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Naftalina “La Fine” (Self Released, 2020)

1999 – 2020 Odissea nel Pop Punk

 

Erano altri tempi. 

Quando prendevi il telecomando e bastava comporre dei numeri sulla tastiera per venir catapultata in un altro mondo. Avendo cugini più grandi (che ringrazio di cuore), il nostro canale preferito era MTV. Non quello che guardate ora. Era tutto diverso. A rotazione, carrellate di videoclip, programmi, live, una meraviglia. Poi il declino. Ma questa è un’altra storia.

Girava un post punk revival melodico, i Green Day, Sum 41, Blink 182, i Fall Out Boy e Jimmy Eat World, erano il nostro pane quotidiano. La sera tardi in programmazione potevi trovare roba più “acida” o “strana” , e noi italiani andavamo forte. Verdena,  Punkreas, Prozac+, Derozer, Porno Riviste e i Succo Marcio. Spaccavamo le classifiche. 

Anche in Italia era arrivato il contagio del pop punk, e per fortuna.

Mi ricordo, però, in particolare di una band, che adoravo, i Naftalina. Erano due ragazzi e una ragazza poco più grandi di me. Li passavano in radio, in tv. Io guardavo la ragazza, Klari (basso e voce) e sognavo di diventare così da grande. Il loro primo album Non Salti Come Me fu un vero successo. Balzarono subito nelle classifiche con il singolo Se, tra tour e ospitate in TV passò un anno, al termine del quale iniziarono a registrare il nuovo album, considerato troppo rock dalla major che nel gruppo ricercava sonorità più pop. Non si sono voluti piegare alla volontà dell’etichetta, quindi il gruppo si sciolse. Nel 2008 riapparirono in una nuova veste e scomparvero di nuovo.

Tornano definitivamente (?) insieme Peter (voce e chitarra) e Klari, nel 2018, e finalmente adesso riusciamo a sentire questo nuovo album La Fine, anticipato dal videoclip di Error 404, parodia di Bitter Sweet Simphony, dove troviamo uno splendido Auroro Borealo nei panni dell’incazzosissimo Richard Ashcroft, solo più sfigato.

Mantengono le loro radici, accordi semplici, chitarre distorte e ritornelli orecchiabili come in Labile, ma i testi sono più ricercati e adulti, per esempio in Distorta parlano delle donne moderne, regine di Instagram, fashion blogger e legate alla vita paradossalmente finta dei social.

La voce melodica di Klari si fonde con quella acida e particolare di Peter, sporcando i brani di un’aura punk e alternativa, ricordando i nostrani Prozac+ o gli internazionali Sonic Youth. Ma le melodie ricadono nel pop punk.

Non mi dirai, forse il pezzo più tosto dell’album, chitarre tiratissime e batterie picchiate ad arte.

La loro crescita si denota dagli argomenti che affrontano, come in Kalief Browder, dove raccontano a loro modo la storia di un ragazzo di colore americano suicidatosi per le violenze e le angherie subite all’interno del carcere (gli ultimi minuti della canzone sono un’intervista allo stesso).

Nel album è presente anche un brano più soft (ma solo a livello musicale), Sopra di me, che parla di perdita e solitudine, in un ambient più malinconico.

La voce di Peter, in Nostrand Avenue è quasi ingenua e innamorata, per scoppiare in chitarre aspre e batterie ritmate, la presenza della tastiera e delle trombe lo rende il pezzo più pop dell’album.

Dopo 20 anni tornano, con le stesse sonorità da garage band che li ha portati al successo, ma con testi più motivati e profondi.

Per tutti quelli che hanno visto la propria adolescenza in toni pop punk sarà un ritorno al passato con la coscienza da adulto.

Per quelli che non hanno vissuto questo periodo, sarà una bella scoperta.

E mentre ci godiamo La Fine, aspettiamo già il prossimo album.

 

Naftalina

La Fine

Self Released, 2020

 

Marta Annesi

ANTI-FLAG 14 gennaio | HT Factory, Seregno(MI)

Gli Anti-Flag tornano in Italia con unesibizione da HT Factory (Seregno, MI) il 14 gennaio dove eseguiranno dal vivo il nuovo album 20/20 Vision, per un concerto che si prospetta un vero e proprio must per tutti gli affezionati alle loro sonorità forti e aggressive.

Con il loro debutto in una radio di Pittsburgh nel 1993, gli Anti-Flag si riunirono per condividere il loro disgusto per la religione e il nazionalismo: erano essenzialmente tre ragazzetti che si divertivano a passeggiare per la città indossando bandiere sottosopra come toppe nelle giacche, con grande disappunto e rabbia degli skinhead locali. Già quattro anni dopo avevano fatto un tour negli USA e si erano costruiti una reputazione riprendendo i vecchi valori della musica punk: veloce, rumorosa, e contro tutto ciò che finisce per ismo.

La loro musica spazia dal punk hardcore al punk rock della California e dei Green Day fino allo Ska: quasi come fosse un ribollente minestrone di ribellione gli Anti-Flag riescono ad isolare con essa i loro pensieri politici, conferendo a questi ultimi sfumature diverse, ma sempre più che pregevoli, che classificano la loro attività artistica come sincero e rabbioso antidoto contro razzismo e autoritarismo.

Nei suoi quasi 25 anni di attività, e sempre parlando di politica, non poteva mancare la voce di Justin Sane e degli altri membri della punk-rock band più famosa della Pennsylvania a commentodellelezione di Donald Trump alla Casa Bianca; una reazione affidata al nuovo disco, dallesplicativo titolo “20/20 Vision.

A tal proposito, ecco le parole della band sullimminente tour europeo:
«Abbiamo bisogno di questi show. Abbiamo bisogno di questo tour. La nostra forza individuale, speranza e ottimismo derivano direttamente dalle interazioni e dal rapporto che riusciamo a instaurare con il pubblico a ogni nostro show. La dimensione live per noi rappresenta lo spazio dove lenergia individuale si trasforma in collettiva, e dove nasce il potere.»

DETTAGLI

14 GENNAIO 2019 | ANTI-FLAG | HT FACTORY, SEREGNO (MI)

Ingresso in prevendita: 15+ ddp

Ingresso in cassa: 18

Prevendite disponibili su Mailticket, al seguente link
https://www.mailticket.it/evento/23153

Niccolò Fabi @ Politeama Genovese

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• Niccolò Fabi •

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Politeama Genovese (Genova) // 13 Gennaio 2020

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sarà il legame più comune tra concerto e parterre dove si sta appiccicati gli uni agli altri oppure tra concerto e sedili scomodi dei palazzetti, ma il teatro come location porta sempre con sé una vaga aura di grandezza e di conseguenza soggezione.
La sala del Politeama Genovese è al completo, con un pubblico decisamente variegato: ci sono bambini, ragazzi e adulti, c’è chi è venuto da solo, chi in coppia e chi invece con tutta la famiglia. Insomma, Niccolò Fabi ha riunito uno spaccato di umanità per il suo Tradizione e Tradimento Tour.
Le luci si accendono e la voce calda di Niccolò, accompagnato dalla band, comincia a intonare A Prescindere Da Me, dal suo ultimo album. È incredibile come ogni elemento nelle sue canzoni crei un equilibrio di delicatezza, profondità e intensità. Tutto, comprese le luci e le immagini sullo sfondo, è studiato per dare l’effetto di una “leggera spinta” a chi ascolta, per fargli perdere l’equilibrio e lasciarsi andare, come ha detto lui stesso alla fine di Nel Blu.
La performance di Vince Chi Molla, tratta dal fortunatissimo album Una Somma Di Piccole Cose, è stata sicuramente uno dei momenti più alti. La semplice combinazione di voce e tastiera ha emozionato l’intera platea.
Emozionante anche il discorso prima di Scotta, in cui Niccolò ha voluto ricordare come in questa epoca storica, dove è sempre più difficile provare empatia, l’arte deve arrogarsi il diritto – forse con presunzione o forse no – di non girarsi dall’altra parte e diventare una forma di resistenza.
È soprattutto in questi momenti, quando non è accompagnato dalla musica, che ci si rende conto della sua umiltà disarmante. Non a caso, sembrava quasi imbarazzato a ricevere tutti quegli applausi e si è prodigato affinché tutte le persone che lavorano con lui ricevessero il giusto credito.
Il concerto si chiude con Lasciarsi un Giorno a Roma e una platea in piedi che canta e balla insieme a loro sul palco.
Forse quella soggezione iniziale non aveva poi così senso…

[/vc_column_text][vc_column_text]Testo: Francesca Di Salvatore 

Foto: Simone Margiotta

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Cogito Ergo Amo: una rivoluzione d’amore tra synth e basso

Classic stay classy: di questi tempi affidarsi al vintage è praticamente una sicurezza. E allora J Milli, producer di Cogito, disegna un pattern che profuma di Stranger Things e Stand By Me ma che racchiude, nella propria essenza, una struttura digitale in salsa di synth e loop. Il cantante, dal lato suo, strozza il dondolo del basso e le sortite digitali con una voce graffiata e disincantata, una voce ferita e per questo ancora più viva. Risultato? Una bella bomba. O meglio, una Molotov. Come in una Primavera di Praga amorosa i due lagunari ricamano su una tela di vissuto giovanile situazioni che sono “un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.”.

Uscito l’11 di Dicembre scorso a corredo del recente EP Come va?, il pezzo di Cogito si porta intrinseco il fascino dei canali veneziani, sua città d’origine, “vicina solo due fermate ma a volte così lontana”; si porta dietro quella confusione giovanile che più o meno tutti abbiamo provato almeno una volta, quell’essere spaesati con il mondo attorno che corre perché si ha una persona ferma in testa. Riprendendo stilemi compositivi e canori vicini a Gazzelle, Cogito racconta vividamente situazioni pervase da un’emotività spesso latente, sensazioni racchiuse e pronte ad esplodere, appunto, come una bomba carta. Con una scrittura interessante e un timbro profondo, il pezzo si eleva immediatamente a colonna sonora di stati d’animo sporcati di ferite fresche ma anche macchiati irrimediabilmente di nostalgia, un pezzo che va assaporato lentamente fino a che viene capito e fatto proprio, personale: e se questo avvenisse, sono sicuro che il ritornello, “con i miei perchè puoi fare/una molotov e buttarmela addosso/cosi esplodo per te/cosi esplodi anche te/cosi siamo io e te” sarà urlato nell’abitacolo della vostra macchina.

Ma veniamo a qualche domanda più specifica.

 

Mi soffermo subito sull’aspetto melodico di questo tuo nuovo pezzo: apertura da ballatona rock direttamente dagli anni ’80, poi attacca il synth. E i giri di basso in sottofondo sono ipnotici: come avete partorito tu e J Milli questa figata?

“Molto interessante come domanda. Questa canzone, come spesso capita, è stata partorita da J Milli a livello di produzione musicale; poi; una volta nata; io la coccolo. Abbiamo scelto una linea guida per quanto riguarda lo stile che volevamo per questo brano, quello appunto della ballatona rock dagli ‘80, proprio anche come stesura del testo, ma poi facciamo fatica a stare distanti dai synth. Questo anche perché inconsciamente quando produciamo pensiamo sempre alla dimensione live.
Per quanto riguarda i giri di basso si sente che arrivano proprio da quella dimensione reggae/funk che accompagna J Milli nel suo progetto musicale laterale al nostro. In più il ragazzo che ha suonato per noi in fase di registrazione, Timo Orlandi, ha toccato quelle corde del basso come se ci stesse facendo l’amore. Siamo stati davvero contenti di come sia usciti finito il brano.”

 

Lo stile ibrido di Molotov è un aspetto che mi incuriosisce molto: è il risultato di un’osmosi dei vostri gusti musicali o siete allineati come riferimenti?

“Io e J Milli abbiamo sia gusti in comune sia differenti. La cosa che però ci accomuna è che ci piace proprio la musica! Se gli faccio sentire un brano che mi piace, che magari non avrebbe mai ascoltato, non parte prevenuto ma anzi è subito pronto ad ascoltare ed apprezzare e così vale anche per me se è lui a farmi scoprire qualcosa.
Direi però che i nostri gusti musicali personali non sono proprio allineati nel nostro cervello. Io passo da ascoltare i NOFX (punk) a Harry Styles (pop)  e lui idem passa dai Twinkle Brothers (reggae) alle trappate americane fatte bene.”

 

A proposito di riferimenti, questa volta canori: l’indolenza della tua voce mi ricorda Gazzelle, il ritmo gli Psicologi.

“Apprezzo un sacco questi riferimenti! Per il brano ho scelto proprio uno stile alla Gazzelle come reference, ovviamente rimanendo me stesso al 100%. Psicologi credo possano essere un riferimento adeguato perché entrambi possiamo essere posizionati in quel mondo detto ‘’indie’’, anche se oggi non vuol dire!
Ascoltiamo parecchio hip-hop, se guardo il mio Instagram seguo moltissimi rapper e in macchina è più facile che faccia partire Marra piuttosto che Calcutta, ma poi quando scrivo spesso sto male e se sto bene non riesco ad affrontare tematiche street come quelle dei rapper perchè non mi appartengono davvero molto.
Sono un mix di tante cose, può sembrare un bel casino, ma io sono contento così.”

 

Dopo averti chiesto dell’aspetto melodico e dell’aspetto canoro, ora ti chiedo della scrittura: trovo molto azzeccato il senso metaforico che si sviluppa nel testo. Al pari dell’aspetto musicale, quello della scrittura è un mondo colmo di creatività: come lo coltivi?

“Credo che il modo migliore per coltivare questo aspetto sia quello di essere sé stessi. Quando uno scrittore scrive sta raccontando qualcosa quindi il migliore allenamento è vivere le cose, essere profondamente sé stessi e imparare a dirle.
Cerco di scrivere molto in maniera da poter dire sempre meglio le cose che penso e vivo, sto anche trovando la mia dimensione stilistica cercando di non farmi troppo influenzare da quello che è il modo di scrivere di altri artisti.
Leggo, anche se è difficile. Non so quanto possa essere un allenamento. Per il cervello sicuramente e anche per la creatività, ma come se sai scrivere non diventi automaticamente un poeta allo stesso modo se divori libri non diventi uno scrittore.
Scrivere, scrivere e ancora scrivere è secondo me l’allenamento migliore.”

 

Ok, pausa sigaretta e domanda personale. L’oggetto della canzone: ferita fresca?

“Io preferisco il caffè (ahah).
L’oggetto della canzone è una ferita che non si sa cucire. E’ un po’ come quando ti sbucci un ginocchio, se lasci che la ferita si rimargini e faccia la crosticina poi passa anche se lascia il segno. Però se ti gratti sanguina.
Diciamo che ho ancora un po’ di prurito che non va via.
L’amore è anche questo. Viva l’amore.”

 

Un particolare molto bello della tua canzone è la sua armonia, la sua fluidità: il flow cavalca le note in maniera dolce, la voce accarezza il synth e si fa guidare dalle linee ritmiche: quanto lavoro c’è dietro all’unione dei due aspetti?

“È una domanda a cui non so rispondere sinceramente. Non so quanto lavoro veramente ci sia dietro. Quando scrivi e vai sempre di più davanti il mic inizi a sentire cos’è più giusto fare sulla base. C’è un equilibrio, ad esempio le ripetizioni sono una scelta ma poi alcune melodie vengono semplicemente chiudendo gli occhi.
Se non funziona J Milli mi bacchetta e quindi iniziamo a fare versi sulla base e sistemiamo sopra le parole.
Spesso però capiamo che la melodia è quella giusta quando riascoltandola iniziamo a ridere.
Quando chiudi un bel brano lo senti, che sia triste o super happy, comunque tu sei felice.”

 

Hai racchiuso secondo me benissimo una situazione sentimentale che è capitata più o meno a tutte le persone: questa canzone mi riporta a situazioni e posti vissuti. Se ti chiedessi da quale città arriva questa tua canzone?

“Che bomba di domanda!
Sarò scontato ma così pensandoci dalla mia camera ti direi Venezia.
Proveniamo dalla provincia di Venezia, due fermate di treno dall’isola. Ti dico Venezia perchè è una città così unica e bella che per quanto sia a noi vicina a volte è tremendamente lontana. Quando sai di avere qualcosa tra le mani lo dai sempre per scontato, succede così anche in amore. Venezia è unica, come una persona che ami ma se non la vai a trovare non la vivi.
Venezia perchè tra quelle calli son successe cose intime ma allo stesso tempo mi sono ubriacato con gli amici in piazza.
In più è una città piena di amore e di ragazzi da tutte le parti del mondo ma allo stesso è davvero fragile tra quei canali che spesso la fanno piangere.
Venezia poi è dove ho assistito alle prime manifestazioni ai tempi del liceo.
Se Molotov è una rivoluzione d’amore Venezia è la città perfetta.”

 

Trovo davvero interessante il tessuto musicale che viene a crearsi. Hai saputo creare (o ricreare) delle situazioni: ipotizziamo allora un’atmosfera cinematografica, immagini e musica fuoricampo. Un piano sequenza della madonna, insomma. Come comporresti questa ipotetica scena con la tua canzone in sottofondo?

“Una manifestazione. Due ragazzi che si amano tenendosi per mano. Primi piani sui loro volti e sfocato dietro il caos di una manifestazione, fuoco, digos e scoppi.
Ad certo un punto scende una lacrima sul loro viso, le mani si lasciano e guardandosi si trovano sempre più distanti. Portati via dal mondo circostante, con cattiveria ma in slow motion. Dandosi alla fine le spalle.
Alla fine una molotov nel cielo che infuocata esplode.
Non l’hanno voluto ma è la vita.”

 

Ultima domanda: canzone emotiva, ritornello spinto. Immaginati sul palco: alienazione con il pubblico con mani dietro alla schiena come Liam Gallagher o braccia aperte e abbraccio simbolico alla folla?

“Ho una canzone che reputo la sorella minore di questo brano e la canto a braccia aperte come se stessi abbracciando il pubblico.
Questa canzone è molto più intima e per questo cercherei di stare più vicino al pubblico sedendomi sul bordo del palco come se fossimo vicini a chiacchierare.
Ma alla fine… chiuderei gli occhi e lascerei andare le cose come decide il cuore. La musica è di tutti, questa è una storia che come hai detto han vissuto tutti, speriamo che questa canzone diventi di tutti.
La canteremo assieme.
Grazie da parte mia e di tutta la crew per queste domande davvero interessanti. E’ stato bello rispondere.
Grazie anche a chi avrà letto l’intervista fino a qui.
Ci vediamo presto, un abbraccione!”

 

Alessandro Tarasco

Le Larve è un nome da tenere d’occhio

Le Larve è un cantautore in grado di spiccare decisamente nel mercato attuale: irriverente, diretto, fresco e con un personalissimo sguardo sulla realtà. Jacopo Castagna (questo il suo nome di battesimo) ha pubblicato su etichetta Polydor/Universal Music il suo ultimo singolo Ho Visto la Madonna l’8 dicembre scorso, una data sicuramente non casuale. Nel brano Le Larve racconta storie di vita quotidiana con un linguaggio di grande impatto, ben supportato da sonorità in bilico fra l’indie pop e il punk rock. 

Dopo i vari singoli usciti negli scorsi mesi, l’autore si conferma un nome da tenere d’occhio. Partendo da stilemi cantautorali molto contemporanei, esplora un sound che ricorda I tempi d’oro del pop punk, con una precisa attenzione alle parole e alla linea melodica. 

Per capire meglio il suo originale approccio alla musica abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, parlando del nuovo pezzo e di molto altro. Ecco cosa ci ha raccontato. 

 

Ciao! Vorrei partire parlando un po’ delle sonorità presenti nei tuoi brani e in particolare nell’ultimo singolo, in cui convivono cantautorato, indie pop e rock. Come lavori in fase di scrittura e produzione? 

“In genere durante la fase di scrittura nella mia testa concepisco anche uno scheletro di arrangiamento, o comunque mi immagino il sound; in fase di pre-produzione lavoro con il mio braccio destro Stefano Maura e insieme arrangiamo il brano, dandoci prima dei riferimenti. Il nostro sound ha una linea di coerenza per quanto la proposta tra i brani sia differente.”

 

Mi ha colpito molto il testo: ironico e dissacrante, con numerose immagini prese dalla vita quotidiana e di immediato impatto. Cosa ti ha ispirato per scriverlo?

“Dentro i tre personaggi protagonisti di questa canzone ci siamo un po’ tutti, nello specifico poi si tratta di un riassunto di una serata realmente accaduta, romanzato, certo, ma non troppo.”

 

Anche il video non lascia indifferenti, ha un aspetto vintage e ben si sposa con le liriche: svelaci qualcosa di più sulla sua realizzazione. 

“Ammetto di aver avuto ansia durante la scena della rapina, perché avevo il passamontagna e una scacciacani in una zona dove sarebbe stato plausibile potesse accadere davvero. Durante le riprese sono passate due volanti, per fortuna non mi hanno visto, si sarebbe creato disagio.”

 

Raccontaci un po’ qual è stato il tuo percorso artistico finora e cosa ti ha spinto a fare il cantautore. 

“Ciò che mi ha spinto e che continuerà a spingermi a farlo, finché lo farò, è l’esigenza comunicativa. Ho iniziato a scrivere ormai otto anni fa e sin da subito ho iniziato ad esibirmi. Ciò che è cambiato in me, e quindi nella mia scrittura, è che prima vedevo la musica come un mezzo per arrivare agli altri, ora la vedo come un modo per tirarsi fuori.”

 

Ci sono degli ascolti che ti hanno particolarmente segnato?

“Certo, tra i miei album di riferimento Transformer di Lou Reed, Californication dei Red Hot Chili Peppers e in Italia, per esempio, Il padrone della festa di Silvestri, Fabi e Gazzè.”

 

Musicalmente parlando, come valuti il fermento attuale in Italia e come ti poni nei confronti della scena?

“Sono contento di vedere che sempre più gente si interessa alle nuove proposte; io per primo da sempre vado a cercare progetti inediti che possano piacermi. C’è bisogno di musica e, anche se ammetto che non tutto ciò che sento mi piace, penso che farla o ascoltarla non sia mai cosa sbagliata.”

 

Una curiosità: come hai scelto il tuo nome d’arte?

“L’ho scelto male.”

 

Sappiamo che, parallelamente alla musica, hai una carriera da doppiatore, ce ne parleresti? 

“Sì, è un lavoro che ho iniziato a fare da bambino; sono uno di quelli che chiamano figli d’arte. Tutta la mia famiglia lavora nel doppiaggio, nel cinema e nel teatro da generazioni. E’ un lavoro che mi piace e che non penso che abbandonerò mai, comunque vada con la musica.”

 

Uniamo le tue passioni con una domanda un po’ particolare. Se dovessi scegliere un film o una serie tv per cui ti sarebbe piaciuto lavorare alla colonna sonora, quale ci diresti?

“Probabilmente Skins, una serie che ho doppiato e che mi è piaciuta molto.”

 

Per salutarci, cosa prevedono i tuoi progetti futuri?

“Tanta musica e tanti concerti.”

 

Filippo Duò

 

Testacoda: un cantautore fuori dagli schemi

Testacoda è un cantautore decisamente particolare, dallo stile musicale e comunicativo molto personale. Classe 1994, originario di Como e di base a Milano, da meno di un anno ha pubblicato il suo primo EP, Morire va di moda, e il 20 dicembre esce il suo nuovo singolo guasto. 

L’amarezza dei testi è compensata da una musicalità calda e ben struttura, organica e piena. Chitarre, tastiere e programmazioni ritmiche si intrecciano molto bene supportando al meglio le liriche. 

Anche in guasto non mancano tutti questi elementi, esemplari di una certa estetica essenziale e lo-fi tipica del suo approccio alla musica, molto spontaneo, diretto e sintetico, proprio come lui. 

Abbiamo deciso, per l’occasione, di fare quattro chiacchiere con Testacoda per farci raccontare qualcosa su di lui, sul suo lavoro e sui suoi ascolti di riferimento. 

 

Ciao! Innazitutto parto subito chiedendoti una curiosità: da cosa deriva il tuo nome d’arte?

“Il nome suonava bene e ho deciso di usarlo, è figo anche il fatto di poterlo ribaltare su Instagram.” (il suo nickname è @codatesta, NdR)

 

Ci parleresti un po’ del tuo nuovo singolo guasto? Come è nato e cosa vorresti esprimere?

“All’inizio pensavo di chiamarlo pastiglie ma sarebbe stato troppo banale. Parlo di Gesù Cristo che per qualche strano motivo si è guastato.”

 

Come avviene il tuo processo compositivo? Quali fasi lo compongono?

“Scrivo e trovo una melodia quasi nello stesso momento, poi arriva la base e il brano si completa.”

 

La produzione è molto essenziale e diretta, per certi versi anche lo-fi: come è avvenuto il lavoro in tal senso?

Ah io chiedo quello che mi piacerebbe avere e se i ragazzi sono presi bene lo facciamo.”

 

Parlando del lato visivo, mi ha colpito molto l’artwork che porta anche la tua firma: ce lo racconti?

Non saprei sinceramente cosa dire, sono andato a casa di Simone che si era offerto per fare la cover e ha avuto questa idea del bagno fuori servizio, abbiamo pasticciato e alla fine, su Photoshop, non so perché ma è arrivato il maialino di Minecraft.”

 

Facendo un piccolo salto all’indietro, cosa ti ha avvicinato alla musica e qual è stato il tuo percorso fin qui?

Ho sempre ascoltato musica e non credo smetterò mai di farlo perché è l’unica passione insieme ai videogiochi che non si è mai placata.”

 

Hai degli ascolti che ti hanno influenzato nel corso della tua vita e che vorresti consigliarci?

Vi consiglio alcuni dischi che a me fanno impazzire: Trash Island, Blonde, Warlord e Don’t Forget About Me Demos.

 

E oggi, in questo nuovo panorama, chi apprezzi di più?

“Ora come ora sono tutto per ECCO2K, fatico a trovare qualcosa di innovativo in Italia e io per primo cerco di distaccarmi il più possibile dalle mie influenze (che non sono quelle che ho consigliato sopra) ma è molto difficile e come lo sento con me stesso così lo sento con gli altri.”

 

Per salutarci, cosa ci dobbiamo aspettare da te nel prossimo futuro?

“Nuove canzoni che cerco di rendere sempre diverse da quelle precedenti.”

 

Filippo Duò

 

ReCover #3 – The Rolling Stones “Their Satanic Majesties Request”

• All’ombra dei cuori solitari •

Dopo le crisi esistenziali causate dai precedenti album ho deciso di dedicare il terzo numero di questa rubrica ad un album del 1967, che con i suoi colori e la sua atmosfera spensierata ci aiuta a smorzare la tensione del periodo natalizio (non mentite, so che anche voi elfi di Babbo Natale siete sull’orlo di una crisi di nervi): sto parlando dell’album più incompreso e forse meno amato dei The Rolling Stones: Their Satanic Majesties Request.

Già dal titolo possiamo coglierne una dichiarazione d’intenti, che nel caso degli Stones è sempre provocatoria ed irriverente.

La giovanissima band si lasciò candidamente ispirare, trasportare e avvolgere dalla psichedelia — e dal successo — di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, il celebre capolavoro della band che nello stesso anno fece il boom di incassi.

In ogni fiaba che si rispetti c’è un antagonista che si oppone alla figura dell’eroe, ed ecco che i Rolling Stones erano perfetti per interpretarne la parte, in contrapposizione all’immagine candida dei Beatles.

Probabilmente fu anche a causa di questa narrazione conflittuale tra le due band, costruita ad hoc dai media, che TSMR venne visto come un tentativo fallito di rincorrere Sgt. Pepper.

Ma la realtà era ben diversa: la stampa continuava a dipingere la relazione tra i due gruppi come aspra e conflittuale, i ribelli contro i bravi ragazzi, e la gente ci credeva: per cui gli Stones stanchi della situazione decisero di comunicare tramite la cover come stavano le cose. 

Nascosti tra i fiori di TSMR ci sono i volti dei Beatles, come nel vestito della bambola di Shirley Temple nelle cover di Sgt. Pepper possiamo leggere “Welcome The Rolling Stones”: era il loro modo di esplicitare al pubblico con un dialogo silenzioso il profondo rispetto che provavano a vicenda.

Ulteriore prova ne è il brano Sing This All Together in cui possiamo sentire le voci di John Lennon e Paul McCartney.

E così dalle pennellate nere con cui Mick Jagger solo l’anno prima voleva ricoprire qualsiasi cosa passiamo ad un arcobaleno di colori accecanti e piuttosto acidi, conditi con una bella dose di esoterismo. 

La prima cosa che fa storcere il naso di tutti è la copertina: una copia spudorata? O semplicemente gli Stones vogliono fare il verso ai loro acerrimi nemici? 

La prima proposta per la cover (Mick Jagger nudo su una croce) venne scartata dalla produzione perché di cattivo gusto, ma evidentemente lo spirito kitsch era alla base di questo album: non solo interpretarono l’ispirazione lisergica in maniera del tutto sopra le righe, ma rimasero coerenti all’eccesso anche dal punto di vista visivo.

Infatti gli Stones optarono per contattare Michael Cooper, il fotografo che si occupò della celebre foto di copertina di Sgt. Pepper e gli chiesero di fare qualcosa di simile.

Il design del booklet è opera di Michael Cooper: all’interno troviamo un labirinto con al centro la scritta “It’s Here” che, riferita al titolo, risulta irraggiungibile se si prova a percorrerlo; lo circonda un densissimo collage fotografico che contiene dozzine d’immagini fra le più disparate, dai dipinti di Poussin a ritratti indiani, fiori e mappe.

La quarta di copertina fu invece affidata all’illustratore Tony Meeuwissen, che raffigurò i quattro elementi all’interno di una cornice.

Per quanto simili le due copertine vennero realizzate con uno spirito opposto: se i Beatles non fecero altro che posare in un set rifinito di tutto punto e in tre ore andarono via, i Rolling Stones lavorarono fianco a fianco col fotografo, occupandosi persino di andare a comprare i costumi e costruire il set, come testimoniano le foto di reportage che scattò Cooper.

Fu proprio lui a proporre la copertina 3D della prima versione, proprio per fare uno step oltre il suo lavoro precedente.

Una delle poche attrezzature per il 3D stava a New York per cui dovettero tutti trasferirsi negli States, aumentando ancor di più i costi di produzione che già erano piuttosto elevati, tant’è che finirono per lanciare 500 copie in edizione limitata che finirono tra amici e parenti: se inclinata, l’immagine lenticolare mostrava le facce dei membri della band che si girano l’una verso l’altra, ad eccezione di Jagger che posa con le mani incrociate sul petto aprendole nell’animazione. 

Andiamo a concludere la narrazione di questa fiaba acida: TSMR non ebbe il successo sperato, i fan accolsero tiepidamente questo improvviso cambio di rotta e Mick Jagger stesso nel ‘95 rinnegò l’album considerandolo un esperimento fallito, di cui si salvano solo due canzoni e il resto è privo di senso.

Alla classica domanda “Beatles o Rolling Stones?” ho sempre risposto coi primi, anche solo perché il fatto di averli approfonditi di più, ma in questo caso faccio un’eccezione: di fronte alla grandezza mastodontica di Sgt. Pepper nutro un affetto particolare per Their Satanic Majesties Request, che rimane un tassello importante della storia della musica. Mi piace pensarlo come una lunga e caotica jam session, una piccola parentesi liberatoria in un momento in cui le vicende personali si intrecciavano ad un periodo storico piuttosto movimentato: a tutta questa complessità l’unica reazione giusta sembrava la libertà di espressione.

E così, con la mia illustrazione ho voluto omaggiare questa piccola pausa dal blues prolungandone la jam session coi miei strumenti.

 

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Una chiacchierata rapida con I Botanici

Abbiamo incontrato I Botanici lo scorso sabato in occasione della loro data al Bradipop Club di Rimini: oltre a fotografare e goderci lo show, abbiamo avuto modo di fare quattro chiacchiere con la band.

 

Nome del nuovo disco?

Tutti: Origami

 

Quando è nato l’Ultimo disco?

Toni: “3 anni fa.” (ridono)

Gas: “Domani.”

Toni: “8 Ottobre 2019.”

 

Cosa porta questo album?

Toni: “Tanta miseria!” (risate)

Gas: “Sicuramente novità dal punto di vista della formazione, dal punto di vista dello stile e.. molto rock!”

 

Questo album ha cambiato il vostro genere?”

Il Ciani: “Vagamente si, dai! Ci sentiamo più integrati.”

Toni: “Ha cambiato le nostre vite radicalmente, possiamo dirlo.”

 

Da quanto sta durando questa promozione?”

Gas: “Questa é la sedicesima data da metà Ottobre.”

 

1 mese e mezzo, 2 mesi di live intensi, quindi…

Gas: “Speriamo sempre di più?!“ (guardando ammiccante al manager)

 

Avete prospettive più ampie?

Il Ciani:Soldi, macchine e fighe!” (risate)

Toni: “Io voglio la casa, le macchine e le fighe!”

Gianluigi (Manager): “Praticamente diventano gli Snoop Dog italiani!”

Gas: “Sicuramente un inverno e una primavera in giro, e un’estate di profilo per quel che riguarda il rock: proviamo a fare più date possibili, a divertirci e a coinvolgere un pubblico sempre maggiore.”

 

C’è qualche data particolare che volete segnalare?

Gas: “La settimana prossima siamo a Carpi e Milano, il 19 e 20 (Dicembre, ndr).”

 

In quali locali?

Gas: “ATP Live Music Club di Carpi e ROCKET di Milano. Milano è una data che ci ha sempre portato bene e che ci teniamo a fare bene.”

 

In bocca al lupo per tutto

Gas: “Io vorrei far salutare Stefano…”

Stefano: “Ciao mamma!”

 

Alla prossima!

Tutti: “Ciao Vez!”

 

Intervista lampo e Foto: Michele Morri

 

 

Si ringrazia I Botanici, Garrincha Dischi e Bradipop Club

Malto Beer Expo 2020

Torna Malto Beer Expo allUnipol Arena e raddoppia

Venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 aprile 2020

Bologna

Dopo il grande successo della prima edizione, che ha portato oltre 9000 visitatori, torna allUnipol Arena Malto Beer Expo, la più grande esposizione italiana di birre artigianali.
Tra le grandi novità delledizione 2020: un nuovo allestimento, che permetterà di raddoppiare il numero di birrifici partecipanti alla manifestazione (75, contro i 40delledizione 19) mentre le birre artigianali da poter degustare saranno 500 (250 nella prima edizione).
Un giorno in più di manifestazione (oltre al sabato e alla domenica si aggiunge il venerdì) e dei nuovi orari: dalle 14:30 alle 19:00 Malto Beer Expo sarà solo evento fieristico con
Masterclass, Show Cooking, tour degustativi e delle classi di Beer Tasting intensive, della durata di 8h, che permetteranno di ricevere alla fine del corso un diploma di Beer Taster.
Una nuova app, creata in collaborazione con Yhop, che permetterà ai visitatori di seguire tutti gli aggiornamenti sulla manifestazione prima e durante lo svolgimento dellevento.
Beer Pop Award: il concorso che eleggerà la birra regina della manifestazione.
A determinare il vincitore del premio saranno proprio i visitatori, che potranno scegliere le loro birre preferite e dare la loro preferenza tramite l’app della manifestazione.

Le numerose novità inserite nell’edizione 2020 puntano a raggiungere le 20.000 presenze nei tre giorni, raddoppiando così i numeri dell’edizione passata, per presentare Malto Beer Expo tra la platea delle piùimportanti esposizioni di birra artigianale europee.

Qui di seguito i primi birrifici annunciati
Italiani: Argo, Baus Beer, Biren, Birra Bagnino, Birra Barbanera, Birra Mastino, Birra Perugia, Birrificio Abruzzese, Birrificio Amerino, Birrificio Artigianale Curtense, Birrificio Clandestino, Birrificio Del Catria, Birrificio Emiliano, Birrificio Evoque, Birrificio Forum Iulii, Birrificio Lariano, Birrificio Manerba, Birrificio Mezzopasso, Birrificio Oldo, Birrificio Pontino, Birrificio Rurale, Brewberry, Brewfist, Busa dei Briganti, Canediguerra, Cascina Motta, Croce di Malto, Doppiobaffo, Edit, Extraomnes, Foglie dErba, Giustospirito, Hammer, Il Mastio, La Buttiga, MC77, Mine Brewery, MFB Manifattura Birre Bologna, Statale Nove, The Wall Beer, Vetra
Stranieri: Amundsen, Brew By Numbers, Brewdog, Burnt Mill, Gaffel, Fourpure, The Kernel, Mikkeller, Moor, Overworks, Partizan Brewing, Rogue, Schwarzbraeu, Siren Craft Brew, Stone Brewing, To Øl, Whiplash.
*Il 27 gennaio saranno annunciati gli altri birrifici partecipanti



Evento in collaborazione con: Zamboni53, Ales&Co.,Brewberry, Yhop, Unipol Arena

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PREZZI
Biglietti disponibili dalle 9:00 di mercoledì 18 dicembre su boxerticket.it, ticketone.it, Zamboni53 Store e tutti i punti vendita autorizzati Boxerticket e Ticketone

Intero (giornaliero) 8,00 + ddp
Abbonamento 3 giorni 16,00 + ddp
Tour 15,00 + ddp
Tour + biglietto intero 22,00 + ddp
Beer Taster Academy (8h di corso) + abbonamento 3 giorni 75,00 + ddp

CONTATTI – INFO
www.facebook.com/maltobeerexpo/
https://www.instagram.com/maltobeerexpo/
www.maltobeerexpo.com
segreteria@maltoexpo.it
info@maltoexpo.it

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I-DAYS 2020: anche gli INCUBUS sul palco del festival nella stessa giornata di AEROSMITH!


INCUBUS
ARRIVANO IN ITALIA
SABATO 13 GIUGNO 2020
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SI ESIBIRANNO NELLA STESSA GIORNATA
DI AEROSMITH

 

INCUBUS saliranno sul palco del MIND Milano Innovation District prima degli AEROSMITH nella giornata di sabato 13 giugno 2020.

Il gruppo pubblicherà prossimamente un nuovo album di inediti, anticipato dal singolo “Into the summer”, già disponibile su tutte le piattaforme online (videoclip qui: https://www.youtube.com/watch?v=2dn6gRWaoc0).
Gli Incubus sono una delle band alt-metal più famose del nuovo millennio. Formatasi nel 1991 nella San Fernando Valley, più precisamente nel sobborgo di Calabasas (California), la formazione comprende: Brandon Boyd(voce, percussioni), Mike Einziger (chitarra), Chris Kilmore (tastiere), Ben Kenney (basso) e José Pasillas (batteria).
Ad oggi gli Incubus hanno venduto oltre 23 milioni di dischi nel mondo.

Gli Incubus si aggiungono al cast di stelle della nuova edizione di I-DAYS che comprende già SYSTEM OF A DOWN e KORN il 12 giugno 2020, gli AEROSMITH il 13, i FOO FIGHTERS il 14, VASCO ROSSI il 15 giugno e BILLIE EILISH il 17 luglio.

I biglietti per tutte le date sono disponibili per l’acquisto sulle piattaforme digitali Ticketmaster, Ticketone e Vivaticket e in tutti i punti vendita autorizzati.

I-DAYS 2020 si tiene nello stesso spazio che nelle scorse stagioni ha accolto Eminem, Pearl Jam e Imagine Dragons, al MIND Milano Innovation District (area expo), una zona verde specifica attrezzata per i grandi concerti, altamente qualificata e dotata di tutti i servizi: treno e metropolitana che la collegano al centro di Milano, parcheggi, servizi igienici residenti, un’ampia zona food & beverage con una vasta e variegata offerta di cibi e bevande, anche vegetariani e vegani. Un ambiente adeguato per accogliere nel miglior modo il pubblico della musica live internazionale.

Virgin Radio è la radio ufficiale.

Intesa Sanpaolo: nel 2020 la banca offrirà ai propri clienti altre sorprese legate a questo festival, nell’ambito del programma Reward.

Scarica l’APP ufficiale di I-DAYS, disponibile per Android e iOS > hyperurl.co/idaysapp per non perderti nessuna sorpresa!

Per tutte le informazioni sui biglietti e i pacchetti visitare:https://idays.it/it/tickets

Ufficio Stampa Live Nation Italia:
giacomo.vitali@livenation.itPer ulteriori informazioni sulla data italiana:
LIVE NATION ITALIA
(TEL. 02.53006501; info@livenation.it)
http://www.livenation.it

Lui si chiama Giovanni e il suo nome è un plurale

È uscito il 22 marzo scorso Poesia e Civiltà, il nuovo album di Giovanni Truppi per Virgin Records. Il cantautore, originario di Napoli ma romano di adozione, sta portando live il suo nuovo lavoro di undici pezzi per tutta l’Italia. Gli abbiamo fatto qualche domanda poco prima del suo concerto, il 6 dicembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma. 

 

Stasera suonerai qui all’Auditorium: com’è suonare in un posto del genere, con delle persone sedute? Come la vivi?

Con molta paura (sorride). Ovviamente è bellissimo. Non è che io faccia rock ma comunque mi ritrovo a suonare molto spesso in dei contesti che in qualche modo hanno delle caratteristiche quantomeno poco rumorose. Il silenzio è bellissimo perché ti permette di fare il tipo di performance che ti eri immaginato ma allo stesso tempo è una grande lente di ingrandimento su quello che fai e ti dà più responsabilità.”

 

Con Poesia e civiltà vi ritrovate in sei sul palco. Questo sicuramente permette di riprodurre l’album in modo quasi del tutto fedele (tranne che per gli archi). Suonare con una band così allargata è una cosa che avresti sempre voluto oppure è stata una necessità propria dell’album?

Durante la mia carriera ho fatto tutte le combinazioni: tanti live da solo, tanti in duo, tanti in trio e tanti in quartetto. Mi manca il quintetto. Comunque, era una necessità per questo disco ma in realtà adesso non mi immagino di suonare con meno persone perché mi trovo molto bene in questo complesso. Facendo il cantautore mi posso permettere di vestire le canzoni in tanti modi diversi e quindi è anche bello poter cambiare.”

 

Il 22 novembre è uscita Mia con Calcutta. Il brano anticipa un EP che uscirà a gennaio. Com’è nata la collaborazione con Calcutta e l’idea di un fumetto che accompagnasse la canzone?

Sia Edoardo (Calcutta) sia Antonio Pronostico sono persone con cui c’era già un rapporto di stima. Ci conosciamo da tanto tempo e quindi è stato tutto piuttosto naturale.”

 

Il nuovo EP si chiamerà 5 e al suo interno ci saranno alcune canzoni che già conosciamo e che hai rivisitato insieme ad altri artisti ed altre completamente nuove. Come mai hai deciso di reinterpretare le tue canzoni con altri musicisti?

Non saprei dirti… In realtà è nato tutto in maniera abbastanza spontanea. Io avevo questa idea e chiacchierando con la mia casa discografica abbiamo pensato di realizzarla prima dell’uscita di un album, di un nuovo vero album. Ci sono degli artisti con cui ero molto contento di poter fare delle cose e da qui è nato il tutto.”

 

Sai che Scomparire è stata cantata a X Factor da Eugenio, su proposta di Mara Maionchi. Come ti ha fatto sentire questa cosa? 

Mi ha fatto moltissimo piacere. Considerato l’ambito nel quale io mi muovo, che è molto lontano da X Factor, il fatto di poter interloquire con quella realtà mi ha fatto piacere. Quando ti rendi conto che riesci a parlare anche a persone che magari sulla carta sono diverse da te, credo che sia una cosa che dà soddisfazione.”

 

Credo di poter dire che ci sono artisti che danno più importanza al testo, altri alla musica e altri ancora che ricercano un equilibrio tra le due cose. Ti identifichi in una di queste categorie? Ci sono pezzi dove la musica per te ha più valore del testo, se così possiamo dire, o viceversa?

Mi rendo conto che spesso ascoltando le mie cose possa sembrare che io dia una rilevanza maggiore al testo. Però penso che per far venire fuori il testo in un certo modo, sia fondamentale una musica di un certo tipo. Quindi non riesco proprio a immaginarmi una bilancia dove c’è un elemento che pesa di più e credo che questa sia la magia delle canzoni.”

 

Truppi 2

 

Cecilia Guerra

Foto: Simone Asciutti