Skip to main content

Nick Cave and the Bad Seeds “Ghosteen” (Ghosteen/Bad Seed Ltd., 2019)

Se il termine resilienza è uno dei più abusati nel linguaggio corrente, e spesso anche nella narrativa afferente al rock, mai è stato più calzante, per contro, nel caso di Nick Cave.

L’eterno Nick Cave del dolore di vivere, della lotta alle dipendenze, il Nick Cave che suo malgrado pochi anni fa ha incontrato il vero dolore e più terribile, lancinante ed irrimediabile come quello della perdita di un figlio, era riuscito a tradurre la disperazione nel capolavoro precedente, Skeleton Tree.

E se le tracce di Skeleton Tree, già comunque scritte al momento della morte del figlio (precipitato da una scogliera di Brighton nel 2015 all’età di quindici anni) una volta riadattate sono state il mesto e silenzioso grido di dolore (ossimoro voluto) a seguito di quella sconvolgente perdita, Ghosteen pare essere l’elaborazione di quel lutto. Talmente aulica e magnificente, l’ultimo lavoro del poeta australiano-britannico d’adozione, diventa difficile anche da descrivere e recensire, perché tocca corde, nodi emotivi più o meno irrisolti che tutti abbiamo.

Lo stesso titolo, Ghosteen, allude neanche tanto velatamente ad un giovane uomo che si è fatto fantasma.

Alla vigilia dell’uscita del disco, Nick Cave ha descritto questo lavoro come un punto di arrivo nella propria maturità artistica: “Il primo album sono i bambini, il secondo i genitori. Ghosteen è uno spirito migrante”. 

Sembra esserci un filo conduttore tra le atmosfere di Skeleton Tree e Ghosteen, con quei pezzi con pochissima batteria ed atmosfere evanescenti, quasi lunari, ma questo album riesce ad essere, comunque — e qui sta l’incredibile abilità di Nick Cave — un’ulteriore novità.

Apre Spinning Song, per poi virare su una meravigliosa Bright Horses, che richiama Mermaids di Push the Sky Away, passando, tra le altre, dalle ipnotiche Leviathan e Ghosteen, fino all’ultima traccia, Hollywood: più di quattordici minuti di grido disperato ma sommesso, in cui si racconta, come in una novella straziante, come se si fosse davanti ad un camino, la perdita di un figlio invocando talvolta la propria — “I’m waiting for my time to come”, con il basso che, nel sottolineare la cupezza dell’atmosfera, diventa quasi marziale. In questo lavoro Nick osa, anche vocalmente, spingendosi su falsetti piuttosto inediti (ma non per questo meno riusciti) e il violino di Warren Ellis cede talvolta il proprio ruolo usuale al pianoforte e tastiere.

Nick Cave non è un artista facile e meno che mai lo è questo lavoro, ma è l’artista che riesce a toccare le corde più profonde, qualora un animo sia predisposto all’ascolto.

La sensazione è simile a quella che si prova ad un suo live, pur senza l’impeto dei live degli ultimi anni, dove il contatto con il pubblico è voluto, cercato, fisico, necessario. Durante queste messe in cui Cave assume il ruolo di ieratico celebrante in chiave dark, spesso gruppi di fan vengono invitati sul palco ed abbracciati, persi per mano, toccati un po’ come chi, dopo avere affrontato la più tremenda delle perdite, deve sincerarsi di avere sempre, così fisicamente presente, chi è in grado di raccogliere quel dolore così meravigliosamente sublimato. Speriamo succeda molto presto, perché assistere ad un live di Nick Cave è una esperienza quasi mistica. E noi no, non ti lasciamo, Mr. Cave.

The King is back.

 

Nick Cave and the Bad Seeds

Ghosteen

Ghosteen/Bad Seed Ltd., 2019

 

Katia Goldoni

 

Marlene Kuntz @ Vidia Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Marlene Kuntz •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]

30 : 20 : 10 MKTour

Vidia Club (Cesena)  // 5 Ottobre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Sperduto nella frazione di San Vittore, in provincia di Cesena, il Vidia Club è rimasto uno degli ultimi baluardi della notte alternativa romagnola. Un luogo che rievoca gli anni del liceo al ritmo di Mr. Brightside dei Killers e i sabati sera a pogare in compagnia dei System of a Down. Un luogo dove ritorno, dopo cinque anni, per ritrovare le stesse mura nere e le luci soffuse, che stasera ospiteranno il tour dei Marlene Kuntz per celebrare i loro trent’anni di carriera.

Sul palco buio solo una scritta: Marlene Kuntz 302010 MK2.

La band apre la prima parte del concerto, in acustico e costituita dai brani più intimi ed introspettivi del suo repertorio, con Lieve, la canzone che fece innamorare Giovanni Ferretti dei CCCP dei Marlene e di cui i loro stessi, reciprocamente, sono grandi ammiratori.

Sullo schermo dietro al palco scorrono proiezioni che completano come metafore il testo delle canzoni e sull’immagine di un uomo che si perde in fondo all’immobile rosso, Cristiano Godano racconta la vicenda del poeta Osip Mandel’stam, scomodo alle autorità russe e per questo costretto alla prigionia nei Gulag. La moglie Nadia, per paura che i suoi scritti venissero persi e distrutti dalla polizia russa, li imparò tutti a memoria: la forza di questo tragico amore lo spinse a scrivere Osja Amore Mio. Appaiono alcune parole russe rosse, tra cui vremia, ovvero tempo.
“Forse tornerai e io non ci sarò più, se mi senti dimmi dove sei, sono io, Nadia, e tu dove sei?”. Un cuore si sfalda in foglie, scende la neve bianca.
La gente urla entusiasta nel conoscere il significato profondo della canzone: il momento più intenso della serata.

“Poeti, intellettuali, pensatori danno fastidio ai regimi. Bisogna stare un pò attenti. Questa è Bella Ciao”. Così Godano introduce l’esecuzione del brano, uscito ad Aprile in collaborazione con Skin per la manifestazione di Riace, piena di struggente compassione e dignità. Si respira un certo senso di appartenenza e di comunità tra il pubblico, affezionato alla band da trent’anni. A metà del brano, scendono delicati alcuni petali rossi dietro alle loro spalle, “un fiore morto per la libertà”. 

“Ora Riccardo Tesio, prende il basso” dice Cristiano. Così, incalzante e sensuale, inizia Sapore di miele. Lagash, Luca Saporiti e Davide Arneodo impugnano i tamburelli. Il pubblico è sovreccitato e batte le mani. Il miele cola alle pareti, l’immagine di una bocca rossa è sovrapposta. “Dammi il tuo nettare”.

Uno scheletro danzante accompagna l’esecuzione di Fantasmi. “Se un fantasma ce l’hai sai ti potrebbe venire a dire che questa canzone non riguarda altri riguarda te”, il brano ha tutta la disperazione di chi è stato tradito e deve difendersi.
“E’ una canzone d’amore, si intitola Musa” annuncia Cristiano. Musa rapisce il pubblico nel ritornello, “perché tu sai come farmi uscire da me, dalla gabbia dorata della mia lucidità; e non voglio sapere quando, come e perché questa meraviglia alla sua fine arriverà”. La fine arriva e fa da protagonista uno scambio prolungato di chitarre tra Cristiano Godano e Riccardo Tesio. Pura Estasi.
Fantasmi e Musa sigillano la prima parte acustica del concerto, toccante e romantico.

La seconda parte del concerto è dedicata al ventennale del disco Ho ucciso Paranoia, le cui canzoni sono eseguite tutte, tranne Il Naufragio, nell’ordine della tracklist.
“Ho preso Paranoia, la mia concubina cocciuta. E l’ho accoppata, giuro, come di schianto.”
Inizia con L’Odio Migliore la seconda parte del concerto in elettrico. E’ cambiato tutto, e come le chiama Godano, sono iniziate “le bordate”.

Seguono L’Abitudine, Le Putte, L’Infinità e Una Canzone Attesa. Durante il riff magnetico di Questo e Altro, “certe cose son da fare, una è detta eliminare”, la gente si scatena tra cori di devozione e spinte nell’ebbrezza del pogo.

“Trenta fottuti anni. Trent’anni di amicizia e di combattere insieme. Qui, abbiamo suonato i nostri primi concerti. Siamo ancora qua e siete ancora qua e tutto ciò è fantastico”.

Nella seconda parte del concerto le immagini sullo schermo si fanno astratte. Luci e colori si susseguono al ritmo incalzante del rock alternativo dei Marlene. Il pubblico in coro chiede Il Lamento dello Sbronzo e alla fine del brano Cristiano commenta con un “suoniamo bene perché l’atmosfera è fantastica”.
La cover di Impressioni di Settembre dei PFM e La Canzone che Scrivo per Te, disco d’oro nel 2000 che vanta la collaborazione con Skin degli Skunk Anansie, riportano all’intimità della prima parte.

“Sono stati mesi di disagio, credo molti possano condividere. Bisogna continuare ad essere concentrati e attenti e la bellezza potrebbe contribuire, non da sola, a salvare il mondo”. Il cantante annuncia così La Bellezza e il ritornello “Noi cerchiamo la bellezza ovunque” viene enfatizzato dalla dalla perfezione del violino suonato da Davide Arneodo.

Sonica è l’ultimo brano del concerto. Il mondo crolla in pezzi sullo schermo e sembra incorporare la nostalgia già presente del pubblico per la fine dello spettacolo.
Le luci si spengono.
I Marlene rientrano sul palco e la gente urla ancora dopo queste tre ore di concerto da brividi.
Le persone a bordo palco toccano le mani di Cristiano, Riccardo, Luca, Davide e Luca per non lasciarli andare. Ed è li tra quelle mani sudate e gli abbracci spontanei che sopravvive il sodalizio amoroso tra i Marlene Kuntz e il suo pubblico devoto da trent’anni.

 

Grazie a FleischVertigo

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Giulia Illari 

Foto: Siddharta Mancini

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16669″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16672″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16668″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16670″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16671″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16677″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16673″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16674″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16681″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16675″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16679″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16676″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16678″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16680″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Jennifer Gentle “Jennifer Gentle” (La Tempesta International, 2019)

La band Jennifer Gentle, progetto musicale di Marco Fasolo, vanta una storia musicale e professionale molto complessa, fatta di saliscendi e di cambi di formazione frequenti a cui si aggiungono le recenti esperienze di Fasolo come produttore per band del calibro di Verdena, Bud Spencer Blues Explosion e I Hate My Village. Queste ultime possono essere considerate il valore aggiunto di questo lavoro, il quale sembra porsi come il manifesto di una maturità cercata e quindi finalmente conquistata.

Jennifer Gentle è un disco corposo, sia per quantità di materiale – 17 tracce per un’ora piena di musica – che per complessità di struttura sonora, nonché concettuale: accompagna l’ascoltatore in un viaggio fatto di molti mondi musicali diversi. Ad un certo punto forse lo abbandona, tradisce le sue aspettative, lo fa sentire smarrito, gli lascia addosso un senso di incompiutezza, lo respinge quasi. Gli chiede scusa, lo riconquista, per poi schiaffeggiarlo ancora.

Questo album è un lavoro contraddistinto da una triplice natura: sono di genere ethereal wave i primi due brani, un’intro intitolata Oscuro e Just Because, il primo vero e proprio brano dell’album; dopodiché, da Beautiful Girl in poi, ci si sposta in uno spazio ritmico completamente differente. Si ha come la sensazione di entrare letteralmente in un club della Swinging London e lo stesso avviene per il brano immediatamente seguente, Love you Joe.

Con Temptation, invece, il gioco comincia a farsi un po’ più intricato: si assiste ad una vera e propria dichiarazione di intenti musicali, di una band i cui musicisti prediligono gli strumenti, la ricerca e la costruzione del sound, forse a discapito dei testi. Il ritmo del brano è martellante, ti fa dondolare su e giù la testa, oscillare il piede di una gamba accavallata; al contempo è come se questo sound, ben connotato nei suoi stilemi di genere – British Rock degli anni ’60 – fosse soffocato da una nebbia grunge, che eleva il tutto quasi a metafora. È come se ci fosse una cupa minaccia da temere, pronta a mettere in discussione le atmosfere spensierate che risiedono alla base del brano.

Guilty, il singolo che nei mesi passati ha anticipato l’arrivo dell’album, segna un cambio di atmosfera: il sapore si fa decisamente più giocoso e il tutto è impreziosito da un gradevole giro di basso, so fucking groovy.

Arriva poi la traccia Argento, breve e solo strumentale, che fa da spartiacque tra la prima metà dell’album e la seconda. Da qui in poi le due nature, da un lato quella dreamy e dall’altro quella tamburelleggiante da british invasion, si intrecceranno per un po’ fino poi ad arrestarsi bruscamente con le tracce What in the World, More Than Ever e My Inner Self. Il tono da qui in poi si fa più esistenzialista, a tratti angosciante.

Tutto questo corredo sottolinea un album dall’identità molto sfaccettata, dotato di molte anime e non si fa in tempo a pensarlo che tutta la parte finale dell’album si pone come un concreto omaggio alla tradizione musicale per film, propria a questa band. In questa dimensione si viene accompagnati dolcemente: è Swine Herd, con la sua lunghissima coda, a svolgere infatti questo compito e a lasciarci il tempo di apprezzare la parte finale del lavoro. 

Tirando le somme, questo disco si presenta ben strutturato in ogni sua singola unità, eccezionalmente suonato, ma in conclusione disconnesso e frammentario nel racconto di se stesso, come distratto da mille piccoli e grandi stimoli circostanti.

 

Jennifer Gentle

Jennifer Gentle

Bianca Dischi/Artist First, 2019

 

Bruna Di Giacomo

 

I Boschi Bruciano “Ci Pesava” (Bianca Dischi/Artist First, 2019)

Le paure di una generazione urlate al microfono

Ci Pesava: un titolo programmatico per dodici tracce che trasudano energia ed intensità.

Ci sono anima e cuore nel primo lavoro in studio della band alt-rock cuneese I Boschi Bruciano, uscito per Bianca Dischi/Artist First e destinato a seguire il solco già tracciato dai Fast Animals and Slow Kids oppure dai Ministri nella scena rock italiana.

Il perché del titolo ce lo spiega la stessa band su Instagram: tutte le canzoni parlano di cose che, in un modo o nell’altro, a loro pesavano. Da qui nasce l’esigenza di raccontarsi, finendo però, in qualche modo, a raccontare anche un’intera generazione disillusa e spaventata da un futuro sempre più incerto.  

Gli onori di casa fatti li hanno fatti i singoli Odio e Pretese, pubblicati tra il 2018 e il 2019 e che già ci avevano presentato il mood intenso del disco. Tuttavia, Ci Pesava esordisce con Grigio, traccia piuttosto malinconica dove gli strumenti entrano in scena uno alla volta e poi si fondono. Una sola frase viene ripetuta come un mantra e ci interroga: cosa resterà di noi, ora che il passato già sta sbiadendo? 

Si continua poi con altri pezzi dove la perdita di illusioni, le ansie per l’inizio della vita adulta e l’incertezza fanno quasi da padrone e tutte queste sensazioni vengono perfettamente sintetizzate nel ritornello di Mi Spegnerò, che recita “vivere è un po’ come lavorare di domenica”. Non c’è solo pessimismo, ma anche tanta voglia di reagire, come quella che viene urlata verso la fine di Jet Lag oppure in Università, perché in fin dei conti, questo vivere disincantati, non si riesce proprio ad accettarlo del tutto.

Ci Pesava quindi presenta agli ascoltatori due anime contrastanti. Una è governata dalla disillusione, condita con un po’ di rimpianto, ed è lei che serve ad imparare a perdere e smettere di credere alle favole – come la vita adulta ci richiederebbe. L’altra, invece, risulta più decisa e in grado prendere posizione, perché, visto che questa vita non è poi così difficile, tanto vale affrontarla di petto.

Infine, dopo quarantaquattro minuti, I Boschi Bruciano fanno un bilancio delle loro esperienze (ma sono davvero così diverse dalle nostre?) con L’ultimo Istante, canzone meno rock in senso stretto ma sicuramente una degna chiusura per un disco che scava a fondo e mette a nudo. 

Le voci dominano la musica per lasciare un ultimo messaggio.

Affrontare tutto, sempre, fino all’ultimo istante.

 

I Boschi Bruciano

Ci Pesava

Bianca Dischi/Artist First, 2019

 

Francesca Di Salvatore

[Anteprima] I Boschi Bruciano – Ci Pesava

In anteprima esclusiva su VEZ Magazine, ecco a voi Ci Pesava, l’album di debutto de I Boschi Bruciano.

La band alt-rock è pronta a presentare il loro primo album inserendosi perfettamente come una delle realtà più interessanti della scena cantautorale rock italiana, capeggiata da Ministri e Fast Animals and Slow Kids.

 

CI PESAVA

L’ALBUM DI DEBUTTO IN USCITA IL 04 OTTOBRE per BIANCA DISCHI/ARTIST FIRST

 

«La scena rock italiana indipendente sarà pure minoritaria rispetto ai fasti dell’hip hop e del cantautorato indie ma è viva e vegeta. Lo testimoniano band come I Boschi Bruciano» – Billboard

 

 

https://soundcloud.com/bianca-dischi/sets/i-boschi-bruciano-ci-pesera/s-JqDwl


Tracklist: 1. Grigio 2. Pretese 3. Mi Spegnerò 4. Jet Lag 5. Scegliere Un’Indole 6. Interlude 7. Odio 8. Polvere 9. Non Lo So 10. La prossima Volta 11. Università 12. L’ultimo Istante

Ci sono le chitarre, c’è l’energia del punk e la potenza del rock, tutto insieme. Un rock solido, ruvido ma al contempo accessibile. Dodici tracce potenti, di impatto, un suono pieno che ti viene subito addosso.

“Ci Pesava” è così, un concentrato di emozioni che vi farà capire chi sono I Boschi Bruciano. Un disco intenso, carico e diretto che lascia intravedere un live di grande impatto. “Questo disco ce lo portiamo dentro da molto tempo. Sentivamo il bisogno di dare forma concreta alle emozioni e ai frastuoni che uscivano dalle lunghe giornate in sala prove e, in poco più di un anno, abbiamo terminato un mosaico a otto mani che ci porteremo dentro tutta la vita. Questo non è un album semplice e non è stato di certo semplice per noi arrivare a stringerlo tra le mani. Abbiamo dato il massimo ed ora non ci resta che scagliarlo lontano, come un sasso nell’acqua, sperando che rimbalzi.” – I Boschi Bruciano

 

I Boschi Bruciano sono: Pietro Brero – voce e chitarra | Giulio Morra – chitarra | Maurizio Audisio – basso, piano e synth | Vittorio Brero – batteria

 

Credits album:

AUTORI: I Boschi Bruciano

REGISTRATO, MIXATO, PRODOTTO da Paolo Mulas presso V-Studio di Cagliari

MASTERING di Andrea Suriani

CREDITS FOTO: Francesca Sara Cauli

 

Fanta, Amore ed Europop: il Romanticismo anni ’90 de Gli Orzo

Maschere, costumi da unicorno ed un indie italiano con influenze anni ’90, sono questi Gli Orzo?
La risposta è NO. Si nasconde molto di più sotto questo progetto che ha fatto parlare di se dopo la breve apparizione alle audizioni di X Factor.
N. e F. (cosi ci danno il permesso di chiamarli) hanno scelto VEZ Magazine per rilasciare la loro prima intervista. Ecco com’è andata!

 

Ciao ragazzi e benvenuti su VEZ Magazine! Da dove nasce il progetto Gli Orzo e qual’è il significato delle vostre maschere?

N.: Gli Orzo sono nati fondamentalmente perché entrambi produciamo musica al Deposito Zero Studios di Forlì. Ci siamo trovati condividendo gli stessi spazi e il tutto è nato quasi per caso.

F.: Esattamente: è nato tutto su quel tavolo (ride ed indica il grande tavolo vicino noi). Volevamo farci un video ma non volevamo farci vedere.

N.: Si, è vero! È nato tutto su un tavolo con delle maschere fatte con dei bidoni della spazzatura. Volevamo fare un video cretino di una cover degli 883 (Con Un Deca ndr), con due tastiere, batteria elettronica ed una chitarra… ma poi ci siamo chiesti perché non potessimo fare anche qualcosa di più serio. E così, alla fine di ogni giornata, ci trovavamo a mettere insieme le nostre idee e lasciavamo andare la nostra creatività.

F.: La parte seria è iniziata dopo un po’: all’inizio era più uno sfogo, che partiva da noi ma in cui finivano per essere tirati dentro anche i nostri amici. Era una sorta di condivisione creativa.

N.: Il nome Gli Orzo è nato perché dovevamo trovare un anagramma con il nome dello studio nel quale collaboriamo (Deposito Zero Studios). Abbiamo deciso di prendere come partenza la parola zero, ma in realtà veniva orze e non ci suonava bene. Così è diventato orzo e successivamente Gli Orzo, che poi gli è plurale e orzo singolare: non abbiamo ancora capito perché sia uscito così (ride).

F.: Le maschere invece sono nate dal video di Senti-Menti, il primo singolo uscito. Nel video si vede una realtà alterata, in cui i protagonisti vivono da stesi su un lettino d’ospedale indossando i visori. All’interno dei visori vengono proiettate delle immagini, una sorta di realtà virtuale, e alla fine del video ci siamo anche noi indossando i visori in una sorta di cameo. Da lì abbiamo pensato che questa cosa potesse essere funzionale, che quello che noi vedevamo nei visori fosse un’altra realtà e che i visori stessi potessero essere un mezzo per trasportare la gente che ci ascolta nel nostro mondo, invisibile agli occhi ma percepibile con l’ascolto e l’immaginazione.
Questi visori sono poi stati perfezionati nel tempo fino all’ultimo prototipo (ride) che abbiamo portato ad X Factor: non è una cosa estetica ma concettuale.

 

IMGL2636 2 ok

 

Da dove traete ispirazione per la vostra musica?

N.: Sicuramente arriva da tutto ciò che abbiamo ascoltato nella nostra vita, anche se non c’è una vera e propria ispirazione: non puntiamo né ad avere un risultato ben definito né vogliamo assomigliare ad un prodotto esistente.  E’ una fusione tra il mio mondo e quello di F. ed ovviamente alcuni ascolti comuni.
Non vogliamo emulare nessuno. Quello che abbiamo dentro lo facciamo uscire in produzione, mischiamo le idee senza avere una direzione del flusso, tutto viene lasciato libero. L’ispirazione è una non ispirazione: è inconscio come processo e molto istintivo, non ci mettiamo paletti.

 

Come definireste la vostra musica in tre parole?

F.: Lo slogan lo abbiamo già! Fanta, Amore ed Europop. La versione buonista di Sesso Amore & Rock’and’Roll. La Fanta perché ci ricorda la bibita delle feste delle medie, Amore perché siamo dei romantici e Europop perché è il genere che fonde un po’ tutto, è il sound che abbiamo ricercato nelle ultime produzioni.

 

IMGL2665 ok

 

C’è qualche artista con cui sognate di collaborare?

N.: Dato che ci ispiriamo al mondo del passato forse ci piacerebbe collaborare con qualche artista che è scomparso dalle scene, magari anni ’80/’90… Ripescare un artista del passato, che ne so, tipo i Righeira, o comunque qualcuno di quegli artisti da cui la nostra musica trae origine come atmosfera, quella freschezza ed immediatezza che avevano le canzoni di quegli anni: sarebbe interessante duettare con artisti di quel periodo.

 

Qual’è il cambiamento che vorreste portare alla scena italiana con la vostra musica?

F.: La positività. Visti i contenuti che musicalmente vengono portati avanti in questo periodo, il nostro è un messaggio più fresco, più immediato e positivo. Vorremmo ricongiungere la musica con contenuti positivi, non banali come sole cuore amore, ma proporre positività attraverso il racconto di storie vere. Nella musica attuale c’è molto disagio e noi vogliamo parlare di cose felici. Adesso si dà spazio di più all’artista che deve raccontare la sua sofferenza, in tutte le cose; noi andiamo in direzione contraria e soprattutto lo facciamo con una nostra poetica, una positività immediata che descriviamo tramite immagini.

 

IMGL2674 2 ok ok

 

Una canzone italiana recente che vi ha particolarmente colpito?

N.: Non mi ha colpito proprio un cazzo, il panorama italiano è molto povero purtroppo. Forse, a livello di suono, una delle ultime uscite di Jovanotti prodotte da Rick Rubin posso dire che sia veramente valida. 

 

Ora parliamo di X Factor, come avete vissuto questa esperienza?

N.: È stata una bellissima esperienza, divertente e soprattutto costruttiva, nel senso che ci ha fatto vedere come sono certe dinamiche del mainstream e della televisione. Ci sono molti limiti dettati dal contesto, che non premiano le peculiarità musicali o in messaggio che cerchiamo di trasmettere, tuttavia il format ha una sua coerenza e va preso per quello che è.
Questa apparizione ad X Factor ci ha portato molta visibilità e ci è dispiaciuto non procedere nell’avventura, ma sicuramente siamo fatti per un altro tipo di percorso, che non è quello prettamente televisivo, con le sue regole e dinamiche, e in fondo in fondo preferiamo essere rimasti liberi.  L’avere visibilità è comunque un rischio: ci sono arrivati una marea di insulti sulla pagina Facebook di X Factor. Gli insulti sono stati comunque bilanciati dai commenti super positivi che ci sono arrivati pubblicamente tramite la pagina del programma o in privato. Insulti e complimenti ci hanno fatto capire che il progetto ha del potenziale: questo ci ha sia tirato giù che rincuorato. La gente è stata affascinata dal progetto in maniera pressoché immediata, il ché ci ha fatto intendere che siamo sulla strada giusta. Tra l’altro, era la nostra prima vera apparizione: non avevamo fatto nessun live prima di quel momento.
La casa produttrice che fa scouting per X Factor ci aveva chiamati chiedendoci se volevamo partecipare e così abbiamo preso la palla al balzo. Forse siamo stati troppo frettolosi e superficiali, ma ci siamo detti: Facciamolo!
I giudici hanno comunque detto cose giuste, e siamo d’accordo con le loro scelte. Nonostante Mara Maionchi e Samuel non si siano esposti troppo, il dibattito era giusto ed eravamo pronti per quello che poi è stato.
Dai, il prossimo anno andiamo ad Amici o Italia’s Got Talent! (ridono)

 

E’ uscito da qualche giorno il vostro singolo Monella: il futuro cosa prevede? 

N.: Sarò breve: sono in arrivo tante belle cose positive. Restate semplicemente sintonizzati sui nostri canali!

Instagram: https://www.instagram.com/gliorzolaband/

Facebook: https://www.facebook.com/gliorzo/

Spotify: https://open.spotify.com/artist/4KMuALx9YlpuRhGu7yhiE9?si=2SGXBMjqQ7GAL7EyX3L7ow

 

IMGL2674 2 ok

 

 

Intervista e foto a cura di Luca Ortolani

 

 

Auroro Borealo @ Serraglio

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Auroro Borealo •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]

 CULTURE CLUB

Serraglio (Milano)  // 28 Settembre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Sabato siamo stati invitati alla prima serata del Culture Club nella perfetta cornice del Serraglio di Milano. Una ex officina ristrutturata ed adibita a spazio per concerti e parties, che sabato ha ospitato Il Compleanno di Auroro Borealo.
Per chi non lo conoscesse, Auroro Borealo fa musica stravagante e stonata (si definisce il cantante piu stonato mondo), ma il pubblico partecipa ai suoi live perché sono dei veri e propri spettacoli di stranezza.

Al Serraglio è andata in scena la prima data dello Specialone Tour, che lo porterà a toccare varie città italiane finendo a Brescia il 28 Dicembre. Ad ogni data ci sarà un tema ed uno spettacolo diverso.

La scaletta di Milano ha ospitato tanti nomi più o meno noti.
In Polpette Reggae il nostro Auroro duetta con la bellissima e bravissima Angelica, in Non puoi lasciarmi cosi tocca ad Elasi, Uragano su Milano ospita Nikki, Ruggero de I Timidi su Sessone viene accolto da un boato da parte del pubblico, Annie Mazzola in Pomeridiana vede avverato il suo sogno di cantare illuminata solo dalla luce degli accendini (o flash dei cellulari), per finire Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari su Trentenni Pelati si tuffa sopra al pubblico assieme ad Auroro in un doppio stage diving.
Ad Auroro non resta che prendersi una torta in faccia a fine concerto per festeggiare il compleanno nel migliore dei modi e questo compito tocca ad Annie Mazzola che si immedesima in maniera perfetta nella parte della lancia-torte.

Il Culture Club ed i festeggiamenti sono andati avanti fino a tarda notte, per vedere tutte le foto della serata potete cliccare qui.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16625″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16632″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16624″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16630″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16635″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16628″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16626″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16622″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16620″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16623″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16637″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16638″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16639″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16640″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16627″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16643″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”16641″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16642″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16633″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16621″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”16619″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”16644″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Of Mice & Men “EARTHANDSKY” (Rise Records, 2019)

(TIME FOR HEADBANGING)

 

Spesso i progetti, anche i più buoni, che fanno i topi e fanno gli uomini, finiscono in niente e in luogo della gioia restano soltanto dolori e stenti.”

Così recita una poesia di Robert Burns, da cui John Steinbeck ha preso spunto per il titolo del suo romanzo del 1937 Uomini e Topi, per l’appunto.

Il libro è stato d’ispirazione per il nome della band americana metalcore Of Mice & Men che ci regala EARTHANDSKY, il loro nuovo LP preannunciato dai singoli How to survive e Mushroom Cloud. 

Un album pieno di metallo, rabbia e resilienza, termine ormai di comune uso dalle teenager sui social, ma è in questo album che riscopriamo il significato più profondo dalla parola, ossia la capacità dell’essere umano di affrontare e superare eventi traumatici, assorbire un urto senza rompersi.

Il gruppo è fortemente legato al metal e all’hardcore punk con tendenze nu metal, ma nel tempo, e con i vari cambiamenti nella formazione del gruppo (per colpa di patologia cardiaca del cantante Austin Carlile, nonché fondatore del gruppo) hanno aggiunto sonorità alternative al metal, tornando poi alle origini nel momento in cui il bassista Aaron Pauley ha preso le redini  e il controllo del microfono.

Come un Cavaliere dell’Apocalisse ha ricondotto il gruppo a sonorità più dure, tipicamente metal, batterie ossessionanti e incalzanti, riff di chitarra complessi. 

Nei brani si mescola il canto death brutale e raschiato, con una voce più melodica, quasi a delineare una personalità borderline. La collera derivante dall’essere incompresi, oltraggiati e derisi si scontra con un’anima delicata e sensibile.

Questo concetto risulta limpido nel singolo How to survive, nel quale il cantante vuole darci una lezione di vita, su come sopravvivere alla sensazione di sentirci rifiutati, denigrati, un bersaglio.

Un moderno Frankenstein, scappato dall’ostilità dei concittadini, intrappolato nella torre. 

Le torce brillano nella notte, il fragore dell’odio sempre più vicino.

Ma stavolta il mostro non scappa. Non questa volta.

Scende tra la folla e si ribella. 

Vuole sopravvivere, non perire tra le fiamme.

Rifiutandosi di essere uno dei caduti, la liberazione del mostro e la rivincita sull’astio della società.

Il vero senso del metalcore è descritto in Mushroom Cloud, che rappresenta la discordanza con il modo di pensare della società che ci circonda, intrappolati in un mondo che non è come vorremmo, che giudica prima ancora di conoscere. Le catene ai polsi come schiavi deportati. Sbraitare il disappunto, la malinconia e la solitudine, strillare con tutta la voce e non percepire risposta. 

“Three, two, one BOOM: countdown to insanity. Three, two, one BOOM: ignite the fuse and immolate”, la nostra anima e psiche che deflagrano come bombe atomiche sotto il peso dell’incuria, sacrificarsi e scoppiare in faccia a chi non capisce il nostro disagio.

Questo album è un calcio sui denti per tutti quelli che non considerano il growl e lo scream come canto. Per tutti quelli che considerano l’alternative metal come sinonimo di satanismo e aggressività.

Questo album ha l’intento di alzare il velo sottile dell’ira funesta, facendo intravedere la grande emotività insita nel metal. Gridare per farsi capire, nel caotico mondo in cui viviamo. Sgolarsi, per esorcizzare i demoni che popolano la nostra mente.

 

Of Mice & Men

EARTHANDSKY

Rise Records, 2019

 

Marta Annesi

 

Tobia Lamare “Songs for the Present Time” (Lobello Records, 2019)

(Ricetta italo-americana per un ottimo indie rock)

 

Prendiamo il sound di Bob Dylan, aggiungiamo un poco dei The Cure e Mudhoney q.b. e una spolverata di musica alternativa salentina.

Incorporiamo nell’impasto amore, vita, morte.

Uniamo tutti gli ingredienti.

Il risultato finale?

Tobia Lamare (pseudonimo di Stefano Todisco), da circa vent’anni musicista e compositore per teatro, documentari, film, scelto come gruppo di spalla per artisti quali Kings of Convenience e Iggy Pop & The Stooges. Ha esordito con gli Psycho Sun, ma dal 2008 ha dato una svolta alla sua carriera come solista e cantautore.

Girando per il mondo è stato plagiato da diversi sound, culture lontane da casa sua, dal suo mare. Si è imbattuto in realtà differenti, a contatto stretto con universi musicali vari, ma così catarticamente simili, suonando per festival importanti come lo Sziget (Budapest), ma anche per feste di paese, club, biblioteche.

Il profondo contatto col mare lo ha ritrovato poi con l’oceano, come a dimostrazione che per quanto possa essere lontano da casa sua, l’acqua è l’unico elemento di congiunzione con le sue radici, con la sua terra natia.

Dopo i successi nel 2010 di The Party, nel 2012 con Are you ready for the Freaks e nel 2017 con Summer Melodies, finalmente esce Songs for the Present Time, album di nove canzoni scritte interamente da Tobia durante questi ultimi anni di tour in giro per il globo terracqueo.

Nonostante disco sia stato prodotto e arrangiato interamente nella Masseria Lobello, vicino Lecce, le varie influenze Blues and Soul tipiche della west coast americana sono preponderanti in tutti i brani, anche grazie all’uso di strumenti classici per il country come l’armonica a bocca. 

Un album nato in movimento ma completato in un posto magico, solitario e tranquillo, registrato tra il maggio 2018 e il maggio 2019, a cui hanno partecipato nomi importanti come Andrea Fazzi (Sud Sound System, La Municipàl, Major Lazer) mentre le batterie sono in collaborazione con Marco Lovato (Caparezza).

Il primo singolo uscito è Endless, che testimonia l’amore fraterno, il forte legame che unisce due consanguinei soprattutto nell’affrontare momenti drammatici come la malattia o la morte. Testimonianza della continuità dell’amore oltre la morte, di come sia impossibile lasciar andare qualcuno a cui teniamo. Rimane dentro di noi, conviviamo e ci abituiamo a questa sensazione di mancanza.

Il brano è anche colonna sonora del corto Ius Maris, vincitore del premio Migrarti 2018 e presentato durante l’ultimo Festival del Cinema di Venezia.

Il disco è un agglomerato di sonorità e di tematiche, la maggior parte dei brani sono nati in viaggio (Dada, Lost without you, Loves means trouble), mentre altri sono frutto di prove acustiche sulla spiaggia (Vampire e Higher). 

In The Big Snack Tobia tratta della malinconia del Sud, che nasce nel momento in cui la lontananza dai sapori e dagli odori della propria terra risulta quasi insopportabile.

My Flavia racconta la vita che nasce – una canzone di benvenuto alla nuova arrivata in famiglia – mentre in Endless si celebra morte; in questi brani è da notare che tutti gli strumenti sono suonati da Tobia stesso.

Dopo la lettura dei diari di bordo di due eroine che nel 1935 partirono da Londra per arrivare in Sud Africa a bordo di motociclette, partorisce This Road, onorando la memoria e il coraggio di queste donne, che, in tempi impossibili, hanno avuto la prepotenza di imporre il loro volere in una società fortemente maschilista.

Un album emotivo, profondo, artistico. Il calore della campagna, il profumo della Puglia, il sapore metallico dello smog nelle grandi città, la tranquillità della periferia. L’angoscia insostenibile e conseguentemente l’elaborazione del lutto, la gioia smisurata per una vita che nasce, questo è il contenuto del disco, e non solo. Un pellegrinaggio in giro per il mondo e nel cuore dello stesso. Differenti culture si approcciano, si fondono e confondono grazie alla musica e ai sentimenti.

Particolarità ultima di questo album risiede nella copertina. Il cantante ha scelto per ogni brano una foto anni ‘30 e del dopoguerra trovate nei mercatini, che presentano scene di vita quotidiane. Tutto molto indie.

 

Tobia Lamare

Songs for the Present Time

Lobello Records, 2019

 

Marta Annesi

 

Visual Journal vol.1: Jova Beach Party

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Questa nuova sezione é dedicata alla narrazione di un evento in modo un po’ diverso dal solito.
Attraverso un visual journal e un breve testo abbinato cercheremo di raccontarvi tutti gli aspetti di un concerto, dalla musica, al pubblico, alle emozioni e sensazioni provate.
Per il primo volume siamo stati alla data conclusiva del Jova Beach Party all’aeroporto di Linate, un evento senza precedenti che ha fatto innamorare 100.000 persone e sono proprio queste persone le protagoniste del visual journal di questo mese.
Centomila anime unite nello stesso posto per la stessa passione; cuori che battono all’unisono; persone diverse di tutte le età che per un giorno hanno fatto parte di un’unica immensa famiglia.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

• Jova Beach Party @ Aeroporto di Linate (Milano) // 21 Settembre 2019 •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

PER SCORRERE LE IMMAGINI UTILIZZARE LE FRECCE AI LATI

DA MOBILE SI CONSIGLIA DI RUOTARE IL DISPOSITIVO IN ORIZZONTALE PER UNA MIGLIORE VISIONE DELLE IMMAGINI

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1569434969479{margin-top: 20px !important;}”][vc_column][vc_images_carousel images=”16534,16535,16536,16537,16538″ img_size=”full” onclick=”link_no” speed=”100″ hide_pagination_control=”yes” css=”.vc_custom_1569437544302{margin-top: 0px !important;margin-right: 0px !important;margin-bottom: 0px !important;margin-left: 0px !important;border-top-width: 0px !important;border-right-width: 0px !important;border-bottom-width: 0px !important;border-left-width: 0px !important;padding-top: 0px !important;padding-right: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;padding-left: 0px !important;border-left-style: outset !important;border-right-style: outset !important;border-top-style: outset !important;border-bottom-style: outset !important;}”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text] 

Foto: Elisa Hassert

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

An Early Bird “In Depths” (Ghost Records, 2019)

(Canzoni intense per cuori coraggiosi)

 

Vi sono dei momenti in cui la vita ti pone davanti dei bivi, decisioni da prendere che ti cambiano per sempre.

In questi attimi l’indecisione la fa da padrona e rimaniamo seduti a fissare un punto, snocciolando liste lunghissime di pro e contro.

Tutto sembra crollarci addosso, la malinconia per ciò che è e per ciò che potrebbe essere ci blocca nell’istante.

In siffatte circostanze ecco apparire An Early Bird (all’anagrafe Stefano de Stefano) con In Dephts, il suo nuovo EP contenente 4 tracce che preannuncia un full length previsto per il 2020.

L’intento, come d’altronde ci comunica il nome stesso dell’EP (In profondità), è di scendere sul più profondo piano emotivo di ognuno di noi, attraverso uno stile folk e acustico, macchiato qua e là da sonorità elettroniche, affrontando tematiche come l’amore, sia in senso amoroso, sia in senso fraterno; la risolutezza nell’affrontare cambiamenti e il senso di rottura in tutte le sue sfaccettature.

L’intimità di questi brani risiede negli strumenti utilizzati, per lo più suonati tutti dal cantante (piano e chitarre acustiche), nella voce delicata e profonda, unita ad arrangiamenti minimali ma più corposi attraverso sonorità scure e intense.

L’EP è stato registrato e mixato da Claudio Piperissa, assistito da Luca Ferrari, presso il Faro Recording Studio di Somma Lombardo, per la produzione artistica di Lucantonio Fusaro.

Il primo singolo uscito, che fa da cavallo di troia per la nostra psiche, è Stick it out: un inno alla tenacia, a resistere alle intemperie aggrappandosi forte agli affetti e soprattutto a non lasciare in sospeso nulla, con caparbietà e determinazione. Come durante uno tsunami, trovare un appiglio per non essere trascinati via dalla corrente.

In First Time ever si affrontano le prime volte magiche: il primo sguardo, il primo bacio di un amore vero e puro, non necessariamente il primo amore, in quanto ogni amore ha la sua importanza e porta ad una crescita personale diversa, e quindi ad un’interpretazione diversa dell’amore stesso. Si tratta di una ballata folktronic, poetica e romantica.

L’idea di Breaker, terzo brano dell’EP, nasce durante una lunga ed estenuante fila per il bagno. Questo testimonia che l’ispirazione è arte, e può coglierti in qualsiasi momento. Con la delicatezza della sua voce ci racconta storie sullo sfondamento di muri interpersonali, sulla rottura di rapporti, di promesse infrante, di scardinare le catene emotive che ci legano a situazioni dannose per la nostra anima.

Il commiato alla vita passata, in Farewell, sancisce la fine di un viaggio, di un progetto, per intraprenderne uno nuovo. Con una voce raffinata e malinconica ci invita a salutare con la mano il vecchio e a far posto alle prospettive future, abbandonando senza remore quel che è stato.

Aspettiamo con ansia il 2020 per ascoltare il full length di questo artista italiano che sa far vibrare le corde più profonde dell’anima.

 

An Early Bird

In Depths

Ghost Records, 2019

 

Marta Annesi