Henrik Lindstrand,già membro del gruppo alternative rock danese Kashmir, è un compositore svedese di musica contemporanea neoclassica e di colonne sonore per il cinema.
Builder’s Journey è il suo terzo album da solista: dieci brani composti ed eseguiti al pianoforte, ideati per la colonna sonora di un videogioco, LEGO Builder’s Journey per l’appunto.
Un progetto peculiare, questo, ma al cui richiamo emotivo non ha saputo dire di no: “[lo studio di produzione,NdR] Avevano ascoltato il mio primo album da solista Leken e mi chiesero se fossi interessato a comporre la colonna sonora per il videogioco. Mi sembrò un’idea vincente, e dato che ero stato un bambino costruttore con i LEGO io stesso, aveva anche un forte elemento nostalgico per me.”
Ascoltando l’album si ha la sensazione immediata di entrare nella realtà aumentata di un ricordo dell’infanzia. Puoi rivederti toccare curioso i tuoi giocattoli preferiti ed interromperti ad osservare lo spazio oltre il vetro di una finestra, alla ricerca di nuove trame e personaggi.
Come i LEGO, le tracce di Builder’s Journey si completano dando vita ad un arco temporale sospeso, scandito dalla fine di un gioco e l’inizio di un altro mentre si aspetta il ritorno dei genitori a casa.
Lindstrand alterna gli ambienti intimi di brani come Our House e Kid and Dad Reunited, agli spazi all’aperto ed eterni di Sand Castle e Campfire.
Dad at Work è il brano più dinamico e asincrono, la batteria ti coglie di sorpresa.
Ascoltando Builder’s journey, il brano che ha anticipato l’uscita dell’album, non stiamo sbirciando dal finestrino di un auto una foresta di aghifoglie nel nord Europa?
Il suono delicato del pianoforte, perno centrale dell’album, pervade gli spazi abitabili di Builder’s Journey e restituisce la percezione di un luogo serafico. L’ ambiente sonoro, ricercato ed idillico, che avvolge le tracce suggerisce la visione di una luce diffusa e diurna mentre due mani piccole afferrano quei mattoncini di plastica.
La sensibilità di ogni traccia porta l’ascoltatore lontano ma dentro a qualcosa che ha già vissuto. Così la mancanza di parole viene colmata dal suono dei nostri pensieri a ritroso. A tal proposito, Lindstrand racconta di aver cercato di rendere la musica autonoma ed completa in modo che non risultasse un anonimo suono di background e compensasse la mancanza di dialogo nel gioco.
Builder’s Journey è un album tattile, generativo ed introspettivo. Brani come Gameshow e The factory stimolano un’esigenza creativa che affiora ad ogni nota sospesa. Home alone, Light Brick neaffermano la natura intima e nostalgica.
In conclusione, questo disco non è semplicemente la colonna sonora di un videogioco, ma un’opera che testimonia il grande talento di Lindstrand nel dare respiro ad immagini riconoscibili ed universali.
Siamo agli sgoccioli di questo inverno indubbiamente difficile e non c’è niente che possa aiutarci a stare meglio più della musica, in particolare quella che ti fa ballare e alla fine dell’ascolto ti scorre nelle vene.
Non sembra, quindi, essere un caso che proprio a fine Febbraio esca Casa Mia, il nuovo singolo dei Deux Alpes, duo elettronico di Milano.
Se, tuttavia, dall’elettronica ci aspettiamo un sound da discoteca, con un brano che gira tutto intorno alla propria esplosione, non è questo quello che troveremo in Casa mia, che sin dal primo ascolto si presenta come un brano introspettivo, quasi intimo, che incanta grazie al basso e alla batteria e, soprattutto, alla voce di Marta Moretti dei Tersø.
La prima parola che viene in mente ascoltando il pezzo è “ipnosi”, intesa come allontanamento dalla propria dimensione per immergersi nella scoperta del ricordo e di se stessi. Insomma, Casa mia trasporta chi l’ascolta in un limbo in cui i suoni che compongono la melodia scandiscono una serie di immagini incisive ma semplici, senza troppi fronzoli.
La cosa che, a mio parere, contraddistingue il mood dei Deux Alpes (così come la loro musicalità) è sempre stato l’essere unici. È difficile, almeno per me, trovare qualcuno che in questo momento, nel panorama italiano, usi e manipoli la musica come fanno loro. Questa unicità rende certamente più difficile la piena comprensione del loro progetto al primo ascolto perché crea, sicuramente, una sorta di straniamento tale per cui è necessario non solo un secondo ascolto, ma anche una certa attenzione.
Forse già dal nome è evidente, come lo è sempre stato, che i Deux Alpes appartenessero ad un immaginario d’oltralpe, ad una musicalità nordica. Ma con questo brano hanno definitivamente sancito il loro essere europei tanto che neppure la lingua distrae dal fatto che starebbero davvero benissimo sul palco di un festival francese o danese. Non è infatti distante dall’eleganza che caratterizza le produzioni nordiche, così come la voce di Marta suona quasi come un inno su cui perdersi, sognare ed entrare nell’immaginario onirico tipico di quei luoghi.
I Deux Alpes, anche in lingua italiana, sono quindi un progetto sicuramente ricercato e intelligente, certamente non pop. Il che, sia ben chiaro, nel loro caso non può essere che un pregio.
Casa Mia, infatti, è un gioiellino intenso ed espressionista, più adatto ad un ascolto intimista e solitario che ad un viaggio in macchina con amici. Ma, nella sua componente essenziale, resta un brano bello, puro, attento e ragionato. Uno di quelli da mettere per impressionare, uno di quelli che, alla lunga, entrano di merito nel bagaglio musicale di un ascoltatore.
È, quindi, ben lontano dalla musica di alto consumo, dalle rotazioni continue in radio accanto a Gabbani o dall’essere adatto a tutti, ma è sicuramente questa la sua dote più accentuata, il suo asso nella manica.
In questo momento in cui tutto è adatto a tutti e davvero poco resta, infatti, sono certa che i Deux Alpes, con questo brano, siano riusciti a creare qualcosa che rimanga, forse non a tutti, ma sicuramente a chi sarà disposto ad ascoltarlo davvero.
Attenzione, maneggiare con cura! Avete tra le mani, o nelle orecchie a seconda, un signor disco, tra i più belli sentiti in questo primo scorcio di 2020, a parer mio.
Superspleen Vol. 1 dei Non Voglio Che Clara è un disco malinconico il giusto, arreso ma non troppo, con picchi di scrittura immaginifici. E mi sto trattenendo. Prendete la conclusiva Altrove/Peugeot, intorno al minuto 2:20: quel cambio di registro, quella virata quasi agnelliana (nel senso di Manuel, non dell’animale), “è un dolore passeggero che si cura col veleno”, il finale che gli Slowdive direbbero well done guys! Da mozzare il fiato. La rimando in loop da settimane.
È un disco dal peso specifico rilevante, è un disco non immediato seppur facilmente fruibile, frutto di un linguaggio ricercato, soppesato, ma non aulico. Per fare un parallelismo stareste leggendo un ErrideLuca, o un Culicchia, non GesualdoBufalino ecco.
Canzoni che sono sguardi, spesso all’indietro, talvolta al presente, di rado al futuro, verbi quasi sempre coniugati al passato, pop d’alta classe, con aperture più radiofoniche, come ne La Croazia o San Lorenzo, o i tempi più dilatati di Ex-Factor, passaggi nei territori dell’indie contemporaneo di Epica Omerica, ma ci sono idee e linfa nuova lungo tutto questo disco, come quando si sdrammatizza ne Il Miracolo o si ammicca agli anni ’80 con La Streisand.
Probabilmente il passaggio focale del disco sta in Liquirizia, che mi piace pensare sia stata posizionata a metà disco proprio per questo, “e il gusto dolce amaro della liquirizia”, è il clima generale che si respira e che permea queste dieci riflessioni, queste dieci diapositive, appese al muro, che Fabio de Min e i suoi sodali, osservano, con il giusto distacco, senza sprofondare nei ricordi, senza lasciare il passo ai rimorsi, ma con una consapevolezza nuova, più fresca, più sincera.
Credo che questo Superspleen vol. 1 sia il classico caso di disco hic et nunc, per quanto mi riguarda, perché i Non Voglio Che Clara mi girano attorno da sempre, come satelliti, ma per questioni orbitali o altro non avevo mai inviato una stazione spaziale a studiarne la composizione (ok ok, la smetto). E sì che di occasioni, voglio dire: i loro primi dischi con l’Aiuola Dischi, quando per me quell’etichetta era quasi esclusivamente Babalot o Arte Molto Buffa, e la loro provenienza geografica, a pochi chilometri da casa mia, e quella scena indipendente con Valentina Dorme, i mitici Es e molte altre band oramai di culto, ma mai una volta che fosse scattato il fatidico colpo di fulmine.
Fino a qualche settimana fa. Ora Superspleen vol. 1 è entrato a pieno regime nelle rotazioni di queste settimane di smart working e forzata reclusione, “E di cantare chissà quando smetterò”, ci si domanda su Superspleen… Ecco, non a breve, per quanto mi riguarda, anche perché prima vorremmo il vol.2.
È un viaggio musicale, quello che ci propongono i THINKABOUTIT con Marea, il loro nuovo album uscito a quattro anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio. Tutto il tempo trascorso, tutta la fatica e la ricerca stilistica fatti dal collettivo sono tangibili in queste 16 tracce, che un po’ si discostano dalla loro musica precedente.
Anticipato dai due singoli Arturo Gatti e I Fly High, che già lasciavano presagire il cambio di rotta da parte del collettivo barese, Marea si presenta come un disco decisamente eterogeneo, che passa dall’elettronica alle chitarre, con anche diversi richiami al jazz.
Tornando alla metafora del viaggio, troviamo tracce come Tokyo o Adriatico che, a dispetto del nome, sembrano voler trasportare chi ascolta proprio in un locale jazz degli Stati Uniti, uno di quelli dove trombe e sassofoni dominano la scena. Al contrario, canzoni come 2008 ricreano un’ambientazione pittoresca del Sud Italia.
Sulla stessa scia troviamo anche Leave This Place, dove invece sono le parole a farci pensare al viaggio, o forse più a una fuga per inseguire i propri sogni. “Grab your dreams and drive away, put ‘em in your suitcase and never look back”, cantano all’inizio del pezzo.
Il brano più particolare di tutti però è sicuramente Parlesia, realizzato in collaborazione con il pianista e compositore Mario Nappi. Il titolo si riferisce al gergo tipico dei musicisti napoletani e allora, su una base di pianoforte, ad una prima parte in inglese si accosta una seconda in napoletano, senza forzature o stranezze, come se fosse il proseguimento più naturale del mondo.
Un’atmosfera mediterranea si mischia dunque a sonorità internazionali, accentuate anche grazie al passaggio dall’italiano all’inglese nei testi. Una scelta azzardata forse, ma che nel complesso funziona e rende le canzoni quasi “cinematografiche”, nel senso che potrebbero funzionare bene come la colonna sonora di qualche film indipendente.
Marea è quindi un album decisamente evocativo, che fin dal primo ascolto riesce a trasmettere immagini nitide attraverso parole e musica, che nella maggior parte dei brani tende a fare da padrona.
Sono proprio queste immagini a funzionare da collante tra canzoni così diverse tra loro; il fil rouge che accompagna l’ascolto.
Sono le 18:00 del 15 Febbraio a Bologna e i Management sono appena arrivati al Locomotiv Club. Mentre il resto della band si prepara per il sound-check, mi dirigo nei camerini per l’intervista a Luca Romagnoli, frontman della formazione abruzzese.
Ciao Luca! Finalmente siete tornati con il nuovo disco, Sumo ed un nuovo tour a due anni dall’ultimo lavoro. Siete pronti a ritornare sul palco?
“Siamo prontissimi! Ci siamo preparati a lungo, anche perchè ci sono stati molti cambiamenti, di vario genere, anche nel modo in cui presentiamo i brani, sia nuovi che vecchi.”
Ve lo avranno già chiesto ma mi sembra una domanda dovuta: a proposito di cambiamenti, perchè avete fatto questo cambiamento di nome, da Management del Dolore Post-Operatorio al solo Management?
“Certo, domanda lecita! Tant’è che già prima ci chiedevano il perchè ci chiamavamo così ed ora che abbiamo cambiato, insomma un casino! Con il nuovo disco, Sumo, e questa nuova attitudine, volevamo cancellare tutta quella parte provocatoria e iconoclasta che ci ha rappresentato, dato che oggi se ne fa anche fin troppo uso a livello spettacolare. Vediamo contenitori senza contenuto e si fa fatica poi a distinguere la provocazione intelligente dalla sterile provocazione; tutto questo apparato ha cominciato ad avere sempre meno valore per noi. Ci siamo voluti concentrare fortemente sulla musica, sulla poetica, gli arrangiamenti, la produzione. Volevamo parlare solo attraverso le canzoni, su disco e dal vivo; dove prima c’era molto dialogo, quasi spesso un monologo fatto di rabbia e imprecazioni ora c’è pulizia. Vogliamo arrivare solo attraverso i nostri brani.
Quindi l’ultima provocazione è stata proprio quella del nome, che a livello estetico rappresentava la nostra parte schizofrenica.”
Parliamo del nuovo disco, Sumo, uscito lo scorso Novembre: l’ho ascoltato attentamente ed infatti ho notato questi cambiamenti che tu mi hai appena citato. Rispetto ai precedenti lavori c’è una diversa attitudine, sia nei suoni, sia ne testi finanche alla interpretazione. Meno irriverenza, meno rabbia, ma comunque sempre intenso e a tratti malinconico. Me lo hai già in parte accennato, ma cosa è cambiato?
“Siamo già arrivati al quinto disco e nei lavori precedenti abbiamo sempre registrato in maniera folle e compulsiva negli spazi che avevamo tra un tour e l’altro, con quell’urgenza di scrivere e non ci siamo mai fermati veramente. Così abbiamo deciso di fermarci: finalmente riesci a capire dove sei arrivato e quali sono le strade che vuoi prendere. Ci siamo resi conto che dal primo disco ufficiale, Auff,del 2012, erano passati 6 anni e che eravamo cambiati. Oltre ai cambiamenti di cui abbiamo parlato nella domanda precedente c’è stata una consapevolezza; ogni disco rappresenta un periodo e non per forza deve essere coerente col precedente, anzi io sono conto la coerenza artistica, per carità! Per cui ora volevamo raccontare questo nuovo periodo, con tutte le nostre incertezze, le paure, il dolore di un amore finito, una persona che non c’è più, un’assenza, una lontananza. Ci sentivamo di raccontare nuove cose ed è quindi uscito questo disco molto nostalgico, più malinconico, super intimo. Noi scriviamo tante canzoni prima di registrare e non ci sembrava che altre canzoni all’interno di questo disco avessero un senso.”
Come nascono le canzoni dei Management? Qual’è la filiera creativa?
“Io e Marco di Nardoscriviamo sempre allo stesso modo, forse neanche tanto normale, in quanto lui si dedica esclusivamente alla musica, agli arrangiamenti ma senza conoscere la tematica della canzone, che io inserirò in un secondo momento. Lavoriamo a comparti separati ed io amo scrivere solo se già conosco la musica. Non riesco a stare 7/8 ore con foglio e penna in mano, non mi uscirebbe nulla! Devo avere già una musica in cui posso venire immerso.
Anche perchè uso quel tempo diversamente, vado al bar, mangio, bevo, mi masturbo! Mi viene assai facile invece lasciarmi trasportare dalla musica e scrivere in maniera istintiva e molto ritmica, mi piace che le parole abbiano un ritmo sulla musica.”
La vostra musica è influenzata da altri artisti o band? Avete dei riferimenti musicali?
“Proprio per il motivo che ti dicevo prima, per la modalità di scrittura, Marco è influenzato dai suoi ascolti per quanto riguarda la musica, io invece sono sempre stato appassionato del grande cantautorato italiano, i mostri sacri! Marco, essendo anche produttore, ha un ascolto più aggiornato e internazionale.”
Che ne pensate dell’attuale scena italiana?
“Non credo che ci siano dei geni, compresi i sottoscritti! Però devo dire che c’è tanta qualità e tante cose da dire e una cosa che io vedo in maniera positiva è che i giovani stanno sostituendo la vecchia guardia! Ma questo “indie” di cui molti si lamentano che sta diventando pop, non credo sia così! Semplicemente sta entrando nel mainstream inteso però non negativamente. Sta diventando la nuova musica nazionale, quindi non c’è più spazio per Albano, fenomeno relegato magari ai nostri genitori o ai nostri nonni. Ora per i giovani ci sono finalmente i giovani! Ed è una cosa buona che si sia creato tutto questo spazio, cosicché anche nel piccolo ci sono tante band “minori” che riescono ad esporsi. Quello che forse un po’ mi dispiace è che si sia quasi eliminata la questione alternativa, il mondo alternativo vero, quello contro, quasi non esiste più.”
Si, negli anni è un aspetto che è effettivamente cambiato, una volta c’era una differenza più netta tra quello che era visto come “alternativo” e il “mainstream”…
“Si esatto, noi una volta ci posizionavamo come alternativi e non avevamo nessuna intenzione o il pensiero di dire “Un giorno andremo a Sanremo”, oppure “Farò i palazzetti”, mentre oggi c’è questa possibilità ed è un pensiero di tutti. Questo è positivo, però esclude anche un pensiero, che è fondamentale nella musica, cioè di avere una scena che sia contro e che si ponga come alternativa totale alla televisione, alla radio, al sistema. C’è una sorta di omologazione, per forza di cose. Però appunto sono fiducioso che nella storia, negli anni, arriveranno sempre dei giovani con la voglia di distinguersi e che vogliono rompere il culo agli altri giovani che fanno sempre la stessa cosa. Per esempio, fino a qualche anno fa, sono stati quelli della trap a farlo! Però adesso essendo diventata fenomeno mondiale, ripercorrono anche loro sempre i soliti cliché. Si è presa tutto lo spazio ma alla fine ora dicono tutti sempre le stesse cose, stessi argomenti.”
Quindi avete visto Sanremo?
“Bè si, in parte, distrattamente, ma comunque non me ne vergogno!”
Avete mai pensato di partecipare?
“Quando eravamo più piccoli, proprio per il discorso dell’alternativo, Sanremo era quella cosa, che schifo! Ora è diventato solo spettacolo, una vetrina, di conseguenza se uno vuole proporre la sua canzone ci può andare senza problemi, tanto non è in gara con nessuno. Però negli ultimi anni si sta facendo tantissimo spettacolo a discapito delle canzoni, che se ci si pensa, quali restano? Le canzoni per sempre ormai non esistono più, soprattutto in quel contesto, in cui Sanremo sembra quasi un Festivalbar, preparazione al possibile tormentone estivo e finisce là, non si crea un fenomeno culturale.”
Tornando al disco Sumo, mi ha colpito molto la citazione della poetessa Patrizia Valduga…
“E’ tutto legato al cambiamento, che nell’arte è fondamentale, cercare sempre una nuova verità, sperimentare. Siamo organismi biologici, sempre in continuo cambiamento e per quale motivo uno deve essere sempre uguale a se stesso artisticamente se dal punto di vista biologico, organico, non lo è? Quella quartina bellissima di Patrizia Valduga fa riferimento proprio al cambiamento continuo che fa si che io non sono quello di 10 anni fa, ma ero comunque io, diverso da ora. Al contempo chi mi guarda come può dire “tu non sei quello di prima”?!
Siamo quella cosa che cambia, ma tutti noi, a prescindere dalla musica.”
Avete un concerto, una situazione, che vi rimarrà indelebile per sempre?
“Sicuramente quello che non dimenticheremo mai, proprio perchè tra eventi unici e importantissimi della tua vita, quando siamo andati al Circolo degli Artisti a Roma, a breve distanza dall’uscita di Auff (2012). Eravamo ancora quasi sconosciuti, ci siamo ritrovati invece con il locale pienissimo e non ce lo aspettavamo! Soprattutto abbiamo fatto un bellissimo concerto, forse il migliore di tutti.”
Invece concerti che andate a vedere?
“Io sinceramente non vado spesso a vedere concerti, mi dà un po’ fastidio stare in piedi stretto in mezzo alla gente, mi viene l’ansia, mi fa male anche la schiena! Però l’ultimo concerto, fammici pensare! A parte qualche cosa indie l’ultimo grosso concerto è stato Vasco Rossi.”
Per quanto riguarda i testi, scrivete in italiano. Una scelta naturale o una presa di posizione? Avete mai pensato di rivolgervi a un pubblico internazionale?
“Abbiamo da sempre scritto in italiano, dando importanza alla nostra lingua, al testo, alla poetica, di quello che diciamo al pubblico tra una canzone e l’altra; è sempre stato molto importante. Non abbiamo nessuna pretesa di andare a suonare all’estero, anche se in realtà ci siamo andati. Mi piace quando il pubblico ascolta e capisce bene la tua lingua e recepisce le emozioni. C’è da dire che una volta suonammo a Berlino davanti a un pubblico esclusivamente tedesco ed è stato molto bello per l’approccio diverso all’ascolto; tutti si facevano prendere dalla ritmica, ballavano senza ovviamente capire le parole. Bellissimo. Però a me, che scrivo soprattutto i testi, piace che si capisca e in Italia si fa molta più attenzione alle parole che in altri paesi.”
Al di là di questo tour, progetti futuri?
“Noi vogliamo solo scrivere canzoni, quindi finito questo tour ci rimetteremo a scrivere il disco nuovo e lo vorrei far uscire il prima possibile, perchè siamo stati fermi due anni e siamo impazziti. Un po’ di pausa l’abbiamo presa, abbiamo capito chi siamo, vediamo che succederà, magari sarà completamente diverso ma lo vogliamo fare subito perchè aspettare altri due anni fa male!”
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Locomotiv Club (Bologna) // 22 Febbraio 2020
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]
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Locomotiv Club (Bologna) // 21 Febbraio 2020
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Corrado Grilli, in arte Mecna, è un rapper e cantautore italiano che negli ultimi dieci anni ha raccontato tramite i suoi testi una generazione. La sua musica è spesso definita come “romantica”, adatta ad un pubblico principalmente di ragazze, ma in realtà non è così: il pubblico del Locomotiv Club di Bologna stasera è particolarmente vario.
Una novità di questo tour rispetto ai precedenti è la presenza di una piccola band che lo accompagna durante il live, composta da Alessandro Cianci (chitarrista), Andrea Dissimile (batteria) e uno dei suoi produttori Marco Lvnar (tastiera e pc).
La scenografia è semplice ma suggestiva, con delle luci diffuse e una macchina per il fumo.
Il concerto inizia poco dopo le 22, partendo subito con Fuori dalla Città, un brano del suo ultimo album Neverland scritto in collaborazione con il produttore Sick Luke, accompagnato da giochi di luce blu e viola pazzeschi, scaldando così fin da subito il pubblico.
Nella scaletta si alternano brani nuovi e brani più vecchi: Laska, Lungomare Paranoia, Blue Karaoke e Disco Inverno. Non potevano mancare i classici come la trilogia dei trentuno (31/07, 31/08 e 31/09), brani a cui i fan sono affezionati e per cui si emozionano ogni volta che li canta.
Mecna inoltre ci rivela che il brano 71100 si riferisce alla città di Bologna, dicendo che la sente un po’ come se fosse casa sua e lo dedica a tutti noi presenti in sala.
A seguire, con Si Baciano Tutti invita tutte le coppie presenti a baciarsi e parte così il momento più romantico della serata.
La chiusura del set principale arriva con Un Drink O Due, lui si avvicina sempre di più al bordo del palco cercando il contatto visivo ed emotivo con i fan e ripete il ritornello della canzone numerose volte.
Finita la canzone esce dal palco, ma il pubblico continua a cantare “come se, quando vuoi, se ti va, ci beviamo un drink o due…?” fino a quando non ritorna per fare gli ultimi due brani.
Il concerto si conclude con Pazzo di Te e Canzone in Lacrime e i ringraziamenti al pubblico lasciando il palco.
Corrado è sempre pazzesco nei suoi live, trasmette emozioni incredibili e uniche sempre, ci racconta storie e i suoni della sua musica ti trasportano altrove.
E come lui stesso dice nel testo di Micidiale: “non importa quanta strada hai fatto, quanto hai sognato, in quanti ti hanno detto hai spaccato, riavvolgi e rifai da capo”.[/vc_column_text][vc_column_text]
Un nuovo album dei Califone è sempre e comunque una splendida notizia.
Provenienti da Chicago e attivi dal 1997 (dopo la dipartita dei sensazionali Red Red Meat), per questo ottavo lavoro sulla lunga distanza, in formazione “a tre”, con Ben Massarella, Brian Deck ed ovviamente sua eminenza Temistocles Hugo Rutili (per gli amici Tim), i Califone ci consegnano un disco che ci ricorda, semmai in questi sette anni di quasi silenzio ci fosse venuto qualche dubbio, che siamo di fronte a dei fuoriclasse. Punto.
Vi basteranno poco più di 60 secondi per concordare con me, un’intro di chitarra, qualche manipolazione, e poi l’inconfondibile incedere califoniano (non manca una erre, sia chiaro), una spruzzatina di slide guitar, quel pseudo blues strascicato, e la voce di Rutili a trascinarsi (e trascinarci) da vent’anni e più. Siamo sempre nei territori cari ad Heron King Blues, ma si sconfina spesso, senza pudore e senza remore, già con il ritmo folle (per gli standard compassati dei nostri, s’intende) di Bandicoot, con sfuriate di Hammond e divagazioni decisamente colorite.
La successiva, mirabile, Night Gallery/Projector, in maniera del tutto inaspettata ma perfettamente naturale, evolve in un finale quasi “kosmik”, per lasciare il passo alla strumentale Howard St & The Beach Nov 1988 After 11, dove è Ben Massarella e le sue percussioni a tenere la rotta prima di accompagnarsi all’organo verso il finale. Si sperimenta ancora, come in Carlton Says: Find it. It’s Still There con l’apparizione di una registrazione di una voce femminile, o nella minimale Flawed Gtr.
I quasi sette minuti di Echo Mine, il brano che dà il nome al disco, sono tra i più ispirati dell’intero disco, e costituiscono davvero la perfetta fotografia di quello che i Califone rappresentano, l’incedere lento, cadenzato, uno tappeto sonoro ora scarno, ora più intrecciato, la melodia incerta che si intreccia ad intromissioni rumoreggianti, e la voce di Tim a suggellare un piccolo miracolo.
I Califone hanno deciso di tenersi i botti alla fine, pare di capire; Snow Angel V1 è una gemma chitarra e voce, che in certi passaggi mi ricorda i 16 Horsepower di Sackcloth ‘n’ Ashes, con un coro a far capolino e a rendere tutto più struggente. By the Time the Starlight Reaches Our Eyes pare citare certi momenti del Tom Waits di Bone Machine, per poi espandersi e dilatarsi in un lungo crescendo strumentale.
I titoli di coda giungono con Snow Angel V2, versione “elettrica”, chitarra + basso + batteria di Snow Angel V1, che in questa veste diventa quasi una ballad in salsa Califone.
Gran bel disco questo Echo Mine che ci regala dei Califone ancora in piena fase creativa, a rimarcare che l’universo creato da Tim Rutili e compagnia, già sconfinato, è ancora in espansione.
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PARLARE AGLI SCONOSCIUTI: IL NUOVO SINGOLO DI AN EARLY BIRD
IL RITORNO DEL SONGWRITER CON TALK TO STRANGERS, BRANO CANTATO INSIEME ALL’ARTISTA OLD FASHIONED LOVER BOY
Reduce da un anno ricco di live – circa 70 tra Italia ed Europa e al fianco di artisti come Scott Matthews, Stu Larsen e Grant Lee Phillips, torna An Early Bird con il nuovo singolo Talk To Strangers, distribuito il 21 Febbraio da Artist First.
Talk To Strangers, prodotto presso Il Faro Studio di Somma Lombardo da Claudio Piperissa e Lucantonio Fusaro durante le sessions del secondo full length del cantautore, racconta la sensazione di non sentirsi totalmente capiti dalle persone più vicine. Da qui nasce il bisogno paradossale di aprirsi agli sconosciuti sentendosi a volte anche più capiti.
Musicalmente il brano continua un percorso di ricerca che ha progressivamente spostato il cantautore dai suoni indie folk del primo album Of Ghosts & Marvels – uscito nel 2018 – a quelli più scuri dell’EP In Depths, uscito alla fine del 2019 per Ghost Records.
Il risultato richiama un solido songwriting di stampo folk-pop con delle derive dreamy, tra Travis, Ben Howard e Sparklehorse, e vede la partecipazione di Old Fashioned Lover Boy, altro artista appartenente alla scena alt folk italiana.
“La cosa è nata in modo molto spontaneo perché io e Alessandro siamo molto amici: è semplicemente venuto a trovarmi durante le registrazioni e ci abbiamo messo davvero poco a entrare nella dinamica di collaborazione. È la prima volta che lascio cantare qualcun altro parte delle mie canzoni eppure sono felice di averlo fatto perché il risultato mi emoziona molto”.
Il secondo full length di An Early Bird è presumibilmente previsto per seconda metà del 2020.
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Rocket (Milano) // 20 Febbraio 2020
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OLTRE 600 MILIONI DI STREAMING PER “BAD THINGS (FT. CAMILA CABELLO)”, “I THINK I’M OK (FT. YUNGBLUD / TRAVIS BARKER)” E “WHY ARE YOU HERE”
IL NUOVO ALBUM “TICKETS TO MY DOWNFALL” PRESTO IN USCITA
UNO SHOW HIP HOP CON TUTTA LA CARICA ROCK
FA IL SUO RITORNO IN ITALIA
MACHINE GUN KELLY
MERCOLEDÌ 1°LUGLIO 2020 @ BOLOGNA, SEQUOIE MUSIC PARK
Prezzi biglietti: Posto unico: € 30,00 + diritti di prevendita
Biglietti in prevendita esclusiva per gli iscritti My Live Nation dalle ore 11:00 di giovedì 20 febbraio 2020
Biglietti disponibili su ticketmaster.it, ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati dalle ore 11:00 di venerdì 21 febbraio 2020
L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali.
Machine Gun Kelly, di nuovo in Italia per un’unica data mercoledì 1° luglio al Sequoie Music Park di Bologna.
Machine Gun Kelly, pseudonimo di Richard Colson Baker, è un rapper e attore statunitense originario di Cleveland. Nel 2012 rilascia l’album di debutto Lace Up, subito alla #4 della Billboard200 con oltre 178.000 copie vendute. L’album, contenente alcuni tra i singoli più rilevanti della sua carriera come Wild Boy, Invincibile, Stereo, gli vale una vittoria agli MTV European Music Awards nella categoria Miglior Artista Statunitense. Nel 2015 i singoli Till I Die e A Little More anticipano l’uscita del secondo album General Admission. Nel 2016 pubblica il brano Bad Things in collaborazione con Camila Cabello: il singolo, subito in testa alla classifiche mondiali con oltre 454 milioni di stream su Spotify e quasi 300 milioni di views su Youtube frutta loro un Radio Disney Music Awards come Miglior Collaborazione. Nel 2017 esce il singolo At My Best, una collaborazione con Hailee Steinfled che insieme a Bad Things fa parte del terzo album Bloom. Bloom debutta nella Top10 della Billboard200 raggiungendo la #3 della R&B/Hip-Hop Album Charts. Binge è il titolo del suo EP rilasciato il 21 settembre 2018 e entrato nella top 25 nella Billboard.
Nel 2019 Baker rilascia Hollywood Whore, El Diablo e I Think I’m Okay con Yungblud e Travis Barker (110 milioni di streaming), singoli che anticipano l’album Hotel Diablo che debutta al numero #5 della classifica di Billboard 200.
L’artista negli anni decide di esplorare anche nuovi orizzonti oltre alla musica e a partire dal 2014 fa il suo debutto come attore in film come Beyond the Lights – Trova la tua voce e nel 2019 è tra i protagonisti di The Dirt in cui veste i panni del batterista Tommy Lee.
A dicembre 2019 pubblica il nuovo singolo intitolato Why Are You Here, un mix perfetto tra rock, rap e punk che raggiunge un enorme successo superando i 12 milioni di streaming e entrando in rotazione nelle radio italiane più importanti.
La traccia anticipa il nuovo album in uscita a breve. MGK ha rivelato che questo progetto avrà un’influenza prevalentemente pop punk e si chiamerà Tickets To My Downfall.
Alla vigilia della prima delle quattro date consecutive al Teatro Concordia di Venaria Reale – traguardo raggiunto per la prima volta da un artista italiano – l’artista torinese annuncia il nuovo tour estivo. Dopo il grande successo dei live invernali, attualmente in giro per l’Italia e completamente sold out, il cantautore e rapper è pronto per questa nuova avventura.
Willie Peyote sarà protagonista della stagione live estiva con un tour ricco di date, occasione per riascoltare i brani dell’ultimo disco “Iodegradabile”, che ha debuttato nella TOP 5 della classifica FIMI, e canzoni ormai culto come “Non Sono Razzista Ma…”, e “Metti Che Domani”.
Con 4 album in studio all’attivo, Willie negli anni ha ottenuto sempre più consensi da parte del pubblico ma anche della critica, che loda la sua capacità di fondere l’energia e la padronanza tecnica della musica rap con testi che guardano alla canzone d’autore per come affrontano le tematiche sociali e attuali, il tutto con un’ironia tagliente e divertente. Il suo progetto “Sindrome di Tôret”, pubblicato nel 2017, viene accolto molto positivamente e raggiunge la Top 10 della classifica FIMI degli album più venduti, contemporaneamente il brano “Ottima Scusa” viene certificato disco d’oro. Nel 2018 collabora con i Subsonica, con i quali incide la traccia “Incubo”, firmando un sodalizio che non si traduce solo in studio ma anche nella dimensione live: Willie, infatti, è ospite fisso di tutte le date nei palazzetti dello sport del tour del gruppo torinese.
WILLIE PEYOTE Willie Peyote, pseudonimo di Guglielmo Bruno, nasce a Torino nel 1985 da padre torinese di Barriera e madre biellese. Il suo nome d’arte unisce Wile E. Coyote con il peyote, pianta allucinogena proveniente dall’ America settentrionale. Willie è un riferimento al suo vero nome, Guglielmo. È considerato una delle figure più interessanti e innovative della scena Indie italiana contemporanea. Nel 2011 pubblica il suo primo album solista, “Il manuale del giovane nichilista”, che già dal titolo suggerisce la sua visione del mondo e il suo modo di comunicarlo ai suoi ascoltatori, condensato in un provocatorio mix di cinismo, autoironia e denuncia sociale. Due anni dopo, nel 2013, esce “Non è il mio genere, il genere umano”, che sembra riconfermare il suo pseudo-pessimismo antropologico Nel 2015 pubblica per ThisPlay Music “Educazione Sabauda”, disco che lancia definitivamente Willie. L’album è costellato di citazioni più o meno dirette, rivolte ai grandi nomi del rap, del rock e della canzone d’autore (Cypress Hill, The Clash, Francesco Guccini), tanto che si chiude con un testo intenso e poetico “(E allora ciao)” in cui viene citato Luigi Tenco. Particolare attenzione ha suscitato la canzone “Io non sono razzista ma…”, contenuta nell’album, che è stato eseguito il 23 aprile 2017 nel programma televisivo Che tempo che fa presentato da Fabio Fazio. Il 6 ottobre 2017 esce “Sindrome di Tôret”, prodotto da 451. Il disco, che secondo Willie è la coniugazione ideale dei suoi due istinti musicali, quello rock e quello hip-hop, è stato accolto molto positivamente. Nel 2018 esce “8” dei Subsonica, contenente una collaborazione di Willie Peyote che canta nel brano “L’incubo”, pubblicato come singolo l’8 marzo 2019. Il 25 ottobre 2019 esce il suo nuovo progetto discografico, “Iodegradabile”, anticipato dal singolo “La Tua Futura Ex Moglie”, che ha ottenuto un ottimo riscontro sui principali network radiofonici.