Skip to main content

Fontaines D.C. @ Barezzi Festival

È sabato sera, sono all’interno del Teatro Regio di Parma. 
Ho superato colonne ioniche, ho adocchiato Muse, un Apollo, Baccanti e sulla mia testa incombono Aristofane, Euripide, Plauto e Seneca. Attorno velluto e un pubblico abbondantemente over trenta, non ci sono abiti da sera e binocoli da teatro.
Il contrasto è già potente, da un palco laterale pende una bandiera irlandese.
Sul palco un telone con la grafica dell’ultimo album dei Fontaines D.C., A Hero’s Death. Caso vuole sia rappresentata una statua raffigurante un eroe del ciclo dell’Ulster.
Il gruppo nasce nel grembo del British and Irish Modern Music Institute di Dublino, appena quattro anni fa. Pubblicano due raccolte di poesie, la prima, Vroom, è dedicata ai poeti beat Jack Kerouac e Allen Ginsberg, mentre la seconda, Winding, si ispira alla tradizione irlandese: James Joyce e William Butler Yeats su tutti.
La setlist della serata è ampiamente annunciata. I ragazzi hanno solo due album alle spalle e durante il tour nel Regno Unito hanno eseguito le canzoni seguendo un indice ben preciso, con pochissime eccezioni. E sarà breve, perché non amano chiacchierare, quando sono sul palco.
Questo il contesto. Questo il menù.
Le variabili siamo noi, molti dei quali a digiuno da concerto da diversi mesi (anni?) e la reazione dei cinque davanti a un pubblico seduto, mascherato e comodamente alloggiato tra velluti e stucchi dorati.
Abbiamo il materiale esplosivo, l’innesco e il detonatore. Abbiamo alte aspettative e un bisogno disperato di ritrovare la musica condivisa dal vivo.

 

vezmegazine 350 fontaines dc andrea ripamonti teatro regio Parma 06112021

 

E infatti quello che attendevo, accade poco dopo.
A pochi metri da me, con una prepotenza stupefacente, la musica si riprende la sua parte fisica, carnale. Mi ero dimenticato di quanto fosse importante, di quale fosse l’impatto di un live. Il contesto aiuta, il cantante, Grian Chatten, fa il resto. Durante la prima canzone distrugge l’asta del microfono, ci rimette un dito, ma sembra posseduto dalle Muse del foyer, sembra lui stesso una baccante. Cammina, corre, le dita delle mani a seguire emozioni, parole, quasi che la musica la si possa toccare, mentre dal palco scivola verso il pubblico. Canta, enuncia, elenca, si sbraccia, si sdoppia, si perde. È uno spettacolo di furia e gioventù, è una guida tra le parole che escono a valanga, soprattutto nei pezzi del secondo album.
E mentre lui gioca a fare il pazzo, sbagliando raramente una nota, gli altri sono colonne che reggono una parte monolitica e precisa dello show, perché i Fontaines riescono a passare da pezzi puliti e precisi a veri e propri muri sonori, con testi e sottostesti, ricchi e opulenti, come durante la grassissima doppietta Living in America e Hurricane Laughter, cotta per l’occasione nello strutto e unta di Sangiovese.
Il vaccino mi consente di urlare Sha-Sha-Sha scevro di sensi colpa, e poi mi perdo senza vergogna nelle stanze più oscure dei loro pezzi più intimi , evocatori di fantasmi (Ian Curtis ieri sera era a teatro, sia chiaro) e di immagini quasi cinematografiche.

 

vezmegazine 482 fontaines dc andrea ripamonti teatro regio Parma 06112021
La musica ieri sera si è ripresa i corpi di chi la esegue, si è ripresa lo spazio di un palco. Anche l’asta del microfono, massacrata, maltrattata, spostata e abbandonata da Chatten diventa parte della band. Crea vuoto, crea attesa.
È un flusso di coscienza, sopra e sotto il palco. Ed è meraviglioso.
Così il pubblico scopre la sesta legge di Otis Day, quella che recita “qualunque natica, prima o poi, si stacca dalla sedia e inizia a ballare”, e quindi, vinto l’imbarazzo di farlo in un tempio, la platea rompe gli indugi e abbandona i velluti dei sedili. Alcuni raggiungono la più preziosa e artistica transenna della loro vita e l’unione tra gruppo e pubblico si completa. Aggiungiamo un paio di giri di pelle d’oca e direi che abbiamo saziato pancia e cuore. Il diaframma già era in festa nel risentire quel sano riverbero musicale.
È stato un ritorno alla grotta di Platone. Un ritorno allo spettacolo, alla proiezione della realtà, che di realtà ne abbiamo già presa sui denti un po’ troppa, da un paio di anni a questa parte. Solo tornando sotto un palco ho potuto sentire il reale peso di quella assenza. Attendere così tanto per tornare a rivivere un concerto lo ha però anche riempito di nuovi significati, lo ha reso ancora più speciale.
Cari Fontaines D.C., sarete la mia “seconda volta”, perché il primo vero concerto dopo una pandemia, credo, non lo si scorderà mai. Quindi, consiglio per gli acquisti: a marzo i ragazzi torneranno in quel di Milano. È quasi d’obbligo esserci. 

 

Andrea Riscossa

 

Setlist
A Hero’s Death
A Lucid Dream
Sha Sha Sha
Chequeless Reckless
You Said
I Don’t Belong
The Lotts
Living in America
Hurricane Laughter
Too Real
Big
Televised Mind
Boys in the Better Land

Roy’s Tune
Liberty Belle

 

 

Grazie per le foto ad Andrea Ripamonti e Rockon.

Springtime “Springtime” (Joyful Noise Recordings, 2021)

Vi siete mai sentiti inadatti, insufficienti, inadeguati, non-abbastanza-capaci-per, quasi inermi?

Avete mai provato quella sensazione di sconforto misto ad ammirazione che si tramuta poi in stupore e meraviglia tanto da farvi dimenticare lo sconforto iniziale?

Ad esempio io ricordo con molta nitidezza di aver avuto un’esperienza simile ad un concerto dei Sonic Youth, a Bolzano, in un’ex acciaieria (com’era quella questione del luogo che determina la musica ecc…); al tempo ancora suonavo (tentavo miseramente diciamo, e senza alcuna velleità per altro) e ricordo che quella sera ero in prima fila, proprio in transenna, e dopo meno di un giro di lancette di Lee Ranaldo che, con una bacchetta della batteria infilata tra le corde della chitarra, mi stava facendo sentire suoni, rumori, note, qualcosa che comunque non avevo mai sentito prima, mi girai verso un amico dicendo qualcosa del tipo “ma cosa suoniamo a fare se c’è chi lo fa così”. Poi questo passa, il concerto prosegue, accadono cose, si susseguono brani, e finisci per sentirti la persona più fortunata al mondo ad aver assistito a un tale evento e dimentichi lo scoramento di un paio d’ore prima.

Ecco, tutto sto preambolo per dire cosa? Che ascoltando Springtime, il nuovo primo fresco di stampa disco degli Springtime, ho avuto un’esperienza similare anche se con uno sviluppo opposto. Da un’iniziale stato di beatitudine durante l’ascolto si è fatto avanti un sentimento di inadeguatezza pensando al momento in cui mi sarei trovato di fronte ad un foglio per scriverne.

Allora mi son detto che la scelta migliore in queste occasioni è quella di rendere un servizio, una sorta di raccomandazione, un consiglio vivamente sentito: se vi fidate del sottoscritto e dei suoi gusti e del suo parere, fatevi un regalo enorme ed ascoltate allo sfinimento quello che potrebbe, a circa cinquanta giorni dalla fine di questo 2021, quindi candidatura molto forte e autorevole, il disco dell’anno.

Gli Springtime sono una band formata da poco, sono un trio, ma in realtà si tratta di una specie di dream team, tipo quando in qualche videogioco sportivo formi la tua squadra coi tuoi giocatori preferiti: quel genio mai abbastanza considerato di Gareth Liddiard dei The Drones, sua maestà Jim White, che mi rifiuto di dover presentare, e Chris Abrahams, pianista di lungo corso coi The Necks (e molto molto molto altro), terzetto avanguardistico sperimentale in qualche modo accostabile al jazz.

Il risultato va dal meraviglioso al clamoroso, e il giudizio si sposta dal primo al secondo termine a seconda di quanti ascolti siate al momento riusciti a dare a questi 46 minuti (io ho abbondantemente superato i dieci per dire, e non tende a stancarmi e a propormi sempre nuovi spunti e nuove chicche), e risulta almeno al sottoscritto davvero difficile trovare un momento che stacchi sul resto, sia in positivo che in negativo; c’è così tanta bellezza in questo Springtime, dall’iniziale Will To Power (che a me ricorda tanto un Nick Cave pre Skeleton Tree che canta coi The Black Heart Procession) alla pazzesca cover live di Will Oldham, all’epoca ancora Palace Music (West Palm Beach), all’improvvisazione di The Island, che da pochi accordi di hammond di Abraham cambia pelle più e più volte, sorprendendo di continuo.

Ci sarebbero così tante altre cose da dire, dai contributi ai testi del poeta Ian Duhig, alla dichiarazione d’amore verso il disco di David Yow, a questa sottotrama da Murder Ballads che si espande un po’ ovunque, che l’unica cosa a cui riesco a pensare al momento è “quanto potrebbe essere indimenticabile sentire The Killing of the Village Idiot dal vivo”?

 

Springtime

Springtime

Joyful Noise Recordings

 

Alberto Adustini

Lorenzo Kruger, “Singolarità” come manifesto artistico

Prodotto da Taketo Gohara e preceduto dai singoli Con me Low-Fi e Il Calabrone, il disco dell’esordio solista di Lorenzo Kruger – ex frontman dei Nobraino – racchiude un itinerario di cambiamento e ricerca, tra live e sperimentazioni sul suono, durato quattro anni. In Singolarità emerge la spiccata identità del cantautore romagnolo, raffinato nel tracciare una propria linea stilistica, pur non rinunciando alla spiccata ironia. Emozione e coinvolgimento, lo stesso messo in campo per la realizzazione della cover, attraverso la campagna Spazi Miei. È stata indirizzata ai fan la call to action per l’acquisto di una porzione dell’artwork, diventato un collage di foto di appassionati di musica ed una “missione” solidale: il ricavato dell’intera operazione è stato donato alla scuola di teatro Casa di gesso di Cesena, che ha potuto così erogare nove borse di studio destinate ai bambini dell’associazione. Su questa scia, abbiamo chiesto a Lorenzo un po’ di “spazio” per scoprire ed approfondire temi e visioni riguardo il nuovo lavoro in studio. E non solo.  

 

Ciao Lorenzo e benvenuto su VEZ Magazine! Per questa intervista volevamo utilizzare – ampliandolo con qualche curiosità in più – il format collaudato delle “Tre Domande a…”. In questo caso volevamo approfondire il concetto di Singolarità, titolo del tuo nuovo album, pubblicato il 10 settembre. Quanto c’è di singolarità intesa come inedito percorso solista?

“Beh, involontariamente parecchio. Il brano che dà il titolo al disco doveva chiamarsi in un altro modo (Stereotipazione dell’amore). Ed il disco doveva chiamarsi in un altro modo anche quando il brano si chiamava Singolarità (il disco doveva chiamarsi Spazi Miei, come conseguenza della campagna). Poi alla fine la parola singolarità si è presa sempre più spazio, è cresciuta: da dettaglio in un ritornello è diventata il simbolo di questo disco. Credo che, inconsciamente, il mio percorso solitario di questi anni ed il passo solista che mi accingo a fare stavano cercando una definizione e l’hanno trovata in questa parola.”

 

Quanto c’è di singolarità come sostantivo che indica la particolarità, la stravaganza e l’unicità?

“Stranamente poco anche se l’aggettivo singolare per indicare qualcosa di particolare mi è sempre piaciuto tanto. Benché abbia sempre giocato con la mia originalità ed eccentricità non è il primo significato che mi viene in mente quando penso a quella parola.”

 

E come singolarità di brani, c’è una canzone a cui sei particolarmente legato?

Copernico è l’unico brano del disco che suonavo regolarmente in tutti i miei concerti negli anni precedenti a questa uscita, è stato con me in questo percorso di solitudine fin da subito.”

 

20210731 lorenzokruger sanmauropascoli isabellamonti 10

 

Chi ti ha seguito nel corso del tour della scorsa estate ha ascoltato alcuni brani non contenuti nella tracklist. Hai detto di avere tantissimo materiale. A che cosa è ispirata la scelta delle canzoni ufficiali?

“Con il produttore abbiamo cercato un insieme di brani che avessero una tensione simile, una vocazione classica. Quelli scartati sono generalmente più pop o più ironici o in qualche modo meno raffinati. Volevamo fare un disco che fosse il più possibile monotonale ed elegante. In altri contesti capirò se e quando usare le tracce che mi sono rimaste.”

 

A proposito di live, essendo quello dei concerti e della relativa capienza delle location uno dei temi oggi più dibattuti, che cosa immagini possa avvenire in Italia? E che cosa auspichi?

“Credo di essere preoccupantemente ottimista e che il tempo riporti sempre le cose al suo posto. Probabilmente questo posto subirà degli aggiornamenti e spero si adatti in positivo alle future esigenze. Nello specifico spero che si riattivino con più vigore i circuiti dei concerti più piccoli che prima della pandemia erano un po’ agonizzanti; è un peccato perché quei circuiti sono preziosi per la salute della musica e dello spettacolo in genere. Gli eventi a piccole capienze hanno dimostrato di essere i più sostenibili durante questa emergenza e speriamo che quando tutto tornerà alla normalità non ci si dimentichi di loro.”

 

Laura Faccenda

Foto di copertina: Luca Ortolani
Foto nel testo: Isabella Monti

Tre Domande a: 99paranoie

Come e quando è nato questo progetto?

Amnistia è nato a fine 2019, poco prima della pandemia, e l’ho chiuso a Maggio 2020. È una raccolta di brani che descrive il periodo antecendete: avevo lasciato l’università, chiuso My Name is Rose (il mio primo EP), avevo cominciato a lavorare e nel frattempo ero uscito da due relazioni.
È stato un periodo per me di profondo cambiamento. Questo cambiamento si sente sia confrontando Amnistia con My Name is Rose, ma ancor di più confrontando gli stessi brani di Amnistia. Il progetto spazia da brani RandB , a brani old-school, al soul acido e distorto più moderno. Ero ancora alla ricerca della mia identità. 

 

Come ti immagini il tuo primo concerto live post-pandemia?

Grazie a Dio non lo devo immaginare. Dopo la pandemia sono riuscito a suonare parecchio per gli standard a cui ero abituato. Sono riuscito a suonare all’Edonè di Bergamo, al Dumbo, al Covo di Bologna, al Bitter di Asola. È stato splendido, mi sono divertito un sacco e ho imparato tanto, ho vinto qualche insicurezza, ho suonato e conosciuto parecchie persone. Ma soprattutto ho imparato ad amare il palco. L’ultima data al Bitter in particolare, nella mia zona, mi ha veramente acceso e spronato a fare di meglio. Quando giochi in casa la barriera artista/pubblico non esiste, la gente non è li solo a vederti. La gente è li con te. Sono due cose molto diverse.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Ora punto tanto. Attualmente sono in una fase di creazione del materiale per social, ovviamente legato a progetti futuri. Oggi come oggi sono la base di partenza, soprattutto per chi è nella mia stessa situazione. Per chi parte da zero sono imprescindibili. È importante però capire che contenuto portare e come connetterlo alla propria musica, perché troppo spesso si cade nel tentare di cavalcare l’onda. Non ha senso però cavalcare l’onda se non è la nostra. I social devono diventare un’estensione della nostra musica, e della nostra figura; sono risorse, e vanno sfruttate, in maniera consona all’artista.

Carmen Consoli @ Teatro Lyrick

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Carmen Consoli •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]

Volevo fare la Rockstar – Tour Teatrale 2021

Teatro Lyrick (Assisi) // 29 Ottobre 2021

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20938″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20929″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20937″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20930″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20932″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20926″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”20933″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20927″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685686606{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”20928″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”20934″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”20931″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20936″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1560685645808{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_single_image image=”20935″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Tre Domande a: Kaufman

Come state vivendo questi tempi così difficili per il mondo della musica?

In questi tempi è complicato fare musica e lo sappiamo. La cosa peggiore è probabilmente l’incertezza e il senso di precarietà che impedisce di ragionare su progetti con un orizzonte temporale più ampio: dischi, uscite, programmazione live. Però, forse proprio da questo nasce l’idea di Parkour, un doppio a qualche tempo di distanza uno dall’altro. Una visione di insieme che questa precarietà la raccontasse davvero, fatta di collaborazioni, coscritture, lavori insieme a diversi produttori, ma anche, nei testi, di racconti di rapporti messi a dura prova, sentimenti vissuti al doppio della velocità oppure con estrema lentezza.

 

Se doveste riassumere la vostra musica in tre parole, quali scegliereste e perché?

Pioggia, cuore e amore? Per parafrasare una vecchia canzone. Probabilmente potremmo dire che facciamo un pop malinconico, orecchiabile ed emotivo. Però autodefinirsi lo trovo sempre un po’ presuntuoso, in fondo le ragioni di chi scrive sono spesso molto diverse dalle ragioni di chi ascolta. Ed è molto bello che sia così, tra l’altro. Però “pioggia, cuore e amore” mi piace molto in realtà.

 

Cosa vorreste far arrivare a chi vi ascolta?

Vorremmo fare arrivare delle immagini, a prescindere dal soggetto, che ovviamente varia da canzone a canzone. Delle polaroid, delle fotografie che riescano a fissare nel tempo un momento emotivo. La poesia c’è già in ogni angolo delle nostre vite, basta catturarla quando la si scorge. Un po’ come fare un quadro impressionista, prestando più attenzione alla scena e meno al dettaglio.

Tre Domande a: Lamo

Come e quando è nato questo progetto? 

I brani per come sono oggi ho iniziato a scriverli nel settembre del 2019, anche se già da anni mi esercitavo nella scrittura, alla ricerca del mio modo espressivo. Dopo un’infanzia a nutrirmi voracemente dei dischi che c’erano in casa (Beatles, Dalla, Battiato e tanti altri) crescendo ho sentito il forte richiamo alla scrittura, quasi un’esigenza viscerale, che però all’inizio si manifestava in maniera disordinata e scomposta, con molta autocritica e anche un po’ di vergogna. L’esperienza da musicista per altri artisti che amo, mi ha formata e mi ha aiutata a mettere insieme le parti di me che andavo cercando. Raffaele “Rabbo” Scogna è stata una figura fondamentale per riordinare e mettere a fuoco le idee, grazie al suo talento di polistrumentista e alla sua sensibilità umana e Federico Carillo una guida importantissima per portarle a termine, grazie al suo gusto e alla sua curiosità. 

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi? 

Più che “ispirarci” a degli artisti, per me ascoltare musica che mi gasa è un vero e proprio motore di adrenalina, che alimenta il desiderio di creare. Quando ascolto musica, ciò che mi soddisfa e mi da gioia è sentire un’autenticità che si manifesta. Dei progetti contemporanei amo la spontaneità dei ComaCose, la visceralità e l’umiltà di Blanco, l’umanità è la profondità di Brunori sas, la poeticità di Lucio Corsi, la classe di Ditonellapiaga, la delicatezza di Tricarico. Dall’estero in questi ultimi due anni sono stata folgorata dallo stile e il sound di Noga Erez, l’originalità di Rosalía. Poi ci sono mille altri artisti che adoro, dai più classici e storici ai più sperimentali e psichedelici ma sarebbe impossibile elencarli tutti. 

 

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Il punto di arrivo per me è appunto essere in grado di esprimere me stessa senza fronzoli, far arrivare la mia autenticità che possa piacere o meno, ma che sia qualcosa che mi appartenga davvero. Mi rendo conto che è un percorso di ricerca continua, ma vedo che man mano continuo a scrivere, man mano si aggiunge un tassello, quindi spero che il mio primo disco che uscirà nel 2022 per Sound to be, possa essere un quadro ben rappresentativo del mio modo di osservare il mondo. In una società che tende ad omologarci, credo che l’atto più rivoluzionario sia riuscire ad esprimere tutti le nostre diverse sensibilità per arricchirci a vicenda.

Infest 2022: arriva l’Armageddon!

Hellfire Booking presenta:

Infest 2022
https://www.facebook.com/infestitaly/
https://www.instagram.com/hellfire_booking

A due anni dall’ultima edizione del festival alternativo organizzato da Hellfire Booking Agency ed Erocks Production, una nuova scossa sta per devastare il nord Italia.
Due giorni di veri e propri assalti sonori, moshpit adrenalinici e cori sovrumani ribollono sotto la superficie: l’Infest 2022 sarà più incandescente di un’eruzione vulcanica!
Ecco quindi le line up delle due giornate più bollenti dell’estate 2022, che raderanno completamente al suolo i palchi del Circolo Magnolia i prossimi 21 e 22 giugno.

 

Day one:

The Ghost Inside
http://www.theghostinside.com/

Direttamente dai palchi di festival impressionanti quali Download, Riot Fest e Full Force, i The Ghost Inside torreggiano da anni come titani sulla scena internazionale grazie a un metalcore melodico stravolgente, che ha garantito loro nientemeno che sold out da 10,000 posti in meno di cinque minuti, oltre che innumerevoli comparse su testate rinomate e podcast esclusivi.

While She Sleeps
https://whileshesleeps.com/

Vincitori di premi frastornanti che li vedono come addirittura la miglior band del Regno Unito, i While She Sleeps si contraddistinguono da più di un decennio per una branca di metalcore mordace quanto fatale. Con una label indipendente, una vera e propria «Sleeps Society» e oltre 100,000,000 stream su Spotify solo per la loro Top Ten, non c’è limite che i While She Sleeps non possano demolire.

 

Beartooth
https://beartoothband.com/

Incendio inarrestabile che brucerà in eterno, i Beartooth obliterano radicalmente ogni ostacolo sul loro percorso con un metalcore crudo e graffiato dal punk, espugnando il primo posto delle classifiche più bollenti di tutto il mondo e distinguendosi nientemeno che fra i 15 migliori screamer dell’era moderna.

 

August Burns Red
https://augustburnsred.com/

Dalla colonna sonora di «NCIS: Los Angeles» a ben due nomine ai Grammy, gli August Burns Red si distinguono in tutto. Con all’attivo collaborazioni mozzafiato con Periphery, A Day To Remember e Fit For A King fra i tanti, gli August Burns Red hanno sormontato ogni valico con un metalcore agguerrito da elementi death e progressive metal.

 

Of Mice & Men
https://www.ofmiceandmenofficial.com/

Uno degli esponenti più essenziali della scena metalcore degli ultimi dieci anni, gli Of Mice & Men hanno introdotto una generazione intera al mondo alternativo, guadagnandosi ben oltre 200,000,000 visualizzazioni su Youtube grazie al loro sound serrato e viscerale, valso loro addirittura il premio «Miglior gruppo emergente internazionale».

 

Silverstein
https://www.silversteinmusic.com/

Da un gruppo il cui ultimo album è stato mixato da un colosso quale Mike Kalajian (A Day To Remember, The Devil Wears Prada, The Bouncing Souls) non ci si può aspettare che il massimo: un traguardo che i Silverstein decimano da anni con un sound scottante e innovativo. Non per niente sono stati definiti da Kerrang! come il gruppo canadese #1 in grado di mantenere viva la scena.

 

Loathe
https://www.loatheasone.co.uk/

Detentori di un’infinità di premi «Album/band/brano migliore dell’anno», i Loathe trovano sempre un modo per superarsi, brillando addirittura fra le «100 canzoni migliori del secolo». Con un sound che miscela metalcore, nu metal e elementi sperimentali shoegaze e progressive, i Loathe si sono fatti notare da nientemeno che Chino Moreno dei Deftones. Un’impresa a dir poco incredibile.

 

Day two:

A Day To Remember
http://adtr.com/

Quando si hanno tanti premi e riconoscimenti quanto gli A Day To Remember, tenere il conto è impossibile. Dritte dalla Ocala, Florida, di cui hanno ricevuto addirittura le chiavi, le stelle polari multi-platino della scena alternativa hanno non solo accecato i palchi delle manifestazioni musicali più importanti di tutto il mondo ma dato alla luce un festival tutto loro, il brillante «Self Help Fest».

 

Black Veil Brides
http://blackveilbrides.net/

Dal set del thriller «Paradise City» alla cima delle classifiche più importanti del globo ci vuole solo un secondo per una band come i Black Veil Brides. Infinite menzioni come «Gruppo/album/brano migliore dell’anno», lodi da testate quali Revolver Magazine, Kerrang!  e Loudwire, i Black Veil Brides e la loro miscela di metalcore, glam metal, emo e rock sono un esempio impressionante di devozione alla propria arte.

 

Grandson
https://www.grandsonmusic.com/

Oltre 6,000,000 ascoltatori in tutto il mondo e 1,000,000,000 stream solo su Spotify, Grandson fa capolino addirittura due volte nella colonna sonora di «Suicide Squad», al primo posto della classifica canadese con l’ultimo album «Death of an Optimist» e nella playlist di Tom Morello (Rage Against the Machine), il quale l’ha celebrato con un remix di «Blood//Water» e ha chiesto lui di scrivere un brano assieme. Un onore senza paragoni.

 

Creeper
https://creepercult.com/

Ricevere premi come «Miglior band/album/copertina dell’anno» è incredibile per chiunque, ma pane quotidiano per i Creeper. Direttamente dagli stage più importanti del Regno Unito, i Creeper sintetizzano un incontro fra horror punk, gothic rock e emo tanto magnetico quanto sorprendente, valso loro paragoni a nientemeno che My Chemical Romance, Alkaline Trio e AFI.

 

Being as an Ocean
https://beingasanocean.com/

Da un metal estremo a un post-hardcore ricco di sperimentazioni, i Being as an Ocean non si sono mai adagiati sugli allori, coniando un progetto tanto catartico quanto dilaniante che ha cambiato il corso del metalcore intero e le cui lodi vengono tessute a più riprese addirittura da da Loudwire, Rock Sound e Rock Sins.

 

Wargasm
https://www.wargasm.online/

Da supporto di Yungblud al premio «Miglior breakthrough inglese» il passo non è corto, ma per i Wargasm sono altri i limiti invalicabili. Con oltre 2,800,000 stream per il loro brano «Spit.», i Wargasm si sono guadagnati l’investimento economico ufficiale di PPL UK, attirando perfino l’attenzione di Spotify, che li ha celebrati inserendoli in quattro playlist monumentali.

 

Non finisce qui: un altro nome bollente verrà aggiunto alla seconda giornata, per una line up finale ustionante solo a leggersi.

Sarà un evento come non ne avete mai visti. Preparatevi a sentirvi mancare il terreno sotto ai piedi.

 

C7909F2A 5AAB 421D 983D 260076901F90
21 GIUGNO 2022
| INFEST | DAY 1 | MAGNOLIA ESTATE, MILANO
Evento FB:
https://www.facebook.com/events/5037557392942474

22 GIUGNO 2022 | INFEST | DAY 2 | MAGNOLIA ESTATE, MILANO
Evento FB:
 https://www.facebook.com/events/438583310947944

Le prevendite per l’Infest 2022 andranno in vendita esclusivamente su Dice.fm al link https://link.dice.fm/infest2022 a partire dal 25 ottobre alle 11:00, sia per un’unica giornata che come abbonamento scottante. Non fatevele scappare.

Grafica realizzata da Claudio Madkime Chimenti, https://madkime.com/ 

Per informazioni:

www.instagram.com/hellfire_booking
www.hellfirebooking.com
info@hellfirebooking.com

Tre Domande a: Boccanegra

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?

Gli argomenti che affronto nelle mie canzoni dipendono dal periodo e dallo stato d’animo associato ad esso. Non mi è mai successo da quando ho iniziato a scrivere di pensare: “Ah, come vorrei che un potenziale ascoltatore o ascoltatrice provi questo mentre ascolta questa parte del pezzo!”. Le canzoni, così come le poesie e le opere d’arte visive, sono spesso frutto di un tentativo non ragionato di cogliere un qualcosa di inatteso e temporaneo che ci passa davanti agli occhi: nel mio caso in particolare, quello che faccio è semplicemente cercare di riportare in maniera fedele sulla carta, sulla chitarra o su Ableton la mia visione di quel particolare momento, che essa sia densa di sentimento o si tratti di una semplice descrizione. Certo, la fantasia va allenata e può capitare che una creazione richieda del ragionamento per arrivare a maturità (in fase di produzione in studio per esempio); ma senza un margine di libertà e irrazionalità iniziale è difficile che un’idea originale prenda forma.
C’è poi un altro punto che è sempre importante ricordare, cioè che la musica si fa sempre in due, autore e ascoltatore. Ascoltando il testo di una canzone cerchiamo spesso di forzare sentimenti o pensieri al suo interno, è una maniera per sentirci compresi. Non è da escludere però che magari l’autore in testa aveva un’idea completamente diversa! Quando ero pischello e scrivevo per il gruppo (i Boccanegra) avevo il mito del brit-rock e i testi, per come li avevo io nella mia testa di adolescente, mi facevano sentire il più cool dei bad boys di Sheffield che faceva pogare tutto alle feste del liceo: se oggi risento Zucchero Candito e i vecchi pezzi, invece, ritrovo aspetti sensibili che al tempo non ero in grado di cogliere perché pensavo che altre cose saltassero di più all’orecchio.
Tuttavia, se volete, un elemento accomuna tutto quello che ho prodotto finora: il tentativo di parlare direttamente all’ascoltatore e di fare in modo che la mia musica sia per lui o per lei un amica fedele capace di mostrare una verità liberatoria e ordinata.

 

C’è un artista in particolare con cui ti piacerebbe collaborare?

Durante il lockdown sono diventato un grande seguace di Tutti Fenomeni. Ha delle super trovate dal punto di vista lirico e contenutistico: in un panorama di sonorità synth già logore dopo pochi anni di musica indie e di testi copincollati sulla depressione della vita post universitaria, ho trovato i suoi pezzi una boccata di aria fresca. L’ambiente musicale di provenienza è completamente diverso dal mio, ma lo sento molto vicino per una serie di cose: dalla critica diretta priva di retorica ad alcuni aspetti della contemporaneità alla capacità di dipingere in poche parole situazioni ed atmosfere. Entrambi concordiamo sul fatto che “mediocri governano la nostra estetica”: Giorgio reagisce con un flusso di coscienza fatto di battute limpide e dritte nei denti, io ci provo con la narrazione e con la trama. Per questi motivi mi ci sono avvicinato: molti sostengono che ci assomigliamo pure, chi lo sa magari è mio fratello.

 

Quanto punti sui social per far conoscere il tuo lavoro?

Non particolarmente, anche se mi diverte molto. In verità, postare e fare storie sui social è anche un bel passatempo, me ne sono reso conto standoci in maniera più strutturata in corrispondenza dell’uscita del Gorilla. Tuttavia, aderisco più alla “vecchia scuola” per cui un artista forma se stesso e il pubblico principalmente in live. È sul palco, al parco, alle feste e nei contesti sociali in cui si creano le connessioni e si cresce con la propria musica. Il social è una bella vetrina per fomentare l’hype, ricordare chi sei a chi ti ha visto dal vivo e per mostrare a tutti la propria attività: richiede tanto tempo oltre che una certa inclinazione caratteriale perché ci possa essere piena integrazione tra avatar sulla rete e vita reale. Ormai è qualcosa da cui non si può prescindere, per cui è diventata una necessità, a meno di scelte radicali (comprensibili), trovare una posizione non invasiva dei social nel nostro quotidiano. 

 

FORGERY SYSTEM Il nuovo brano “BLADE OF ASHES” è online.

I Forgery System sono un gruppo Groove Metal / Metalcore nato a Pavia nel 2012.
La band è formata dal cantante chitarrista Gabriele Orlando, il bassista cantante Pablo Dara, il chitarrista Daniele Maggi e il batterista Federico Fava.
Dopo aver sperimentato diverse soluzioni stilistiche con il primo album “Distorted Visions”, il gruppo ha modificato il proprio sound con l’EP “Demons Among Us” e il successivo singolo “Lost Embers”, avvicinandosi a sonorità più moderne.

Dopo l’ultima release di “LOST EMBERS” del 2020 I FORGERY SYSTEM chiudono un ciclo per aprirne uno nuovo con nuova musica, una nuova immagine, una nuova energia.
“BLADE OF ASHES” è il frutto di questo anno dove la band si ripropone in modo nuovo mettendo in
mostra il lavoro svolto in un periodo dove uscire live era impossibile.

Una rinascita vera e propria arrivata nel momento in cui le restrizioni vengono allentate e il ritorno alla normalità sembra ormai vicino.

“BLADE OF ASHES” rappresenta il taglio tra ciò che è stato, oramai estinto, e ciò che si vedrà in futuro.
“BLADE OF ASHES” è l’insieme di influenze che hanno formati I FORGERY SYSTEM;
dal chiaro richiamo ai TRIVIUM ad altre influenze che variano dai BULLET FOR MY VALENTINE ai KILLSWITCH ENGAGE.

Un insieme che potrebbe arrivare all’attenzione di un pubblico vario.
In questi 4 minuti di canzone troviamo quello che un pubblico metal vorrebbe sentire; dai breakdown ai riff di chitarra di chiaro stampo heavy, fill di batteria che anticipano I momenti più duri della canzone. Voci che si alternano da un bel grattato, allo scream alla parte clean, fino alla sovrapposizione delle due
voci che rendono ancora più massiccia la parte vocale.
L’assolo di chitarra chiude questo concentrato di influenze, nel modo più heavy possibile.
“BLADE OF ASHES” è una canzone completa, scritta da una band che dimostra di voler crescere e di voler dire la propria nella scena metal emergente.

LINK UTILI:
FORGERY SYSTEM (Fb page)
https://www.facebook.com/ForgerySystemMetal
FORGERY SYSTEM (Ig Page)
https://www.instagram.com/forgerysystemofficial/
“BLADE OF ASHES” (Spotify link)
https://spoti.fi/3pe0aao
“BLADE OF ASHES” (Youtube link)

Tre Domande a: MileSound Bass

Come e quando è nato questo progetto?

Il progetto MileSound Bass è nato timidamente nel 2004 quando con gli amici ci siamo appassionati spasmodicamente al mondo dell’hip hop. In quegli anni i concerti erano nei centri sociali o simili, li frequentavamo praticamente sempre. Poco dopo abbiamo cominciato a produrre beat e a scrivere rime.
Col passare degli anni mi sono avvicinato alla drum and bass che mi ha anche travolto quando sono stato un paio di mesi a Londra nel 2009. Era letteralmente ovunque.
Ho cominciato a produrla e con il mio socio SoulSwitch On e per qualche anno abbiamo cominciato a fare dei live mischiando la dnb con il rap e in seguito unendo anche la dubstep. Il nostro nome era UFO prjct.
Nello stesso periodo suonavamo anche con Charly e Gome Zeta (Gomez) mischiando diverse sonorità, elettroniche e rap, chiamandoci Fahrenheit 451 crew. Portavamo dei libri da regalare, anziché da bruciare.
Ho sempre fatto tutto da autodidatta ma nel 2011, approfittando della pausa forzata tra la laurea triennale e l’attesa per l’inizio dei corsi per la laurea magistrale, ho frequentato per qualche mese un corso sulla produzione della musica elettronica in SAE Milano. Pian piano ho fatto uscire un primo disco che racchiudeva elettronica, drum and bass, dubstep e rap. In quel periodo ero matto per questa musica e Milano suonavano dnb spessissimo.
L’anno dopo, nel 2012, è seguito Gates To The Unknown EP, principalmente dubstep unita all’IDM e glitch avevo nel frattempo cominciato ad ascoltare massicciamente. Da questo momento ogni mia produzione futura è stata caratterizzata da questo mondo. È stato amore a primo ascolto.
L’anno successivo ho pubblicato un disco ancora legato alla drum and bass e per l’ultima volta dubstep ma – appunto – totalmente in chiave IDM/glitch: ALL BORN MAD, some remain so. Ho suonato il disco in giro per l’Italia ma purtroppo dopo un live a Genova mi sono stati rubati tutti gli strumenti e hardisk con molte tracce inedite. Per qualche anno non ho più potuto suonare in giro.
Ho colto la forzatissima situazione per finire gli studi della laurea magistrale in psicologia che, nel frattempo, si erano rallentati parecchio. Ho cominciato a lavorare e pian piano anche e a comprare svariati synth e drum machine che ancora oggi popolano il mio studio. Ho cominciato ad abbandonare la produzione al computer per usare solo synth e drum machine. Attualmente uso il computer solo per editare ciò che registro dagli strumenti esterni.
Negli anni di pausa (2013-2016) ho pubblicato 3 EP con il nome Post Mortem ATTO I/II/III che racchiudevano alcune tracce salvate dal furto. I primi due erano jungle anni ’90, il terzo era prettamente IDM/glitch, non in 4/4.
Ho provato a continuare a far uscire almeno una pubblicazione – che sia almeno un singolo o un EP – all’anno ma non è stato facile dopo il 2016 quando ho cominciato a lavorare costantemente nel mondo della scuola, prima come educatore, poi come insegnante. Ruolo che ricopro tutt’ora e che mi permette anche di sperimentare la musica con gli allievi.
Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato tantissimo e ho prodotto molte tracce per i live. Durante questi due anni di quarantena ho colto l’occasione per concludere un album cominciato poco prima del furto degli strumenti e mai pubblicato. Everything’s Normal è un lavoro durato 10 anni. Da un parte ho dovuto ricreare tutto quello che era stato perso, dall’altra ho voluto ricreare ogni suono utilizzando i sintetizzatori e drum machine e infine ho potuto approfondire il tema dei sogni, dei sogni lucidi, i falsi risvegli e le paralisi notturne che sono alla base del disco.

 

Ci sono degli artisti in particolare a cui ti ispiri per i tuoi pezzi?

Ascolto tanta musica diversa e tanti generi diversi ma ho alcuni artisti che non possono assolutamente mancare in cuffia. Gli artisti evergreen delle mie cuffie hanno alcune caratteristiche: mi fanno emozionare, hanno un suono specifico che mi ispira, appartengono più o meno agli anni ’90/inizio 2000.
L’elenco non sarà per forza di cose completo ma cerca di essere il più esaustivo possibile. I Telefon Tel Aviv, quando erano ancora un duo, per tutte quelle melodie e chitarre che si uniscono alla perfezione sulle drums glitchate. I Boards of Canada per tutte quelle chitarre e quei tappeti ambientali giostrati magicamente su ritmi downtempo. Aphex Twin per il suo saper mischiare sapientemente tante sonorità, oltre alla pazzia. Gli Autechre per il glitch estremo. Amon Tobin  e DJShadow per il campionamento, sopratutto nei primi dischi. Burial per i ritmi e per la presa male intrinseca. U-ziq e Squarepusher per i ritmi spezzati. Carbon Based Lifeforms per i tappeti infiniti. Gli Stunned Guys e la prima scena italiana per l’arroganza del kick saturato. I Massive Attack e i Portishead per l’ovvio collegamento con il mio primo amore, l’hip hop. La prima house, ma non quella commerciale, per i pianoforti e i campionamenti funk/soul. La dance prevalentemente italiana per quel cassa-basso alternato super ignorante. La jungle spezzatissima dei primi periodi per il ritmo delirante. Ma non solo.

 

Progetti futuri?

Ho diversi progetti sottomano. Negli ultimi anni, ma prima del Covid, ho suonato molto in giro per l’Italia. Per non ripetermi troppo durante i live ho prodotto decine di tracce di svariati sound. Non sono interessato a fare una compilation senza senso delle mie tracce migliori. Voglio ovviamente  raccogliere le migliori – all’interno di EP o dischi – ma che allo stesso tempo abbiamo un forte filo conduttore tra di loro, proprop come le 7 tracce di questo disco appena uscito e che parla dei sogni.
Il tempo nella giornata non è infinito e non è sicuro che potrò portare a termine ogni progetto per fare uscire almeno un EP o un disco di ogni mondo sonoro affrontato ma sicuramente continuerò a portare questi suoni durante i live.
Nel concreto ho un progetto di musica elettronica d’ascolto, proprio come questo disco.
Un altro progetto è più sul versante techno. Da quella più lenta a 100bpm passando da quella più classica a 120bpm e arrivando a quella più spinta da 140bpm in su, a tratti gabber, ma sempre downtempo.
Infine ho un progetto di strumentali rap con campionamenti dagli anni ’70. Questi sono i progetti più sostanziosi con diverse tracce (semi) complete.
Ho altri progetti ma meno ricchi di materiale già esistente. Uno è ambient e uno è jungle.

Frank Carter & The Rattlesnakes “Sticky” (International Death Cult, 2021)

Avevo pensato di creare la prima recensione “librogame” della mia vita. Per esempio, se sai cosa sia un libro game, salta a pagina ventisei, altrimenti continua a leggere l’entusiastica recensione di questo album!
A pagina ventisei avreste invece trovato una sana stroncatura per un album superficiale e dal vago sapore di plastica.
Poi sono passato agli Exercices de Style di Raymond Queneau, novantanove recensioni per lo stesso disco. Poi ho ridimensionato l’ego e le pretese. 

Perché la verità è che questo disco ha avuto un primo assaggio assai travagliato, che è successivamente scivolato in una crisi legata all’età (la mia) e al gusto (il loro), e che infine ha portato a una sintesi quasi insperata, un momento catartico, come quando, in gita scolastica, i professori si ubriacano con gli studenti.
E così, mentre lanciavo invettive contro Frank Carter e i suoi The Rattlesnakes, come un novello anziano, braccia dietro la schiena, davanti a un cantiere pieno di giovini, il disco, diabolico e subdolo, lentamente si mostrava a fuoco.

Sia chiaro, non riesco a non pensare che sia non esattamente originale e che abbia preso a piene mani da generi e discografie affini, anche se oggi si usano verbi come “tributare” e “omaggiare”, mentre in tempi non troppo lontani si sarebbe potuto sintetizzare il tutto in modo più veloce (e brutale).

Mr. Carter però sa che prendere da chi stava dietro, da chi è ai lati, ma anche da chi ti sta davanti (e ivi rimarrà per sempre) può essere una strategia vincente.
E sì, avete appena letto una metafora.

Per rimanere in tema di figure retoriche, l’intero disco è un ossimoro di dimensioni pantagrueliche. È ignorante nei modi, ma profondo in alcuni scorci. È ammiccante nei riff, ma ha una sua personalità. È uno di quegli album che funziona sicuramente meglio uscito dalla sala di registrazione e portato su un palco.

Perché fin da subito, dall’inizio della title track, il tutto appare un po’ sopra le righe. Si ha l’effetto “pentola a pressione”, come se l’urgenza di mostrare le carte, tutte e subito, in qualche modo rovinasse la conoscenza. Ignorante, come dicevo prima, nel senso più genuino e onesto del termine. E sorprendente, perché a leggere i testi si rimane piacevolmente spiazzati. Sembrano domande esistenziali salite come rutti alle tre del mattino dopo il sesto cocktail: tolto il contesto, rimane uno spunto interessante.

E quindi, horribile dictu, in questo disco punk rock, quasi classico in certi pezzi, la differenza la fanno le sfumature. Perché se l’impatto sonoro è potente, ma a tratti scontato, sta nell’intenzione la parte buona dell’album. Risultato? Tutto funziona bene, a tratti benissimo. Sembra addirittura curato nella produzione, a tratti fin patinata.

Accade per esempio che in Rat Race si arrivi al sassofono, mentre Carter si lancia in invettive contro politicanti opportunisti. E i temi non sono banali, passando dal machismo all’alcolismo di Take It To The Brink, alla critica sociale e quasi pirandelliana di My Town, eseguita con la piacevole collaborazione di Joe Talbot degli IDLES.

Il disco si chiude con Original Sin, che sembra gettare lo sguardo ancora più nel passato, grazie a ritmiche meno sincopate e alla sempre carismatica presenza di Bobby Gillespie (The Jesus and Mary Chain, Primal Scream).

Insomma, sufficienza piena. Un po’ perché un paio di pezzi rimangono stampati in testa come il peggior reggaeton, senza però rovinarti la giornata, un po’ perché è un disco divertente, agitato, a volte ben pensato.

 

Frank Carter & The Rattlesnakes

Sticky

International Death Cult

 

Andrea Riscossa

 

Pagina ventisei.
Se negli anni novanta ascoltavi NOFX, Weezer, Bad Religion e sai chi siano Clash e Stoogies, beh, hai per le mani un buon disco di musica che già conosci.