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Big Thief

Double Infinity

4AD
5 Settembre 2025
di Gianluca Maggi

Double Infinity, il nuovo album di quelli che dieci anni fa erano i promettenti esponenti dell’indie folk americano e ora sono gli affermati e poppeggianti Big Thief, è una potenziale compilation di canzoni da inserire in una commedia romantica degli anni ’90 sul senso della vita e lo smarrimento dei giovani con Ethan Hawke. Ascoltando Words si può facilmente intravedere Winona Ryder che monta i suoi collage documentaristici e, senza muovere alcuna critica a Reality Bites (alias Giovani, carini e disoccupati), che è un film da non perdere con scelte musicali impeccabili, forse era lecito aspettarsi qualcosa di più da un disco che non è una colonna sonora. Le nove tracce che compongono Double Infinity, tuttavia, fanno proprio l’effetto di una colonna sonora regalando un piacevole sottofondo che, come un pianista di pianobar, non ci disturberà. 

Dopo i successi dell’ultima decade, dalla giovanile e fortemente alternative Masterpiece alla delicata e dolente Simulation swarm, si dava per scontata una conferma del trio/quartetto newyorkese che ha invece tradito le aspettative facendo una netta inversione a u nel suo percorso artistico. Ad onor del vero, questo lavoro in studio contiene alcune canzoni buone come l’inaugurale Incomprehensible, da ascoltare sorseggiando un tè quando fuori infuria la tempesta, che porta una ventata di dolce new wave nel repertorio del gruppo o la coppia finale composta da Happy with you (dal testo anaforico, si potrebbe dire per essere gentili e sorvolare sul fatto che in totale conterà venti parole spalmate su quattro minuti, ma caratterizzata da un’andatura che ricorda i Cure di Inbetween days e da una linea di basso di pregevole fattura) e How could I have known che richiama chiaramente le sonorità britanniche degli anni ’60 e si fa notare per i piacevoli cori country che accompagnano gli incisi. Ciò nonostante, l’album ha due, non trascurabili, punti deboli. Uno è la mancanza di soluzioni compositive la cui conseguenza diretta è la ripetitività dei brani, spesso simili tra loro e con una struttura pressoché immutabile che prevede un paio di strofe, altrettanti ritornelli e un finale strumentale con un assolo non trascendentale. L’altro è quel suono, fastidiosamente ultraraffinato e stucchevole, che si sente in quasi tutte le produzioni moderne e che avvolge anche questo lavoro. 

Mi sono chiesto a lungo come avrei potuto rendere, in modo allegorico, le sensazioni che provo ascoltando questo disco finché non ho capito che la risposta si trova nella città dove è stato concepito e registrato: la grande mela, la città che non dorme mai, Gotham City, New York. Ecco, dunque, la folgorazione di cui avevo bisogno: Double Infinity è come un quartiere di Manhattan dopo la gentrificazione, dove i piccoli caffè letterari frequentati da personaggi bohemien hanno lasciato il posto all’ennesimo starbucks pieno di hipster, dove il CBGB è morto e al posto di una piccola hamburgheria con la porticina verde fosforescente c’è lo sportello automatico di una banca. Allo stesso modo, il sound dei Big Thief si è ripulito, probabilmente un po’ troppo, si sentono meno le chitarre ed è tutto arrotondato e privo di mordente. E si potrebbe fare un discorso analogo riguardo ai testi, un cocktail di filosofia spicciola, delusioni amorose, aeroplani persi e storie di vita quotidiana che non riesce a lasciare il segno. 

In definitiva, non si può dire che Double Infinity sia terribile o inascoltabile (Metal machine music lo è, ma non vuol dire); è un disco di facile ascolto, un disco che non può non piacere, e forse è proprio questo il suo problema.