifico.

Non bisogna solo tenere conto della direzione con cui menare il fendente, opportunamente segnalato sul cubo stesso. Quelli di colore rosso andranno colpiti con l’arma dell’identico colore, stesso discorso per i cubi blu, pena il progressivo abbassamento della barra della vita.

Ciò che sulla carta può sembrare il classico gioco da ragazzi, incitati dalle sonorità tecno, hip hop e dance che caratterizzano la soundtrack di Beat Saber, diventa materia per chi ha il ritmo nel sangue e un’ottima coordinazione occhio-mano.

Con un po’ di pratica si affinano certi automatismi, ma è innegabile che il livello di difficoltà sia settato verso l’alto, soprattutto quando selezionando certi brani ci si ritrova letteralmente sommersi dalle note, dai muri di plasma da evitare spostando tutto il corpo, dalle bombe che non aspettano altro che un erronea sollecitazione per esplodere.

La modalità Campagna, se non altro, si rivela accondiscendente, introducendo gradualmente gli ostacoli e aumentando progressivamente la velocità di comparsa dei cubi.

Tutto allenamento, ad ogni modo, in vista delle partite in cui potrete sbizzarrirvi liberamente nella modalità apposita, scegliendo in prima persona malus e livello di difficoltà predefinito.

L’efficacia del concept si palesa al di fuori del visore, oltre il mondo digitale già di per sé estremamente ipnotico.

Da semplici spettatori, seguendo l’andamento della partita direttamente sullo schermo a cui è collegata la console o il PC, ci si scopre coinvolti nel groove, nelle movenze di chi sta giocando, quasi fosse una sinuosa performance che diventa rito (tribale) a cui partecipare eseguendo i “passi” impressi nello spartito.

Il meccanismo funziona anche per merito alle tracce composte da Jaroslav Beck, DJ ceco con già all’attivo diverse collaborazioni in ambito videoludico. Brani come l’omonimo Beat Saber e $100 Bills, forti di beat potenti e decisi, favoriscono la trance agonistica e una fruizione fisicamente partecipata degli astanti.

Non esiste modo migliore per definire Beat Saber se non accostandolo alla figura retorica dell’ossimoro, tanto futuristico nella tecnologia che coinvolge e nell’ambientazione in cui proietta l’utente, quanto primordiale nelle emozioni e reazioni che suscita.

Avremmo sicuramente gradito una playlist più ampia, ci auguriamo che in futuro specifici aggiornamenti ovvino a questa problematica, ma è innegabile che Beat Saber sia tra le esperienze più affascinanti che la realtà virtuale abbia attualmente da offrire sia agli esperti, sia ai curiosi, magari amanti della buona musica, tutta da suonare e ascoltare, come noi.

 

Lorenzo “Kobe” Fazio

Don Broco @ Legend_Club

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• Don Broco •

+ Dreamshade

 

Legend Club (Milano) // 19 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Arrivo al Legend Club alle 21, di scena oggi una band che aspettavo di fotografare da tempo, i DON BROCO.

In cassa accrediti ricevo la più bella notizia della giornata. Posso fotografare tutto il concerto!

Occhi a cuore.

Aprono le danze i Dreamshade, band italo/svizzera che con la loro carica scaldano a dovere il pubblico del Legend Club di Milano. Cala il buio.

È il turno dei Don Broco. Parte l’intro di Come Out to LA e fasci di luce tagliano il palco a tempo con la base.

Boom!
Si accendono le luci e finalmente esce Rob Damiani, che inizia a divincolarsi sul palco, incantando le ragazze in prima fila.

La presenza scenica del frontman dei Don Broco è notevole.

Esco dal pit e mi butto a fotografare tra la folla, una cosa che mi piace moltissimo, perché ti metti alla pari del pubblico. I tuoi occhi sono i loro, le loro mani sono parte della foto e senti il loro calore.

Senti anche le gomitate nello stomaco, le ascelle pezzate di sudore e le ragazze stonate che ti cantano addosso e ti salgono sui piedi, ma va bene cosi!

In scaletta sono presenti tutti i brani più belli della band, Come Out To LA e Stay Ignorant sicuramente i miei preferiti.

Spengo la macchina fotografica e mi godo il concerto, pogo, salto e muovo le mani assieme a tutti i presenti, formando una grande onda.

I’m gonna ride that wave
I’m gonna ride that wave
Ooh
I’m gonna ride that wave
I’m gonna ride that wave

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

COME OUT TO LA

PRETTY

SUPERLOVE

TECHNOLOGY

TIGHTROPE

GOOD LISTENER

MONEY POWER FAME

THE BLUES

PORKIES

EVERYBODY

GOT TO BE YOU

STAY IGNORANT

AUTOMATIC

KEEP ON PUSHING

PRIORITIES

FURTHER

GREATNESS

YOU WANNA KNOW

NERVE

TSHIRT SONG

 

Grazie a Barley Arts

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo e Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10687,10699,10701,10691,10694,10685,10683,10689,10679,10700,10698,10684,10680,10681,10682,10696,10686,10688,10693,10692,10690,10695,10697″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Dreamshade

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Riccardo Sinigallia @ Locomotiv Club

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• Riccardo Sinigallia •

CIAO CUORE TOUR

 

Locomotiv Club (Bologna) // 19 gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il CIAO CUORE TOUR di Riccardo Sinigallia fa tappa a Bologna nell’intima cornice del Locomotiv Club.

 

Ecco le prossime date del Tour:

25 gennaio Milano Santeria Social Club

1 febbraio Roncade (TV) New Age

7 febbraio Pozzuoli (NA) Duel Beat

8 febbraio Modugno (BA) Demodè

15 febbraio Perugia Rework Club

16 febbraio Roma Monk

 

 

Grazie a 1Day[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10736,10724,10725,10731,10732,10721,10727,10722,10723,10728,10726,10730,10729,10733,10734,10735,10737″][/vc_column][/vc_row]

Noyz Narcos @ Estragon

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• Noyz Narcos •

Estragon Club (Bologna) // 18 gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]L’Enemy Tour di Noyz Narcos continua senza sosta, registrando sold-out ad ogni tappa compresa quella di ieri sera all’Estragon di Bologna, città particolarmente amata dall’artista.

Fuori da ogni schema logico, Emanuele Frasca, resta ancorato alle sue origini caratterizzate da quell’hardcore ormai quasi svanito in Italia e dall’hip hop vero.

Caratteristiche appunto, che lo rendono inconfondibile.

Nei suoi testi continuano a regnare tematiche crude, sapore di strada, ingiustizie e proteste contro un sistema corrotto che Noyz non ha paura di descrivere decidendo di non omologarsi al mercato musicale commerciale.

Enemy è anche il titolo del suo ultimo album, all’interno del quale coesistono varie collaborazioni con altri artisti e amici della scena romana e non come Coez, Salmo, Achille Lauro e Carl Brave.

Alcuni featuring sono stati riprodotti durante il live al maxi schermo con immagini e video in bianco e nero. Un susseguirsi di tinte ombrose che richiamano atmosfere cupe e in perfetto stile Noyz.

Tante sono le rime taglienti come lame che l’artista ha premura di affilare per bene in ogni suo disco.

Mancano ancora alcune tappe alla fine del tour. Due tappe che potrebbero essere le ultime di tutta la carriera di Noyz il quale sembra aver mostrato la volontà di ritirarsi dalle scene.

A dispetto però di tanti suoi colleghi partiti dal rap e finiti nel commerciale, Noyz Narcos è nato per strada ed è rimasto quello che era e ci auguriamo che la storia dello scioglimento sia un po’ “farlocca” come quella degli EELST.

Grazie a Thaurus e Zamboni53[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Claudia Venuti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10655,10662,10659,10654,10667,10666,10669,10658,10668,10661,10656,10657,10660,10672,10665,10663,10670,10664,10671″][/vc_column][/vc_row]

SEM, l’Indie-Inspired-Pop che ci porta su un “Altro pianeta”

Solo vent’anni ma un talento da vendere.

Si chiama Samuele Puppo, ma per gli amici è solo SEM – rigorosamente tutto maiuscolo. Un ragazzo che fa della semplicità la sua arma vincente, ingrediente segreto di ogni suo brano e personale peculiarità caratteriale.

Di recente ha firmato per “La Valigetta”, un’etichetta cremonese che fin da subito ha dimostrato interesse nei suoi confronti, dandogli fiducia nonostante quattro chiacchere…su Instagram. (Ebbene sì, i social servono anche a questo!)

Attualmente sta lavorando al suo primo disco che, tra non molto – mi promette – verrà anticipato da un nuovo singolo prodotto da, nientepopodimeno che Erik Thorsheim, produttore del già affermatissimo Boy Pablo.

 

Abbiamo fatto quattro chiacchiere, ecco di cosa abbiamo parlato.

 

Ciao Samuele! Raccontaci un po’ di te.

Ciao VEZ! Io sono Samuele, ho 20 anni e vengo da Celle Ligure. La mia passione per la musica nasce grazie a mio papà: vederlo suonare, anche solo per diletto, mi ha spinto a studiare chitarra prima e canto poi, all’età di 15 anni. I miei primi testi e le mie prime demo sono state in lingua inglese, forte delle mie influenze artistiche che affondavano – e affondano tuttora – le radici nella musica anglosassone, soprattutto nel Pop americano.

Dopo il primo EP ufficiale, registrato ormai tre anni fa, io e il mio batterista Nicola Arecco, abbiamo deciso di dare vita ad un nuovo progetto che è quello attualmente stiamo portando avanti con il nome di SEM.

 

Nella tua biografia, nel genere musicale, è indicato “Indie Inspired Pop”: ce lo spieghi?

Indie-Inspired-Pop è un’etichetta che mi piace molto e che mi è stata attribuita da Erik Thorsheim, il produttore del mio ultimo singolo. “Indie”, oggi, specialmente in Italia, è un termine molto ambiguo e talvolta pericoloso: vuol dire tutto e non vuol dire niente. Ciò che erroneamente pensa la gente dell’Indie è che sia un genere con delle caratteristiche ben precise; in realtà è più un’idea che un sistema di regole: basti pensare ad artisti come Calcutta e Carl Brave, due tipologie di musica differenti che però vengono collocate sotto lo stesso nome.

Io, come dico sempre, scrivo canzoni Pop. Tuttavia sono ispirato dall’Indie estero, che inserisco all’interno dei miei brani in base a ciò che mi piace”.

 

E oggi cosa ascolti?

La musica inglese e americana rientra tuttora nei miei ascolti principali ma, rispetto al passato, ho deciso di aprirmi maggiormente verso le nuove uscite e i nuovi artisti del momento. Ci sono stati diversi musicisti che mi hanno colpito e dai quali ho cercato di carpire il più possibile, come Rex Orange County, nel quale mi sono rispecchiato molto. Oltre all’Indie-Pop straniero coltivo una grande passione per la Black Music e il Soul in particolare. E poi c’è la musica italiana, di cui sto approfondendo solo ora il cantautorato.

 

È bello che tu prenda spunto dalla musica straniera per poi renderla tua in italiano…

La scelta di usare l’italiano è dettata dall’esigenza di voler comunicare determinate cose in un determinato modo: solo in italiano ci riesco perfettamente. Non è stato un modo per prendere parte alla scena italiana perché – come dicevo – è poca la musica italiana che ascolto e che mi piace davvero. Cerco però di mischiare i miei gusti per tirare fuori il meglio.

 

Dal 2015 al 2017 hai partecipato a numerosi festival: qual è il tuo ricordo più bello?

Una bellissima esperienza è stata sicuramente l’aver partecipato all’Acoustic Guitar Meeting nel 2015 a Sarzana. Ricordo di aver preso parte molte volte a questo festival come spettatore e ogni volta era un’emozione. Aver avuto l’occasione di salire su quel palco non più come spettatore ma come musicista è stata una grande soddisfazione.

Anche il Pistoia Blues è stato particolarmente emozionante: è stato il primo festival a cui ho partecipato, insieme a mio padre, quando avevo 9 anni. Potermi esibire in quella cornice, anche solo per 10 minuti, è stato incredibile.

 

Il 27 luglio scorso è uscito il tuo primo singolo Anche se: come sta andando?

Il pezzo sta andando bene. Nicola ed io siamo rimasti piacevolmente sorpresi da questo successo, non ce lo aspettavamo. Avevamo realizzato diversi pezzi ma abbiamo pensato a questo come singolo dell’estate; non avevamo molto tempo ma abbiamo comunque rispettato le tempistiche. L’aspettativa non era molto alta ma il singolo è andato decisamente meglio e questo mi fa venire voglia di tirar fuori cose nuove.

 

Attualmente stai lavorando a nuovi pezzi? Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sì, sto lavorando al nuovo disco che verrà realizzato per La Valigetta, un’etichetta cremonese che ha da subito creduto in me pur non conoscendomi di persona. Tra non molto il disco verrà anticipato da un nuovo singolo.

 

Di recente hai collaborato con Zibba: che esperienza è stata?

Ho la fortuna di conoscere Zibba da tanto tempo – siamo addirittura quasi vicini di casa – ed è stato il primo artista italiano che ho ascoltato davvero sin da bambino. Nel momento in cui ho iniziato a cimentarmi nella scrittura ho pensato subito a lui come punto di riferimento, una persona che potesse darmi i giusti consigli, data la sua esperienza nella musica. Tra un brano e l’altro è nata così la collaborazione che ci ha portati a lavorare insieme sui testi dei due singoli Anche se e Altro pianeta. Una bellissima collaborazione.

 

Che cosa pensi dei talent show? Parteciperesti mai?

Questa è una domanda che ritorna spesso. Ma no, non parteciperei ai talent. Mi trovi scettico a riguardo e non è perché io mi senta migliore di qualcuno. Ho avuto l’occasione di prenderne parte, più volte, ma alla fine ho sempre rifiutato in modo istintivo. Penso che i talent siano e restino sempre dei programmi realizzati per la tv: che ci siano o che non ci siano, in fondo, non importa. Inoltre, ciò che ne esce è spesso ingigantito e per questo non li ritengo una fedele fotografia della realtà; finché ci divertono va bene ma stiamo attenti a dargli la giusta importanza.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

Lo Straniero – Quartiere italiano, 2018 (Tempesta Dischi)

Camminare di notte, lungo le vie della città, assorti nei propri pensieri. In silenzio. Ritrovarsi, poi, in prossimità di un piccolo centro abitato. Palazzi vicini, finestre con luci accese, altre dormienti.

Ombre che abitano costruzioni animate di cemento. Le storie dentro, fuori e oltre quelle finestre si trasformano in canzoni nel nuovo album de Lo Straniero, Quartiere italiano, pubblicato lo scorso 12 ottobre per La Tempesta Dischi.

A distanza di due anni dal disco di esordio, riprendendo uno stile personale caratterizzato da campionature elettroniche, ritmi psichedelici e l’alternarsi di Giovanni Facelli e Federica Addari alla voce, la band piemontese dimostra di essere ambiziosamente evoluta nella composizione sia musicale sia lirica.

Quattordici brani, quattordici episodi autoconclusivi sospesi tra realtà e fantasia che, in corso d’opera, si intersecano fino ad assumere la forma di concept album.

Sotto le mentite spoglie di una mancanza di direzione, si dà il via all’esperienza all’interno del condominio virtuale con una domanda, con Dove vai.

Eppure la prima traccia, oltre ad omaggiare il grande compositore Armando Trovajoli, innalza la bandiera di un manifesto artistico: “Con un codice preciso inizia un regime di pura fantasia”.

Ogni uomo, ogni personaggio, ogni x prende vita attraverso immagini evocative, metafore, contrasti, chiaroscuri. La titletrack invita a salire su una sorta di ascensore di vetro da cui si scorgono, piano per piano, sene della quotidianità.

Etnie, lingue. Origini, vissuti differenti si muovono tutti all’interno di uno spazio condiviso che, però, non equivale a sinonimo di conoscenza approfondita.

Esistenze che si incontrano, si sfiorano, si superano, restando per lo più “solo facce che non si riconoscono”. L’eterogeneità fa da denominatore comune.

Ci sono Madonne che camminano di notte, si aggirano per la periferia, assaggiano il sapore amaro della violenza ma tornano, sempre.

In Sorella, invece, una donna chiede aiuto per scappare dai fantasmi della mente e del passato. Suo fratello accoglie la preghiera, solo a costo di portarla in salvo lontano dalla terra. Tutto accade in tempo reale, a ciclo continuo.

Sulla scia di ritornelli avvolgenti e melodie accattivanti, ci si ritrova ad essere sia spettatori che protagonisti delle narrazioni. Le nostre storie diventano le storie di Sedute spiritiche, di Intrecci di corpi e di relazioni, di Vampiri, di anime che si aspettano, immobili, al quinto piano.

Lo Psicobisogno di una tregua, di un attimo per addormentarsi. Una necessità tanto impellente che a cantarla, nel disco, si aggiunge una voce di eccellenza, quella di Gian Maria Accusani (Prozac +, Sick Tamburo). Impronta inconfondibile de Lo Straniero è, infatti, la polifonia, la complementarietà delle voci e la presenza di cori.

L’inconscio non è più un sottofondo e parla: “Senti che cos’è che non va…”. Ci si può addormentare ma si rischia di fare il sogno sbagliato e risvegliarsi con la consapevolezza di dover accettare anche i nostri lati più tormentati e oscuri. È concessa, tuttavia, una pausa.

L’ascensore giunge al punto della corsa più alto. Il sesto piano, traccia strumentale di un minuto, frangente per placarsi, affacciarsi, guardando le stelle, respirando calma.

A rendere coesi tutti questi elementi è la produzione artistica di Alessandro Bavo (Subsonica, Levante, Virginiana Miller), raffinata e curata nei minimi dettagli. I suoni sintetici si amalgamano con naturalezza a quelli di chitarre, pianoforti, batterie. Ritmi etnici e orientaleggianti prendono per mano, da una parte, la melodia, dall’altra, la componente elettronica, creando arrangiamenti sperimentali davvero interessanti.

Un disco, un viaggio, uno spaccato di mondo. Molteplici dimensioni che si intrecciano, come fili colorati. Come quei fili colorati che, sulla copertina del disco, disegnano i profili dei protagonisti di Quartiere italiano. Punti di partenza e di arrivo disparati. Ma oltre i veli, le maschere, i progetti, i segreti, tutto Ritorna qui: all’uomo.

 

TRACKLIST:

  1. Dove Vai
  2. Quartiere Italiano
  3. Matematica e Aspirina
  4. Cardio
  5. Madonne
  6. Il Sesto Piano
  7. Seduta Spritica
  8. Sorella
  9. Intrecci
  10. Vampiro
  11. Psicosogno
  12. Il Quinto Piano
  13. Lastricato
  14. Ritorna Qui

Laura Faccenda

A cavallo con Tex… Alla Permanente di Milano

 Tex Willer, il cowboy italiano, compie 70 anni e Milano ha pensato di festeggiare il suo compleanno dedicandogli una mostra, curata da Gianni Bono.

L’Aquila della Notte, personaggio creato dalla penna Gianluigi Bonelli e dalla matita di Galep (Aurelio Galleppini) nel lontano 1948, è uno degli eroi di maggior successo del fumetto italiano e ha riscosso un’accoglienza più che positiva persino all’estero.

 

Gianluigi Bonelli

 

 

 

 

 

 

Gianluigi Bonelli

 

Aurelio Galleppini

Aurelio Galeppini

 

Ma chi è Tex Willer?

Per chi non lo conoscesse bene a prima vista potrebbe sembrare uno dei tanti cowboy, quelli che abbiamo visto tante volte nei film western, ma dietro questa facciata troviamo un personaggio molto più complesso.

Tex è un ranger, ma dalla parte degli indiani: Aquila della notte è infatti il saggio capo bianco delle tribù Navajos.

Questo mix fa di Tex un eroe senza pregiudizi: la sua missione è quella di prestare soccorso a chiunque ne abbia bisogno, indipendentemente dalla sua razza o dal suo credo.

 

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La mostra celebra il compleanno del ranger nostrano attraverso foto, immagini e tavole inedite.

Ma perché una rivista di musica, nella sezione di arte, parla di una kermesse dedicata ad un fumetto?

La risposta è molto semplice.

Tex è stato l’eroe di diverse generazioni ed è ovvio che con le sue avventure abbia influenzato anche tutta una serie di musicisti, più o meno noti.

Partiamo con uno dei gruppi più conosciuti che hanno dedicato al nostro eroe un brano: i Litfiba. La band di Piero Pelù nel 1988 nell’album Litfiba 3 ha incluso un brano dal titolo Tex.

Quello dei Litfiba è solo un rimando all’eroe buono della Bonelli perché il testo è una critica al genocidio dei nativi americani.

Anche Loredana Bertè, che quest’estate ci ha fatto ballare con il singolo Non ti dico no, nel 1994 si è fatta ritrarre sulla copertina del suo album Bertex ingresso libero, nei panni dell’Aquila della notte.

L’ultimo esempio che vi farò è la ballata di Tex Willer scritta da Giorgio Bonelli, il figlio di Gianluigi, ed interpretata da Marco Ferrandini e Francesco Pozzoli.

La mostra che rimarrà aperta fino al 27 gennaio è ospitata al Museo della Permanente di Milano ed è dedicata non solo a chi conosce ed ama Tex ma anche a tutti i curiosi che vogliono avvicinarsi e vedere da vicino un pezzo della storia popolare italiana.

Se volete provare a calarvi nelle atmosfere del selvaggio west, e capire cosa si provava a cavalcare con il vento tra i capelli in compagnia degli indiani, Milano è il posto che fa per voi…almeno fino al 27 gennaio.

 

Laura Losi