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William Patrick Corgan “Cotillions” (Reprise Records, 2019)

There’s something rotten in the (United) States of America

 

Nel 1978 William Trogdon, un professore universitario di origini native americane, perde il lavoro, la moglie e la voglia di vivere. Quale migliore inizio per una storia americana? Cambia nome, diventa William Least Heat-Moon, prende il furgone e inizia un viaggio alla ricerca di se stesso, lungo le blue highways, le strade provinciali americane. E’ un’immersione in una humanitas dimenticata, che salva l’uomo attraverso l’empatia e i chilometri, come se una dinamo fosse collegata a una batteria affamata di storie. Ne nascerà un libro, Blue Highways: A Journey into America, ormai diventato un classico. 

È un’attitudine tutta statunitense quella di partire alla ricerca delle radici, umane e culturali, in momenti di crisi. Un popolo ancorato ad un inspiegabile ottimismo, come se nello spostare continuamente la linea dell’orizzonte si potesse generare futuro.
Cosa può spingere un’icona del rock come William Patrick Corgan a prendere la prima palandrana nera, la sua altrettanto iconica chitarra e partire verso sud?
C’è una mitologia, lontana dalle nostre europee, che ancora vive nelle strade blu. C’è una sottile e quasi invisibile luce che segna le vie dei Canti inseguite da tanti artisti d’oltreoceano.

E questo di Corgan è il quarto album del 2019 che recensisco e che va a sciacquare i panni in Nashville, Tennessee.

Stati Uniti in crisi, sicuramente più morale e identitaria che economica, significa per molti avvertire la necessità di cercare “altro” che non siano i tweet di Trump e il gorgoglio di fondo della pancia del paese che offusca tutto il resto. L’esempio più lampante è il viaggio di Springsteen in Western Stars,  ma ci sono altri artisti che hanno iniziato una ricerca personale sulla musica delle radici, quasi che nella tradizione ci possa essere una chiave di lettura. O più semplicemente il country, il bluegrass, il genere Americana, sono statutari, tanto quanto la costituzione, sono colonne, sono la loro mitologia, utile in tempi di cambiamento poco gradito.

E così abbiamo per le mani un album davvero particolare, perché tutto avrei potuto pensare (soprattutto a metà anni novanta), tranne la possibilità che il frontman degli Smashing Pumpkins si dedicasse ad un’opera in cui violini e steel guitar la fan da padrone. “Un atto d’amore” lo ha definito lui stesso sui social. Di fatto è il prodotto di un viaggio verso Ovest, la frontiera per eccellenza, l’unico punto cardinale che è diventato genere. Thirty Days è il titolo del viaggio/documentario che ha visto la nascita di Cotillions, ultima fatica solista del nostro Billy.

Non è il Nebraska di Springsteen, né una radicalizzazione di una tendenza come può essere stato per altri in precedenza. Mi è parso un genuino gesto di assorbimento della cultura locale durante il viaggio, un utilizzo strumentale di un atteggiamento mentale che dovrebbe essere la quintessenza del viaggiatore. Un Chatwin con la chitarra, vestito di umiltà intellettuale, perché occorre sempre ricordarsi chi è Mr. Corgan. E così, tra esplorazione e filologia musicale, galleggiando tra Steinbeck e Woody Guthrie, il pianoforte che dominò i precedenti lavori solisti cede il passo a chitarra e archi, segnando un clamoroso cambio di genere. I testi rimangono densi, incredibilmente evocativi per immagini, bastano poche pennellate per definire bene i confini e i riferimenti.

E’ un album lungo, diciassette tracce e quasi un’ora di musica, che nelle prime otto canzoni presenta tutto quello che è l’essenza del disco. C’è la morte di To Scatter One’s Own, la crisi in Hard Times, la strada nel deserto della titletrack Cotillions. I generi si alternano, ma raramente sentiremo echi degli Smashing, se non in Fragile, The Spark, classica voce e chitarra, che pare rimasta incastrata tra i due cd di Mellon Collie.

La seconda parte dell’album è meno a fuoco. E credo sia dovuto al fatto che questo “atto d’amore” non abbia subito grandi revisioni e sia di fondo rimasto un atto genuino e viscerale. E forse è giusto così, perché in un lungo viaggio, iniziato per ritrovare un’essenza musicale e umana, dopo un po’ idee e chilometri si confondono. I pensieri si impolverano, scorrono via veloci, si mescolano al paesaggio che scorre a lato strada, si sovrappone al parallasse dell’orizzonte. E allora mi piace, davvero, che quest’album scivoli via nell’ultima parte, e se ne vada, lasciando il silenzio e i pensieri e una frontiera da esplorare, domani.

 

William Patrick Corgan

Cotillions

Reprise Records, 2019

 

Andrea Riscossa

PSICOLOGI @ Covo Club

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• PSICOLOGI •

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Covo Club (Bologna) // 22 Novembre 2019

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Ci volevano due ragazzi affamati di musica come gli PSICOLOGI per trovare una forma espressiva in grado di andare al di là della trap. Il duo, metà romano e metà napoletano, è costituito da Lil Kaneki (Alessio) e Drast (Marco), classe 2001. In meno di un anno hanno già pubblicato due EP speculari, 2001 e 1002, caratterizzati da un sound senza dubbio originale, ben prodotto e dai testi estremamente personali e incisivi. Tutto ciò anche grazie alla collaborazione di producer eccellenti del calibro di Frenetik & Orang3, Zef e Sick Luke, in grado di inserire i due ragazzi all’interno di sonorità a fuoco e coerenti. In pochi mesi la loro musica è nelle orecchie di tutti, fino a comparire come ospiti nell’ultimo album di Mecna, Neverland. Giorno dopo giorno sono stati in grado di confermarsi tra le figure più promettenti della scena musicale italiana. Nei loro brani, infatti, i beat hip hop e la melodia si uniscono alla perfezione, dando spazio a liriche generazionali che fotografano in maniera lucida e diretta la realtà.

Fuori dal Covo Club di Bologna ci sono centinaia di fan pronte ad aspettare il duo e nell’aria c’è profumo di festa.

Il primo a salire sul palco è Danny (strumentista) che dà uno sguardo agli strumenti e li accorda. Marco sale sul palco seguito da Alessio, sono le 22.45 quando i fan cominciano a saltare sulle note di Robin Hood; l’ambiente si scalda mentre il duo sembra essere entrato già in confidenza con il pubblico cantando abbracciati ribellandosi al sistema.

Passano poi a Futuro prima traccia dell’album 2001. La canzone tocca un argomento ancora attuale, il 1968, l’anno per eccellenza della contestazione contro i pregiudizi socio-politici.

I fan sanno tutte le parole, i rapper ringraziano e si complimentano per la città di Bologna, parlandone come una delle più belle d’Italia. Sale sul palco Mr.Monkey (Matteo) che con la sua chitarra acustica accompagna il duo in Festa; finito il brano Matteo torna tra il pubblico lanciandosi sulla folla come una vera rock star.

Ora è il momento di un colore, il rosso, un colore importante che portano anche sul petto, chiedono al pubblico di saltare come non hanno mai fatto e cominciano ad intonare Alessandra, una canzone che ha suscitato grandissima attenzione da parte della società, ed è così che a mani alte riscuotono il loro successo. Alessio chiede al pubblico se va tutto bene, che nessuno si sia fatto male, per la foga di saltare e strillare a squarcia gola la canzone. Il pubblico sorride.

Ora è Marco a parlare introduce il nuovo singolo spacciandolo come il più amato dalle ragazze, ed è qui che le voci fresche delle giovani trovano sfogo. Autostima viene filmata dal palco, poi di nuovo Marco si avvicina al pubblico, ma con un fare diverso, più delicato e romantico; si accovaccia e accompagnato dalla chitarra di Danny canta Guerra e Pace.

Arriva un altro momento per il pubblico, due tra i ragazzi del parterre salgono sul palco e cantano insieme al duo Ancora Sveglio. Sembra un vero e proprio concerto rock, i piedi si staccano da terra di decine di centimetri, la testa si muove a ritmo del beat che coreografa il tutto insieme alle luci, i due fan sono alle stelle, ricorderanno questo momento per sempre.

Danny prende di nuovo la sua chitarra e introduce Stanotte: il pubblico si abbraccia e canta forte ancora una volta. Gli Psicologi si sentono amati, si sentono apprezzati, forse si sentono capiti. Cantano insieme la loro prima canzone Diploma e quasi si fatica a distinguere i due dalla folla che sembra travolgerli con le braccia che si tendono sempre di più verso i propri giovani idoli. Ringraziano i loro fan che li fanno essere dove sono a diciotto anni: “essere qui è bellissimo girare l’Italia e cantare a diciotto anni è stupendo”.

I ragazzi sono tristi, è il momento dei saluti e ci cantano il singolo che rappresenta la loro giovane età, simbolo di forza e coraggio in un’età dove tutto è concesso non lasciandosi spaventare da niente e nessuno, mirando dritto al loro obbiettivo.

Marco e Ale si abbracciano fanno una foto con il pubblico che chiede insistentemente un bis, canteranno Robin Hood ancora una volta con una grinta spontanea che i diciotto anni rendono una facile riuscita.

Sono come pazzi sul palco, la loro forza travolge tutti, anche il pubblico più grande che accompagna i giovani figli, nipoti e amici.

Schiacciano il cinque ai fan e si defilano tra la folla.

Quello di stasera è stato un concerto dove si rimane piacevolmente sorpresi dai temi presenti nelle canzoni degli Psicologi: testi fuori dagli schemi che si distinguono per la loro unicità; testi che toccano argomenti sempre attuali; testi non facili da comunicare vista la loro giovane età.

[/vc_column_text][vc_column_text]Testo: Arianna Boattini

Foto: Luca Ortolani

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Grazie a: Covo Club | Bomba Dischi

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Senna “Sottomarini” (Roma 10, 2019)

Cos’è l’indie?

Questo genere musicale è rappresentato da artisti (emergenti, nella maggior parte dei casi), che sono l’anima della cultura underground, che autoproducono dischi o al massimo sono supportati da etichette discografiche minori che cercano di contrastare il dominio delle major.

In Italia, tendiamo ad appiccicare l’etichetta indie con facilità. Due accordini simpatici, testo di non facile interpretazione che per la maggiore trattano di nostalgia, avvilimento, e amarezza, et voilà! Il cantante/gruppo indie-del-momento è pronto per riempire palazzetti.

In questa mia visione musicalmente razzista verso ciò che la popolazione media indica come indie, molto spesso quando ascolto gruppi che si definiscono appartenenti a questo genere, arrivo al massimo alla seconda canzone, dopodiché il mio cervello e il timpano vanno in necrosi.

Ma ci sono sempre le eccezioni: gruppi a cui basta un nastro, un vecchio 8 piste salvato ad un mercatino dell’usato, una stanza e tanta emotività.

In questo caso è il gruppo Senna, formato da due fratelli (Carlo e Simone Senna) e un amico (Valerio Meloni) nati a Roma, i quali rappresentano il vero concetto di indie.

Prendere il nulla e creare un disco intimo, reale, sentimentale, artigianale.

La loro concezione di musica comunica purezza. Sentimenti liberamente esposti usando le loro doti canore, e la composizione della musica che entra dalle orecchie e arriva dritto al cuore (o fa scoprire di possederne uno).

Sottomarini, il loro disco d’esordio è un viaggio nelle loro vite private, come camminare in casa di sconosciuti e aprire le porte chiuse. “Imperfetto e dolce come l’anima di chi l’ha scritto, come la vita. Racconta la storia, anzi le storie, di un anno difficile” – così il gruppo descrive il loro primo lavoro.

Parlano di perdite, di dolore procurato, e di quello inflitto. E lo fanno con delicatezza, perché sanno di toccare il punto G del cuore.

Aprono questo disco con (Punto e a Capo), intro musicale, che ha il sapore del gelato sciolto sotto l’ombrellone di un’affollatissima spiaggia italiana ad agosto.

Giulia, un tenero brano che ricorda le amicizie che nascono in estate, quelle che profumano di amore non corrisposto, di imminente distacco e ingenuità.

Subito dopo troviamo Agosto, il primo singolo, un brano che sembra parlare di questo mese come un periodo pieno di aspettative, di novità, di divertimento e di amori. Ma a ferragosto (quando è stato scritto), pioveva, quindi il pezzo possiede una malinconia che è poco consona con il titolo.

Il secondo singolo che è uscito è Italifornia, è un inno alla nostra penisola, un omaggio a una terra non perfetta ma piena di bellezza e vita.

L’ultimo singolo pubblicato è Le Cose a Metà: parla di tutte delle cose straordinarie che abbiamo intorno a noi, che trascuriamo per lanciarci nell’inseguimento di altre, irraggiungibili e che magari neanche esistono. 

Fiume, ballata con chitarra, violino e voce dolce e malinconica, conduce in uno stato d’animo di tristezza pura, fa pensare a tutti i tuoi disastri amorosi, e ti ritrovi a piangere per il bambino che ti ha tirato le trecce a sei anni.

Un album che fonde estate e inverno, in un’ambientazione indie che mescola rock e pop.

Questi ragazzi son da tenere sotto occhio, talento e sentimenti, trasmessi in modo eccezionale.

 

Senna

Sottomarini

Roma 10, 2019

 

Marta Annesi

 

Il ritorno di Tota, un cantautore in costante evoluzione

Tommaso Tota, di origini umbre, si è avvicinato alla musica negli anni di studio all’università di Bologna, cominciando a scrivere le sue prime canzoni. Dopo una necessaria gavetta fatta di demo caricate sul web e registrazioni chitarra e voce, ha esordito live in apertura ad artisti come Gazzelle, Carl Brave, Franco 126 e Galeffi. A gennaio 2019 è uscito il suo primo album ufficiale per l’etichetta Grifo Dischi, Senzacera , caratterizzato da sonorità elettroniche ma, allo stesso tempo, in grado di rendere onore alla tradizione cantautorale italiana.

Oggi Tota è torna in grande stile, confermando ancora una volta le sue capacità autorali e alzando l’asticella anche in ambito produttivo con Gli Anni Che Ho è il suo nuovo singolo.

Gli Anni Che Ho segna una netta evoluzione sonora rispetto al passato per l’autore, che si è avvalso di una produzione più a fuoco, capace di mostrare ancora più sfaccettature dell’anima artistica dell’autore. Tota dimostra così di aver intrapreso un percorso di evoluzione e cambiamento, mostrando nuovi lati di sè.

Abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con lui per parlare un po’ di questa nuova avventura e per ripercorrere la sua carriera artistica. Ecco cosa ci ha raccontato. 

 

Ciao Tommaso! Innanzitutto ripercorriamo un po’ il tuo percorso: come ti sei avvicinato alla musica e cosa ti ha spinto poi a diventare un cantautore?

Ciao! Mi sono avvicinato alla musica già nel periodo delle superiori e scrivevo testi su delle basi rap, senza però che mi venisse in mente di pubblicare qualcosa. Sono andato, poi, a vivere a Bologna per studiare all’università e un giorno ho voluto imparare a suonare la chitarra. Me la sono fatta prestare dalla mia ex ragazza e ho cominciato ad esercitarmi sempre di più, finché non mi sono venuti degli spunti di scrittura e di canto. Da qui in poi hanno cominciato a nascere delle mini-canzoncine, con accordi molto semplici, finché la scrittura è entrata a far parte della mia quotidianità.

 

Quali sono stati gli ascolti che ti hanno maggiormente influenzato nel corso della tua carriera?

Non vorrei essere banale dicendo che ascolto un po’ di tutto ma sicuramente spazio tra cose molto diverse tra loro. Il mio cantautore di riferimento senza dubbio è il grandissimo Fabrizio De Andrè. Sono comunque capace di passare dal rap a Enrico Ruggeri, da Adriano Celentano ai Beatles, che ultimamente sono diventati un mio ascolto quotidiano. Quindi ho influenze molto varie ma se devo sceglierne solo uno ti posso dire che De Andrè è sicuramente colui che mi ispira di più quando è il momento di scrivere.

 

Oggi esce Gli anni che ho, il tuo nuovo singolo. Ci racconteresti come è nato e di cosa parla?

Il brano è nato quasi tutto in un pomeriggio di malinconia, non dettata da una delusione amorosa, ma frutto di una riflessione sullo scorrere del tempo e degli anni: infatti, ogni giorno mi accorgevo che le giornate trascorrevano inesorabili e mi sto avvicinando anche io ai 30 anni. Dunque il brano è una considerazione sul tempo che passa e sull’eccessiva importanza che diamo alle cose futili rispetto alle vere difficoltà. Quando abbiamo un problema lì per lì a noi sembra enorme per poi accorgerci che in realtà non lo è poi così tanto.

 

Rispetto al tuo primo album è evidente una netta evoluzione nelle sonorità, che qui si fanno ancora più raffinate e mature. Come ti sei approcciato stavolta alla fase di scrittura e di produzione?

Per quanto riguarda la scrittura, avvenuta chitarra e voce, il mio approccio è stato simile a quanto ho sempre fatto. La vera novità sta nella produzione artistica del pezzo e nel lavoro in studio. Per il mio primo album non avevo alle spalle esperienze di registrazioni professionali e, di conseguenza, sembrava tutto bellissimo ed entusiasmante. Avevo anche poca conoscenza di come sarebbe potuto suonare un brano, affrontando il tutto molto genuinamente, mentre in questo caso mi sono approcciato con molta più consapevolezza. Ciò che ha fatto la differenza è stata la scelta di suonare tutto dal vivo, utilizzando anche strumenti “reali” in grado di dare maggiore calore. Nell’album precedente la batteria era totalmente elettronica e programmata al computer, stavolta è suonata e si sente. Anche le chitarre hanno un feeling completamente diverso, molto più naturale, sono quasi grezze e ho, inoltre, cambiato la tonalità del mio cantato rispetto ai lavori precedenti, cercando di osare un po’ di più. 

 

Mi ha colpito molto anche l’artwork del brano, un disegno davvero originale. Come lo hai scelto? 

L’artwork è stato realizzato da Evelyn Furlan, una ragazza molto brava scoperta da Enea di Grifo Dischi, la mia etichetta. Aveva visto queste illustrazioni un po’ strane e particolari, in cui si vedono persone deformate nelle proporzioni del volto, il che è perfetto per accompagnare il tema del brano, il trascorrere degli anni e i conseguenti minimi cambiamenti che nel tempo emergono sulla nostra pelle. C’è una rappresentazione quasi satirica dell’individuo nei suoi lavori e questo mi ha colpito molto. I disegni di Evelyn sono belli e spiazzanti e accompagneranno anche il resto delle mie prossime pubblicazioni future, stiamo lavorando a illustrazioni dedicate ad ogni singola fase, dalle copertine fino a comprendere la scenografia live.

 

Tota Cover

 

Vorrei fare con te una riflessione generale sul panorama musicale indipendente e cantautorale italiano di oggi per quella che è stata la tua esperienza. Quali sono le tue impressioni e com’è fare il cantautore nel mercato odierno?

Quando si parla della musica indipendente che sta avendo successo nell’ultimo periodo io non mi sento di poter essere inserito totalmente in questa categoria. Ho cominciato a pubblicare le mie prime cose quattro anni fa su YouTube, quando gran parte dell’underground oggi diventato popolare si esprimeva lì rimanendo molto più di nicchia, mi viene in mente il primo Gazzelle, ad esempio. Quindi un po’ di gavetta sento di averla fatta, in un periodo in cui mancavano certe strategie di comunicazione che vengono utilizzate oggi. La scena musicale italiana attuale, a mio parere, è composta in parte da persone che lo fanno solo per il successo, cosa che si capisce subito ascoltando i brani, ma anche, fortunatamente, da tante persone sincere. Quando io mi approccio a un pezzo non parto mai con l’intenzione di farlo “indie”, parola che non mi piace molto, invece spesso certi testi sembrano scritti appositamente per essere inseriti nella categoria e non apprezzo questa mancanza di sincerità. La scena per certi versi si sta saturando, artisti che fino a pochi anni fa non erano conosciuti oggi sono arrivati fino ai palasport e adesso è un po’ il nostro turno di far cambiare idea alle persone che pensano che ormai si scriva solo di amori finiti male. In ogni caso se da questo mondo escono cantautori che si esprimono con la propria arte non posso che esserne felice, mi fa piacere vedere che si tratta di un periodo fertile per la musica indipendente. Io sono il primo a non avere un percorso di studi musicali alle spalle, quindi chi sono io per dire “non fatelo”?

 

Che programmi hai per il futuro? Ci puoi anticipare qualcosa sull’album e sui live?

Sicuramente usciranno altre canzoni molto diverse da come il mio pubblico si è abituato, influenzate tutte dal mood presente nell’ultimo singolo. Per quanto riguarda il live ci saranno degli appuntamenti ma non a breve, bisognerà aspettare ancora un po’. Però le cose nuove ci sono, ce le abbiamo pronte e non vediamo l’ora di farle ascoltare a tutti!

 

Filippo Duò

 

IDAYS 2020: i FOO FIGHTERS sono gli headliner della giornata del 14 giugno!

FOO FIGHTERS
DOMENICA 14 GIUGNO 2020 – MILANO
MIND Milano Innovation District (area expo)

I-DAYS Milano 2020
si conferma una delle edizioni più belle e attese di sempre!
Dopo i System of A Down e Kornil 12 giugno e Billie Eilish il 17 luglio, ora è la volta dei FOO FIGHTERS. La band americana salirà sul palco del MIND Milano Innovation District (area expo) nella giornata di domenica 14 giugno 2020.I biglietti per la data saranno disponibili per l’acquisto in anteprima a partire dalle ore 10.00 di lunedì 25 novembre 2019 per i possessori di carte Intesa Sanpaolo sul sito www.ticketone.it/intesasanpaolo(per 48 ore). La messa in vendita generale partirà invece dalle ore 11.00 di mercoledì 27 novembre su www.livenation.it, www.ticketmaster.it e www.ticketone.it.Fin dal loro esordio nel 1995, i Foo FightersDave Grohl, Taylor Hawkins, Nate Mendel, Chris Shiflett, Pat Smear e Rami Jaffee – hanno consolidato il loro status come l’ultima grande rock band americana in grado di conquistare le arene e gli stadi di tutto il mondo. Durante la loro carriera hanno vinto 12 Grammy Awards e venduto milioni di dischi in tutto il globo. Sono entrati nella storia della musica grazie a brani come “This Is A Call,” “Everlong,” “Monkey Wrench,” “My Hero,” “Learn To Fly,” “All My Life,” “Times Like These,” “Best Of You,” “The Pretender,” “Walk,” “These Days,” e “The Sky Is A Neighborhood”.
Il catalogo monumentale dei Foo Fighters include gli album “The Colour and the Shape”, “There Is Nothing Left To Lose”, “One By One”, “In Your Honor”, “Echoes, Silence, Patience and Grace”, “Wasting Light” e “Sonic Highways”, che da il titolo anche alla docu-serie targata HBO, diretta dallo stesso Dave Grohl e vincitrice di due Emmy Awards. L’ultimo album risale al 2017, “Concrete and Gold”, che include il brano “Run”, premiato ai Grammy Award come ‘miglior canzone rock’.
Dopo aver completato il loro tour iniziato nel 2017 nei principali stadi, arene e festival di tutto il globo, i Foo Fighters si sono dedicati alle registrazioni del loro nuovo disco, il decimo della loro carriera.I-DAYS 2020 si tiene nello stesso spazio che nelle scorse stagioni ha accolto Eminem, Pearl Jam e Imagine Dragons, al MIND Milano Innovation District – Area Expo, una zona verde specifica attrezzata per i grandi concerti, altamente qualificata e dotata di tutti i servizi: treno e metropolitana che la collegano al centro di Milano, parcheggi, servizi igienici residenti, un’ampia zona food & beverage con una vasta e variegata offerta di cibi e bevande, anche vegetariani e vegani. Un ambiente adeguato per accogliere nel miglior modo il pubblico della musica live internazionale.

Virgin Radio è la radio ufficiale.

Intesa Sanpaolo: nel 2020 la banca offrirà ai propri clienti altre sorprese legate a questo festival, nell’ambito del programma Reward.

Scarica l’APP ufficiale di I-DAYS, disponibile per Android e iOS > hyperurl.co/idaysapp per non perderti nessuna sorpresa!

Per tutte le informazioni sui biglietti e i pacchetti visitare: https://idays.it/it/tickets

www.idays.it

Ufficio Stampa Live Nation Italia:
giacomo.vitali@livenation.it

Per ulteriori informazioni sulla data italiana:
LIVE NATION ITALIA
(TEL. 02.53006501; info@livenation.it)
www.livenation.it

 

Sleeping With Sirens @ Alcatraz

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• Sleeping With Sirens •

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+
SHVPES
Holding Absence
Palisades

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Alcatraz (Milano) // 21 Novembre 2019

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Foto: Elisa Hassert

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Palisades

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Holding Absence

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SHVPES

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Ron Gallo @ Circolo Ohibò

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• Ron Gallo •

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+
Chickpee

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Circolo Ohibò (Milano) // 20 Novembre 2019

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Foto: Annalisa Fasano

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Chickpee

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Backstage

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A EMERGO il live multisensoriale di Mr Everett

Mr Everett rappresenta un elemento di assoluta innovazione e diversità nel panorama italiano e non solo. La sua particolarità è quella di essere un progetto ibrido, dall’identità collettiva che sfugge alla tradizionale definizione di “band elettronica”, identificandosi piuttosto come live show performativo. 

Il concept alla base del progetto ruota attorno alla storia del cyborg Rupert e dei suoi compagni Mr Owl, Mr Fox e Mr Bear, Umanimals un po’ animali e un po’ umani. La compiutezza della loro proposta artistica si raggiunge prendendo parte ad un live: dal vivo sono in grado di creare un’esperienza audiovisiva, sensoriale e immersiva a 360°. L’interazione fisica di Rupert e il pubblico è uno dei momenti più forti e coinvolgenti delle performance. L’impianto scenico del progetto stravolge lo spazio del palco trasformandolo in una vera e propria dimensione parallela, tra il dancefloor del club e lo spettacolo audiovisivo completo di proiezioni, fumo e luci.

Il loro primo lavoro è l’EP Uman, del 2017, dalle sonorità sperimentali e internazionali, dove già possono scorgere i semi del futuro dei Mr Everett. Nel 2018 è uscito il primo album Umanimals, che ha portato avanti il loro racconto visivo e sonoro, ribadito in seguito anche nel nuovo brano Keep Breathing, ideale prosecuzione del disco. 

Il 27 novembre si esibiranno con Daykoda e Venerus nell’ultima giornata di EMERGO – Correnti per cambiare rotta, festival di installazioni, performance artistiche e musica che si terrà a Cesena nel corso di tutto il mese di novembre. EMERGO vuole dare la possibilità di organizzare attività culturali, di esplorare luoghi e spazi in apparenza decadenti o, al contrario, percepiti come inviolabili, un’attività intergenerazionale per cercare nuove rotte o, almeno, abbandonare un porto sicuro, non troppo al largo e guardando sempre il proprio faro. 

Per l’occasione abbiamo deciso di parlare un po’ con loro, approfondendo l’immaginario alla base del progetto e la loro personalissima idea di live. Ecco cosa ci hanno detto. 

 

Ciao, ci raccontate un po’ come è nato e come si è evoluto il progetto Mr Everett?

“Mr Everett è un progetto performativo a 360 ° che nasce dalla nostra idea comune di raccontare il rapporto tra umano, tecnologia e ambiente circostante (inteso come natura). Tutto è nato dalla macchina: il cyborg Rupert è stato costruito nel 2015 e da li tutto è cominciato. Mr Everett è figlio anche delle nostre esperienze pregresse nella danza, nella musica e nel teatro. Durante questi quattro anni di attività abbiamo collaborato con moltissimi artisti nei campi più disparati: dal design, alla danza contemporanea, all’illustrazione e persino la pittura. Come Mr Everett abbiamo sempre voluto far coesistere i numerosi input che ci dava il rapporto con la tecnologia.”

 

Il vostro immaginario visivo è senza dubbio di forte impatto, cosa lo ha ispirato?

“Gli immaginari visivi di riferimento sono numerosi, ma principalmente legati alle graphic novels: dai manga giapponesi come Ghost in The Shell, Neon Genesis e Akira, ai fumetti di Moebius e Dylan Dog. Non a caso in Umanimal – il nostro primo album – ogni pezzo è accompagnato da una tavola specifica, realizzata da Fabio Iamartino (in collaborazione con Grifo Dischi e Dischirotti), che rappresentava graficamente il racconto del brano. Durante i nostri live, i visuals, curati da Mr Bear sono parte integrante della storia: permettono a Rupert e gli Umanimals di ‘entrare’ in un ambiente diverso per ogni canzone.”

 

L’anno scorso, come avete anticipato, è uscito il vostro primo album, Umanimal, basato su un concept narrativo molto particolare, ce lo spieghereste?

“Umanimal contiene alcuni concetti che vorremmo comunicare come Mr Everett: il rapporto tra umano e natura, come quello tra umano e tecnologia, evitando di mettere l’uomo al centro. I brani parlano del viaggio di Rupert, un cyborg. In un mondo martoriato da un’umanità confusionaria e parassita, il cyborg Rupert viene inviato in un’altra dimensione per scoprire una via alla vita differente. Si risveglia qualche tempo dopo, incontrando gli Umanimals, suoi discendenti diretti, che decidono di riportarlo sulla terra. In questo viaggio Rupert ri-esplora se stesso, la natura umana e la natura terreste, tentando di capire il suo posto nel mondo.”

 

Ascoltando i pezzi è netta la prevalenza di un sound elettronico ma è possibile individuare anche molte varietà stilistiche, come avete lavorato in fase di produzione?

“Ci hanno definiti ‘post-club’: la nostra musica prende le atmosfere da club e le porta da qualche altra parte. Ogni brano ha una sua coscienza stilistica, che sicuramente si basa su delle sonorità elettroniche. Il lavoro è partito principalmente dalla voce, artificiale e umana. Mr Owl e Rupert comunicano con due vocalità apparentemente sconnesse, ma che si arrampicano l’una sull’altra. La maggior parte dei campionamenti che abbiamo utilizzato sono vocalizzi, originali e registrati. Allo stesso modo abbiamo cercato sonorità orientali, che richiamassero l’immaginario visivo dei manga come in Japanese Safari e Gamelan.”

 

Quali sono state le principali influenze sonore alla base del vostro lavoro?

“Numerose, chiaramente. La dolcezza pop di James Blake, la garage contemporanea dei Disclosure, così come FKA Twigs e The XX, dei quali abbiamo pubblicato una cover mash-up.”

 

È uscito da poco il nuovo singolo Keep Breathing: di cosa parla e come è stato realizzato?

“Keep Breathing è una sorta di saluto a Umanimal e un’apertura verso un nuovo corso di Mr Everett. Rupert è più introspettivo, nuota nel ‘wetware’, un ammasso di liquido e dati che rappresenta la sua mente confusa, e tenta di salvarsi continuando a respirare, tenendosi stretto alle cose che crede di sapere. Nel tempo non lineare di Mr Everett, Keep Breathing può trovarsi prima, dopo o persino durante Umanimal, non ha una collocazione storica precisa. Lo abbiamo mixato e masterizzato con Andrea Suriani, all’Alpha Dept Studio di Bologna, con il quale avevamo anche lavorato per Umanimal.”

 

La vostra forza è sicuramente il live: nei concerti create un’esperienza multisensoriale innovativa. Cosa volete comunicare al vostro pubblico?

“Nell’ottica di unione tra umano e altro, l’artista e il pubblico partecipano a Mr Everett. Il nostro viaggio non è soltanto musicale, come già detto, ma anche visivo e performativo. Rupert si muove tra il pubblico, balla con il pubblico e può essere persino suonato dagli spettatori. La danza, i visuals, la performance e la musica collaborano per rendere l’esperienza più coinvolgente.”

 

Quali sono i vostri progetti artistici per il futuro?

“Dopo quasi quattro anni di concerti abbiamo deciso di prenderci un periodo di pausa – uno stop dalle performance live, per ricaricarci e ricaricare Rupert. Non vogliamo svelare i piani futuri, per il momento preferiamo aspettare in silenzio.”

 

Il 27 novembre suonerete a Cesena in occasione del festival EMERGO. Cosa dobbiamo aspettarci da voi?

“Sarà l’ultimo live del 2019 e poi, come detto, ci prenderemo una meritata pausa. Siamo entusiasti di poter condividere il palco con due artisti speciali come Daykoda e Venerus, come siamo contenti di tornare a Cesena, dove abbiamo un rapporto duraturo con i ragazzi del Vista Mare che organizzano EMERGO. I nostri live sono sempre pieni di sorprese, quindi vedere per credere!”

 

Filippo Duò 

The Notwist @ Spazio Diamante

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• The Notwist •

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Spazio Diamante (Roma) // 19 Novembre 2019

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Foto: Simone Asciutti

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Grazie a DNA Concerti

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ReCover #2 – Pink Floyd “The Wall”

• Diario di un fallimento (?) •

Lavorare su un album come The Wall significa soffrire insieme a Pink, il suo protagonista. Una sofferenza che nel mio caso si è dilatata anche per la reinterpretazione della copertina.

Gerald Scarfe è un artista prolifico, in quanto nasce come vignettista e il suo tratto nervoso ne è la prova: graffia la carta creando personaggi folli, l’inchiostro diventa espressione di satira.

Scarfe non era affatto un fan dei Pink Floyd, fino a quando dopo averli visti in concerto a Finsbury Park nel ‘72 per il The Dark Side of the Moon Tour non se ne innamorò.

E così iniziarono a collaborare per video musicali, tournée e animazioni teatrali fino ad approdare a The Wall, il concept album più intimo di Roger Waters in cui si riversavano tematiche sull’isolamento e l’abbandono, e Scarfe sembrava essere la persona più adatta a dare vita all’universo visivo di The Wall creandone una mitologia ben precisa: abbiamo personaggi come la mamma, il maestro, l’ex moglie, il giudice, i martelli che abitano un paesaggio totalmente artificiale e oscuro.

Per contro la cover, definita da lui stesso un doodle, è quasi minimale, il muro di mattoncini bianchi che avvolge l’intero album è sporcato da una scritta aggiunta frettolosamente in via provvisoria solo per le pressioni della produzione, ma che alla fine è rimasta così, diventando iconica. 

Ma Scarfe non si è limitato al booklet: ha espanso questo mondo, che oscilla tra il surreale e il grottesco, occupandosi delle animazioni di Pink Floyd The Wall, il film del 1982 diretto da Alan Parker.

Ed ecco che per me le cose iniziano a complicarsi: come fare a racchiudere in una sola illustrazione tutto questo?

Come rielaborare un panorama visivo già così ricco, di cui è stato già detto tutto?

Come posso approcciarmi ad un animo così lontano dal mio dal punto di vista creativo?

“Is there anybody out there?”

Questa è l’eco che ha risuonato dentro di me per settimane: un vuoto densissimo mi ha paradossalmente imprigionato dentro a The Wall.

Ogni volta che guardo la cover un senso di angoscia mi assale: nell’osservare ogni mattoncino bianco penso a Pink, a come inesorabilmente, brano dopo brano, questi tasselli si siano posati l’uno sull’altro, fino a creare una parete così candida e ordinata da nascondere alla perfezione il mondo corrotto e sofferente in cui vive il protagonista, un ossimoro che ne amplifica la risonanza emotiva.

Ogni volta che ho tra le mani l’album mi chiedo da che parte del muro io stia: ma dalle prime note mi è subito chiaro.

La mia testa, piena di stimoli e informazioni, stava per esplodere senza riuscire a produrre alcunché, mentre la scadenza si avvicinava insieme al mio fallimento.

Ogni sketch corrispondeva ad un mio “no”, tutto troppo teatrale, tutto troppo tragico, troppo diverso da me o troppo uguale a ciò che già esisteva. 

Gerald Scarfe, un visionario iper-produttivo mi guardava dall’alto soffrire della sindrome opposta. 

Così mi sono fermata un attimo a pensare a cosa veramente mi è rimasto dentro di The Wall: ed è proprio il misto di impotenza, inquietudine e speranza delle parole “is there anybody out there”. 

Ho pensato allo stato d’animo di Pink che cerca la presenza di qualcuno sebbene sappia di essere solo.

Solo con un se stesso in subbuglio, irriconoscibile sia internamente che esternamente, e che mi ha subito riportato alla mente gli autoritratti di Francis Bacon e Edvard Munch, artisti che hanno esplorato largamente i territori della depressione esistenziale.

E così nella mia mente hanno iniziato a sovrapporsi alle illustrazioni di Scarfe le figure dei due artisti tormentati e le pennellate espressive dei loro dipinti, così come il volto di Pink interpretato da Bob Geldof, e quello di Syd Barrett, che come un fantasma aleggia per tutta la durata dell’ascolto.

La mia illustrazione non rappresenta affatto The Wall nella sua interezza, men che meno ha la pretesa di replicare lo stile di Scarfe: è solo una mia interpretazione di una dalle tante sfaccettature dell’album.

Però credo sia giusto ricordarsi più spesso, di questi tempi così affannosamente sempre di corsa, che fermarsi, talvolta fallire rispetto alle proprie aspettative è umano.

E va bene così.

 

recover 2 the wall

Calcutta @ San Marino

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• Calcutta •

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Tour Europeo 2019

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Teatro Nuovo (RSM) // 19 Novembre 2019

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+
Gregorio Sanchez

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Foto: Luca Ortolani

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Gregorio Sanchez

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Grazie a Fun4All | DNA Concerti

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MÖTLEY CRÜE IS BACK! LA FAMOSISSIMA ROCK BAND FA DECADERE L’ACCORDO DI CESSAZIONE ATTIVITÀ LIVE!

A sei anni dall’accordo che prevedeva la cessata attività live, il contratto è stato ufficialmente annullato, una nuova generazione di Crüeheads ha infatti chiesto insistentemente che la band tornasse sui suoi passi… A questo va poi aggiunto il successo del biopic di NETFLIX THE DIRT”, che ha dato ai Mötley Crüe una nuova audience. E la band, conosciuta per il suo essere costantemente contro le regole ha distrutto il contratto di cessata attività live a modo suo, facendolo esplodere!
Dopo 35 anni passati insieme sui palchi di tutto il mondo e 30 dalla pubblicazione di “Dr. Feelgood”, i membri dei Mötley Crüe non si sono più rivolti parola, fino al Final Show del 31 dicembre 2015. Vince, Nikki, Mick e Tommy non si sono più incrociati fino al 2018, anno in cui diedero il loro apporto alla realizzazione del film THE DIRT, che inaspettatamente li ha avvicinati di nuovo, incluso vederli tornare nello studio di registrazione… La miccia era accesa. 

“Da quando ho interpretato la figura di Tommy Lee in The Dirt, moltissimi dei nostri fan hanno iniziato a chiedere di voler assistere a un vero show dei Mötley Crüespiega Colson Baker (aka Machine Gun Kelly) “Non avrei mai pensato che questo giorno potesse davvero arrivare… Ma i fan hanno parlato e i Mötley hanno ascoltato!”.  

THE DIRT gode attualmente di un punteggio pari al 95% su Rotten Tomatoes. E il suo enorme successo globale all’inizio di quest’anno ha visto la popolarità dei Mötley Crüe arrivare a nuovi massimi, catapultando la musica della band in cima alle classifiche mondiali nella fascia d’età 18-44 che ora rappresenta il 64% della fanbase della band. Inoltre, nei sei mesi successivi al rilascio di THE DIRT, i Mötley Crüe hanno visto un aumento del 300% nei flussi di ascolto via Spotify, passando da 50 milioni a 210 milioni. Stessa situazione per quel che riguarda Apple Music sono aumentati del 384% a 116 milioni (rispetto ai 24 milioni precedenti) nello stesso lasso di tempo. Tuttavia, la maggior parte dei nuovi fan non ha mai visto nessuno dei leggendari spettacoli dal vivo che i Crüeheads hanno gustato per quasi 4 decenni.