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Arena Puccini (Bologna) // 22 Settembre 2021
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Foto: Isabella Monti
Con già dieci anni di carriera alle spalle, tornano i Fast Animals and Slow Kids con il loro ultimo lavoro, dal titolo È Già Domani. Abbiamo fatto due chiacchiere per parlare del nuovo disco, del tour appena concluso e soprattutto di tempo che scorre.
Ciao ragazzi e grazie per quest’intervista. Avete appena finito il vostro primo tour dell’era post Covid. Come vi sentite, com’è stato?
Aimone: “Noi stiamo bene. È un momento in cui ci sembra che tutto stia tornando ad una sorta di normalità, dato che abbiamo appunto fatto un tour e adesso sta per uscire un nuovo disco, quindi sembra veramente che la vita stia tornando alla normalità, anche se ci rendiamo conto che non è proprio del tutto così. Per quanto riguarda il tour, è andato davvero bene. Abbiamo fatto questo tour in acustico dove ci siamo confrontati con una nuova modalità di musica e, nonostante all’inizio fossimo un po’ spaventati, nel corso del tempo ci abbiamo preso la mano e ci è piaciuto moltissimo. È stato un concerto intimo, di confronto, di chiacchiera… Abbiamo raccontato la storia di questi ultimi dieci anni di musica in giro per l’Italia. È stato davvero emozionante e anche i feedback sono stati positivi. Dopo due anni di ‘stop’ ci ha fatto molto bene, sia all’umore che alla testa.”
Parlando invece del nuovo disco, in È Già Domani fin dal titolotorna un tema per voi piuttosto ricorrente, ovvero il tempo. Come mai questo titolo? E qual è il vostro rapporto col futuro?
Alessio: “Le due risposte sono legate.”
Aimone: “Sì, sono decisamente legate. È Già Domani è un titolo che mette in relazione da una parte il tempo che scorre e dall’altra il fatto che non facciamo altro che farlo scorrere più velocemente. Ci troviamo in una condizione — e questo ci sembra un po’ anche il leitmotiv del disco — in cui presente e futuro si sono estremamente avvicinati, quasi a fondersi. Tutto ciò che facciamo adesso è in proiezione di qualcosa che saremo tra cinque minuti, tra due ore, tra sei anni… E se da una parte questa cosa è bella perché spinge a fare qualcosa di migliorativo, a essere ogni giorno qualcosa di diverso e a crescere, dall’altro lato vivi anche una sorta di pressione perché quello che sei in quell’istante non è altro che qualcosa che dovrai essere dopo. È come se non riuscissimo più a vivere questo presente staccandolo completamente dall’idea di noi stessi tra qualche tempo. Il disco si muove in questo dualismo e lascia tante domande aperte, il che è un’altra sua particolarità. Ci sono domande a cui non diamo risposta, mentre normalmente chiudevamo un pezzo in se stesso, come se fosse un monolite. In questo caso invece i pezzi rimangono ‘eterei’ dal punto di vista delle tematiche. Inoltre, un’altra particolarità di È Già Domani che ci piace molto è che nel titolo mettiamo insieme un po’ di presente, un po’ di passato e un po’ di futuro: ‘è’ il presente, ‘già’ il passato e ‘domani’ il futuro. Ci piaceva filosofeggiare un po’ con questa visione di fondo.”
In questo album compare anche il vostro primo feat, Cosa ci direbbe con Willie Peyote. Com’è nata l’idea di collaborare?
Aimone: “Mentre stavamo scrivendo questa canzone ci siamo resi conto che c’era una parte in cui ci stava una spiegazione più concreta, più specifica. Volevamo che ci fosse una variazione perché ci sembrava quasi incompleta. Questa sensazione prettamente artistica, unita ai due anni di isolamento e distanza, ci ha portato a dire ‘okay, collaboriamo con qualcun altro’. E questo qualcun altro doveva essere una persona che ci capisse bene, un amico a cui avremmo potuto spiegare il testo in onestà, che avrebbe capito il nostro punto di vista e che avesse a sua volta un punto di vista che noi potessimo capire. Qualcuno con cui parlassimo ‘la stessa lingua’, insomma. Abbiamo chiesto a Willie perché lo stimiamo da un punto di vista artistico, quindi sapevamo che potevamo fare qualcosa di figo, e perché è un amico. Possiamo avere una conversazione reale, parlare di qualsiasi cosa e per noi era importante dato che, se ci deve essere il primo feat, deve essere una cosa dove ‘cadi in piedi’. È una prassi che si usa spesso in musica, ma noi non l’avevamo mai fatta. Fatta così, però, è una cosa che rifaremmo volentieri. È andata bene e siamo molto contenti.”
Quando è uscito Animali Notturni aleggiava un po’ la critica che “non foste più gli stessi di Hybris e di Alaska“. Come avete reagito?
Aimone: “Ma è vero! Noi non siamo più gli stessi di Hybris e Alaska, ma non siamo più gli stessi nemmeno di Animali Notturni. Io non sono più lo stesso di ieri! Abbiamo sempre fatto quello che era nelle nostre quattro teste, quindi, se esiste una coerenza, esiste una nostra coerenza interna che consiste nell’essere rappresentativi di noi stessi ogni volta che scriviamo qualcosa. Secondo me è molto più facile per un artista mantenere la stessa cifra stilistica una volta trovata una certa forma, così da non tradire mai nessuno. In realtà per noi non funziona così, perché la musica è troppo importante e soprattutto salva le nostre vite, quindi essere disonesti e fare qualcosa che non è più nelle nostre corde sarebbe peggio di sperimentare e provare a fare cose che invece sentiamo più nostre, sta tutto lì… Poi in generale c’è sempre una possibile critica per ogni disco che esce, ma abbiamo imparato a non ascoltarle nel corso di questi dieci anni. Le uniche che ascoltiamo sono le critiche interne: se uno di noi critica qualcosa di un pezzo vuol dire che non gli piace e se non gli piace è un problema. Già dobbiamo trovare una sintesi tra le nostre teste, ed è complessissimo così. Se in più dovessimo ascoltare anche le teste degli altri diventerebbe un inferno. Poi siamo persone che pensano molto alle cose, ragioniamo mille volte su quello che ci viene detto, quindi abbiamo deciso di concentrarci su un’unica coerenza, che è la nostra: quella di quattro persone che hanno cominciato a fare musica insieme dieci anni fa e sono amiche da una vita.”
In È Già Domani ci sono canzoni molto diverse tra loro, sia per sound che per testi. Metterle insieme è stata una scelta più ragionata o più casuale?
Aimone: “Molto ragionata. È Già Domaniè un disco estremamente ‘cosciente’, nel senso che abbiamo avuto molto tempo per pensare, ripensare e scrivere i testi e questa forse è anche una differenza con i dischi precedenti tranne il primo. Le canzoni che abbiamo selezionato sono partiti da una scrematura magari di 40 pezzi. Con tanto tempo, ci siamo trovati di fronte a questi pezzi e li abbiamo riascoltati mille volte, parlando sia di testi che di arrangiamenti. Anche la scaletta, l’artwork, tutto è estremamente ragionato in modo che questo disco fosse concreto e rappresentativo di noi stessi.”
A novembre sono dieci anni da Cavalli. Se poteste tornare indietro nel tempo e incontrare i FASK di quel periodo, c’è qualcosa che vorreste dir loro?
Aimone: “Direi loro di non lasciare il furgone fuori ad Arezzo quella sera perché è stato un bel trauma. Direi loro di non fare alcune date che abbiamo fatto…”
Alessandro: “Di non leggere le recensioni.”
Aimone: “Sì, di non leggere le recensioni del primo disco per non demoralizzarsi, anche se di fatto poi non ci siamo demoralizzati… Non lo so, io in realtà sono molto felice del percorso dei FASK, di quello che eravamo a 20 anni e di quello che siamo diventati adesso. È un percorso molto lineare, fatto con le persone con cui hai iniziato. Poi c’è sempre qualcosa da migliorare o da recriminare al te stesso più giovane…”
Alessio: “Probabilmente i FASK dell’inizio non sarebbero stati pronti a fare le scelte di adesso. Non potremmo nemmeno consigliare di fare prima un determinato passaggio. è tutto molto giusto e calato nel momento…”
Aimone: “Ah, e poi gli direi bravi per non aver mai cambiato membri della band, per aver sempre premiato questo senso di amicizia e di unità che ci fonda e ci tiene in piedi da tempo. C’è una sorta di scudo che abbiamo nei confronti di tutto questo.”
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Gli Spiritbox, band canadese originaria dell’isola di Vancouver, nella Columbia Britannica, attiva dal 2016, sono pronti a dare al pubblico il loro primo full length, intitolato Eternal Blue. Ormai si sa, nei sottogeneri del Metal più moderno, soprattutto nel MetalCore, è spesso difficile spiccare ed è abbastanza comune che varie band, anche se con background completamente diversi e luoghi di provenienza più vari, possano risultare simili tra loro e che, soprattutto nei ritornelli, ci comunichino qualcosa di “già sentito” rischiando di restare nell’anonimato. Per questo, gli Spiritbox hanno sempre cercato di farsi strada nell’originalità, provando a distinguersi attraverso quello che è diventato il loro punto di forza, ovvero l’alternanza di leggerezza e pesantezza nel sound.
Questa dualità che caratterizza la band canadese è facilmente riconoscibile già nei primi due brani presenti nell’album, Sun Killer e Hurt You. Infatti, se la prima mostra un animo più sinfonico, magari ricordando a tratti anche band come gli Evanescence ma dal carattere più moderno, la seconda resta più ancorata ai canoni del MetalCore, con chitarre e bassi pesanti affiancati ad uno scream aggressivo alternato al ritornello melodico con voce pulita. La terza traccia, Yellowjacket, presenta una grande sorpresa per gli amanti del genere, ovvero un featuring con una delle voci più potenti e importanti nel panorama Core, quella di Sam Carter degli Architects. Un brano carico e incredibile, in cui il contributo dato da un artista come Carter è più che palpabile e dove a fare da padrone è proprio lo scream di quest’ultimo, arricchito dai cori emozionali tipici del MetalCore che ricordano molto band come i Parkway Drive.
La fantastica frontwoman Courtney LaPlante ci delizia per tutta la durata dell’album con la sua voce armoniosa e piacevole, il cui apice si manifesta nella meravigliosa Secret Garden e nel brano di chiusura, Constance, solenne e introspettiva.
Cosa dovrebbe aspettarsi dunque l’ascoltatore da Eternal Blue? Sicuramente un album molto valido, assolutamente non scontato e sentimentale, a tratti commovente. Gli Spiritbox mostrano dunque una combo vincente che sono sicuramente in grado di gestire, dimostrandosi capaci e maturi nonostante questo sia il loro primo full-length. Una band, quindi, che avrà tanto da dire nel panorama MetalCore.
Ce l’avete presente l’espressione latina nomen omen, che tra le diverse accezioni ha pure quella, semplificando, di significare “di nome e di fatto”.
Faccio un esempio, in ambito musicale, un gruppo come gli Obituary non mi aspetto facciano dream pop, o che le Lollipop facciano grind core. Vero che ci sono le eccezioni e i “false friend”, come quella volta che scoprii che morbid in inglese non significava morbido/soffice e che quindi i MorbidAngel non erano una band Christian Pop, però la prima volta che ho cliccato play per ascoltare il nuovo, primo disco dei vicentini Onceweresixty, tutto mi immaginavo tranne quello che in realtà poi avrei sentito.
Aggiungerei che è un nome che potrebbe anche sembrare uno di quei moniker che spesso gli artisti utilizzano, tipo Apparat, o Caribou, ma sta di fatto che questi Onceweresixty, terzetto di Vicenza come si diceva sopra, hanno sfornato una chicca niente male con questo The Flood. Nove tracce per mezz’ora scarsa che si sviluppa in un territorio non ben definito nè tantomeno definibile, e la meraviglia che si prova ogni tanto quando non si riesce in poco tempo a rispondere all’orribile domanda “che genere fanno?”.
Ci sono gli anni ’60 ovviamente, sia quelli dei VelvetUnderground (la chitarra di AllIWant sembra volerne rendere omaggio), sia l’immediatezza melodica dei BeachBoys, filtrata dalle fantasiose e strambe visioni di PandaBear (SixSixSixty), lo spleen di Summer e la tenebrosa DeliveryBoy. The Flood è stato registrato praticamente in presa diretta, senza passare per post produzioni e questo aspetto rende questo lavoro ancora più autentico e vero (si prenda il finale della title track ad esempio, dove l’attitudine lo-fi si palesa con maggior forza) e anzi, aiuta i brani ad emergere nella loro purezza e genuinità. Il finale clamoroso/rumoroso di Antipopsong è la classica ciliegina, tre minuti (che se fossero stati anche di più non mi sarebbe dispiaciuto ma vabbè) che definire catartici è riduttivo e che mi lasciano la certezza di una delle uscite italiane più interessanti che abbia sentito negli ultimi tempi.
È in arrivo l’autunno (finalmente, aggiungerei) e le giornate calde e soleggiate iniziano a lasciare spazio al cielo grigio e piovoso. Ora ditemi, cosa c’è di meglio, con questo meteo, che rilassarsi sul divano, bere un caffè caldo ascoltando musica rilassante? Beh, The Raven Age ci hanno proprio preso in pieno. Quest’ultima loro fatica infatti consiste in una raccolta di brani acustici, tra cui due nuovi pezzi inediti, cinque tracce scelte da Conspiracy, album del 2019, riarrangiate in chiave acustica appunto, e quattro live registrati in Cile, Canada, Regno Unito e Stati Uniti.
Ad introdurre Exile c’è la meravigliosa No Man’s Land, uno dei due pezzi inediti, in cui il vocalist Matt James ci delizia con la sua voce graffiante attraverso una power ballad molto anni ’80, ma allo stesso tempo originale e moderna, dal ritornello catchy ed emozionante. A seguire, troviamo già il secondo inedito, Wait For Me, che sembra essere scritto per calzare perfettamente in un live: ritornello diretto, struggente, chitarre imponenti ma melodiche. Un brano davvero affascinante. Ed ecco che arriviamo alle tracce scelte da Conspiracy, un album parecchio amato dai fan della band londinese. A quanto pare infatti, si tratterebbe di brani fan-favorite, chiaramente in versione acustica. Per la precisione, troviamo Fireflies, As the World Stood Still, A Look Behind the Mask, Dying Embers e Hold High the Fleur De Lis. Si sa, quando una canzone Metal viene riarrangiata in chiave acustica è sempre un’emozione che, certo, spesso può essere negativa, perché c’è sempre quella paura che si rovini qualcosa, ma poi va a finire che quella canzone che ami tanto diventa ancora più emozionante e ti entra ancora di più nel cuore. Questi riarrangiamenti sono davvero benfatti e funzionano, c’è poco da dire. Sicuramente accompagneranno l’autunno e, successivamente, il lungo inverno di molte persone, che non vedranno l’ora di poterle cantare anche dal vivo.
Concludendo, The Raven Age si dimostrano una band ormai capace e matura, che non solo sa creare ballad incantevoli e originali, ma sa anche trasformare brani che ormai sono un must nelle loro scalette live in incredibili chicche acustiche. La band, inoltre, indovina il periodo dell’anno più azzeccato per una release del genere e questo darà sicuramente ad Exile un sapore ancora più intenso.
Che dovessimo guardare oltre i tempi di Hybris e Alaska, i Fast Animals and Slow Kids ce l’avevano detto già con Animali Notturni: “Ma oggi / Ho trent’anni / Vorrei soltanto dire quello che mi va / Lo so, ti parrà strano / Ma in fondo questa è la mia nuova libertà”. E questa nuova libertà se la sono presa tutta anche nel loro ultimo album, dal titolo È Già Domani, eanticipato dai singoli Come un animale, Cosa ci direbbe (in collaborazione con il rapper torinese Willie Peyote) e Senza Deluderti.
Continua quindi la svolta cominciata due anni fa sia nei suoni, non solo più leggeri ma anche più sperimentali, che nei testi. C’è meno rabbia e quello spazio è stato riempito da una vasta gamma di sentimenti diversi, a tratti anche contrastanti: da Stupida Canzone con la necessità di trovare il proprio posto nel mondo a Fratello mio che è un inno all’empatia e alla compassione (quelli che Milan Kundera definiva i “sentimenti più pesanti di tutti”) passando per Senza Deluderti, dove si mischiano le diverse sensazioni che si provano alla fine di una relazione. La profondità dei testi rimane quindi sempre la stessa e si riconferma il marchio di fabbrica della band perugina.
Dodici tracce che sembrano quasi delle fotografie, delle istantanee di tanti momenti e quindi piuttosto diverse tra loro. Sono canzoni che non solo si ascoltano, ma in qualche modo si guardano (passatemi la sinestesia): un esempio su tutti è Lago ad alta quota, che sembra sia stata scritta guardando esattamente le immagini che descrive, come la cena in solitudine, il lago di montagna o la persona che si arrovella davanti a uno specchio.
È dunque un album concreto, dove tutto è visibile – a volte anche le metafore — e di conseguenza risulta piuttosto facile immedesimarsi in questo o quel verso, sia che si parli di calzini spaiati collezionati nel letto che più ampiamente e genericamente di insoddisfazione. Però non manca la poesia, nemmeno quella con la P maiuscola, quella di Pavese o di De André che fa capolino in Senza Deluderti e in Rave.
Non mancano poi i riferimenti al tempo, che è un po’ una costante della loro discografia, soprattutto al fatto di non averne e cercarne sempre di più, in continuazione. Riferimenti che si potevano scorgere fin dal titolo del disco nonché della prima traccia È Già Domani, una canzone quasi acustica che guarda prima un po’ indietro per poi prepararsi a guardare avanti e che crea una sorta di cerchio con la coda dell’album, È già domani ora.
Insomma, l’ultima fatica dei FASK è un disco che ricorda vagamente un quadro impressionista (continuo con le sinestesie), con tante immagini diverse, a volte un po’ fumose e poco nette, che vanno a creare un quadro che bisogna guardare da lontano per capire e incastrare bene i pezzi.
Fuor di metafora, bisogna dargli più tempo di un solo ascolto prima di poter esprimere giudizi. Lasciatelo sedimentare per bene, in qualche modo troverà un’immagine con cui parlarvi.
Prendete una voce alla Florence Welch, dei testi a tratti criptici, a tratti che ricordano una Lorde prima della svolta zen di Solar Power e delle basi dance che sono un tuffo da medaglia d’oro olimpica negli anni 80. Fatto? Si potrebbe pensare ad un calderone di cose poco omogenee che cozzano tra loro e invece, in The Avalanche di Liz Lawrence, questo bizzarro e originale mix funziona.
A primo impatto, però, questo album è anche una sorpresa continua: si parte con Down For Fun, che ha tutta l’aria di essere una lettera alla se stessa adolescente infilata in una busta di musica pop-dance e un’estetica fatta di colori saturi per non cedere alla nostalgia facile.
Canzone dopo canzone, il mood del disco sembra delinearsi su questa via, ma nel momento in cui ti sembra di averlo capito, arriva la canzone che non ti aspetti, quella così diversa da dover rivedere il giudizio. Con Violent Speed e la sua intro di percussioni, per un minuto e 54 si esce di colpo dagli anni 80. I suoni si fanno meno elettronici e l’atmosfera più struggente, ma all’improvviso la canzone finisce, quasi come se fosse tagliata a metà, e si ritorna al sound precedente con Where The Bodies Are Buried.
Allora il viaggio prosegue ancora, tra suoni distorti, saturazione e l’intensa voce di Liz Lawrence a fare da contrappeso. E poi, di nuovo all’improvviso, a sorpresa tra un sintetizzatore e l’altro, arriva Birds e la sua base in cui si sentono i canti degli uccellini a fare compagnia alla voce della cantante.
Ma lo stato di natura dura giusto il tempo di una canzone, perché il finale con The Avalanche riprende il fil rouge della pop-dance dell’inizio del disco. È forse anche la canzone più realmente ballabile di tutto il disco: il degno finale di questo tuffo negli anni 80.
E come per qualsiasi cosa che arrivi da questo decennio, mentre lo si ascolta, qualsiasi cosa si faccia, è impossibile stare fermi.
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Anfiteatro Ernesto De Pascali
Firenze // 11 Settembre 2021
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Prato è Spettacolo
Piazza Duomo (Prato) // 4 Settembre 2021
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“VILLA – TESSUTI CULTURALI” è la nuova e fresca rassegna culturale che si svolge negli spazi aperti del parco Villa Spada a Bologna. All’interno di Villa Spada sorge lo storico Museo del tessuto e della tappezzeria, la sua cornice un parco cittadino ai piedi dei colli bolognesi. “Villa – Tessuti Culturali“, che fa parte del cartellone di “Bologna Estate 2021”, è una rassegna nata da un’idea dello storico Circolo Arci Millennium assieme alla nuova Associazione Arcadia che propongono di costruire e connettere attività intergenerazionali. VILLA vuole accogliere i frequentatori abituali del parco e del quartiere con un punto ristoro ma non solo proponendo per tutto il mese di settembre una programmazione che passa dal cantautorato in acustico, alle sonorità black di Villa Vibes, agli eventi di Jazz in Villa, fino alle presentazioni di Villa Book e tanto altro.
“Intrecciare i fili nel mondo della cultura vuol dire connettere esperienze culturali diverse, in un unico telaio. Un parco aperto tutte le ore del giorno a tutti e tutte, uno degli spazi verdi più belli e frequentati del tessuto urbano cittadino che racchiude al proprio interno una biblioteca, un museo e un anfiteatro. Trame e fili d’erba che connettono e intrecciano la cultura con l’ambiente” questo è l’immaginario che Amedeo Sole, direttore artistico, vuole rappresentare nella rassegna all’interno del Parco di Villa Spada.
Programma:
4 settembre – Villa presenta Marianne Mirage (live acustico)
5 settembre – Jazz in Villa con Giovanni Ghizzani & Elisa Aramonte
6 settembre – Villa Vibes con Dj Lugi 8 settembre – Villa Book presenta “Hip Hop Philosophy” con Kyodo
9 settembre – Jazz in Villa con Guglielmo Pagnozzi
10 settembre – Villa presenta Manitoba (live acustico)
11 settembre – Private Eye
12 settembre – Villa Vibes con Frank Siciliano dj set
13 settembre – Jazz in Villa con The Call con Salvatore Lauriola & Davide Angelica
14 settembre – Villa Presenta Martina Platone
15 settembre – Villa Book presenta “The Notorius Big”, libro di illustrazioni pubblicato da Beccogiallo editore
17 settembre – Villa Vibes con Bassi Maestro vinyl dj set
18 settembre – Villa presenta Khaled Levy sings Chet Baker – Ramiro dei Selton reintrepreta i più famosi brani jazz di Chet Baker
19 settembre – Villa Vibes con Raphael
21 settembre – Villa presenta Junior V (live acustico)
25 settembre – Villa presenta Lil Jolie
— programmazione in aggiornamento —
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Tour Estemporaneo
Piazza Duomo (Prato) // 31 Agosto 2021
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Foto: Aurora Ziani