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Mobb Deep @ Locomotiv Club

Bologna, 13 Febbraio 2025

Quando rappano gli americani, e soprattutto un gruppo storico come i Mobb Deep, in una città storica per il rap italiano come Bologna, si può solo stare in silenzio e vedere, ascoltare. Ero onestamente preoccupato per il Locomotiv, confidando nelle misure antisismiche del locale, perchè la forza esplosiva del gruppo, ma anche e soprattutto del pubblico sono cose completamente fuori dall’ordinario.

I Mobb Deep presentavano il trentennale dell’album The Infamous, disco storico del genere e sul palco abbiamo Havoc, unico membro effettivo del gruppo perchè Prodigy è deceduto nel 2017, assieme alDJ L.E.S. e Big Noyd, storici collaboratori dei Mobb Deep. 

I rapper sul palco sono completamente infuocati. La scelta di scaletta, a mio avviso, è giusta anche se molto frenetica: un pezzo dopo l’altro, poche parole di stacco tra una canzone e l’altra, tanto movimento durante i pezzi. Anche il Dj partecipa attivamente al live, prendendosi il suo spazio sia prima del live effettivo mixando qualche canzone culto dell’hip hop anni novanta, ma anche partecipando attivamente durante il live doppiando i rapper e incitando il pubblico a saltare e urlare. Chiaramente si riconosce subito l’esperienza e la statura degli artisti da come portano i pezzi sul palco; anni di esperienza condensati in un’unica serata in cui il Locomotiv si è trasformato per due ore in un club del Queens, a New York. Instancabili, inarrestabili, non annoiano e tengono altissima la soglia dell’attenzione sia per la rapida esecuzione dei pezzi che per il coinvolgimento del pubblico.

Ecco, probabilmente lo spettacolo più grande sono stati gli spettatori, e gli artisti erano difficili da superare. Ad ogni ordine di alzare o muovere le mani corrispondeva l’azione con una dedizione senza pari. Certo, sicuramente il pubblico era composto per la stragrande maggioranza da fruitori del genere e appassionati del gruppo, ma una costanza così non si trova in altri posti. Sembrava quasi una singola persona circondata da tanti specchi: tutti si muovevano allo stesso modo, nello stesso momento, con la stessa intensità, generando la stessa grazia di una medusa che nuota dentro un acquario. Probabilmente il pubblico più bello e in forma che abbia mai visto.

BAY FEST 2025: ANNUNCIATI NUOVI NOMI IN LINE-UP!

NEL 2025 BAY FEST COMPIE DIECI ANNI!

ANNUNCIATE LE DATE E LA LINE-UP

BAY FEST 2025
CON

REFUSED + LAGWAGON + GOB + TURBONEGRO + MAD CADDIES + MADBALL + 

TEENAGE BOTTLEROCKET + CODEFENDANTS + BULL BRIGADE + GRADE 2 + 

THE LAST GANG + DOC ROTTEN 

+ more T.B.A.

29 GIUGNO e 8/9/10 AGOSTO 2025

BELLARIA IGEA MARINA (RIMINI)

Il Bay Fest 2025 prende definitivamente forma!

L’edizione del decennale del festival si svolgerà l’8/9/10 agosto 2025 Bellaria Igea Marina.

Oltre a Refused Turbonegro , principali protagonisti dell’edizione 2025, si aggiungono diverse band al bill del festival punk rock punto di riferimento in Italia!

Biglietti e abbonamenti in vendita su Ticketmaster.

Il Bay Fest 2025 prende definitivamente forma!

Dopo aver svelato la line-up dell’anteprima di giugno e i primi due nomi previsti, Refused (unica e ultima data italiana e tour d’addio) e Turbonegro, oggi il bill del festival prende definitivamente forma con le altre band che si esibiranno nell’edizione del decennale del festival  che si svolgerà nel weekend dell’8,9 e 10 agosto 2025 come di consueto nella splendida cornice

della località balneare di Bellaria Igea Marina.

Sul palco annunciati anche Madball, Codefendants, Grade 2, Doc Rotten, The Last Gang, Bull Brigade e GOB che vanno ad aggiungersi al cartellone di Bay Fest 2025.

Sin dal 2015, il festival si è affermato come il principale punto di riferimento di genere in Italia, è stato capace di attrarre migliaia di appassionati sia da tutta Europa che da tutto il mondo.


Bay Fest, nato dalla collaborazione tra Hub Music Factory e LP Rock Events, ha mosso l’interesse della stampa specializzata e mainstream affermandosi come una della più importanti rassegne musicali d’Europa in una location d’eccezione.
Proprio grazie al connubio tra la proposta musicale alternativa e la location esclusiva, Bay Fest è stato in grado di arricchire la zona di Bellaria Igea Marina con cultura alternativa, buona musica, turismo e tanto divertimento.

LA LINE-UP
Refused sono una delle più influenti band della storia della musica alternativa europea.
Nati come band hardcore ed evolutisi fino ad inglobare tratti che spaziano dall’ambient all’elettronica, i Refused hanno scardinato le porte che limitavano l’evoluzione del punk, dando il via a una sperimentazione artistica senza precedenti.
Il loro iconico album ‘The Shape Of Punk To Come’ è uno dei più importanti album della storia della musica alternativa e ha recentemente visto luce una ristampa-tributo dal titolo ‘The Shape Of Punk To Come Obliterated’ in cui 12 band danno nuova vita alle tracce con cover e remix. Tra gli artisti coinvolti spiccano Quicksand, Touché Amoré, IDLES, Igorrr, Gel e Brutus.
Dopo lo scioglimento e la reunion del 2012, queste date estive – compresa quella al Bay Fest saranno le ultime della storia della band.

Turbonegro sono uno dei gruppi alternativi più importanti degli ultimi 20 anni, considerati da molti come i portabandiera del death punk in Europa. Formatisi alla fine degli anni ’80 come una band hardcore, negli anni si spostano verso un genere che accarezza l’hard rock miscelandolo all’immediatezza e alla potenza che caratterizzano il punk rock.
Un rock ‘n’ roll sempre più serrato, veloce e rumoroso li ha portati – soprattutto a cavallo degli anni 2000 – ad essere considerati tra i principali gruppi rock della Scandinavia.
La loro intensità e il loro acuto senso dell’umorismo nei testi e sul palco hanno contribuito a creare la leggenda dei Turbonegro.

Tra i nomi in cartellone anche GOB; nel corso della loro carriera, che risale al 1993 e comprende un catalogo di sette LP, i membri dei Gob (il cantante/chitarrista Tom Thacker, già membro dei leggendari Sum 41, il cantante/chitarrista Theo Goutzinakis, il batterista Gabe Mantle e il bassista Steven Fairweather) si sono affermati come pionieri del pop punk canadese. Hanno accumulato nomination ai JUNO Awards e decine di tour in tutto il mondo.


Ci saranno poi i MADBALL, da considerare come pilastri del cosiddetto “hardcore newyorkese”, riconosciuti per la loro energia esplosiva e per i testi incisivi, che affrontano temi sociali, resistenza e “unità”. L’album “Set It Off”, pubblicato nel 1994, è una pietra miliare di questo movimento con canzoni come “New York City”, “Down by Law” e “Set It Off”, l’album ha contribuito a consolidare la reputazione del gruppo come uno tra i più autentici e aggressivi dell’hardcore mondiale. NYHC at it’s best!

Spazio anche ad un po’ di California con The Last Gang, punk rock band del circuito Fat Wreck Chords, al Bay Fest presenterà brani estratti dal loro ultimo disco “Obscene Daydreams”. 

Anche per loro un gradito ritorno in Riviera e al festival dopo l’esibizione del 2022.

Sarà interessante vedere on stage anche l’ultima “creatura” di Fat Mike (NOFX): Codefendants, è una boccata d’aria fresca e un crossover di stili influenzati dall’atmosfera della Bay Area, una miscela tra i generi, un incrocio tra hip hop, new-wave, flamenco e Beatles che li ha portati ad incidere il loro primo disco “This is Crime Wave” nel 2023 e che presenteranno al BayFest.


Spazio anche ai Grade 2, inglesi e portatori sani della mentalità punk rock, il loro sound è un omaggio al punk degli esordi e alla scena Oi!. I loro ultimi due dischi sono stati un successo: nel 2019 “Graveyard Island”, registrato e prodotto da Tim Armstrong dei Rancid e mixato da Kevin Bivona dei The Interrupters, li ha portati a diversi tour internazionali, l’ultimo e omonimo nel 2023 li ha portati a suonare con i Guns N’ Roses ad Hyde Park.

Doc Rotten si sono formati a Trenton, nel New Jersey nel 2017, da allora tre EP, un disco omonimo, registrato da Pete Steinkopf (The Bouncing Souls), uscito lo scorso anno e decine di concerti tra Giappone, Europa e Nord America. Doc Rotten potrebbero essere la sorprendente novità del Bay Fest2025.

Bull Brigade nascono nel 2006 a Torino e raggiungono l’interesse degli appassionati già con i primi due dischi “Strade smarrite” e “Vita Libertà” a cui fa seguito il terzo album “Il fuoco non si è spento”.
Nel 2023 la canzone “Sommersi” viene inserita nella colonna sonora della serie animata “Questo mondo non mi renderà cattivo” del fumettista Zerocalcare, in cui la band è stata ritratta sul palco. In questi anni sono diventati probabilmente il massimo punto di riferimento per l’hardcore di casa nostra.



Di seguito i dettagli del festival.

ROAD TO BAY FEST 2025 con

LAGWAGON + MAD CADDIES + TEENAGE BOTTLEROCKET and more t.b.a.

Domenica 29 giugno 2025 – Beky Bay, Bellaria Igea Marina (Rimini)

Biglietti disponibili su Ticketmaster, €35 + d.d.p.


BAY FEST 2025

DAY 1 con

MADBALL + CODEFENDANTS + GRADE 2 + DOC ROTTEN and more t.b.a.

Venerdì 8 agosto 2025 – Bellaria Igea Marina (RN)

Biglietti disponibili su Ticketmaster, €40 + d.d.p.

DAY 2

REFUSED + TURBONEGRO + BULL BRIGADE + THE LAST GANG and more t.b.a.

Sabato 9 agosto 2025 – Bellaria Igea Marina (RN)

Biglietti disponibili su Ticketmaster, €50 + d.d.p.

POOL PARTY

GOB + more t.b.a. + afterparty

Domenica 10 agosto 2025 – Mapo Club, Bellaria Igea Marina (RN)

Biglietti disponibili su Ticketmaster, €30 + d.d.p. 

Salad Days Magazine e Punkadeka sono Media Partner ufficiali del festival.

Per maggiori informazioni www.bayfest.it.

Le Bambole di Pezza: cadere, rialzarsi ed amarsi

Le Bambole di Pezza sono un gruppo punk rock/pop punk italiano storico nel panorama musicale italiano, che nasce nel 2002 per poi passare una fase di stasi e in seguito di trasformazione e riaffermazione negli ultimi anni. La formazione attuale vede Morgana e Dani (componenti storiche del gruppo) alla chitarra, Kaj al basso e tastiere, Xina alla batteria e Cleo come alla voce. Caratterizzate da un suono vivace, melodico e frenetico e da una ensemble unicamente femminile, le Bambole si sono nuovamente imposte con il loro recente nuovo album Wanted, che come filo conduttore ha l’amore, la libertà e la rivolta. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Daniela Piccirillo, in arte Dani.

Ciao Dani e benvenuta su VEZ! Le bambole di Pezza sono un impegno continuo a supporto di valori come il femminismo ed equalità che vi contraddistinguono da sempre. Quanto è difficile mettersi in gioco senza sacrificare voi stesse e il messaggio che portate? Quanto costa rimanere fedeli al proprio messaggio senza snaturarsi?

“Le Bambole di Pezza hanno una missione che viene naturale da compiere, essendo cinque ragazze con una certa personalità e soprattutto con dei pensieri individuali, nel momento in cui facciamo gruppo vogliamo portare avanti il nostro messaggio e non ci viene difficile farlo. È un impegno che viene naturale, quindi tendenzialmente non sacrifichiamo mai nulla a livello artistico per il messaggio o viceversa. Noi siamo questo, decliniamo questo messaggio in più forme, il nostro nuovo disco è anche un disco d’amore, e non parliamo solo dell’amore passionale di Wanted, o di quello per la causa del femminismo, può essere anche l’amore nei confronti di sé stesse. Essendo proprio il nostro intento non ci sentiamo snaturate, vogliamo che la nostra musica abbia un valore aggiunto, un valore che noi rintracciamo nell’essere una ragazza che fa musica, con un microfono in mano e degli strumenti a disposizione, di conseguenza ci viene naturale avere qualcosa di nostro da comunicare.”

In un’intervista su YouTube tu e Cleo avete raccontato di quando suonavate e registravate senza etichette o sponsor vari. Come è stato vivere la musica in maniera così intensa, facendo tutto da sole, senza il supporto di agenzie terze? 

“Noi Bambole seguiamo molto la filosofia del “Do it yourself”, la nostra attitudine è proprio quella di rimboccarci le maniche ed essere le prime a metterci la faccia. Sui social, ad esempio, che vengono per intero gestiti da noi, ma anche in tutte le nostre scelte artistiche, non abbiamo un manager che ci dice come rispondere a delle domande o come dobbiamo vestirci o che cosa fare nei prossimi giorni. Siamo come un team di lavoro, composto da noi e da un team più tecnico, con cui condividiamo le nostre opinioni, i nostri pensieri, anche se tutti gli sbattimenti logistici e organizzativi li condividiamo  prima di tutto fra di noi, per tentare di trovare delle soluzioni sagge. Dipende dalle situazioni che affrontiamo, dopodiché ovviamente se non ci arriviamo noi, abbiamo anche il supporto di terzi, ad esempio la nostra agenzia di concerti che ha creduto molto in noi e ci ha aiutato a organizzare il tour nei club di questa primavera, una nostra produzione di cui andiamo fiere. Siamo delle ragazze abbastanza intraprendenti, anche Morgana nella band ha una vena marcatamente manageriale e probabilmente tanti anni di attività nel mondo della musica ci hanno permesso di avere delle opinioni e un paio di linee guida. Siamo ancora abbastanza cani sciolti a volte, perché dietro Le Bambole di Pezza non c’è alcun deus ex machina, ci siamo noi quindi gestiamo oneri e onori. Poi abbiamo chiaramente il supporto della discografica, i produttori che ci hanno aiutato nelle sonorità o come il team di lavoro per l’organizzazione di concerti o il team tecnico per la gestione dei nostri tanti canali durante i live. Lo spirito è sempre quello per cui prima di tutto facciamo noi, se non ce la facciamo valutiamo delle collaborazioni. Secondo me è un buon consiglio per anche altre band che vogliono avere una crescita e capire come migliorare grazie ai propri errori. Sono fondamentali una presa di coscienza e non scaricare su terzi la responsabilità che in primis è della band o dell’artista.”

Siete una band storica nel panorama musicale italiano, come è cambiata la musica e quello che la circonda negli anni?

“Una cosa che ci tengo moltissimo a sottolineare è che ovviamente il progetto Bambole di Pezza esiste da diversi anni, quindi io che sono tra le fondatrici della band ho visto attraversare vari momenti musicali, anche non tanto belli per la musica rock ad esempio o comunque per la scena alternativa, però allo stesso tempo vorrei porre l’accento sulla trasformazione di questo progetto, stiamo proprio facendo un lavoro di rebrand, con tre nuove componenti nella band ad esempio. Le Bambole di Pezza sono cambiate, quasi radicalmente sia come visione, sia come impegno, sia come progettualità, che come contenuti, che come sonorità, quindi diciamo che se mi guardo indietro ho un trascorso di rock and roll alle spalle, però adesso sento di avere una maturità da professionismo. Questa è la cosa che a mio avviso è più cambiata, nel senso che non prendo più come una volta i concerti così come venivano, in totale vena rock and roll, adesso i pezzi voglio eseguirli in maniera perfetta, faccio le prove con diligenza, mi viene l’ansia prima di suonare perché devo assolutamente ricordarmi bene le parti… cioè è proprio l’aspetto del professionismo quello che personalmente mi ha cambiata, ma come approccio, non ha influito sul divertimento ma è proprio una mentalità nuova, c’è forse più impegno. 

Per quanto riguarda la scena, ho partecipato a una scena di fermento alternativo molto vivace in Italia, dove fino alla metà degli anni 2000 c’era una scena con determinate connotazioni, quindi era musica di etichette indipendenti, che veniva fruita principalmente attraverso i concerti live, non c’era tanto scambio su social network, se non su qualche forum. Adesso la scena è completamente diversa, continuano ad esserci delle band magari alternative, ma si fa più fatica perché l’ambiente musicale italiano ha subito l’influenza dei grandi numeri di Spotify e della musica fruita principalmente attraverso piattaforme di ascolto che forniscono dati sugli stream, su ascoltatori mensili, che ti aiutano a programmare le date. Prima si viveva la musica in base al passaparola e al coinvolgimento delle persone che andavano nei locali specializzati in certi tipi di musica, adesso anche quei locali purtroppo sono sempre meno; le band dopo la seconda metà del 2000 sono diminuite perché è entrata a gamba tesa la scena rap, trap con delle produzioni artistiche da solista. Adesso grazie un po’ forse ai Maneskin c’è stato un ritorno della musica rock italiana, però la cosa che trovo molto cambiata è questa schiavitù dei numeri e dei posti che sono sempre pochi. Io poi conto tanto e confido tanto nei ragazzi, nei giovani che si mettono in gioco, purtroppo però mi scontro sempre con la dura realtà che è “Dove vai a suonare poi per farti sentire? Come fai a farti conoscere?”, perchè i circuiti ovviamente sono cambiati e anche come si cerca la musica è diverso, esiste ancora fortunatamente il passaparola però c’è stato un momento di disamore rispetto alla musica live goduta, complice forse anche il Covid.”

Secondo te è un fenomeno che tenderà ad una crescita?

“Io sono sempre di base ottimista, quindi confido che parecchi ragazzi vogliano imparare a suonare uno strumento e creare una band per esprimersi e magari la scena del panorama mondiale si modificherà anche se nelle varie chart, anche internazionali, si vedono pochissimi esemplari di band che ce la fanno, adesso è tutto incentrato sugli artisti singoli, magari accompagnati dalle band. Anche i Maneskin spero ritornino e non si lancino solo in carriere soliste… è un po’ la logica del mercato, le band discograficamente sono difficili da gestire, non si tratta di un elemento solo. Anche noi ad esempio siamo in cinque, quindi cinque teste con cui girare e rigirare le carte. Ad essere di più si fa fatica, in più facendo una musica che non è proprio in linea con la musica pop manteniamo una vena alternativa che ci rende una minoranza rispetto a come poteva essere negli anni di fermento alternativo che ti accennavo prima, anche se poi oggi comunque ho trovato nuovi stimoli e tante nuove possibilità.”

Il vostro disco è decisamente innovativo e sperimenta più suoni rispetto ai lavori precedenti. Per voi è stato difficile spianarsi la strada verso una nuova ricerca musicale? Quali sono, se ci sono stati, gli input musicali artistici che vi hanno ispirato?

“In realtà il nostro rebranding è stato un procedimento molto naturale perché ovviamente cambiando gli elementi sai di avere colori differenti, delle espressioni e delle possibilità anche artistiche diverse, dei caratteri e delle manifestazioni assolutamente fantastiche e da valorizzare. Se fai parte di questo sistema ben organizzato e ben oliato, dove c’è anche una certa complicità, una sorellanza e una profonda stima e rispetto reciproco, è un processo molto naturale quindi ti viene semplice inserirti e provare a tirare fuori dei pezzi partendo proprio dagli input individuali di ciascuna. Si crea una sinergia nella produzione, anche a livello di sonorità, per cui ad esempio la cantante, Cleo, è sempre attenta al suono e al genere per non farli risultare vecchi, c’è una costante ricerca della contemporaneità. Anche lo sguardo del nostro rebranding ci aiuta a non rimanere ancorate agli anni Novanta e Duemila, mantenendo una vena alternativa ma che risulti contemporanea. Cleo ascolta generi pesanti come il metal ma anche nella scena urban rimane fresca e contemporanea, è brava nei cantati e nelle parti rappate, Xina è orientata sulla scena grunge e stoner, Kaj suona anche con i sintetizzatori e porta avanti una contaminazione sonora e musicale, io ho le mie influenze più garage rock mentre Morgana si orienta anche verso le ballad e gli arpeggi. Abbiamo guardato tante sonorità diverse, nella scena attuale ci piace anche ad esempio Yungblud, che è un esempio di sonorità moderna che può averci ispirato, sia per il suo approccio che per i suoi contenuti, per come si pone nel racconto di sé stesso, partecipando a una scena non convenzionale. Poi ci sono state varie altre influenze, anche di passaggio, abbiamo condiviso della musica che ci sembrava interessante, però non c’era la finalità di rifare uguale quello che ascoltavamo. Poi metti tutto nel calderone e provi un po’ a sperimentare con i suoni e con la produzione stessa e questo è grazie anche alle persone che con un orecchio esterno hanno tirato fuori un’essenza che potesse anche essere moderna.”

Quindi si è trattato di guardarsi dentro e fare quasi una chiacchierata musicale fra di voi.

“Sì, poi abbiamo cercato di avere molta varietà nel disco però allo stesso tempo quando eravamo quasi a chiusura del disco volevamo che ci fosse quasi un trait d’union tra un pezzo e l’altro, che si sentisse che ci fosse l’anima della band in ogni pezzo. Volevamo coerenza tra un pezzo e l’altro, che ci fossero tanti brani di cui potersi innamorare a seconda della personalità dell’ascoltatore, per avere una molteplicità di sfumature però sempre mantenendo una certa nostra personalità a fuoco, sia come identità sonora che come contenuti.”

Si sente che l’album è vario ma ben incollato, come se fosse un viaggio, un dialogo che racconta tante cose ma con un filo comune. 

“Sì, il dialogo e la collaborazione si vedono anche nella scaletta dell’album, che si apre con Capita, uno dei pezzi nati proprio a partire da una mia linea guida con un certo immaginario a me forse ancora poco chiaro, che ho portato a Cleo e su cui ci siamo confrontate, le ho chiesto di osare e quando ha condiviso quello che aveva scritto ci siamo trovate d’accordo, siamo molto allineate. Poi è uscito il testo, Cleo lo ha cantato con una vena quasi sarcastica e ha dato vita al sottotesto del capita di prenderla in quel posto, grazie all’inserimento del foglietto illustrativo della Vaselina. C’è poi anche una critica al sistema consumistico, un inno moderno che riprende i CCCP e il loroProduci, consuma, crepa. Io ci tenevo molto a questo pezzo e lo avevo scritto per un’eventuale apertura del disco, quindi da lì ci siamo dette che il secondo brano dovesse avere una carica pazzesca ed eravamo fiere di Senza permesso, poi la title track, Wanted, che cambia atmosfera ed è anche il primo featuring, con Jack Out, che parla di questo amore passionale ed è un po’ più country e western come stile. Poi si va avanti con il resto del disco, lo abbiamo ascoltato e pensato proprio secondo una successione delle canzoni. Si arriva per esempio a L’anno del dragone dove canta la bassista  in comunione con i cori di Cleo, che danno ancora più personalità allo stesso brano che è quasi synth pop anni ‘80. Poi c’è la super ballata strappalacrime dell’amore dove si è sommersi dalle lacrime Atlantide, c’è invece la canzone Maledetta che ha un fantastico giro di chitarra ma esalta allo stesso tempo la parte urban del disco. È un disco vario e pensato, mi piace ricordare anche la scelta del titolo in inglese, proprio perché è stato pensato e voluto.”

In Capita, la prima canzone dell’album, è presente una critica alle canzoni che occupano il primo posto nelle classifiche ad oggi: quanto può impattare una canzone su una persona?

“Questo aspetto è interessante da analizzare, ad esempio noi che da donne scriviamo di quello che viviamo, delle nostre riflessioni, ci rendiamo conto che siamo portate solitamente ad ascoltare musica fatta per la maggior parte magari da uomini per poi declinarle al femminile. Quindi la riflessione che fa spesso Cleo è quella di voler rendere la nostra musica declinabile anche al maschile, cioè renderla quasi senza genere per parlare ad un’intera generazione o a persone, quindi indipendentemente dal sesso, che un po’ la vedono e la vivono come noi. Ci sono tante persone che hanno a cuore le nostre stesse tematiche, i nostri stessi valori, anche artistici. È molto facile per altri invece pensare che ascoltando determinata musica si diventi automaticamente “gangster” e duro, magari la trap ti fa sentire più forse accolto anche nel mondo dei ragazzi molto giovani in questo periodo, oppure che magari ti fa sognare un domani di diventare un figo pieno di soldi solo perché ascolti quella determinata musica. Tendenzialmente per me la musica è sempre stata qualcosa che se l’ascolti ti trascina e ti fa allineare anche con i significati, si avvicina più a te e parla a te, quindi il fatto che ciascuno scelga la musica che riesce a parlargli è, a volte, preoccupante perché non è che ci sono delle tematiche che sono così cantabili a squarciagola come inni e come valori, anzi fa molta tristezza. Non penso che influenzi il modo di vivere, di pensare, sai anche la correlazione che si faceva anni fa tra chi ascolta il metal e poi fa le messe sataniche, non per forza deve esserci questa correlazione oggi, però allo stesso tempo il fatto che si ascoltino determinate canzoni che poi diventano delle hit anche se hanno significati veramente poveri, senza alcun valore aggiunto, in cui si inneggia solo a droga, armi e puttane è veramente triste. Anche io ho sempre fatto poco caso ai testi in generale perché sai, ascoltando prevalentemente musica inglese e non essendo madrelingua, per capirne alcuni dovevo andare a leggere il testo. Spotify ci ha avvantaggiati inserendo il testo quindi oggi è più fruibile il contenuto, però oggi lavorando con la band il testo ha assunto un altro significato, è la tua bandiera, ciò che arriva subito alle persone, di conseguenza tu scegli chi vuoi essere, scegli che messaggio voler cantare. Noi vogliamo essere fiere del messaggio perché ci rappresenta, se poi alcuni artisti si sentono rappresentati da quello che cantano è una loro scelta di vita che però è molto lontana dalla mia percezione.”

L’album presenta diverse collaborazioni, tra cui J-Ax, Jack Out, Divi, Mille e Giorgieness. Com’è stato lavorare con tutti questi artisti?

“Innanzitutto sono amici, chi di vecchia data, chi di recente conoscenza. Quando scegli di collaborare con un artista lo fai come simbolo di scambio e reciproco sostegno, la cosa che tra questi featuring abbiamo apprezzato è stata anche la disponibilità, ad esempio di J-Ax che seppure vedi come la superstar, si è dimostrato molto collaborativo, presente e veloce nella composizione. Averlo nell’album è stato per noi un bellissimo gesto di stima e di appoggio anche da parte dei big della musica, perché tante volte ti senti sempre un po’ inferiore a tutti gli altri perché hai sempre questo aspetto dell’artista incompreso, sai queste sono le pene di ogni artista che non è mai contento del proprio lavoro. Invece di questo lavoro, anche io che sono molto autocritica sono molto contenta, anche alla luce delle collaborazioni. C’è stato anche Divi, dei Ministri, che ha prestato sia la sua splendida voce che la penna in Pagine, una canzone abbastanza tosta come significato che parla un po’ della critica al mondo comunque social e virtuale, con lo scream di Cleo si è creato un bel connubio di rabbia espressa con la canzone giusta. Jack Out invece è il country italiano quindi siamo felicissime di averci collaborato, è una persona umanamente splendida ed un artista molto collaborativo e propositivo, noi lo sosteniamo e lui sostiene noi. Poi ci sono le arriviamo alle ragazze, Georgieness e Mille, due artiste meravigliose che fanno generi completamente diversi, si rafforza così quello spirito di fare rete sia fra donne ma anche fra gli stessi artisti. Lo scopo di questi featuring è tentare nella scena italiana di fare rete e network più che badare a featuring per lo scambio di ascoltatori, i famosi numeri che in ambito artistico a volte sono molto fastidiosi in argomentazioni romantiche come le mie di adesso. Anche Georgieness e Mille stesse hanno collaborato con la giusta energia e la giusta affinità, nonostante anche loro non facciano il nostro stesso genere, quindi è una cosa che trascende la stessa musicalità ma è proprio una rete di persone che si sostengono reciprocamente, in amicizia prima di tutto e in stima artistica. Come se fosse un incoraggiamento che ti fa dire “Ok, spacchiamo e facciamo ancora meglio”.”

Quindi contano più l’emotività e la creatività che ci sono dietro un pezzo piuttosto che la freddezza del non conoscersi prima come artisti e semplicemente collaborare. 

“Sì perché poi sai dietro ai featuring ci sono tutte quelle cose burocratiche, devi ovviamente poi devi chiedere le autorizzazioni ai manager, pensare all’uscita di questo o di quel pezzo, a quanti ascoltatori mensili hai, se è un featuring primario oppure no, che palle. Invece l’aspetto reale è quello di gente che si conosce, si stima, si vuole bene reciprocamente e dice “Bella storia, ci sono”; quindi a noi basta questo. Poi per il resto vedremo se un domani gli equilibri cambieranno ma nel frattempo siamo contenti di avere questi ospiti nel nostro disco.”

È un album che profuma di amore, tanto nei rapporti umani quanto nei confronti di sé stessi. Secondo te è lo stesso tipo di amore o ci sono diverse sfumature per ogni tipo di rapporto?

“Allora il nostro disco fondamentalmente parla di amore declinato in tante salse, quindi ad esempio Rampicanti, uno dei singoli usciti a novembre prima dell’uscita del disco, parla dell’amore per sé stessi e di abbracciare la parte interiore più fragile ed emotiva, parla anche di autosalvarsi amandosi e accettandosi. Dentro di noi ci può essere quell’anima fragile che ha bisogno poi di quella spinta salvifica che ognuno di noi può trovare dentro sé per dire “No, basta, il fondo l’ho toccato e adesso risalgo”. Questo tipo di messaggio è un po’ dappertutto nell’album, i valori che cerchiamo di comunicare riguardano la possibilità di salvare se stessi e farcela grazie a tutti i talenti che ognuno ha dentro di sé, come in una relazione che ti fa soffrire ma che ti fa diventare più forte per esempio. Penso a Stuntman che parla di una ragazza con il cuore di chi cade ma non si rompe, essere nella vita uno stuntman significa quindi essere qualcuno che sa proteggersi, cadere bene per poi rialzarsi. C’è poi l’amore di Wanted più passionale del cowboy e della cowgirl che si incontrano in uno scambio  passionale ma anche apprezzamento vicendevole, quindi l’amore sano e tossico; c’è la relazione che ti fa soffrire in Atlantide, che ti lascia anche un sapore dolceamaro nel sapere che la relazione è finita, nell’essere sommersa ancora dalle lacrime ma avere uno spiraglio di luce. La nostra tristezza non è mai fine ad essa ma vuole essere di supporto alle persone che non hanno sempre con la giusta rabbia di spaccare tutto, come noi o tanti altri, ma hanno voglia anche di stare male per quel che c’è da star male, per poi ricominciare passando a un’altra canzone e ricaricarsi con altri temi. Lo spirito comunque è quello di alzare la testa ovunque tu sia prima di tutto e rivolgerti sempre alla luce, in vari momenti, sia quando ammiri il paesaggio e sei felice sia quando sei giù e sai che puoi solo risalire.”

In Stuntman si sente tanto lo spirito di rivalsa e rivincita di cui parli. 

“Lo spirito è quello e credo sia un simbolo che appartiene agli umani, per me forse è più una qualità femminile quella di sostenersi a vicenda che si ritrova anche in Fuori di testa con Giorgieness, che parla proprio di rivincita delle ragazze. Questo valore di supportarsi a vicenda e poi di aiutare a trovare delle soluzioni che magari il tuo cuore, i tuoi occhi in quel momento non vedono, ma la musica si, e secondo me aiuta tanto. Tante volte vuoi sentire una canzone che ti aiuti a farti prendere bene la giornata piuttosto che magari ascoltarne una che rispecchi il tuo stato vitale di quel momento, quindi quello di voler piangere e goderti solo la tristezza. Nel nostro album non ci sono pezzi puramente tristi, tentiamo sempre un po’ di girarla come un “Ok, va tutto di merda però so che in qualche maniera ce la farò”. Penso che per i ragazzi sia più difficile fare questo lavoro tra amici, ci si sostiene in maniera diversa, noi ragazze abbiamo molto scambio su questi argomenti emotivi e di sostegno per incoraggiarci con accezioni forse più profonde. Anche tra Bambole noi quando viviamo dei momenti no o dei momenti difficili parliamo molto tra di noi e sentiamo di sostenerci ognuna con il proprio carattere, facendo squadra. Si tratta di sorellanza ecco.”

The Veils @ Bronson

Il Bronson di Ravenna, familiare e instancabile covo della musica dal vivo romagnola, ospita una delle band più raffinate e affascinanti dell’indie rock dei primi 2000: si tratta de The Veils. Tornano dopo tanti anni e il soldout di Ravenna è solo una delle quattro date che la band neozelandese ha riservato all’Italia per promuovere la loro ultima fatica e settimo album Asphodels

L’opener non si presenta, pare per motivi di salute, e il locale gremito aspetta in trepidazione da davvero tanto tempo, quando sulle 22 i cinque membri fanno il loro ingresso e Finn Andrews, completo scuro e capello a tesa larga, prende posizione alla tastiera sfoggiando un sorriso emozionato.

Mortal Wound, con le sue prime note al piano, definisce già l’animo evocativo, poetico di questo album e delle performance che ci attendono. Attorno a me i fan storici fremono, cantano a memoria e alzano i telefoni per catturare il ricordo di un esordio intenso. 

Le armonizzazioni, delicate ma incisive, sono curate dal bassista e dal violinista, che apportano maggiore forza emotiva alle melodie dolci e drammatiche.
La band mostra versatilità sul palco, sono quasi tutti polistrumentisti: mi balza all’orecchio un suono distorto che sembrerebbe provenire da un sintetizzatore o da una chitarra, ma si rivela essere il violino. Il brano Swimming with Crocodiles porta con sé una ritmica più vivace che scuote il pubblico. Il violinista qui cambia giocattoli e mette mano al tamburello e alla tastiera effettata. Ma già in Everybody Thinks the End is Here passerà alla chitarra acustica.

Poi è il momento della nuova title-track, Asphodels. Il tono si fa più delicato, quasi sussurrato. Una canzone che sembra uscita da un sogno, un viaggio solitario attraverso una campagna desolata, dove ogni parola è un pensiero lontano, trasmesso attraverso la voce calda e avvolgente di Finn Andrews. Il pubblico sembra trattenere il respiro, in una connessione silenziosa con l’artista che non lascia spazio ad alcuna distrazione.

Una nota più blues con percussioni incalzanti e una strabiliante interpretazione vocale giunge con la storica Jesus from the Jugular. Ma è quando Finn, solo sul palco, imbraccia la chitarra acustica per la celebre Lavinia, che la voce risulta davvero al centro. Calda e confortante, non ha bisogno di altro se non di un semplice accompagnamento. Mi sono chiesta per tutta la serata chi mi ricordasse quella voce, ma la verità è che forse non assomiglia a nessuno.
Il resto della band ritorna sul palco e Finn chiede al pubblico come procedere con i brani: viene scelto Axolotl. Qui veniamo inondati dalla furia di Finn, che pare inveire, incazzato, contro gli accordi minacciosi del piano. 

La serata si conclude con Nux Vomica, brano che meglio esprime la forza dei cinque membri insieme. Dopo una crescita graduale, una chiusura netta, che non lascia nulla in sospeso, ma che, al contrario, restituisce tutto: la potenza, la poesia e l’intensità di un live che non si dimentica.

Setlist

Mortal Wound
The Dream of Life
The Ladder
O Fortune Teller
Swimming With the Crocodiles
Birds
Not Yet
Here Come the Dead
A Birthday Present
Asphodels
Rings of Saturn
Concrete After Rain
No Limit of Stars
Sit Down by the Fire
Jesus for the Jugular

Encore

Lavinia
The Tide That Left and Never Come Back
Axolotl
Nux Vomica

Lucia Rosso

Cowards

Molly Ringwald arriva al ballo di fine anno vestita di rosa.
Per un intero anno scolastico ha dovuto subire pressioni e ostilità varie da parte dei compagni di un liceo che lei frequenta grazie a una borsa di studio, ma che è destinato a ceti sociali ben lontano da quello cui lei appartiene. Lei però è brillante, intelligente, ostinata e alla fine qualcuno si innamora di lei.
Arriva al ballo dopo essere stata letteralmente scartata dal bello di turno, che prima vacilla, poi ritratta e infine tradisce. Molly arriva con un outfit autoprodotto da capogiro, che suggella il climax perfetto: crollano anche i muri delle differenze di ceto e di reddito, tutto è possibile. 

Gli Squid sono stati la mia Molly. Li avevo notati, anni fa, sul palco di un ToDays, a fine estate. Frontman comodamente seduto dietro la batteria, loro tutti in riga sul palco, in una sorta di democratica e teatrale formazione tipo. La loro Houseplants finisce in heavy rotation nelle mie playlist di allora. Poi li ho persi, anche perché escono due dischi in tre anni, vari EP, alcuni tour e nel mentre altri gruppi emergenti producono capolavori dalle stesse lande da cui provengono i nostri.
E ora invece sono qua, davanti a me e dentro le casse dello stereo, belli in rosa, e io che mi sento maledettamente in debito. Sto ascoltando una evoluzione inaspettata di stile, forma e contenuto, un salto in avanti notevole, ma anche laterale rispetto a gruppi cui erano stati accostati in passato, per similitudine anagrafica e di genere.
Sento qualcosa degli Idles, ma con un clavicembalo in più. Qualcosa dei Black Country, New Road, ma più ordinati. Lo so, pare strano.

Vi presento quindi Cowards, terzo album in studio degli Squid, prodotto da Marta Salogni e Grace Banks, ovvero coloro che stanno dietro a This Could Be Texas degli English Teacher.
L’album ci accoglie con Crispy Skin, che inizia con un simil assolo di clavicembalo e termina con un crescendo di fiati. In mezzo eleganza ed elegia per cannibali. Perché il pezzo, a detta dello stesso Ollie Judge, frontman della band, è ispirato a Tender Is The Flesh di Agustina Bazterrica, romanzo distopico e vagamente splatter in cui la carne del titolo non è di fassona.
Segue Building 650, che con le sue chitarre prog-orientali ricorda quasi un pezzo degli ultimi The Smile, salvo per il testo, che si interroga sul nostro rapporto con la malvagità e con la colpevolezza altrui. C’è una sorta di unione tra indulgenza e lassismo, una dedica all’anestesia collettiva nei confronti della violenza: “There’s murder sometimes / But he’s a real nice guy”. E va bene così.
Blood on the Boulders ci porta invece tra i luoghi dei delitti di Manson, con lo scopo di raccontarci la versione feticista del turismo dell’orrore.
Le due Fieldworks sono dei crescendo psichedelici ed eterei sul tema del rimpianto. 
Finora tutto bene, direbbe qualcuno. Il disco ha un tema dichiarato, del resto lo stesso Judge lo ha spiegato in una intervista, Cowards è “a book of dark fairytales”, una antologia di piccole storie che raccontano personaggi o situazioni non esattamente esenti da ombre, colpe, dannazioni varie.
Nebraska di Springsteen è tra le fonti citate come ispirazione dalla band. L’impianto è quello, ma in Cowards non si parla di strade polverose e di antieroi, qui il protagonista è il Male, globalizzato, generale, declinato in nove tracce diverse.
Cro-Magnon Man si lancia in un groove più vicino agli Squid d’antan, anche se il testo è un criptico messaggio su ciò che resta di un uomo, e in ciò che resta della canzone si ripete a lungo un lugubre “I’ll frame my life in the bones that I have left”.
Cowards, title track, vanta un elegante loop di fiati e percussioni che portano aria a un testo claustrofobico che parla di isolamento e di relazione con l’esterno, sia fisico, sia mentale.
L’oscurità incombe sempre, ci segue lungo le canzoni, ci assale con esplosioni di strumenti o con una riga di testo piuttosto riuscita. Non c’è luce, o almeno, ce n’è pochissima, perché il taglio della narrazione è piuttosto freddo, a tratti da titolo di giornale. La parte musicale riesce a salvare l’ascoltatore, come in Showtime!, forse il pezzo più riuscito dell’album, soprattutto nella parte finale, dove corre, si apre, fa portare le mani alle cuffie per cogliere tutte le sfumature presenti e i suoni nascosti in terza fila.
Il disco si chiude con una delirante Well Met (Fingers Through the Fence), otto minuti abbondanti di un qualcosa realmente post-post-post-punk, che prende il concetto di genere e lo devasta, facendo in assoluta leggerezza ciò che vuole degli strumenti (qui, credo, siano 45), della melodia, dei tempi, della razionalità e del “facciamo un pezzo buono per le radio – pensiero”. È un flusso in cui perdersi e che, una volta terminato, farà sentire la sua mancanza. Era un bel posto in cui stare, e non è una cosa così frequente.
Sia messo a verbale che, quando riparte la prima canzone (noioso e frequente scherzo del programma usato per i preascolti) Crispy Skin risulta perfettamente coerente anche dopo l’ultima traccia. Un loop perfetto, un giro in punta di piedi sui mali del mondo.
Lynchani, anche nella struttura.

Concludo.
Cowards è il disco della maturità degli Squid. Mostra lati ancora nascosti della band e rimane imprevedibile, ma lo fa con gusto e mestiere. È un lavoro coerente nel suo movimento di continua esplorazione e contiene visioni così laterali da sembrare un gioco, uno scherzo. E invece Cowards ci mostra uno spunto nuovo, crudo e algido, per riflettere sul mondo e sui suoi mali. La sensazione, a fine album, è la stessa dopo aver chiacchierato con qualcuno di sconosciuto e intelligente: una inaspettata e rinnovata fiducia verso il prossimo, puro piacere della novità e della sua scoperta e infine qualche grado di apertura mentale in più nella personale visione del mondo.
Solido, maturo e profondo, sia musicalmente, sia nella sua parte testuale, davvero un ottimo lavoro. 

NOVA TWINS: una data a Milano a fine settembre

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Tornano in Italia le NOVA TWINS, duo britannico composto da Amy Love (voce e chitarra) e Georgia South (cori, basso).Dotate di un’identità inconfondibile e di un sound decisamente particolare, le NOVA TWINS hanno negli ultimi anni condiviso il palco con artisti come Foo Fighters, Muse e Bring Me The Horizon e impressionato leggende come Tom Morello (“Sono una band incredibile!”) ed Elton John (“Fenomenali!”).
Le NOVA TWINS hanno da poco pubblicato il singolo “Monsters” e annunciano oggi nuovi concerti.La data italiana si terrà alla Santeria Toscana 31 di Milano il 30 settembre 2025.
In apertura si esibirà un’altra band che verrà prossimamente comunicata.
I biglietti saranno in vendita secondo le seguenti modalità:– in prevendita tramite il sito ufficiale della band dalle ore 10:00 del 30 gennaio;– in prevendita generale su MC2Live.it e Vivaticket.com dalle ore 10:00 del 3 febbraio.
Dettagli NOVA TWINS
30 settembre 2025 – Milano, Santeria Toscana 31
Biglietti
MC2 Live | Vivaticket

Tony Boy @ Estragon Club

Soltanto un artista come Tony Boy può vantare un pubblico così fedele. All’Estragon, a Bologna, il pubblico è arrivato con molto anticipo, attendendo con ansia la performance del rapper. Pubblico composto per la maggior parte da giovanissimi, in attesa di vedere il concerto del proprio rapper preferito, forse addirittura il primo concerto della loro vita. 

Lo stile artistico di Tony Boy è, a tutti gli effetti, una ventata di aria fresca nella scena rap/trap italiana, con il classico stile un po’ biascicato che appartiene al genere mumble rap e testi curati che puntano ad un miscuglio di innovazione, ricerca ed empatia.

Sono pochi e sempre più rari i concerti in cui il pubblico rimane così coinvolto. A Tony Boy non servono tante parole tra un pezzo e l’altro, basta che parta la canzone e il pubblico già inizia ad urlare e ad alzare le mani. La sensazione generale che si avverte è proprio quella della brezza leggera durante una calda giornata di agosto. Le strumentali trap composte per la maggior parte da melodie di flauto o brevi riff di chitarra elettrica, i bassi che quasi abbracciano chi ascolta, la voce del rapper che, se anche distorta con l’autotune, regala una sensazione di novità e di fiducia. Probabilmente il pubblico è così fedele perchè Tony Boy è così sul palco come nelle canzoni o nelle interviste: una carezza, una coccola per chi sta male o per chi passa un periodo complicato, ricordando che è anche giusto divertirsi e prendersi lo spazio che ci si merita. 

Wairaki, il produttore del rapper, ha un ruolo fondamentale nell’esecuzione del live. Oltre che cuore musicale per quanto riguarda le strumentali e direttore in console, Wairaki durante il concerto ha doppiato le barre di Tony Boy (quindi ha ripetuto le ultime parole di un verso, rafforzando il significato e l’effetto sonoro) e ha spesso incitato il pubblico a fare rumore o cantare il ritornello insieme all’artista. 

Anche la scenografia non lascia spazio all’immaginazione: il palco è allestito con cancelli, cartelli e siepi, a ricordare una sorta di giungla urbana. Sullo schermo alle spalle del rapper, invece, il video cambia per ogni canzone, proiettando auto da corsa, occhi, cancelli e capre (l’animale simbolo del rapper). 

È un artista che dal vivo riesce a dare tanto e non tradisce le aspettative. Il suo stile è pulito, emozionale e coinvolgente, tanto che tra il pubblico qualcuno si commuove; ma riesce anche a fare pezzi da discoteca e far caricare, saltare e muovere gli spettatori. 

Un rapper, o meglio, un duo rapper/produttore che sicuramente diventerà una pietra miliare nel panorama del rap italiano, che non ha deluso le aspettative e, anzi, col passare degli anni continua ad alzare l’asticella. 

Riccardo Rinaldini

Giallorenzo @ Covo Club

Bologna, 24 Gennaio 2025

La locandina titolava chiaro e tondo: “Il tour che dovevamo fare 5 anni fa”.
Perché se è vero che gli ultimi anni sono stati per tutti un tentativo di ritrovare la strada dopo un susseguirsi di stop, chiusure e limiti imposti dalla pandemia, è altrettanto vero che alcuni artisti, come i Giallorenzo, sono riusciti a resistere e ad arrivare dove meritano: sul palco, a farci sentire i brani del loro primo e acclamato disco Milano Posto di Merda. Descritto dalla stampa come uno dei migliori album indie pop del 2019, non ha mai conosciuto un tour ad esso dedicato. La serata di venerdì 24 gennaio al Covo di Bologna, sold out da più di due settimane, insieme alle date di Torino e Prato di dicembre, rappresenta il punto di arrivo di un percorso che ha visto la band bergamasco-bresciana crescere e perdurare nel tempo, ma anche il punto di partenza di una nuova fase della loro carriera.

Lo stanzone del Covo è già gremito di gente quando si alza il volume delle chitarre dei Tonno, band toscana che porta in scena un indie pop dalle tinte emo-punk. Non ero a conoscenza di questa band, amica di vecchia data dei Giallorenzo, e per essere solo degli opener la risposta del pubblico è stata a dir poco entusiasta. Le loro canzoni vengono cantate a memoria e chi è nella mischia inizia già a surfare sulla gente. Una parentesi che di fatto non è solo un apripista, ma una festa a sé stante.

Alle 22:50 i quattro ragazzi headliner fanno il loro ingresso sul palco. Il clima è intimo e coinvolgente, quasi una reunion tra amici. Si parte con la setlist che tutti aspettano: il primo album, suonato rigorosamente nell’ordine originale, brano dopo brano, con una dedizione che ci ricorda la stessa passione con cui è stato scritto. Le tracce del primo disco, che nel 2019 hanno segnato un piccolo grande punto di riferimento per l’indie italiano, sono accolte dal pubblico come inni personali. Chi salta sulle note di Condizioni Meteo Critiche e chi limona su quelle di Krypton. Ogni singolo passaggio è un tributo a un’esperienza condivisa. Risulta estremamente interessante come, attraverso il racconto della vita di alcuni noti pazzi di Milano, questi ragazzi arrivino a descrivere i drammi di una generazione, i timori, le difficoltà e a parlare, quindi, di ciò che interessa invece ognuno di noi.

“Non pensavo che avreste aderito con così tanto anticipo!” commenta il frontman Pietro Raimondi (Montag), incredulo e decisamente emozionato. Il pubblico partecipa al pari della band a questo live, non si risparmia, soprattutto sottopalco. C’è una connessione tangibile, il pogo non si ferma, le mani si alzano per cercare l’applauso e la sala è ormai un unico grande corpo in movimento.
La serata è cadenzata da alcune pause, piccoli interludi che permettono qualche gag fra i membri del gruppo, bere un sorso di birra o accordare gli strumenti. Una di queste è quella in cui Giovanni Pedersini, chitarrista della band, decide di prendere il microfono e fare una cover di Yellow dei Coldplay. Un momento che potrebbe sembrare fuori contesto, ma che in realtà è parte di un gioco di contrasti che i Giallorenzo hanno sempre amato fare: dalla spensieratezza del pop internazionale alla riflessione sull’esistenza di chi trova pace solo nell’evadere dal mondo comune e razionale.

La fine del concerto forse risulta la parte meno eterogenea della setlist: brani come Provarci dell’album Fidaty (2020) e Megapugno di Super Soft Reset (2022) sfociano una dietro l’altra nell’inevitabile creazione di un grande e unico pogo selvaggio che trova pace solo nell’ultima ballata, Don Boscow.
È stata una festa a tutti gli effetti e l’occasione, per i Giallorenzo, di chiudere un cerchio e farci venire voglia di qualcosa di nuovo con la loro firma.

Concludo con la loro presentazione, che mi ha fatto sorridere: “Insieme siamo… un gruppo di amici, sul palco siamo i Giallorenzo!”

Setlist

118
Rasta che fa le foto
Condizioni Meteo Critiche
Esterno notte
Festa
Krypton
Kevin ragazzo superdotato
Il metodo Perindani
Esselunga Stabbing
Bonti
Tutte le cose
Yellow (Coldplay cover)
Megapugno
Provarci
Cruciverbone
Corolla
Playlover
Caduta
Rhydon
Don Boscow