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Le Ore: un duo tra sacro e profano

Le Ore, duo romano pop composto da Francesco Facchinetti (solo un caso di omonimia) e Matteo Leva, dopo essersi fatti conoscere sul web con alcune cover, hanno raggiunto milioni di ascolti con singoli come La Mia Felpa È Come Me, brano che li ha fatti arrivare nella rosa dei finalisti di Sanremo Giovani 2018. Si sono fatti sentire con Oh Madonna! che è il loro brano con più ascoltatori e salvataggi nelle prime 24 ore. Come tutti i loro brani finora, la traccia è scritta dal duo capitolino, prodotta dal binomio Federico Nardelli/Giordano Colombo (già al lavoro con Gazzelle, Fulminacci e Ligabue) e distribuita Artist First. Il loro piccolo repertorio, ma che punta ad allargarsi, è costellato da un’atmosfera genuina e da una musica che si presenta nuova e rassicurante allo stesso tempo. Le Ore hanno fatto quattro chiacchiere con noi proprio dopo due esperienze importanti come i concerti al Monk di Roma in aperura di Clavdio e all’Apollo di Milano per Spaghetti Unplugged, avvenute lo scorso dicembre, ecco cosa ci hanno raccontato.

 

Presentatevi ai nostri lettori e spiegateci chi sono Le Ore.

Le Ore: “Piacerebbe spiegarlo anche a noi stessi chi sono Le Ore, ma negli anni c’abbiamo rinunciato, “limitandoci” a fare tutto quello che ci facesse esprimere. Quasi subito abbiamo capito che, raccontandoci in maniera schietta sui social, avrebbe potuto non esserci differenza tra Francesco e Matteo e Le Ore, quindi la nostra avventura partita (pubblicamente) dal web con foto e video, si è poi ricongiunta con la musica che offline facevamo già da tempo, anche se non insieme. Da quel momento cover ed eventi, fino ad arrivare a un punto in cui è stata necessaria una disintossicazione da social network, fondamentale per dedicarci completamente alla scrittura della musica nostra. Siamo tornati quasi un anno dopo col nostro primo singolo La Tenerezza ed è stato uno spettacolo. Solo a quel punto chi ci seguiva ha capito davvero chi fossero Le Ore.”

 

Le Ore era anche una famosa rivista pornografica italiana che ha fatto diventare famosi personaggi come Cicciolina e Moana Pozzi. Quanto è casuale la scelta del nome e quanto questo immaginario può avere influenzato la vostra musica?

Le Ore: “Sarebbe bello dire che il nostro fosse un tentativo di aprirci una strada nel mondo del porno, ma in realtà quando abbiamo pensato a Le Ore non sapevamo proprio dell’esistenza della rivista. Ovviamente quando abbiamo comunicato il nome ai nostri genitori, i sorrisetti maliziosi si sono sprecati, allora abbiamo capito che dovevamo tenerlo, e che anche gli over 40 se lo sarebbero ricordato facilmente. L’immaginario relativo alla pornografia probabilmente influenza chiunque, anche chi nella vita non scrive canzoni o non ha a che fare con la creatività, a maggior ragione influenzerà chi racconta sensazioni, esperienze e con una pausa, un respiro o con la voce rotta interpreta il verso di un brano.”

 

Il vostro ultimo pezzo si chiama Oh Madonna!, che può essere considerato sia un’imprecazione che una preghiera, mentre il pezzo prima era dedicato a Radio Maria. Che rapporto avete con la religione, con il sacro e soprattutto con la Madonna?

Matteo: “Sono figlio di un pastore evangelico e da sempre Dio fa parte della mia vita, quando riesco ancora oggi suono la batteria in chiesa la domenica e vivo la religiosità molto serenamente, tanto che quando Francesco mi ha portato il testo di Radio Maria ho appoggiato da subito le provocazioni che c’erano dentro, perché parlano della vita di tutti noi, senza nascondersi dietro a ipocrisie o bigottismi.”

Francesco: “A me non piace bestemmiare nonostante non sia cresciuto in una famiglia particolarmente credente, sono però cresciuto rispettando gli altri che, anche se può sembrare scontato, non lo è, anche nelle migliori famiglie “credenti”. Proprio per questo motivo non avrei mai scritto un brano (o due in questo caso) contro la chiesa, ma non avrei fatto neanche una sviolinata. Radio Maria parla di una notte di merda in cui, tra l’altro, in macchina parte Radio Maria. Non è altro, quindi, che un semplice giudizio sulla stazione radio in sé che parte nei momenti meno opportuni, di conseguenza la frase “se sento un altro prete che canta da domani cambio mestiere”. Oh Madonna! invece è una delle esclamazioni più usate, l’accezione dipende dal contesto, ma in entrambi i casi è soft, quindi no problem: “Oh Madonna! Quanto sono felice quando sei felice. Oh Madonna! Quanto sono triste quando sei felice senza di me…”.”

 

Il vostro sound e la vostra scrittura potrebbero tranquillamente essere associati al cosiddetto it-pop ma si sentono anche molte influenze del cantautorato dello scorso secolo. Poi siete prodotti dal duo Federico Nardelli/Giordano Colombo, che hanno già lavorato con artisti come Gazzelle, Fulminacci e persino Ligabue. Quanto vi sentite vicini a questa corrente musicale e quali sono le vostre principali influenze?

Matteo: “Se cominciassimo a parlare delle nostre influenze musicali servirebbe una rubrica a parte, quindi ci limiteremo a citare i background che ci rendono diversi ma (forse) complementari. Francesco è la persona musicalmente più acculturata che abbia mai conosciuto, il suo genere preferito fin da piccolo è la musica black, quindi dal blues all’RnB più moderno, ma l’ho conosciuto già ferratissimo su tutta la musica pop internazionale e italiana del secolo scorso, oltre alla musica alternative, quella sperimentale, generi e sottogeneri che faticherei ad elencare. Io invece ho ascoltato veramente tanto rap, italiano e oltreoceano da piccolo, passando per il punk, pop punk, pop rock crescendo, costruendo inevitabilmente un mio bagaglio più “da band”, che unito allo stile più solista e cantautorale di Francesco ha dato vita a un bagaglio unico più ricco. Per quando riguarda la scena it-pop, se fatta con onestà intellettuale e libertà creativa, è una scena che lascia molto spazio alla musica ispirata da correnti e influenze tra le più disparate, perciò ci fa piacere essere accostati ad artisti che stimiamo, poi ci sono anche quelli che ci sembrano un po’ meno onesti e un po’ troppo atteggiati, ma non è questa la sede per parlarne.”

 

Siete un duo romano e non lo nascondete. Quale è il vostro rapporto con la città eterna e con la sua tradizione musicale?

Francesco: “Io sono di Viterbo, ma mi sento parte di questa scena romana anche perché Le Ore sono nate a Roma e sono diventate quelle che sono, a livello umano e creativo, nelle notti insonni in giro per la capitale, che senza dubbio è la città più bella al mondo. Proprio per l’amore che proviamo per Roma, frequentiamo sempre di più Milano, per lavoro, per le opportunità che offre e soprattutto per la qualità della vita là. Roma la amiamo al punto da non poterla vedere così, al punto da volerla vivere come i nostalgici che tornano e la abbracciano dopo due settimane passate fuori, perché gestita male, pensata male, perché inchiodata e stanca, stancata dagli stessi romani che troppo spesso non si rendono conto delle responsabilità che hanno, per non parlare poi dell’amministrazione.”

 

Nelle vostre canzoni sentiamo synth, autotune, assoli di chitarra e break elettronici, con un cantato e una scrittura di testi che ruba da vari generi, come fosse un ponte fra diverse epoche e diversi modi di concepire la musica. Vi sentite un progetto senza tempo?

Le Ore: “Una domanda bellissima che ricorderemo per sempre, seriamente. Sarà che ci chiamiamo Le Ore, che si sa possono passare (e oggettivamente passano sempre), ma possono anche restare in testa, su una pellicola o su un hard disk. Nonostante ci sia un’evoluzione nel sound dai nostri primissimi singoli, effettivamente gli elementi digitali non schiacciano mai del tutto quelli analogici e viceversa, così come le frasi più retoriche o d’impatto non sono mai da sole, ma affiancate da discorsi più quotidiani scritti (e pronunciati) come faremmo ogni giorno nel parlato. Più che una domanda, a cui oggettivamente è impossibile per noi rispondere, prenderemo questa questione come un complimento e siamo felici così.”

 

Proprio recentemente avete iniziato con i live in delle cornici molto speciale per questa scena musicale, cioè il Monk di Roma il 13 Dicembre e l’Apollo di Milano il 15. Come sono andati questi concerti?

Le Ore: “È stato bello e sembra scontato dirlo, ma non lo è, soprattutto per chi ha sempre fatto tutto da sé: da rimediare gli eventi in cui suonare live con le cover a fare le grafiche o i montaggi dei video per i social, quindi poter (per la prima volta) non inserire nemmeno un brano di altri in scaletta è stato per noi una soddisfazione. Roma è casa ed è stato bello vedere facce nuove che ci hanno conosciuti su Spotify e sapevano le canzoni a memoria, idem a Milano, dove siamo stati felici di portare la nostra musica all’Apollo, club in cui negli ultimi mesi abbiamo visto (e conosciuto) alcuni dei nostri artisti preferiti.”

 

Con il vostro precedente singolo La Mia Felpa È Come Me vi ha fatto arrivare fra i finalisti di Sanremo Giovani 2018. Cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Francesco: “Adesso sono passati tre singoli da La Mia Felpa È Come Me, dopo aver fatto Sanremo Giovani sono passati nove mesi prima di tornare con Ci Metti Il Resto e non è stato un caso. Quello che raccontiamo in quel pezzo ha tanto a che fare con l’esperienza sanremese, con il mondo intorno che ti forma, ti sforma, ti arricchisce o ti deruba, ma per rendercene conto dovevamo necessariamente far spegnere un po’ i riflettori (una cosa che periodicamente ritorna nel nostro percorso) e capire chi fossimo noi, più che come persone come artisti. Quando sei a Sanremo l’emozione è tanto grande, soprattutto per chi come me è cresciuto attaccato alla tv sbavando per Pippo Baudo [ride], sentirsi presentare in diretta su Rai1 proprio da lui è una cosa che porterò dentro finché morte non mi separi da questo mondo. La band della Rai, gli amici, i colleghi, mai visti come avversari, ma come compagni di una gita privilegiata e inaspettata che ci ha dato e lasciato tanto. Dico sempre che in quei dieci giorni siamo cresciuti di due anni, ed è vero: la prima volta in tv, la prima volta con gli ear monitor, la prima volta di fronte a tanti addetti ai lavori con cui, tra l’altro, siamo in contatto ancora adesso. Questo è uno di quegli aspetti che, se non sei abbastanza in grado di gestire te stesso, ti si può anche rivoltare contro, perché in tanti sembrano avere la ricetta per il tuo successo in quella situazione, ma, se ci pensi un attimo, il vero successo è continuare a mettere un piede davanti all’altro come hai fatto fino a quel momento. Perciò abbiamo preso tutto il bello di Sanremo e ne siamo fieri, l’esperienza, la musica, chi la ascolta, chi la fa, chi ci aiuta a farla meglio, il resto l’abbiamo lasciato là, perché non ci interessava e non ci interesserà mai, vedi la competizione o le varie logiche per voler apparire più di faccia che di musica.”

 

Quali sono i vostri progetti futuri? Cosa avete pronto nel cassetto?

Le Ore: “Tanta musica, ne scriviamo di nuova ogni giorno, sperimentiamo coi suoni e con i testi, ci spingiamo laddove riusciamo a sorprendere noi stessi, con il pensiero a quella musica sui palchi di tutt’Italia. Vorremmo solo questo, ma non per il 2020 ma per il 2000 e sempre.”

 

Per concludere, consigliateci un libro, un disco ed un film per conoscervi meglio.

Le Ore: “Se la domanda numero quattro avrebbe avuto bisogno di una rubrica a parte, questa avrebbe bisogno di un blog tutto suo. Siamo malati di cinema, evidentemente anche di musica e sappiamo apprezzare i buoni libri, anche se per mancanza di tempo spesso si accumulano sul comodino. Saremo brevi e concisi con i primi che ci passano per la mente: libro Il Cardellino di Donna Tartt, disco Modern Vampires of The City dei Vampire Weekend, film Parasite di Bong Joon-ho.”

 

Gianni Giovannelli

Editors @ Alcatraz

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• Editors •

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Alcatraz (Milano) // 11 Febbraio 2020

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Foto: Elisa Hassert

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Junodef

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SETLIST EDITORS :

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Grazie a DNA Concerti

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THE KILLERS: la band in tour quest’estate in Italia il 12 luglio al Milano Summer Festival!

IN USCITA QUEST’ANNO L’ATTESISSIMO
NUOVO ALBUM “IMPLODING THE MIRAGE

DOPO IL CLAMOROSO SHOW DA HEADLINER A GLASTONBURY 2019

UN TOUR ESTIVO CHE TOCCHERÀ I PIÙ GRANDI STADI IN UK
E ARRIVERÀ IN ITALIA PER UN’UNICA DATA AL MILANO

THE KILLERS 

DOMENICA 12 LUGLIO 2020
MILANO SUMMER FESTIVAL

Ippodromo SNAI San Siro

Biglietti in prevendita esclusiva per gli iscritti My Live Nation
dalle ore 10:00 di giovedì 13 febbraio 2020

Biglietti disponibili su ticketmaster.it, ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati dalle ore 10:00 di venerdì 14 febbraio 2020

L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali.

Dopo uno show spettacolare sul palco di I-Days 2018 all’Area Expo – Experience Milano, i The Killers tornano a Milano domenica 12 luglio all’Ippodromo SNAI San Siro Milano nel programma della rassegna Milano Summer Festival.
Originari di Las Vegas, nascono nel 2001 e si ispirano alle sonorità tipiche degli anni Ottanta e della New Wave.
Raggiungono il successo nel 2004 con l’uscita del loro album di esordio, “Hot Fuss”, che ottiene cinque nomination ai Grammy Awards e vende più di 5 milioni di copie. Il 2005 li vede protagonisti su palchi prestigiosi come quello del Festival di Glastonbury e il Live 8 londinese, oltre a essere stati scelti dagli U2 come gruppo di supporto per aprire gran parte del loro tour europeo.
“Sam’s Town” è il secondo progetto discografico pubblicato nell’ottobre 2006 e anticipato dal singolo “When You Were Young”. Le vendite superano i 3,5 milioni di copie e nel 2007 la band guadagna un BRIT Awards come miglior album rock e due nomination ai Grammy Awards.
L’anno successivo esce il nuovo album “Day & Age” che riceve una nomina come Best Album ai BRIT Awards e due candidature ai NME Awards del 2009 dove i Killers vincono come Best International Band. Nello stesso anno viene poi pubblicato il dvd “Live from the Royal Albert Hall” che contiene la registrazione dei concerti del 5 e 6 luglio nella prestigiosissima Royal Albert Hall di Londra.
Il quarto album in studio è “Battle Born” che, uscito nel 2012, sancisce un ritorno alle tonalità rock degli esordi e fa guadagnare ai The Killers il quarto premio NME come migliore band internazionale.
A solo un anno di distanza viene pubblicato “Direct Hits”, un best of della rock band statunitense che include i singoli di maggior successo come “Mr. Brightside”, “Somebody Told me” e “Human”. Al suo interno sono contenute tre bonus track tra cui un remix di Calvin Harris di “When You Were Young”.
Il nuovo album arriva a distanza di cinque anni e si intitola “Wonderful Wonderful” e per la prima volta nella storia della band raggiunge la prima posizione nella Billboard 200, oltre a far guadagnare ai Killers la quarta nomination ai Brit Awards come miglior gruppo internazionale.
Nel 2019 si esibiscono come headliner al Festival di Glastonbury con una performance che Rolling Stone definisce leggendaria e che vede la partecipazione di Pet Shop Boys e Johnny Marr.
Con oltre 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo, i The Killers sono diventati la prima band internazionale ad avere cinque album che hanno debuttato alla prima posizione delle classifiche musicali inglesi.
L’uscita del nuovo album “Imploding The Mirage” è prevista in primavera, accompagnata da un tour europeo che partirà dalla Scozia il prossimo 28 maggio 2020 e farà tappa a Milano il 12 luglio 2020.

Info:
www.livenation.it

Media Partner dell’evento:
Virgin Radio
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Rolling Stone Italia
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Enter Shikari Annunciano Il Nuovo Album “Nothing Is True & Everything Is Possible”; Il Nuovo Singolo “{ The Dreamers Hotel }” Fuori Ora!

 

ANNUNCIANO IL NUOVO ALBUM
“NOTHING IS TRUE & EVERYTHING IS POSSIBLE”
INSIEME AL NUOVO SINGOLO “{THE DREAMERS HOTEL}”

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L’attesa è finita! La rinomata rock band inglese Enter Shikari ha annunciato l’uscita del nuovo album “Nothing Is True & Everything Is Possible” prevista per il 17 aprile via So Recordings. In contemporanea, la band ha pubblicato il primo singolo estratto { The Dreamers Hotel }” disponibile ora su tutte le piattaforme.

L’album, prodotto dal visionario frontman Rou Reynolds, conferma ancora una volta l’unicità degli Enter Shikari  attivi ormai da 13 anni – e rappresenta la colonna sonora di un nuovo decennio, con una intensa analisi sociale. “Nothing Is True & Everything Is Possible” guida l’ascoltatore dal pop più puro, passando per la rabbia del punk-rock fino ad arrivare ad una magistrale composizione orchestrale. I brani “Waltzing Off The Face Of The Earth” (I. Crescendo) e (II. Plangevole) descrivono la follia della vita moderna: “you can’t trust your own eyes, and you only hear lies, our future’s been denied and there’s nowhere to hide now that nothing is true and everything is possible”.

L’ispirazione della composizione dell’album risale alla realizzazione del loro libro “Dear Future Historians” che racconta la storia della band dal punto di vista creativo. Reynolds commenta: “Ripercorrendo tutto ciò che abbiamo realizzato negli anni, ci ha dato una miglior prospettiva futura e una maggiore confidenza in ciò che facciamo. Di cosa siamo capaci? Cosa è possibile? Queste domande fanno ormai parte del nostro DNA in quanto band. Ora però riflettiamo una società dove le possibilità stesse sono passate da un concetto puramente ottimistico a qualcosa di spaventoso”.

Rou Reynolds non è solo un artista innovativo ma anche un produttore, compositore, autore e attivista che ha passato la gran parte degli anni passati come portavoce delle diverse associazioni per la salute mentale, in particolar modo dopo i problemi che l’artista stesso ha riscontrato con l’uscita del loro acclamato album “The Spark” nel 2017.

L’ultimo decennio ha visto gli Enter Shikari crescere di anno in anno, una carriera piuttosto unica che li ha portati per ben 4 volte nella top 10 di album, milioni di stream, incredibili tour mondiali (recentemente in Russia e due in America) insieme a diversi premi come ad esempio “Best British Band” da Rocksound e “Miglior Album” da Kerrang!.

Assieme al frontman Rou Reynolds troviamo Rob Rolfe (batteria), Chris Batten (basso) e Rory Clewlow (chitarra).

Pre-Order “Nothing Is True & Everything Is Possible”

 

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“Nothing Is True & Everything Is Possible” tracklist:

1.The Great Unknown
2.Crossing The Rubicon
3. { The Dreamers Hotel }
4. Waltzing off the Face of the Earth (I. Crescendo)
5. modern living…
6. apocoholics anonymous (main theme in B minor)
7. the pressure’s on
8. Reprise 3
9. T.I.N.A
10.Elegy For Extinction
11. Marionettes (I. The Discovery of Strings)
12. Marionettes (II. The Ascent)
13. satellites
14. the king
15. Waltzing off the Face of the Earth (II. Piangevole)

 

CHROMATICS In Concert With DESIRE: un’unica data italiana per presentare il nuovo disco CLOSER TO GREY e l’ultimo singolo TOY!

Un’unica data italiana

per presentare il nuovo disco
CLOSER TO GREY e l’ultimo singolo TOY

03.06 – Magazzini Generali, MILANO

 

Prevendite solo su DICE da venerdì 14 alle 10: 
link.dice.fm/v6gSSrOMS3

Ascolta “TOY”: youtu.be/3EN8Xw48v8A

RADAR Concerti presenta i CHROMATICS. La band statunitense, accompagnata dai compagni di etichetta DESIRE, torna in Italia per un’unica data: appuntamento il 3 giugno ai Magazzini Generali di Milano. Un appuntamento imperdibile per scoprire dal vivo l’ultimo disco CLOSER TO GREY e il recente singolo TOY, usciti per l’iconica label americana Italians Do It Better.

TOY ha seguito la pubblicazione a sorpresa dell’ultimo disco Closer To Grey (2019), che ha interrotto in maniera improvvisa un silenzio discografico durato oltre sette anni. Se nel 2012 Kill For Love, inserito nella top ten albums of 2012 di Pitchfork e definito album dell’anno per Gorilla Vs. Bear, aveva consacrato ulteriormente il gruppo con rinnovate sonorità tra synth pop e italo disco, il successivo Closer To Grey è sfociato in una nuova gemma musicale, impreziosita dalle cover diThe Sound of Silence di Simon & Garfunkel On the Wall di The Jesus and Mary Chain.

“Chromatics’ surprise return is as thrilling as we’ve come to expect” (The Line of Best Fit)

Nel corso degli anni i Chromatics hanno poi messo la loro firma in indimenticabili colonne sonore, come quelle di DriverMr Robot, 13 Reasons Why, Taken 2 ma soprattutto in quella che ha visto il ritorno della serie culto Twin Peaks.

Il 3 giugnoChromatics e i Desire, due tra i tanti e riuscitissimi progetti discografici di Johnny Jewel, trascineranno i Magazzini Generali di Milano in una serata imperdibile, che vedrà il pubblico perdersi tra atmosfere notturne e nebbie eteree.

Prevendite solo su DICE da venerdì 14 alle 10link.dice.fm/v6gSSrOMS3

ABOUT DICE
La nostra missione è far uscire di più le persone. L’app di DICE permette di scoprire eventi e acquistare biglietti nel modo più semplice possibile. Da Kanye West ad Adele passando per artisti più emergenti, se è su DICE, vale il tuo tempo. Puoi regalare il biglietto ad un amico o usare la nostra Lista d’attesa per i live andati sold out. Siamo mobile-first per fermare il bagarinaggio e il prezzo che paghi è quello che vedi. 
www.dice.fm

SUM 41 • DUE APPUNTAMENTI IN ITALIA AD AGOSTO!

14 AGOSTO 2020 | FESTIVAL DI MAJANO (UDINE)
15 AGOSTO 2020 | BAYFEST | BELLARIA (RIMINI)

 

HUB Music Factory è lieta di annunciare il ritorno in Italia dei SUM 41 – due date previste durante l’estate 2020: il 14 Agosto a Majano e il 15 Agosto al Bay Fest di Bellaria (Rimini). Torneranno in Italia con la tranche outdoor del loro “No personal space tour”, una lunghissima tournée in tutto il mondo iniziato qualche mese fa per promuovere il loro ultimo LP “Order in decline”.

I SUM 41 sono uno dei gruppi più famosi e apprezzati della scena pop-rock-punkinternazionale, sulle scene da oltre 20 anni, hanno venduto oltre 15 milioni di dischi e riscosso un successo planetario fondato sulla loro indiscussa capacità di suonare dal vivo, skill testimoniate dalle centinaia di date e da sold out incredibili come quello dell’imminente tour australiano con i biglietti polverizzati in prevendita in meno di tre ore.

Ma il vero segreto della band capitanata da Deryck Whibley è tutto nella formula musicale – creata ad arte e limata a cavallo dei ’90/00 – quando hanno fatto scontrare i mondi pop-punk e nu-metal sotto gli occhi del pubblico; in quel periodo i Sum 41hanno colpito un perfetto punto sonoro creando un’atmosfera unica e stimolante nel loro debutto, per certi versi rivoluzionario per la scena punk-alternative, “All Killer, No Filler”. Dopo quel disco sono susseguiti oltre 3 lustri di opere musicali di livello e ovviamente centinaia di show, un arco di tempo che naturalmente ha cambiato anche attitudini, stili di vita e visioni del gruppo nativo di Ajax, Ontario, Canada.

“Order in decline” il loro disco uscito a metà del 2019 ne è la più pura testimonianza, un disco per certi versi politico e impegnato socialmente che riflette i drammi e le difficoltà di questo periodo storico; il front-man della band ne è stato testimone diretto guardando dalle stanze di albergo di mezzo mondo tutto quello che accadeva, vivendo il voto della Brexit e seguendo l’ascesa di Donald Trump, assistendo alle elezioni francesi e ai violenti scontri nelle strade di Parigi, una fonte di ispirazione in presa diretta per un disco carico di aggressività e passione.

A Majano e al BayFest suoneranno oltre 25 canzoni, dalle più recenti ai loro cavalli di battaglia, come “Catching Fire”, “Pieces”, “Fat Lip”, Still Waiting” e tante tante altre, compresi bis a sorpresa e cover.

Non resta che aspettare questo agosto e godersi lo show dei Sum 41!

DETTAGLI

::: SUM 41 :::
14 AGOSTO @ MAJANO – UDINE
Prevendite disponibili su Ticketone da martedì 11 febbraio 2020 alle 10.00
Prezzo: €35,00 + ddp

15 AGOSTO @ BAYFEST (headliner con Bad Religion +  Strung Out, Satanic Surfers, Circle Jerks e molti altri tba)
Prevendite disponibili su Mailticket.it e Vivaticket.it

Thy Art Is Murder @ Circolo Magnolia

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• Thy Art Is Murder •

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Carnifex

Fit For An Autopsy

Rivers

I AM

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Circolo Magnolia (Milano) // 9 Febbraio 2020

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Foto: Annalisa Fasano

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Carnifex

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Fit For An Autopsy

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Rivers

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I AM

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Grazie a Hellfire Booking Agency

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Kaiser Chiefs @ Magazzini Generali

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• Kaiser Chiefs •

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Magazzini Generali (Milano) // 8 Febbraio 2020

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Foto: Elisa Hassert

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Grazie a D’Alessandro & Galli

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Tindersticks @ Philharmonie, Berlino (DE)

Philaharmonie, Berlino (DE) // 04 Febbraio 2020

 

“Non ho mai pensato che nella vita, per procedere, bisognasse necessariamente andare in linea retta”.

La dice Marco Paolini, ne Il Milione. La faccio mia, per oggi, perchè seguire un’unica direzione, un filo (immaginario o meno), per raccontare cosa è stato il live dei Tindersticks alla Philharmonie Berlin, mi risulta davvero difficile. 

Ci sono diversi piani di lettura, diversi aspetti, alcuni più rilevanti di altri, diversi punti di vista, come se tenessi in mano un poliedro irregolare, un diamante, e ruotandolo nella mano ci guardassi attraverso da ogni faccia, ognuna diversa dall’altra.

Arrivo a Berlino il giorno precedente al concerto, in compagnia di una coppia di amici e della mia signora, e siamo tutti e quattro eccezionalmente, per la prima volta, senza prole (rimasta a testare i nonni sulla distanza delle 48 ore. Spoiler: prova brillantemente superata). Trascorriamo la giornata in giro per la città, tra l’East Side Gallery, il Memoriale per gli ebrei, il Museo Ebraico, combattendo contro un vento tagliente che non dà un attimo di tregua. Anzi, verso le 19, mentre a piedi risaliamo Postdamer Straße in direzione Philharmonie, si aggiungono delle fine gocce di pioggia fredda, a rendere il tutto più invernale e complicato.

Ad ogni modo guadagniamo l’ingresso e nemmeno troppo timorosi cominciamo a dare uno sguardo intorno. Il foyer è già piuttosto affollato e praticamente ogni persona sta sorseggiando del vino bianco da un piccolo calice o della classica birra, qualcuno addenta un Brezel. Butto una furtiva occhiata al listino prezzi e penso che tutto sommato l’acqua che ho nella mia bottiglietta non è poi male. 

Poco dopo le 19:30 viene aperta anche la sala concerti e impaziente raggiungo il mio posto. E la meraviglia. Davvero. Nelle settimane scorse avevo letto diversi articoli e spiegazioni circa l’architettura della Philharmonie, nella quale ogni singolo dettaglio, ogni particolare, ogni elemento risulta funzionale alla resa acustica dell’esecuzione. Dal legno degli schienali delle poltrone (kambala), alle 136 piramidi appese al soffitto che hanno lo scopo di assorbire i bassi, agli elementi sopra il palco che prevengono la dissipazione del suono e ad altre nozioni delle quali capisco poco ma che affascinano molto.

La sala si riempie piuttosto rapidamente e poco dopo le 20, abbassatesi le luci, i cinque Tindersticks, tutti vestiti di scuro, sulle note di A Street Walker’s Carol, raggiungono il palco.

I tre superstiti membri originali della band, Staples al centro, Neil Fraser alla chitarra a destra, David Boutler alle tastiere, xilofono (e piattini) a sinistra, Dan McKinna al basso e l’americano Earl Harvin (mio MVP) alla batteria e percussioni.

Prima piccola doverosa digressione: il mio primo contatto con i Tindersticks, inglesi, attivi dal 1991, risale ai primi anni 2000. Non ricordo di preciso l’anno, ma ero nel periodo in cui acquistavo dischi con una certa assiduità ed avevo l’usanza, insieme ad un paio di amici, di comprarne, di tanto in tanto, di artisti sconosciuti, fidandoci esclusivamente della copertina. La mia scelta quel dì, pescando dallo scaffale delle offerte, cadde su Can Our Love.., che ancora oggi rimane uno dei dischi con la copertina più brutta di tutti i tempi (a parer mio s’intende).

Fu amore, immediato e totalizzante. E duraturo, se a distanza di vent’anni sono disposto a farmi 1043 km (secondo Google Maps) per vederli dal vivo. Le atmosfere notturne, No Man In The World, la voce baritonale, nasale, di Stuart A. Staples. E soprattutto le copertine. Dio mio le copertine. Qualche settimana più tardi acquistai anche Curtains il loro terzo disco, l’omonimo debutto e l’omonimo secondo disco (già, il primo e il secondo album dei Tindersticks si intitolano entrambi Tindersticks). Questi quattro dischi (ma anche alcuni successivi) hanno una peculiarità: la bellezza delle loro musica è inversamente proporzionale alla bellezza della loro copertina. O direttamente proporzionale alla bruttezza. Insomma, per capirsi, sono dischi meravigliosi con un artwork alquanto discutibile. Ecco.

Si parte con Before You Close Your Eyes, con Stuart A. Staples, frontman e attore principale, ad ondeggiare dolcemente nel mezzo, prima di avvicinarsi al microfono per deliziare la platea adorante con la sua inconfondibile voce, e quel disperato, dimesso I never cry for our love/I never cry. 

Una delle prime sensazioni che provo, superato l’iniziale momento di sopraffazione emotiva e conseguente azzeramento delle facoltà cognitive, è la qualità dell’esecuzione. Voi direte “eh, grazie, sei solamente in una delle sale da concerto migliori al mondo!”; vero, però c’è dell’altro. C’è di più. E ne ho la riprova quando parte How He Entered, direttamente da The Waiting Room, un recitativo con una metrica non convenzionale, ovvero che fugge dal canonico 4/4. La narrazione di Staples poggia su una trama più scarna della versione su disco, che guadagna in espressività e funge da incontrovertibile banco di prova, senza appello, per la band, che ne esce in maniera sontuosa: di fronte ad un irreale devoto silenzio, su di un palco che non permette la minima sbavatura, che ti permette di riconoscere indistintamente un tocco di piattini (quelli da dita per intenderci) in mezzo a due chitarre, un basso, una batteria e il piano, non puoi fingere, non puoi nemmeno nasconderti, e la grandezza dell’esibizione dei Tindersticks risiede proprio (anche) lì, ovvero nella destrezza del gestire il piano ed il forte, di dilatare gli spazi e serrarli, di elevare il loro “pop notturno” a livelli d’eccellenza e raffinatezza (Willow, la conclusiva For The Beauty, tra le molte).

La scaletta, come logica vorrebbe, verte per quasi la metà sull’ultimo No Treasure But Hope, alla quale si alternano brani che coprono quasi totalmente la discografia della band. E faccio una seconda piccola digressione: delle mie ipotizziamo quindici canzoni preferite dei Tindersticks, se dovessi stilare un elenco, non ne è stata fatta nemmeno una; quindi esatto, niente Tiny Tears, Until The Morning Comes, We Are Dreamers, la già citata No Man In The World, Dying Slowly. Sì, hanno fatto A Night In, e Pinky In The Daylight, però che bello quando un artista non diventa vittima (o succube) del volere popolare, del bambino viziato, e anzi porta il pubblico fuori dalla cosiddetta comfort zone. È lì che la musica aggiunge valore, diventa educativa, diventa arricchente. È lì che si espandono gli orizzonti. 

È lì che voglio stare.

L’ha detto meglio di tutti Edward Morgan Forster: Spoon feeding in the long run teaches nothing but the length of the spoon.

Staples e soci si congedano con una magnifica A Night So Still, ennesimo suggello ad una vera e propria lectio magistralis musicale, misurata ma non pigra, elegante senza essere mai boriosa, alta ma mai altezzosa. Si alzano le luci e mi alzo in piedi assieme a tutto il resto del pubblico per tributare il giusto riconoscimento ad una band a cui devo molto e che stasera mi ha fatto sentire un privilegiato. 

 

Alberto Adustini

Green Day “Father of All Motherfuckers” (Reprise Records, 2020)

2020 Ritorno al futuro

 

L’adolescenza è una situazione transitoria nella vita di tutti, eppure mentre la vivi sembra non finire mai. La ribellione la fa da padrone, verso la famiglia, la scuola, la società. 

Chi ha vissuto gli anni ‘90 come adolescente ricorda quanto eravamo incazzati e rissosi. Non volevamo saperne di adattarci alla società e la musica era il nostro mezzo per comunicare questo disagio.

Grazie alla “new punk explosion”, ossia la corrente di pop punk iniziata proprio durante quegli anni, la rotazione giornaliera di MTV era piena di gruppi capitanati da personaggi strambi, che urlavano inni all’apatia e al disagio verso il mondo. Nelle nostre menti risuonavano i NOFX, Offspring, Pennywise, Rancid, ma la band che più ha caratterizzato la scena pop punk di quegli anni son stati i Green Day.

Nel ‘94 esplose Dookie, terzo album di questo trio di pazzi furiosi, ma fu Basket Case il brano più iconico della band.

Per tutti quelli che son cresciuti al grido di “Sometimes I give myself the creeps, sometimes my mind plays tricks on me” l’uscita del nuovo disco di questo gruppo è un po’ come la telefonata di un ex fidanzato che non senti da anni. 

Father of All Motherfuckers (letteralmente Padre di Tutti gli Stronzi) è la rappresentazione di quello che sono stati i Green Day per noi adolescenti problematici che son cresciuti con quel tipo di rabbia che non svanisce con l’età adulta, ma rimane dentro e si ripercuote nella vita di tutti i giorni.

La paura maggiore (per gli amanti del genere e della band) era trovarsi davanti un Billie Joe Armstrong cresciuto e cambiato. Ma ci sorprendono sempre ‘sti pazzi, e questo nuovo lavoro musicalmente non è molto lontano dalle loro sonorità e contiene testi significativi.

Il brano di apertura (che prende il nome dal disco) possiede un’alone indie rock, e con la frase “I live inside of us” sintetizzano al meglio quasi trent’anni di carriera.

Le schitarrate indie rock proseguono nei brani seguenti Fire, Ready, Aim, Oh Yeah (“I am a kid of a bad education” e noi voliamo) e Meet Me On The Roof.

Si ritorna alle radici punk con I Was A Teenage Teenager, l’intro composto dal basso e voce ci fa rivivere l’adolescenza, le crisi di nervi, l’insicurezza e la nostra maleducazione civica.

Stab in you heart è un omaggio al rock’n’roll, con cori, giri di chitarre ed assoli tipici del genere. Sembra di trovarsi nella scena di Ritorno al Futuro dove Marty intona Johnny B. Goode davanti alle espressioni attonite dei presenti.   

La vecchia sensazione di essere dei perdenti che non fotteranno mai la reginetta della scuola continua a perseguitarci anche da adulti, e in Sugar Youth riversano tutto la loro voglia di scatenare l’inferno. 

Junkies On a High oltre ad essere coerente con il loro stile (ci ricorda vagamente Boulevard Of Broken Dreams)  è  il manifesto della concezione di vita per Billie: “My downward spiral / Rock’n’roll tragedy / I think the next one could be me / Heaven’s my rival / I sing in revelry”. Molti perbenisti odieranno questa canzone, dove vi è quasi un invito ad assumere droga, a lasciare che il mondo vada a puttane senza muovere un dito.                                  

I Green Day sono l’emblema della rabbia giovanile e dell’abuso di qualsiasi sostanza, li ritroviamo anni dopo, sempre pronti a farci scatenare con pezzi ritmati. Il disgusto per il mondo non è cambiato, ma ha lasciato il posto ad una strana consapevolezza di quello che è stato, senza rinnegare gli errori commessi e il bisogno di esprimere sentimenti quasi mai positivi.                                                                                                     

Questo album è un ritorno alle origini musicalmente parlando, il riassunto di una vita passata a sbroccare sul palco, a vomitare disagio. Sono stati un supporto alla nostra adolescenza, ci hanno tolto la solitudine e regalato comprensione. Ora che siamo adulti ci stanno comunicando che loro son qui, e non intendono abbassare la testa.

 

Green Day

Father of All Motherfuckers

Reprise Records

 

Marta Annesi

 

Nada Surf “Never Not Together” (City Slang, 2020)

IndieVirus

 

Il vero amante delle serie TV è quello che si affeziona anche alle colonne sonore. E ci sono delle canzoni che ti rimangono dentro tuo malgrado, perché sono legate all’emozione che, empaticamente, ti ha stimolato la scena del telefilm.

Ecco, per me è stato con i Nada Surf in O.C. con If You Leave e in vari episodi di How I Met Your Mother.

Una band che venne inserita nella rotazione di MTV con Popular nel 1996 (brano che rappresentava un’aperta critica verso i giovani, diventata hit estiva) non è mai riuscita a sfondare del tutto, sopratutto dopo che l’etichetta discografica li scaricò per divergenze stilistiche.

Il loro inizio alt-punk-rock simil Sonic Youth si è lentamente avvicinato al pop, tramutandosi nel corso degli anni (e delle mode) in una band indie rock. 

Il loro nuovo lavoro, Never Not Togheter, nono album della band statunitense, esce a distanza di quattro anni dal precedente You Know Who You Are.

Ormai lo spirito dell’indie li ha completamente infettati: alternando saggiamente ritmi rilassati a suoni più accesi, creano un ambient rilassato come in So Much Love, la canzone di apertura dell’album.         

I brani sono caratterizzati dalla presenza di un buon sound, interessanti le chitarre e i rullanti tosti della batteria.                                          

Un ritorno alla parte infantile e ai sentimenti genuini, questo è il frutto di anni di conoscenza, di impegno e sacrificio. La squadra composta da Matthew Caws, Ira Elliot e Daniel Lorça sembra aver trovato la sua vera nicchia.

L’ingenuità con cui inizia Looking For You e l’elettrica alla fine, la dolcezza di Crowded Star e quel riff di chitarra semplice ma ipnotico, sono dei validi motivi per ascoltare questo album.                                                                                            

La voce delicata di Caws, in contrapposizione con chitarra e batteria, crea un mix piacevole e accattivante in Mathilda.                                                                              

Questo loro nono album insegue un’idea di musica abbastanza commercializzabile, un’indie rock sentimentale, delicato, con riferimenti elettropop (come in Come Get Me e Something I Should Do).

Musicalmente preparati, è tangibile il loro feeling, come gruppo e come esseri umani.

Un album piacevole da ascoltare, anche se alcune volte ricade nello scontato. Per noi, nulla di nuovo, ma apprezzabile a livello di musicalità.

Sperando che questa sia la volta buona per questi artisti, che abbiano finalmente trovato il loro equilibrio e la loro vocazione.

Che l’Indie Rock Sia Con Voi.

 

Nada Surf

Never Not Together

City Slang

 

Marta Annesi

 

SO ’90s FESTIVAL || AQUA, EIFFEL 65, VENGABOYS + MORE TBA – Due appuntamenti a MILANO e ROMA a LUGLIO con la musica che ha segnato gli anni ’90

TRE GRUPPI CHE HANNO SEGNATO LA STORIA E LA CULTURA MUSICALE DEGLI ANNI ‘90

 

DUE APPUNTAMENTI A MILANO E ROMA 

PER RISCOPRIRE 

UNO DEI DECENNI SIMBOLO DELLA DANCE MUSIC 

 

SO ‘90s FESTIVAL

AQUA

EIFFEL 65

VENGABOYS

 

GIOVEDÌ 2 LUGLIO 2020

MILANO @ IPPODROMO SNAI SAN SIRO

 

VENERDÌ 3 LUGLIO 2020 

ROMA @ IPPODROMO DELLE CAPANNELLE

 

Biglietti disponibili su ticketone.it da venerdì 7 febbraio 2020 dalle ore 10.00 

e in tutti i punti vendita Ticketone e nelle prevendite autorizzate da mercoledì 12 febbraio 2020 dalle ore 10.00 

L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti 

di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali

 

Vivo Concerti annuncia SO ‘90s FESTIVAL’, uno show dedicato a tutti gli amanti della musica anni Novanta, che avranno occasione di rivivere le atmosfere, i colori e le emozioni che hanno caratterizzato quel magico decennio. Due eventi estivi previsti per giovedì 2 luglio 2020 presso l’Ippodromo SNAI San Siro di Milanovenerdì 3 luglio all’Ippodromo delle Capannelle di Romadove si esibiranno tre delle band più rappresentative del panorama musicale dance internazionale di quel periodo: AQUA, EIFFEL 65 e VENGABOYS.

 

Gli AQUA conquistano l’attenzione del pubblico a partire dal 1997 grazie al loro primo album, dal titolo ‘Aquarium’, e diventano immediatamente un sensazionale fenomeno pop. Il disco contiene i singoli ‘Barbie Girl’ (141 milioni di stream su Spotify e 702,7 milioni di video views su YouTube), ‘Roses are Red’, ‘My Oh My’, ‘Doctor Jones’ e ‘Turn Back Time’, riconosciuti e amati da un’intera generazione che segue il gruppo nei suoi tour planetari, ricchi di stravaganza e carisma.

Nel 2000 esce il loro secondo album, ‘Aquarius’, che contiene le hit ‘Cartoon Heroes’ e ‘Around the World’. Successivamente, decidono di prendersi un periodo di pausa. Ma la magia non può finire così e nel 2009 tornano insieme per pubblicare un ‘Greatest Hits’, progetto che include due inediti: ‘Back to the 80’s’ e ‘My Mamma Said’. Il terzo album in studio, dal titolo ‘Megalomania’, esce nel 2011 e segna la svolta della band convertitasi a nuove sonorità e ad un elettro-pop più moderno. Con oltre 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo, gli AQUA rappresentano una delle più grandi band pop a cui la Danimarca abbia mai dato i natali, affermandosi tra gli artisti più riconosciuti a livello internazionale, grazie alla loro musica.

 

Gli EIFFEL 65, una delle band simbolo della musica dance italiana, si formano negli anni ‘90 dall’incontro di Jeffrey Jey, Maury Lobina e Gabry Ponte. Il loro singolo di debutto, dal titolo ‘Blue Da Ba Dee’(certificato disco di platino) raggiunge immediatamente un successo incredibile e li consacra stelle del panorama italiano ed internazionale della disco music: il brano raggiunge la #1 posizione nelle classifiche dance in diversi paesi tra cui Inghilterra e Stati Uniti e, a questi risultati, seguono concerti in tutto il mondo, insieme alla pubblicazione dei primi due album, ‘Europop’ (1999) e ‘Contact!’ (2001). Da allora, gli Eiffel 65 vendono oltre 15 milioni di dischi, diventando una delle band italiane ad aver venduto più album in tutto il mondo. Nel 2002 pubblicano la loro prima canzone in italiano dal titolo ‘Cosa resterà’, che anticipa l’uscita del terzo album, dall’omonimo titolo Eiffel 65(2003). Il brano è seguito da ‘Quelli che non hanno età’ e ‘Viaggia insieme a me’ .Dopo alcuni anni di pausa, durante i quali i singoli componenti portano avanti progetti solisti, gli Eiffel 65tornano nel 2016 con un nuovo singolo intitolato‘Panico’ e continuano ad esibirsi live in tutto il mondo.

 

In ultimo, i VENGABOYS, gruppo europop olandese composto da Cowboy Donny, Captain Kim, Partygirl D’NiceeSailorboy Robin. La storia della band ha inizio nei primi anni ‘90, durante alcuni dj set: sono state proprio le feste in spiaggia ad Ibiza ad unire i componenti, che negli anni seguenti hanno deciso di creare qualcosa di innovativo e concreto. Il primo successo internazionale è ‘Up & Down’, singolo pubblicato nel marzo del 1997, che raggiungerapidamente le classifiche mondiali, posizionandosi al #1 posto della Billboard Dance Chart. L’album di debutto, intitolato ‘The Party Album!’ e rilasciato un anno dopo, vale alla band una nomination agli MTV Best Breakthrough. Da allora i Vengaboys hanno pubblicato successi entrati nella storia della musica pop-dance mondiale, come ‘We Like To Party!’, ‘Boom Boom Boom Boom’, ‘We’re Going to Ibiza!’, ‘Shalala lala’ e ‘Kiss (When the Sun don’t shine). 

 

Gli appuntamenti di Milano eRoma, rispettivamente giovedì 2 luglio 2020 all’Ippodromo Snai San Siro evenerdì 3 luglio all’Ippodromo delle Capannelle, saranno un’occasione da non perdere per farsi travolgere dalla nostalgia ma anche dalla voglia di ballare!

 

 

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DETTAGLI DATE:

 

GIOVEDÌ 2 LUGLIO 2020 || MILANO @ IPPODROMO SNAI SAN SIRO

Orari:

Apertura Porte – 17:00

Inizio Show – 18:00

 

Prezzi dei biglietti: 

Pit Vip – € 50,00 + € 7,50 diritti di prevendita

Posto unico in piedi – € 35,00 + € 5,25 diritti di prevendita

 

 

VENERDÌ 3 LUGLIO 2020 || ROMA @IPPODROMO DELLE CAPANNELLE

Orari:

Apertura Porte – 17:30

Inizio Show – 18:00

 

Prezzi dei biglietti: 

Pit Vip – € 50,00 + € 7,50 diritti di prevendita

Posto unico in piedi – € 35,00 + € 5,25 diritti di prevendita

 

 

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