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ReCover #5 – Queen ”Innuendo”

• A ritmo di una danza surreale •

È all’incirca l’una e mezzo del pomeriggio, sto tornando a casa da lavoro col solito carico di pensieri e stanchezza palpebrale: non mi accorgo che il DJ alla radio ha annunciato la mia canzone preferita dei Queen, Freddie Mercury comincia a cantare e in automatico le lacrime scendono. 

Il perché succeda questo ogni volta che sento i Queen, nei miei quasi trent’anni non l’ho mai capito: avevo qualche mese quando l’album uscì, per cui ero troppo piccola per ricordare quando il 24 Novembre dello stesso anno Freddie scomparve; sebbene abbia stampato nella memoria il ricordo di me a circa 4 anni, inginocchiata sui sedili posteriori dell’auto e la testa incastrata tra i poggiatesta, mentre nelle casse risuonava una voce celestiale. 

La silhouette di Freddie Mercury nella cover della cassetta di Made in Heaven lasciava spazio alla mia fantasia: lo immaginavo alto, moro, coi capelli lunghi e senza baffi: mia mamma me l’aveva sempre descritto come bellissimo e con gli stessi baffi di mio padre, ma per me aveva più che altro un “carattere” che mi trasmetteva una forza indescrivibile, aveva la forma della sua voce.

Questa piccola digressione basta a giustificare l’emozione che provo ogni volta che sento i Queen? No. Sia chiaro, ho fatto le mie ricerche ed è un’esperienza condivisa. La mia migliore amica tempo fa mi disse “è tutto normale: è Freddie!”.

Forse è vero, è semplicemente Freddie.

Ma non è della mia amata cover blu di Made in Heaven di cui dobbiamo parlare oggi, ma di quella di Innuendo, uscito il 5 Febbraio del 1991, a soli 20 mesi di distanza da The Miracle: musicalmente un ritorno alle origini, per la felicità dei fan di lunga data. Il titolo stesso alludeva ai fasti di A night at the opera, e il singolo omonimo all’album ne ricalca il tono solenne.

Il processo di registrazione fu lungo a causa della malattia di Freddie Mercury, ancora nascosta al pubblico: ad ogni tre settimane di lavoro ne seguivano due di stop. 

Per la prima volta in copertina non troviamo i volti dei membri del gruppo, ma un’illustrazione di metà Ottocento riadattata e colorata da Richard Gray e Angela Lumley, che si occuparono dell’intero artwork.

L’idea fu del batterista Roger Taylor, che vide l’illustrazione in un vecchio libro e la propose come copertina. 

Jean Ignace Isidore Gérard, noto con lo pseudonimo di Grandville, è l’autore dell’ormai celebre illustrazione. Scomparso anch’esso giovane a soli 43 anni, Grandville ebbe una carriera estremamente prolifica. Si divideva fra caricatura e satira politica, illustrazione editoriale, grafica, ma fu molto di più che un eccellente illustratore: la sua mente, come fa quella dei grandi artisti guardava oltre il suo tempo, e le sue opere divennero fonte d’ispirazione per il movimento Surrealista.

Charles Baudelaire, che scrisse numerosi saggi sugli illustratori più influenti del proprio secolo, non aveva molta stima di Grandville: davanti ai lavori dell’artista provava disagio e inquietudine “come in un appartamento in cui il disordine è sistematicamente organizzato, dove bizzarre cornici poggiano sul pavimento, dove i dipinti sembrano distorti da una lente ottica, dove gli oggetti vengono deformati se spinti insieme, angoli in cui i mobili hanno i piedi in aria e in cui i cassetti spingono invece di estrarsi”.

I commenti del tutto percettivi, sono stranamente superficiali sebbene pronunciati dal padre del Simbolismo, ed estremamente classicisti per provenire dal padre della Modernità.

Nell’intera produzione artistica di Grandville c’è una forte disgiunzione fra le opere di maggior successo e quelle che passarono in sordina. Il critico contemporaneo Charles François Farcy, nel cercare di spiegare i vari tipi di graphic design ha stabilito una scala gerarchica di qualità: il primo livello è quello del piacere derivante dall’apparenza fisica del soggetto; il secondo livello riguarda i lavori che trattano questioni filosofiche e morali.

Ne consegue che alla prima categoria appartengono le opere più “facili” e pop, mentre alla seconda quelle di più difficile lettura, ma più valide artisticamente.

Per cui i lavori su commissione come Le Fiabe di La Fontaine, Don Chisciotte, I Viaggi di Gulliver, Robinson Crusoe, riscossero un grande successo, ma erano progetti editoriali estremamente rigidi dal punto di vista creativo: non lasciavano spazio ad un illustratore come Grandville di poter intervenire liberamente, poiché il lungo processo di produzione non consentiva sgarri e l’illustrazione era subordinata al testo.

Per cui la necessità di creare un libro del tutto “suo” lo portò a mettere nero su bianco Un Altro Mondo, il libro illustrato da cui i Queen trassero la cover per Innuendo.

Quanto di più vicino al concetto di albo illustrato contemporaneo ci possa essere, Un Altro Mondo mette in scena una vicenda in cui le immagini, protagoniste, mandano avanti una meta-narrazione accompagnata da pochissimo testo, un viaggio in cui gli antieroi scoprono un mondo altro, del tutto ribaltato ma spietato specchio di quello reale. La vera satira la fece proprio con questo libro, riuscendo a mettere in luce le assurdità della realtà tramite inversioni di ruolo che di norma hanno il compito di rafforzare lo status quo nel mostrare l’assurdità dei contrari, ma che in questo caso sortiscono l’effetto contrario: mettere tutto in discussione.

Con l’illustrazione Il Giocoliere, Grandville ci mostra la nostra insignificanza con un immagine apparentemente giocosa, che però dopo qualche secondo ci lascia un sorriso amaro.

È curioso come proprio questa illustrazione sia finita casualmente per essere la copertina di Innuendo: la band sapeva che sarebbe stato l’ultimo album con Freddie, e l’intero progetto rimane avvolto da un’atmosfera inquieta ma distesa, serena ma malinconica.

Ho trovato lo spirito di Un Altro Mondo estremamente in linea con I’m Going Slightly Mad: anche il videoclip ne condivide l’atmosfera surreale, con Freddie che indossa un casco di banane, Brian May con un becco da pinguino, Roger Taylor con un bollitore in testa e John Deacon con un cappello da giullare; per non parlare delle analogie tra il testo di Innuendo e Il Giocoliere di Grandville, il Matto, colui che danza al ritmo della sua melodia interna; libero di essere se stesso, consapevole della sua brevità su questa terra.

Nessuna maschera, non è più The Great Pretender, ma “anything you want to be”.

 

recover queen

Viaggio nell’Isola di Merio

Merio, classe 1988, inizia ad ascoltare hip hop nel 2005, poco dopo a scrivere testi e a fare freestyle. Ha cominciato il proprio percorso artistico nel duo Fratelli Quintale (assieme a Frah Quintale), con cui ottiene da subito ottimi riscontri grazie a performance live e a uscite come Weekend col Morto Mixtape.

Nel 2015, Merio e Frah decidono di separarsi per intraprendere delle carriere soliste. 

Merio pubblica diversi singoli e il 19 novembre 2019 esce Madame Putain, singolo che segna un cambiamento di stile musicale e l’inizio della sua collaborazione con l’etichetta Hokuto Empire. 

In occasione dell’uscita del nuovo singolo Isola gli abbiamo fatto qualche domanda per sapere di più sulla canzone e su come sta andando il suo progetto da solista.

 

Ciao Merio! Il 31 gennaio è uscito il tuo nuovo singolo Isola: come è nato e di cosa parla? 

“Diciamo che Isola fa parte di un capitolo composto da tre pezzi che sono Madame Putain, Isola ed il prossimo, che dovrà uscire tra un mesetto circa. In pratica ho voluto raccontare la mia ultima storia sentimentale ma al contrario, nel senso che Madame Putain parla della fine di questa relazione mentre Isola è come il ritorno a quel momento in cui ti accorgi che non ti trovi più bene con una persona e non riesci ancora a capirne il motivo, quindi è più l’espressione di una mia riflessione interiore. Questa considerazione era nata in una sera in cui mi ero ripromesso che avrei richiamato la mia ragazza il giorno seguente per raccontarle tutto ciò che mi ero minuziosamente studiato, ma poi, il giorno dopo, ho sentito in casa andare in loop questa base e questo fatto ha dato il via alla mia voglia di scrivere e mi sono scordato di tutto. In poche parole questo pezzo rappresenta un viaggio interiore che racconta di quel momento in cui nessuno dei due ha il coraggio di dirsi che la storia è finita.”

 

Nel brano racconti di un’inaspettata svolta. Ci sono state altre giornate in cui ti sei accorto che bastava poco: il sole, un evento inatteso per dimenticare tutti i propositi della sera prima? 

Si esattamente, nella canzone in particolare, quando dico “volevo chiamarti ma è spuntato il sole”, è ovviamente una metafora. Il sole può essere inteso sia come una bella notizia ricevuta, o conoscere una persona che ti piace e ti fa dimenticare un po’ tutto, oppure anche semplicemente una meravigliosa giornata di sole che dà una svolta al tuo umore e fa cambiare tutti i tuoi propositi.”

 

Dopo aver intrapreso il tuo percorso da solista, ti senti ancora influenzato dall’esperienza Fratelli Quintale con tuo fratello? 

“Sicuramente con mio fratello ho iniziato a fare musica quindi questa esperienza me la porterò sempre dietro. Sono molto cambiato rispetto ad alcuni anni fa e cerco di far crescere la mia musica insieme a me e alla gente che mi segue, perchè non mi piace fare sempre le stesse cose, diciamo che mi annoio facilmente ed ho sempre bisogno di nuovi stimoli.
Ad esempio rispetto al mio disco da solista Pezzi di Merio che è uscito nel 2018, i contenuti sono molto diversi e anche i prossimi singoli che pubblicherò in futuro avranno nuovi orizzonti. Sto attualmente creando una mia identità musicale a livello di suono ma senza forzarla, facendola venire fuori nel modo più naturale possibile e quindi lascio che le cose facciano il loro corso.”

 

Quali sono gli artisti che ascolti più spesso in questo periodo? 

“Non saprei darti una risposta ben definita in quanto ascolto praticamente qualsiasi cosa spaziando tra i vari generi dalla musica sudamericana, elettronica fino alla trap e vado a periodi a seconda del mio stato d’animo. Mi piace lasciarmi ispirare un po’ da tutto.”

 

Quali obiettivi hai per il tuo futuro? Hai in mente delle collaborazioni con altri cantanti?

“Collaborazioni per il momento ancora non lo so, sicuramente voglio fare qualcosa e ho alcune idee ma ancora niente di deciso. A breve usciranno altri singoli fino ad arrivare alla pubblicazione di un nuovo album.”

 

E per quanto riguarda i live?

“Per il momento siamo fermi, però sicuramente faremo qualche apertura ad alcuni festival questa estate anche se saranno comparse relativamente brevi.”

 

Margherita Lambertini

Milky Chance @ Fabrique

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• Milky Chance •

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+
Mavi Phoenix

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Fabrique (Milano) // 15 Febbraio 2020

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Foto: Annalisa Fasano

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Mavi Phoenix

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Management @ Locomotiv Club

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• Management •

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Locomotiv Club (Bologna) // 15 Febbraio 2020

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Foto: Siddharta Mancini

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Calibro 35 @ Locomotiv Club

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• Calibro 35 •

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Locomotiv Club (Bologna) // 14 Febbraio 2020

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Foto: Isabella Monti

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The Maine @ Circolo Ohibò

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• The Maine •

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+
Stand Atlantic

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Circolo Ohibò (Milano) // 14 Febbraio 2020

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Il quintetto dell’Arizona (“We’re not from the Maine” cit.), è parso particolarmente ispirato, divertito e gasato dalla situazione intima, punk e calda nel quasi-sold-out dell’Ohibò.

Tutti i fan de The Maine conoscono il loro pittoresco rapporto con il pubblico, la totale devozione e umiltà nei confronti di chi li supporta e li ascolta e, se la cosa è evidente sui social, dal vivo è praticamente tangibile. Questo è di certo il maggior punto di forza della band, tutto il live ruota intorno ad un senso di grande famiglia, se qualcuno cade ci si ferma, se qualcuno ha voglia di cantare, ballare, mascherarsi, urlare, essere se stesso, John O’Callaghan lo percepisce e fa in modo di condividere quell’energia con tutti.

La scaletta, come previsto, è stata molto You Are OK oriented, con apertura e chiusura dedicate appunto all’ultimo acclamato album. A mio avviso non si poteva chiedere di meglio, c’è tutta la freschezza, la potenza e la genuinità di un disco suonato da poco, anche se The Maine sembrano divertirsi allo stesso modo anche con le canzoni della MySpace era, o con qualunque momento karaoke improvvisato, come se si esibissero da un paio d’anni in tutto, e la cosa arriva.

Momenti morti zero, suoni giusti, voce bene bene, più che un concerto è sembrata una festa, in cui tutti erano coinvolti, grazie sicuramente a John, leader esagerato che tiene il palco come ho visto fare in pochi al mondo e improvvisa, strappa risate spontanee, ti tiene in suspence con quel suo sguardo folle ed il suo modo assurdo di cantare. In pratica John O’Callaghan è tutto ciò che manca a Sanremo.

Concludo consigliando un’ora e mezza di The Maine a tutti per San Valentino, c’è più amore in quella festa che in tutta Parigi.

 

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Testo: Stefano Gardelli

Foto: Luca Ortolani

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Stand Atlantic

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SETLIST:

Scansione 14 feb 2020 22.04

 

Scansione 14 feb 2020 21.17

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Grazie a Hellfire Booking Agency

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ANGEL OLSEN • LA FOLKSINGER AMERICANA ANNUNCIA IL TOUR EUROPEO: AD AGOSTO DUE DATE IN ITALIA

 

27 agosto 2020 Romano D’Ezzellino (VI) — AMA Music Festival

Info e Tickets: www.amamusicfestival.com
28 agosto 2020 Torino — sPAZIO211 / TOdays Festival

Info e Tickets: www.todaysfestival.com
Maggiori info su www.dnaconcerti.com 

Quello della discesa nelle tenebre è un tema ricorrente e sempiterno, che ritroviamo costante nel tempo, attraverso la storia, la letteratura e il cinema: il protagonista si tuffa, e sprofonda sempre di più, sopra di lui l’abisso. E poi c’è una scala bianca che sale verso l’ignoto, ogni gradino, ogni curva, richiede più audacia e più sicurezza rispetto a quello precedente. È questo il viaggio di Angel Olsen.

Pubblicato lo scorso 4 ottobre sull’etichetta Jagjaguwar, “All Mirrors”, è il quarto album della songwriter americana che, dopo quasi dieci anni di brillante carriera, non ha di certo bisogno di presentazioni. Il suo ultimo album è stato semplicemente considerato all’unanimità da pubblico e critica come uno dei dischi più belli del 2019, ricevendo recensioni positive dalle più importanti testate musicali e piazzandosi in cima alle classifiche di genere e non. È un lavoro immenso, complesso, orchestrale, definizione quest’ultima che insieme alla parola “sontuoso” sembrerebbe essere quella più gettonata nelle recensioni, per (provare a) tracciare delle linee, dei contorni, a questo lavoro la cui bellezza non potrà mai essere descritta in modo esaustivo.

Quello della Olsen è un volo sia verso l’alto che verso l’interno, in una dimensione introspettiva. Nel processo di creazione di questo album, ha trovato un nuovo suono e una nuova voce, un’esplosione di rabbia mescolata ad un’auto-accettazione duramente conquistata: “Sembra come se parte della mia scrittura fosse tornata da qualche punto nel passato, mentre un’altra parte di essa fosse ancora in attesa di esistere” dice.

C’è sempre quel particolare vibrato, sempre così vicino – le frasi solo apparentemente semplici e fluide, che a un certo punto si espandono diventando pensieri enormi sull’incapacità di amare e sulla solitudine universale. Ed ecco che qui, all’improvviso, si levano questi imponenti arrangiamenti di synth e corde come un’apocalittica onda anomala. “Questo disco, da qualsiasi punto di vista in cui lo si guardi” dice la Olsen “dalla realizzazione, ai testi, a come ho affrontato personalmente la sua stesura, riguarda la presa di coscienza del proprio lato più oscuro.

È stato concepito come un disco solista back-to-basics, registrato con il produttore Michael Harris ad Anacortes, Washington. Appena completato però, nella sua mente iniziò ad aleggiare una versione più ambiziosa di quella appena scritta. Evoluzione che si deve al lavoro del produttore John Congleton, l’arrangiatore Jherek Bischoff, il musicista / arrangiatore Ben Babbitt e un’orchestra di 14 strumenti.

Vederla dal vivo sarà un’esperienza totalizzante e rigenerante, tra l’angoscia e la beatitudine, lasciandoci ammaliare e condurre da Angel Olsen nelle profondità del suo abisso.

ANGEL OLSEN – Lark

 

 

BIOAngel Olsen nasce il 22 gennaio 1987 in quell’antico baluardo sudista sulle rive del Mississippi, nel profondo Sud degli States. A tre anni viene adottata da una famiglia affidataria che si era presa cura di lei da poco dopo la sua nascita.

Ai tempi del liceo, si appassiona ai concerti di gruppi punk e noise e comincia a scrivere la propria musica con pianoforte e chitarra. Due anni dopo essersi diplomata alla Tower Grove Christian High School, Olsen si trasferisce a Chicago e nella windy town cerca di farsi largo tra le nutrite schiere della scena indie. È però un incontro a far svoltare l’intera carriera della Olsen: quello con Will Oldham, ovvero sua maestà Bonnie “Prince” Billy, guru del cantautorato indie-folk americano, che intuisce subito le potenzialità di quell’affascinante e sfrontata fanciulla dalla frangetta scomposta alla Françoise Hardy.

Il suo nome comincia a circolare con insistenza, tanto che è la rinomata Jagjaguwar a pubblicare il suo secondo album: Burn Your Fire For No Witness(2014) che segna un’ulteriore tappa nel processo di affrancamento della Olsen dalle scarne ballate folk degli esordi.
Prodotto da John Congleton (Bill Callahan, St Vincent) e composto dalla cantautrice e chitarrista di St. Louis per la prima volta in versione full-band, l’album nasce da una sessione piuttosto vivida e istintiva: dieci giorni di fuoco nella chiesa sconsacrata di Echo Mountain ad Asheville, in North Carolina, insieme al batterista Josh Jaeger e al bassista Stewart Bronaugh.
Due anni dopo è la volta di My Woman (2016), terzo album a nome Angel Olsen, che si muove verso uno stile decisamente più classico, in un delicato equilibrio con la proposta idiosincratica dell’americana. Ambizioso anche l’obiettivo delle liriche che, uscendo definitivamente dall’asfittica dimensione autobiografica degli esordi, si aprono a un vero e proprio “commentario” sull’essere donna oggi, con un taglio personale e anticonvenzionalmente femminista, nel quale convivono dolore e speranza, furore e lucidità.

Nel 2017 a un anno di distanza esce Phases che segna un momento di riflessione, di quiete e di intimismo dopo l’anno frenetico dell’uscita di My Woman, unanimemente considerato come una delle uscite migliori dell’anno. Contiene una selezione di b-side, demo e brani inediti, e include alcune canzoni provenienti dal lontano passato della cantautrice, inclusa l’inedita Special, registrata nel corso delle session per il precedente My Woman.
Nella raccolta sono presenti, inoltre, il brano Fly On Your Wall composto per la compilation anti- Trump Our First 100 Days, e alcune versioni alternative dei brani contenuti in Burn Your Fire For No Witness (2014). Angel Olsen, da molti definita come la Regina dell’indie folk americano, è diventata uno dei nomi di punti della scena indipendente USA, un’artista con uno stile influenzato tanto dal folk rock, quanto dall’indie e dall’alternative rock degli anni ’90.

Primo corposo annuncio del Sziget 2020!

SZIGET FESTIVAL – L’ISOLA DELLA LIBERTÁ
5-11 Agosto 2020
Budapest, Ungheria
szigetfestival.com | @szigetofficial | #sziget2020

 

Oggi il Sziget pubblica il primo comunicato svelando 80 nomi della line-up che come sempre si rivela molto varia nei generi musicali. Il Festival con oltre 530,000 visitatori su un’isola verde nel Danubio è il quinto festival più grande al mondo, e forse il più internazionale di tutti. Ogni anno raduna Szitizen provenienti da 100 nazioni diverse con il solo intento di passare insieme 7 giorni tra musica, arte, divertimento e amicizia. In occasione di questa settimana il tranquillo parco naturale di Budapest si trasforma nell’Isola della Libertà, una città incantata con oltre 35.000 campeggiatori, installazioni artistiche, servizi di altissimo livello, e 60 venues, che garantiscono uno svago adatto per tutti i gusti.

Gli abbonamenti (7-Day, 5-Day e 3-Day Pass) e moltissime opzioni glamping sono già in vendita sul sito ufficiale szigetfestival.com/it/ e tra pochissimi giorni si potranno prenotare anche i viaggi comodi ed ecologici in pullman da varie città italiane. L’abbonamento per 7 giorni al prezzo Early Bird di 299€ con il campeggio incluso sarà disponibile fino al 03 Marzo, data in cui i prezzi aumenteranno.

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Per la prima volta sul Main Stage i The Strokes, band leggendaria di New York in tour per presentare il nuovo attesissimo disco. I ritorni acclamati quelli della band di Nashville, i Kings of Leon, e di Dua Lipa, cantante di origine Kosovara, ormai superstar internazionale in cima alle classifiche in tutto il mondo. Non ha bisogno certamente di presentazioni Calvin Harris, produttore di innumerevoli hit dance planetarie, che insieme ad un altro illustre trio della scena l’electro-dance Major Lazer saranno headliner in diverse giornate sul Main Stage. Diplo, in più, raddoppierà la sua presenza con un solo show durante il festival. La scena pop britannica sarà massicciamente rappresentata anche grazie alle performance di Lewis Capaldi, Tom Walker e Mark Ronson, uno dei personaggi, quest’ultimo, tra i più importanti dei nostri tempi, che può vantare produzione di nomi come: Amy Winehouse, Queens of the Stone Age, Bruno Mars, Lady Gaga e di sir Paul McCartney.

Il Sziget è amato per la sua incredibile varietá di programmi, musicali e non. Nella line-up 2020 segnaliamo band indie-folk come Of Monsters and Men dall’Islanda, Lola Marsh, Daughter, e potentissime artiste femminili come Anna Calvi, Princess Nokia, Jade Bird, Sevdaliza, Sigrid e tante altre ancora. Per gli amanti dei suoni piú rock e punk consigliamo l’ascolto dei Clutch, Fever 333, Black Honey, Viagra Boys, Bikini Kill, METZ, Amyl and the Sniffers e i Parquet Courts.

Molto presente la scena rap e R&B con i superstar A$AP Rocky, Khalid, Denzel Curry, poi blackbear, Stormzy, Loyle Carner e Little Simz ma non solo. Non mancano certamente i DJ set dalla house alla techno, dalla dance all’EDM: R3HAB, Troyboi, NGHTMRE, Sam Feldt, Camelphat, Caribou, Kaytranada, etc. La sezione techno è guidata dall’italiano Joseph Capriati, poi ci saranno Dixon, Jamie Jones, Chris Liebing, gli attesissimi I Hate Models, e tantissimi altri nello stravagante Colosseum dedicato alla techno e all’electro più sperimentale, mentre il gigante Party Arena ospiterà i DJ set house e dance.

Ma attenzione perchè questi nomi costituiscono solo una prima lista iniziale, seguiranno altri 2 headliner sul main stage, molte altre band per gli altri palchi e tutte le performance non-musical. Molto attesi anche i programmi del Circus Tent, del Teatro e Danza, il lounge Sziget Beach, gli incontri e attività organizzate dalle varie NGO sui temi come l’inclusione, ecologia e sostenibilità più ancora laboratori d’arte e gare sportive. Sull’Isola la vita non si ferma mai e ad ogni angolo si potrà essere sorpresi da un’esperienza speciale da viviere con gli altri Szitizen. Una settimana a Budapest, ma fuori dal mondo e dalla consuetudine, sull’Isola della Libertà!

ALTERNATIVA EVENTS PRESS

27° Sziget Festival
5-11 Agosto 2020
Budapest, Isola di Obuda
Szigetfestival.com

 

Ecco la line-up di Beaches Brew 2020

Associazione Culturale Bronson presenta
BEACHES BREW 2020

Dall’8 all’11 giugno 2020
INGRESSO LIBERO

Beaches Brew 2020 si svolge dall’8 all’11 giugno nella località balneare di Marina di Ravenna. Giunto alla sua nona edizione, il festival a ingresso libero mira a rompere la barriera tra artista e pubblico, celebrando insieme le comunità della musica e dell’arte.

Tra gli artisti che si esibiranno a Beaches Brew 2020 ci sono Jehnny Beth dei Savage, che pubblicherà il suo album di debutto da solista, “To Love Is To Live”, l’8 maggio su Caroline Records; il supergruppo maliano Les Amazones D’Afrique; Jessica Pratt; i Ndagga Rhythm Force di Mark Ernestus, un progetto di collaborazione tra un gruppo cangiante di musicisti sabar senegalesi e il pioniere della techno tedesca Mark Ernestus; Horse Lords; il ritorno dei migliori psico-punk nichilisti australiani Tropical F*ck Storm; provenienti dall’underground newyorkese, i 75 Dollar Bill; la rock band americana Endless Boogie; il gruppo garage-punk-rock giapponese Otoboke Beaver; il musicista e produttore londinese Klein; il collettivo psichedelico afrobeat Golden Star Arkestra; gli Automatic; il noise rock post-No-wave dei Live Skull; Angel Bat Dawid; da New Orleans, Delish Da Goddess e il suo mash-up di musica lo-fi rap e bounce; il DJ Fitz; e il trio olandese noise-pop Sweet Release of Death.

Beaches Brew 2020:

JEHNNY BETH
LES AMAZONES D’AFRIQUE
MARK ERNESTUS’ NDAGGA RHYTHM FORCE
TROPICAL FUCK STORM
ENDLESS BOOGIE
ANGEL BAT DAWID
75 DOLLAR BILL
OTOBOKE BEAVER
JESSICA PRATT
KLEIN
AUTOMATIC
HORSE LORDS
GOLDEN DAWN ARKESTRA
LIVE SKULL
DELISH DA GODDESS
SWEET RELEASE OF DEATH

DJ FITZ
+ more tba

Beaches Brew è presentato da Bronson Produzioni, con il sostegno del Comune di Ravenna-Assessorato alla Cultura e della Regione Emilia-Romagna.

Per chi viaggia a livello internazionale, Ravenna è raggiungibile in treno da diverse città vicine, come Bologna, Venezia e Firenze. Marina di Ravenna è raggiungibile in autobus o in auto. Ci sono molte possibilità di alloggio in tutte le fasce di prezzo, dalle suite e bungalow degli hotel alle roulotte e ai campeggi. Per maggiori informazioni su viaggi e alloggi:
beachesbrew.com

MUDHONEY in concerto a Bologna: primo annuncio del COVO CLUB 40 YEARS

Venerdì 9 ottobre il Covo Club porta i Mudhoney in concerto al TPO di Bologna per l’unica data italiana del loro tour 2020. La band di Seattle, portabandiera del grunge americano da più di trent’anni, presenterà al pubblico l’EP “Morning In America”, uscito il 20 settembre 2019 per Sub Pop Records.

 

Il live dei Mudhoney farà parte della rassegna COVO CLUB 40 YEARS prevista per l’autunno 2020, dove i grandi artisti che hanno calcato il palco del Covo, insieme a prestigiosi nomi e nuove promesse della musica italiana e internazionale, celebreranno questo anniversario unico in Italia!

 

DATA UNICA IN ITALIA

venerdì 9 ottobre 2020 | TPO | Bologna

(via Casarini 17/5 – Bologna)

MUDHONEY

in concerto per

*COVO CLUB 40 YEARS*

www.covoclub.it

 

PREZZI
in prevendita: 22€ + d.p.
alla cassa: 25€ + d.p.

Biglietti in prevendita disponibili online su boxerticket.it a partire dalle ore 10:00 del 14 febbraio 2020.

 

Le Ore: un duo tra sacro e profano

Le Ore, duo romano pop composto da Francesco Facchinetti (solo un caso di omonimia) e Matteo Leva, dopo essersi fatti conoscere sul web con alcune cover, hanno raggiunto milioni di ascolti con singoli come La Mia Felpa È Come Me, brano che li ha fatti arrivare nella rosa dei finalisti di Sanremo Giovani 2018. Si sono fatti sentire con Oh Madonna! che è il loro brano con più ascoltatori e salvataggi nelle prime 24 ore. Come tutti i loro brani finora, la traccia è scritta dal duo capitolino, prodotta dal binomio Federico Nardelli/Giordano Colombo (già al lavoro con Gazzelle, Fulminacci e Ligabue) e distribuita Artist First. Il loro piccolo repertorio, ma che punta ad allargarsi, è costellato da un’atmosfera genuina e da una musica che si presenta nuova e rassicurante allo stesso tempo. Le Ore hanno fatto quattro chiacchiere con noi proprio dopo due esperienze importanti come i concerti al Monk di Roma in aperura di Clavdio e all’Apollo di Milano per Spaghetti Unplugged, avvenute lo scorso dicembre, ecco cosa ci hanno raccontato.

 

Presentatevi ai nostri lettori e spiegateci chi sono Le Ore.

Le Ore: “Piacerebbe spiegarlo anche a noi stessi chi sono Le Ore, ma negli anni c’abbiamo rinunciato, “limitandoci” a fare tutto quello che ci facesse esprimere. Quasi subito abbiamo capito che, raccontandoci in maniera schietta sui social, avrebbe potuto non esserci differenza tra Francesco e Matteo e Le Ore, quindi la nostra avventura partita (pubblicamente) dal web con foto e video, si è poi ricongiunta con la musica che offline facevamo già da tempo, anche se non insieme. Da quel momento cover ed eventi, fino ad arrivare a un punto in cui è stata necessaria una disintossicazione da social network, fondamentale per dedicarci completamente alla scrittura della musica nostra. Siamo tornati quasi un anno dopo col nostro primo singolo La Tenerezza ed è stato uno spettacolo. Solo a quel punto chi ci seguiva ha capito davvero chi fossero Le Ore.”

 

Le Ore era anche una famosa rivista pornografica italiana che ha fatto diventare famosi personaggi come Cicciolina e Moana Pozzi. Quanto è casuale la scelta del nome e quanto questo immaginario può avere influenzato la vostra musica?

Le Ore: “Sarebbe bello dire che il nostro fosse un tentativo di aprirci una strada nel mondo del porno, ma in realtà quando abbiamo pensato a Le Ore non sapevamo proprio dell’esistenza della rivista. Ovviamente quando abbiamo comunicato il nome ai nostri genitori, i sorrisetti maliziosi si sono sprecati, allora abbiamo capito che dovevamo tenerlo, e che anche gli over 40 se lo sarebbero ricordato facilmente. L’immaginario relativo alla pornografia probabilmente influenza chiunque, anche chi nella vita non scrive canzoni o non ha a che fare con la creatività, a maggior ragione influenzerà chi racconta sensazioni, esperienze e con una pausa, un respiro o con la voce rotta interpreta il verso di un brano.”

 

Il vostro ultimo pezzo si chiama Oh Madonna!, che può essere considerato sia un’imprecazione che una preghiera, mentre il pezzo prima era dedicato a Radio Maria. Che rapporto avete con la religione, con il sacro e soprattutto con la Madonna?

Matteo: “Sono figlio di un pastore evangelico e da sempre Dio fa parte della mia vita, quando riesco ancora oggi suono la batteria in chiesa la domenica e vivo la religiosità molto serenamente, tanto che quando Francesco mi ha portato il testo di Radio Maria ho appoggiato da subito le provocazioni che c’erano dentro, perché parlano della vita di tutti noi, senza nascondersi dietro a ipocrisie o bigottismi.”

Francesco: “A me non piace bestemmiare nonostante non sia cresciuto in una famiglia particolarmente credente, sono però cresciuto rispettando gli altri che, anche se può sembrare scontato, non lo è, anche nelle migliori famiglie “credenti”. Proprio per questo motivo non avrei mai scritto un brano (o due in questo caso) contro la chiesa, ma non avrei fatto neanche una sviolinata. Radio Maria parla di una notte di merda in cui, tra l’altro, in macchina parte Radio Maria. Non è altro, quindi, che un semplice giudizio sulla stazione radio in sé che parte nei momenti meno opportuni, di conseguenza la frase “se sento un altro prete che canta da domani cambio mestiere”. Oh Madonna! invece è una delle esclamazioni più usate, l’accezione dipende dal contesto, ma in entrambi i casi è soft, quindi no problem: “Oh Madonna! Quanto sono felice quando sei felice. Oh Madonna! Quanto sono triste quando sei felice senza di me…”.”

 

Il vostro sound e la vostra scrittura potrebbero tranquillamente essere associati al cosiddetto it-pop ma si sentono anche molte influenze del cantautorato dello scorso secolo. Poi siete prodotti dal duo Federico Nardelli/Giordano Colombo, che hanno già lavorato con artisti come Gazzelle, Fulminacci e persino Ligabue. Quanto vi sentite vicini a questa corrente musicale e quali sono le vostre principali influenze?

Matteo: “Se cominciassimo a parlare delle nostre influenze musicali servirebbe una rubrica a parte, quindi ci limiteremo a citare i background che ci rendono diversi ma (forse) complementari. Francesco è la persona musicalmente più acculturata che abbia mai conosciuto, il suo genere preferito fin da piccolo è la musica black, quindi dal blues all’RnB più moderno, ma l’ho conosciuto già ferratissimo su tutta la musica pop internazionale e italiana del secolo scorso, oltre alla musica alternative, quella sperimentale, generi e sottogeneri che faticherei ad elencare. Io invece ho ascoltato veramente tanto rap, italiano e oltreoceano da piccolo, passando per il punk, pop punk, pop rock crescendo, costruendo inevitabilmente un mio bagaglio più “da band”, che unito allo stile più solista e cantautorale di Francesco ha dato vita a un bagaglio unico più ricco. Per quando riguarda la scena it-pop, se fatta con onestà intellettuale e libertà creativa, è una scena che lascia molto spazio alla musica ispirata da correnti e influenze tra le più disparate, perciò ci fa piacere essere accostati ad artisti che stimiamo, poi ci sono anche quelli che ci sembrano un po’ meno onesti e un po’ troppo atteggiati, ma non è questa la sede per parlarne.”

 

Siete un duo romano e non lo nascondete. Quale è il vostro rapporto con la città eterna e con la sua tradizione musicale?

Francesco: “Io sono di Viterbo, ma mi sento parte di questa scena romana anche perché Le Ore sono nate a Roma e sono diventate quelle che sono, a livello umano e creativo, nelle notti insonni in giro per la capitale, che senza dubbio è la città più bella al mondo. Proprio per l’amore che proviamo per Roma, frequentiamo sempre di più Milano, per lavoro, per le opportunità che offre e soprattutto per la qualità della vita là. Roma la amiamo al punto da non poterla vedere così, al punto da volerla vivere come i nostalgici che tornano e la abbracciano dopo due settimane passate fuori, perché gestita male, pensata male, perché inchiodata e stanca, stancata dagli stessi romani che troppo spesso non si rendono conto delle responsabilità che hanno, per non parlare poi dell’amministrazione.”

 

Nelle vostre canzoni sentiamo synth, autotune, assoli di chitarra e break elettronici, con un cantato e una scrittura di testi che ruba da vari generi, come fosse un ponte fra diverse epoche e diversi modi di concepire la musica. Vi sentite un progetto senza tempo?

Le Ore: “Una domanda bellissima che ricorderemo per sempre, seriamente. Sarà che ci chiamiamo Le Ore, che si sa possono passare (e oggettivamente passano sempre), ma possono anche restare in testa, su una pellicola o su un hard disk. Nonostante ci sia un’evoluzione nel sound dai nostri primissimi singoli, effettivamente gli elementi digitali non schiacciano mai del tutto quelli analogici e viceversa, così come le frasi più retoriche o d’impatto non sono mai da sole, ma affiancate da discorsi più quotidiani scritti (e pronunciati) come faremmo ogni giorno nel parlato. Più che una domanda, a cui oggettivamente è impossibile per noi rispondere, prenderemo questa questione come un complimento e siamo felici così.”

 

Proprio recentemente avete iniziato con i live in delle cornici molto speciale per questa scena musicale, cioè il Monk di Roma il 13 Dicembre e l’Apollo di Milano il 15. Come sono andati questi concerti?

Le Ore: “È stato bello e sembra scontato dirlo, ma non lo è, soprattutto per chi ha sempre fatto tutto da sé: da rimediare gli eventi in cui suonare live con le cover a fare le grafiche o i montaggi dei video per i social, quindi poter (per la prima volta) non inserire nemmeno un brano di altri in scaletta è stato per noi una soddisfazione. Roma è casa ed è stato bello vedere facce nuove che ci hanno conosciuti su Spotify e sapevano le canzoni a memoria, idem a Milano, dove siamo stati felici di portare la nostra musica all’Apollo, club in cui negli ultimi mesi abbiamo visto (e conosciuto) alcuni dei nostri artisti preferiti.”

 

Con il vostro precedente singolo La Mia Felpa È Come Me vi ha fatto arrivare fra i finalisti di Sanremo Giovani 2018. Cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Francesco: “Adesso sono passati tre singoli da La Mia Felpa È Come Me, dopo aver fatto Sanremo Giovani sono passati nove mesi prima di tornare con Ci Metti Il Resto e non è stato un caso. Quello che raccontiamo in quel pezzo ha tanto a che fare con l’esperienza sanremese, con il mondo intorno che ti forma, ti sforma, ti arricchisce o ti deruba, ma per rendercene conto dovevamo necessariamente far spegnere un po’ i riflettori (una cosa che periodicamente ritorna nel nostro percorso) e capire chi fossimo noi, più che come persone come artisti. Quando sei a Sanremo l’emozione è tanto grande, soprattutto per chi come me è cresciuto attaccato alla tv sbavando per Pippo Baudo [ride], sentirsi presentare in diretta su Rai1 proprio da lui è una cosa che porterò dentro finché morte non mi separi da questo mondo. La band della Rai, gli amici, i colleghi, mai visti come avversari, ma come compagni di una gita privilegiata e inaspettata che ci ha dato e lasciato tanto. Dico sempre che in quei dieci giorni siamo cresciuti di due anni, ed è vero: la prima volta in tv, la prima volta con gli ear monitor, la prima volta di fronte a tanti addetti ai lavori con cui, tra l’altro, siamo in contatto ancora adesso. Questo è uno di quegli aspetti che, se non sei abbastanza in grado di gestire te stesso, ti si può anche rivoltare contro, perché in tanti sembrano avere la ricetta per il tuo successo in quella situazione, ma, se ci pensi un attimo, il vero successo è continuare a mettere un piede davanti all’altro come hai fatto fino a quel momento. Perciò abbiamo preso tutto il bello di Sanremo e ne siamo fieri, l’esperienza, la musica, chi la ascolta, chi la fa, chi ci aiuta a farla meglio, il resto l’abbiamo lasciato là, perché non ci interessava e non ci interesserà mai, vedi la competizione o le varie logiche per voler apparire più di faccia che di musica.”

 

Quali sono i vostri progetti futuri? Cosa avete pronto nel cassetto?

Le Ore: “Tanta musica, ne scriviamo di nuova ogni giorno, sperimentiamo coi suoni e con i testi, ci spingiamo laddove riusciamo a sorprendere noi stessi, con il pensiero a quella musica sui palchi di tutt’Italia. Vorremmo solo questo, ma non per il 2020 ma per il 2000 e sempre.”

 

Per concludere, consigliateci un libro, un disco ed un film per conoscervi meglio.

Le Ore: “Se la domanda numero quattro avrebbe avuto bisogno di una rubrica a parte, questa avrebbe bisogno di un blog tutto suo. Siamo malati di cinema, evidentemente anche di musica e sappiamo apprezzare i buoni libri, anche se per mancanza di tempo spesso si accumulano sul comodino. Saremo brevi e concisi con i primi che ci passano per la mente: libro Il Cardellino di Donna Tartt, disco Modern Vampires of The City dei Vampire Weekend, film Parasite di Bong Joon-ho.”

 

Gianni Giovannelli

Editors @ Alcatraz

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• Editors •

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Alcatraz (Milano) // 11 Febbraio 2020

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Foto: Elisa Hassert

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Junodef

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SETLIST EDITORS :

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Grazie a DNA Concerti

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