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Tag: futura 1993

Subsonica, diciamoci la verità: c’era davvero bisogno di Microchip Temporale?

I latini dicevano “ubi maior, minor cessat”, una frase che dovremmo ricordare sempre e che potremmo tradurre con “laddove ci sono i grandi, lì cadono i piccoli”. Ecco, quando ho ascoltato per la prima volta Microchip Temporale, il rifacimento in featuring con i grandi nomi della nuova scena per l’anniversario dell’arcinoto Microchip Emozionale, dei Subsonica, quella è stata la prima frase a venirmi in mente. Non un grande inizio, insomma, ma andiamo per ordine.

Quando nel 1999 è uscito Microchip Emozionale io avevo due anni, quindi va di conseguenza che questo album io l’abbia scoperto più tardi, capendolo e assimilandolo in una luce diversa ed estratto completamente dalla sua contemporaneità. Eppure l’ho amato dal primo ascolto, imparando sin da subito quale fosse stato l’impatto che un progetto come Microchip Emozionale aveva avuto sulla musica di quel periodo, cambiandola radicalmente.

Ecco, potremmo dire che esistono dei momenti di trasformazione e che questi momenti, talvolta, vengono sanciti da album. Microchip Emozionale e i Subsonica stessi sono stati esattamente questo: una sorta di incoronazione, uno spartiacque nella musica italiana. 

Insomma, per riassumere, Microchip Emozionale è stato e tutt’ora è, per moltissimi, una sorta di testo sacro. E i testi sacri non si toccano. Mai. 

Microchip Temporale è stato pensato come una sorta di album di duetti in cui gli ospiti sono quelli che ancora ci ostiniamo a definire i “nuovi” nomi della scena musicale, e che invece ne sono protagonisti da un bel po’, sia rap che elettronica che nel nuovo cantautorato. Quelli, insomma, che fino a qualche anno fa avremmo definito indie rap e che ora sono quelli che riempiono i palazzetti. In ordine di comparsa e senza bisogno di grandi presentazioni troviamo: Willie Peyote, Nitro, ComaCose e Mamakass, Elisa, Motta, Lo Stato Sociale, Coez, Cosmo, Achille Lauro, Ensi, FASK, Myss Keta e Gemitaiz. Un ventaglio di possibilità che avrebbe potuto davvero rendere quello che è stato un album di culto per la scorsa generazione, un album di culto per quella nuova, che sta scoprendo la faccia di Samuel sui banchi della giuria di X-Factor.

Partendo con queste premesse, posso dire che l’attesa di un progetto come Microchip Temporale è stata più curiosa che scalpitante per me, ma ero pronta a far sì che il genio (perché di genio si tratta) della band rivoluzionasse tutte le mie aspettative; che ribaltasse il risultato, per dirla alla Borghese. Così è stato perché io ero pronta ad arrabbiarmi, infastidirmi, aggrottare le sopracciglia e innamorami ancora di più grazie all’apporto di alcuni tra gli artisti che popolano maggiormente le mie playlist. Invece l’unica cosa che ho fatto è stato rimanere impassibile, sopportare un solo ascolto, skipparne alcune al secondo. Per farla breve, il giorno dopo, per me, eccetto alcune rarissime eccezioni, Microchip Temporale non era mai esistito.

Perché il grande difetto di questo progetto è che strizza troppo l’occhio alle nuove generazioni, ma poi effettivamente non lo fa abbastanza. Gli ospiti del disco, invece di regalare qualcosa di nuovo e superarsi, danno la spintarella che non ti sposta granchè, non ti fa volare, una via di mezzo.

Certo le mie aspettative erano molto alte, tanto che il confronto con il precedente muore nel momento stesso in cui viene fatto. La mia apertura mentale in questo caso si riduce per affetto, ma la verità è che le aspettative dovevano essere troppo alte, il confronto doveva essere vincente e queste chiusure mentali dovevano essere distrutte e spalancate al primo ascolto. In questo progetto bisognava osare al massimo, usare la massima reverenza, esattamente come si fa nei confronti di un capolavoro, non utilizzare soltanto questo remake per rilanciare l’immaginario di una band sull’onda dell’attenzione televisiva. 

Ammetto che ci sono dei momenti di grande bellezza, in particolare grazie a Motta a cui viene affidata Tutti i Miei Sbagli, che riesce a rendere il manifesto di una generazione ancora più grande, ancora più bello. Inoltre, grazie a Cosmo, che si consacra ancora come il Dio indiscusso dell’elettro pop, Disco Labirinto rinasce completamente. Giusta Myss Keta che in Depre si trova nella sua comfort zone e che alla fine si porta a casa in scioltezza un brano adatto a lei e chapeau anche per i Fast Animals and Slow Kids su Albe Meccaniche, la voce di Aimone regala quel quid in più.

Grande delusione per Willie Peyote (il cui talento e la cui capacità espressiva non vengono qui messe in discussione) che, dopo un tour con la band, in Sonde rende molto meno delle aspettative. Per gli altri rapper ci si aggira intorno alla sufficienza, a volte risicata. Non fanno gol nemmeno i Coma Cose, Lo Stato Sociale e – per assurdo – Coez, nettamente surclassati dall’imponenza delle canzoni.

Microchip Temporale è un album da sufficienza, sufficienza che c’è tutta, non fraintendetemi. Certo che la sufficienza, quando viene presa dal più bravo della classe, alimenta più delusione di un due e alla fine quello che torna è che forse tutti avevano una paura reverenziale nei confronti di questo gigante, tanto che, stavolta, su Davide ha vinto Golia. Forse, ancora, ricordavamo troppo bene il capolavoro e questo rifacimento resta troppo abbozzato. Quello che sappiamo per certo è che se questo album doveva rubare il posto al suo genitore ovvio,  non ce l’ha fatta. Perché non toglie, certo, ma non da’ quanto dovrebbe. E noi, dai più bravi della classe, volevamo la lode.

 

Mariarita Colicchio

 

La riscoperta del territorio come forma di creatività

La Linecheck Music Week ha offerto la possibilità di assistere a panel di approfondimento senza dubbio unici e in grado di mostrare prospettive nuove sul mondo musicale.

Uno di questi è stato l’incontro avvenuto sabato 23 Novembre in una delle learning rooms di BASE Milano, il cui tema è stato il turismo culturale e la costruzione di una comunità come occasioni per rilanciare un territorio. A intervenire alla discussione, moderata da Alessandra Di Caro di Butik, erano presenti Maurizio Carucci, cantante degli Ex-Otago, con la sua compagna Martina Panarese, proprietari di Cascina Barban e promotori del Boscadrà Festival, Daniela Frenna di Farm Cultural Park e Federica Verona del Festival delle Periferie di Milano.

Il focus del panel era volto a comprendere come poter riqualificare meglio una zona geografica tramite attività culturali capaci di coinvolgere gli abitanti e non solo. A tal proposito sono degli ottimi esempi quelli portati da Daniela Frenna e Federica Verona. La prima si occupa di Farm, una vera e propria galleria d’arte e residenza per artisti situata a Favara, in provincia di Agrigento. È il risultato del recupero di un quartiere fortemente colpito dalla criminalità e dall’abbandono sociale, in cui si è inserita una realtà nuova, con l’obiettivo di raggiungere una rigenerazione urbana. Il luogo è caratterizzato da una serie di edifici collegati tra loro in cui sono ospitati workshops, installazioni e attività di vario tipo pensate anche e soprattutto per i giovani. Dopo alcune diffidenze iniziali il progetto si è rivelato vincente portando un ottimo flusso turistico nel paese, favorevole per l’indotto economico.

Simile è ciò che è accaduto con il Festival delle Periferie di Milano, nato con la speranza di dare voce alle zone più periferiche e marginali della città, permettendo uno scambio di prospettive, idee e influenze tra coloro che ci abitano grazie a eventi interdisciplinari. I promotori del festival hanno girato per due anni Milano quartiere per quartiere, intervistando i residenti e scoprendo una grande varietà di storie troppo spesso ignorate. Il tutto in un’ottica che possa far ragionare sul tema della gentrification, sempre più d’attualità.

Maurizio e Martina hanno raccontato della loro esperienza di agricoltori e produttori di vino in una realtà come quella della Val Borbera, in Piemonte, al confine con la Liguria, dove si sono trasferiti da Genova, loro città d’origine, una decina di anni fa. In Val Borbera non sono presenti infrastrutture moderne e si respira un’atmosfera ancora piuttosto rurale, che permette loro di mantenere il contatto con la gente del posto. La cascina in cui vivono è appunto la Cascina Barban, che nel corso del tempo ha spinto in maniera significativa per una riscoperta della lentezza tipica della vita quotidiana sull’Appennino. Maurizio ha posto un’interessante riflessione, secondo cui bisognerebbe ripensare a cosa si intende per “tutto” e “niente”, dato che molto frequentemente ai due termini viene attribuito un significato univoco ben preciso, che, però, può essere rimodulato. Per portare avanti questa idea il cantautore ha così promosso la realizzazione di un documentario di prossima uscita, intitolato Appenino Pop, con il desiderio di mostrare il grande numero di meraviglie naturali e di sentieri presenti in Val Borbera, valorizzando una zona d’Italia dimenticata e sottovalutata in molti casi. A tutto questo si aggiunge il Boscadrà Festival, organizzato dalla coppia il primo fine settimana di Luglio ogni anno dal 2012, da loro definito come “festa rurale”, dove i loro ospiti si riuniscono per stare insieme, bere buon vino e ascoltare la musica sotto le stelle immersi nella natura. Un’esperienza decisamente significativa che negli anni si è ingrandita sempre di più fino ad arrivare a quasi 1000 presenze nell’ultima edizione. Maurizio e Martina hanno sottolineato come la loro non sia stata una fuga volontaria dal mondo urbano, non rifiutano affatto la città, hanno semplicemente trovato un modo nuovo di affrontare la modernità, riscoprendo le cose semplici di tutti i giorni. Maurizio non ha dubbi nel considerare tale contesto favorevole per la sua creatività, la quale riesce ad essere maggiormente stimolata dal contatto umano più profondo e dall’assenza delle distrazioni talvolta eccessive tipiche delle metropoli. Molte canzoni degli Ex-Otago sono nate tra le pareti della Cascina, dove il cantante della band ha anche un piccolo studio casalingo attrezzato per la registrazione. Infatti, tutte le voci degli ultimi dischi le ha registrate lì, dimostrando, dunque, che vivere in provincia non sia necessariamente un fattore negativo per un lavoro come il suo.

Ascoltandoli parlare si ha la netta impressione che l’arte possa vivere ed essere florida ovunque si creda, basta soffermarsi sulla realtà con maggiore attenzione, cogliendo un possibile grado poetico in qualunque cosa. Significativa, allora, una frase di Maurizio, perfetta per sintetizzare l’idea alla base del panel: “In questi luoghi apparentemente non c’è nulla, ma proprio per questo forse c’è tutto.”

L’incontro è stato la prova che la musica e le produzioni artistiche non hanno vincoli spaziali e geografici, mettendo in luce un prezioso sguardo laterale. Insomma, come ogni anno il Linecheck si conferma essere un raccoglitore di prospettive non scontate e utili per immergersi nel mondo musicale con punti di vista inediti.

Filippo Duò

A EMERGO il live multisensoriale di Mr Everett

Mr Everett rappresenta un elemento di assoluta innovazione e diversità nel panorama italiano e non solo. La sua particolarità è quella di essere un progetto ibrido, dall’identità collettiva che sfugge alla tradizionale definizione di “band elettronica”, identificandosi piuttosto come live show performativo. 

Il concept alla base del progetto ruota attorno alla storia del cyborg Rupert e dei suoi compagni Mr Owl, Mr Fox e Mr Bear, Umanimals un po’ animali e un po’ umani. La compiutezza della loro proposta artistica si raggiunge prendendo parte ad un live: dal vivo sono in grado di creare un’esperienza audiovisiva, sensoriale e immersiva a 360°. L’interazione fisica di Rupert e il pubblico è uno dei momenti più forti e coinvolgenti delle performance. L’impianto scenico del progetto stravolge lo spazio del palco trasformandolo in una vera e propria dimensione parallela, tra il dancefloor del club e lo spettacolo audiovisivo completo di proiezioni, fumo e luci.

Il loro primo lavoro è l’EP Uman, del 2017, dalle sonorità sperimentali e internazionali, dove già possono scorgere i semi del futuro dei Mr Everett. Nel 2018 è uscito il primo album Umanimals, che ha portato avanti il loro racconto visivo e sonoro, ribadito in seguito anche nel nuovo brano Keep Breathing, ideale prosecuzione del disco. 

Il 27 novembre si esibiranno con Daykoda e Venerus nell’ultima giornata di EMERGO – Correnti per cambiare rotta, festival di installazioni, performance artistiche e musica che si terrà a Cesena nel corso di tutto il mese di novembre. EMERGO vuole dare la possibilità di organizzare attività culturali, di esplorare luoghi e spazi in apparenza decadenti o, al contrario, percepiti come inviolabili, un’attività intergenerazionale per cercare nuove rotte o, almeno, abbandonare un porto sicuro, non troppo al largo e guardando sempre il proprio faro. 

Per l’occasione abbiamo deciso di parlare un po’ con loro, approfondendo l’immaginario alla base del progetto e la loro personalissima idea di live. Ecco cosa ci hanno detto. 

 

Ciao, ci raccontate un po’ come è nato e come si è evoluto il progetto Mr Everett?

“Mr Everett è un progetto performativo a 360 ° che nasce dalla nostra idea comune di raccontare il rapporto tra umano, tecnologia e ambiente circostante (inteso come natura). Tutto è nato dalla macchina: il cyborg Rupert è stato costruito nel 2015 e da li tutto è cominciato. Mr Everett è figlio anche delle nostre esperienze pregresse nella danza, nella musica e nel teatro. Durante questi quattro anni di attività abbiamo collaborato con moltissimi artisti nei campi più disparati: dal design, alla danza contemporanea, all’illustrazione e persino la pittura. Come Mr Everett abbiamo sempre voluto far coesistere i numerosi input che ci dava il rapporto con la tecnologia.”

 

Il vostro immaginario visivo è senza dubbio di forte impatto, cosa lo ha ispirato?

“Gli immaginari visivi di riferimento sono numerosi, ma principalmente legati alle graphic novels: dai manga giapponesi come Ghost in The Shell, Neon Genesis e Akira, ai fumetti di Moebius e Dylan Dog. Non a caso in Umanimal – il nostro primo album – ogni pezzo è accompagnato da una tavola specifica, realizzata da Fabio Iamartino (in collaborazione con Grifo Dischi e Dischirotti), che rappresentava graficamente il racconto del brano. Durante i nostri live, i visuals, curati da Mr Bear sono parte integrante della storia: permettono a Rupert e gli Umanimals di ‘entrare’ in un ambiente diverso per ogni canzone.”

 

L’anno scorso, come avete anticipato, è uscito il vostro primo album, Umanimal, basato su un concept narrativo molto particolare, ce lo spieghereste?

“Umanimal contiene alcuni concetti che vorremmo comunicare come Mr Everett: il rapporto tra umano e natura, come quello tra umano e tecnologia, evitando di mettere l’uomo al centro. I brani parlano del viaggio di Rupert, un cyborg. In un mondo martoriato da un’umanità confusionaria e parassita, il cyborg Rupert viene inviato in un’altra dimensione per scoprire una via alla vita differente. Si risveglia qualche tempo dopo, incontrando gli Umanimals, suoi discendenti diretti, che decidono di riportarlo sulla terra. In questo viaggio Rupert ri-esplora se stesso, la natura umana e la natura terreste, tentando di capire il suo posto nel mondo.”

 

Ascoltando i pezzi è netta la prevalenza di un sound elettronico ma è possibile individuare anche molte varietà stilistiche, come avete lavorato in fase di produzione?

“Ci hanno definiti ‘post-club’: la nostra musica prende le atmosfere da club e le porta da qualche altra parte. Ogni brano ha una sua coscienza stilistica, che sicuramente si basa su delle sonorità elettroniche. Il lavoro è partito principalmente dalla voce, artificiale e umana. Mr Owl e Rupert comunicano con due vocalità apparentemente sconnesse, ma che si arrampicano l’una sull’altra. La maggior parte dei campionamenti che abbiamo utilizzato sono vocalizzi, originali e registrati. Allo stesso modo abbiamo cercato sonorità orientali, che richiamassero l’immaginario visivo dei manga come in Japanese Safari e Gamelan.”

 

Quali sono state le principali influenze sonore alla base del vostro lavoro?

“Numerose, chiaramente. La dolcezza pop di James Blake, la garage contemporanea dei Disclosure, così come FKA Twigs e The XX, dei quali abbiamo pubblicato una cover mash-up.”

 

È uscito da poco il nuovo singolo Keep Breathing: di cosa parla e come è stato realizzato?

“Keep Breathing è una sorta di saluto a Umanimal e un’apertura verso un nuovo corso di Mr Everett. Rupert è più introspettivo, nuota nel ‘wetware’, un ammasso di liquido e dati che rappresenta la sua mente confusa, e tenta di salvarsi continuando a respirare, tenendosi stretto alle cose che crede di sapere. Nel tempo non lineare di Mr Everett, Keep Breathing può trovarsi prima, dopo o persino durante Umanimal, non ha una collocazione storica precisa. Lo abbiamo mixato e masterizzato con Andrea Suriani, all’Alpha Dept Studio di Bologna, con il quale avevamo anche lavorato per Umanimal.”

 

La vostra forza è sicuramente il live: nei concerti create un’esperienza multisensoriale innovativa. Cosa volete comunicare al vostro pubblico?

“Nell’ottica di unione tra umano e altro, l’artista e il pubblico partecipano a Mr Everett. Il nostro viaggio non è soltanto musicale, come già detto, ma anche visivo e performativo. Rupert si muove tra il pubblico, balla con il pubblico e può essere persino suonato dagli spettatori. La danza, i visuals, la performance e la musica collaborano per rendere l’esperienza più coinvolgente.”

 

Quali sono i vostri progetti artistici per il futuro?

“Dopo quasi quattro anni di concerti abbiamo deciso di prenderci un periodo di pausa – uno stop dalle performance live, per ricaricarci e ricaricare Rupert. Non vogliamo svelare i piani futuri, per il momento preferiamo aspettare in silenzio.”

 

Il 27 novembre suonerete a Cesena in occasione del festival EMERGO. Cosa dobbiamo aspettarci da voi?

“Sarà l’ultimo live del 2019 e poi, come detto, ci prenderemo una meritata pausa. Siamo entusiasti di poter condividere il palco con due artisti speciali come Daykoda e Venerus, come siamo contenti di tornare a Cesena, dove abbiamo un rapporto duraturo con i ragazzi del Vista Mare che organizzano EMERGO. I nostri live sono sempre pieni di sorprese, quindi vedere per credere!”

 

Filippo Duò 

La nuova sfida di Funk Shui Project & Davide Shorty

Squadra che vince non si cambia: i Funk Shui Project tornano sulla scena, di nuovo in collaborazione con Davide Shorty, con un nuovo disco, La Soluzione, che sembra, già a partire dal nome, la naturale evoluzione del precedente lavoro, Terapia Di Gruppo. Nella pausa fra un album e l’altro, la formazione ha consolidato questa affiatata collaborazione, ha messo a fuoco alcune delle tematiche messe in luce fino ad oggi e approfondito argomenti, come quello dell’incertezza che ci riserva il futuro e quello dell’attenzione alla salute mentale, che fungono da spunto di riflessione e immedesimazione per chiunque si approcci a questi nuovi pezzi. Li abbiamo incontrati a Milano poco prima dell’uscita de La Soluzione, e ci hanno raccontato parecchie cose sulla genesi di questo nuovo lavoro e sulla vita che conducono come musicisti. 

 

Ciao ragazzi, come state? Com’è andata l’apertura a Daniel Caesar? Avete avvertito la responsabilità di salire su quel palco?

Jeremy: “Sicuramente è stata un’esperienza pregevole, esibirsi su un palco importante come quello del Fabrique è sempre bello. Daniel Caesar è un artista super valido, l’emozione è stata fortissima.”

Natty Dub: “Sì, abbiamo notato che appena saliti sul palco eravamo emozionati, che è una cosa che non ci capitava da un po’.”

Davide: “Sì, io per la prima volta da tempo, poco prima di salire sul palco ho avuto proprio la tachicardia, il cuore in gola, come si suol dire. Per me Daniel Caesar è una delle più grosse influenze dell’ultimo anno sicuramente, sia Freudian che Case Study sono due dei dischi che ho ascoltato e riascoltato.”

 

Quindi ve lo siete goduti anche come spettatori. 

Natty Dub: “Certo. È stato piacevole poi, al termine di tutto, poter avere a che fare con lui e la sua band, che tra l’altro si sono pure complimentati con noi per il nostro show, hanno apprezzato molto.”

Davide: “Daniel si è fermato a parlare con noi, ci ha chiesto cosa pensavamo del suo live e di come suonasse. Addirittura ci ha chiesto se avremmo aperto anche un’altra data delle sue (ridono).” 

 

Faccio un passo indietro: leggo ovunque che il vostro nome ufficiale è “Funk Shui Project & Davide Shorty”. È così che vi sentite? Vi rispecchiate in questo nome, quindi in due entità separate?

Natty Dub: “Mah, in realtà inizialmente volevamo uscire come Funk Shui Project e basta, proprio perché questo progetto prevede cambi di formazione o cambi di sonorità. Determinati vincoli discografici che avevamo all’epoca ci hanno portato a dover distinguere i due nomi, ma questo non toglie il fatto che noi ci sentiamo un unico gruppo, un’unica band, un’unica realtà, e probabilmente non è detto che continueremo a usare questa nomenclatura anche in futuro, vedremo.”

Davide: “Ma sì, poi rigirata non suona neanche male, ricorda tipo gli Sly & The Family Stone, George Clinton and The Parliament Funkadelic (ride). Perché no?!”

 

Come nascono i vostri pezzi? Qual è il vostro processo creativo?

Jeremy: “È una filiera corta: Dub fa il beat, io il basso, poi finisce a Davide. Poi chiaramente si va in produzione con tutti i disegni del resto degli strumenti.”

Davide: “La definirei quasi una catena di montaggio poetica, perché in questo caso non è un processo meccanico come quello tipico della fabbrica.”

 

I generi a cui attingete e a cui vi ispirate si basano spesso sull’ispirazione: quanto di questo accade anche durante la creazione dei pezzi e durante i vostri live? 

Davide: “Io personalmente amo fare freestyle, infatti in ogni live c’è uno spazio dedicato, mi piace interagire con il pubblico in maniera call and response. Sicuramente in studio c’è una buona dose di improvvisazione; senza quella non riusciremmo a creare. La prima cosa che faccio ogni volta che si crea un beat nuovo è improvvisare delle linee melodiche per capire cosa potrebbe starci bene. È tutto un go with the flow, lavoriamo in maniera molto naturale, quando una cosa non suona forzata significa che è quella giusta.”

Jeremy: “Se invece intendi l’improvvisazione jazzistica, certo ci ispiriamo tanto a quel tipo di musica, io personalmente poi ascolto tantissimo jazz… però non sono un jazzista. Live quindi non concepiamo tanto l’improvvisazione, anche perché amiamo, in termini di genesi del progetto, poter riprodurre quello che effettivamente produciamo.”

Davide: “È molto bello perché costruiamo il live insieme, e fino ad oggi è stato naturale riuscire a trovare un compromesso per cui tutti siamo soddisfatti di quello che mostriamo al pubblico. Non è sempre così, parlando con tanti colleghi ci rendiamo conto che non è semplice trovare un organico in cui si riesce a collimare tutte le teste, facendole andare d’accordo. Da questo punto di vista siamo davvero fortunati.”

Jeremy: “Io però vorrei comunque essere un jazzista, ma questo è un altro discorso, un’altra intervista (ride).”

 

Essendo le vostre sonorità molto internazionali, siamo spessi abituati a sentirle abbinate a un cantato in lingua inglese: avete mai incontrato difficoltà nell’adattare la lingua italiana al vostro sound?

Natty Dub: “Ascolto pochissime cose in italiano, e quelle che scelgo non sono contemporanee. Questo influenza il nostro modo di fare musica: in questo nuovo disco ci sono dei sample di musica italiana, di musica d’altri tempi, forse poco conosciuta, di compositori tipo Piero Umiliani e Ennio Morricone, quindi musicisti italiani che già all’epoca si affacciavano più ad un pubblico internazionale.”

Davide: “Anche perché penso sia d’obbligo inserire qualcosa che fa parte della nostra tradizione e della nostra storia, per mantenere qualcosa delle nostre radici mentre facciamo un genere che per background culturale in realtà non ci appartiene, ma che abbiamo studiato talmente tanto che in un modo o nell’altro è diventato anche nostro. Per quanto mi riguarda, ho scoperto il soul, il funk e il jazz a partire dall’hip hop, perché quando ho iniziato a fare rap mi sono trovato a dovermi fare le basi da solo e ho dovuto cercare dei campioni proprio nei dischi soul, funk, jazz. In ogni caso, penso sia importante essere specchio di quello che è il proprio tempo, nel modo più genuino possibile, nei confronti della musica e della cultura, che è una cosa che purtroppo in Italia non siamo abituati a fare. Per quanto riguarda l’utilizzo della lingua italiana, sicuramente tutti noi che abbiamo collaborato con questa formazione abbiamo una propensione alla selezione delle parole: scadere nel già sentito in italiano è molto facile, perché è una lingua estremamente dettagliata, e fare poesia e musica in italiano richiede dei suoni e delle parole ben precise per non sembrare scontato e banale, noi non vogliamo fare qualcosa che esiste già traducendolo in italiano, ma creare qualcosa di propriamente italiano che si ispira ad altro, ed è sottile la differenza.”

 

Il vostro nuovo album si intitola La Soluzione, e arriva dopo il vostro lavoro Terapia Di Gruppo. Questo album è un’evoluzione del precedente, come suggerisce il nome?

Jeremy: “Beh, è voluto, anche se non a tavolino. È stato un processo naturale.”

Natty Dub: “Ci sono tante cose, in questo disco, che mostrano un percorso di predestinazione, a partire dalla grafica. Abbiamo affidato entrambe le copertine ad Ale Giorgini, il nostro illustratore, e lui per realizzarle ha voluto semplicemente ascoltare le canzoni. Ne è emerso un primo disco dalle atmosfere più notturne, sul blu, e un secondo che ricorda il crepuscolo, sui toni dell’arancione, come dalla notte al giorno. Anche per quanto riguarda la musica, abbiamo puntato all’essenzialità, c’è meno arrangiamento dell’album precedente e meno sovraincisioni. Anche i testi, in “Terapia Di Gruppo” erano più simili a un flusso di coscienza, mentre qui certi messaggi sono più a fuoco. C’è più chiarezza e consapevolezza di quelle emozioni che trattavamo nell’album precedente.”

 

Una delle tematiche che mi ha colpito è quella dell’incertezza del futuro. Voi fate un lavoro che, più di altri, espone al rischio di precarietà, come vi sentite a riguardo?

Jeremy: “Arrivando da quindici anni in cui sono stato costretto alla subordinazione lavorativa per poter guadagnare uno stipendio che mi consentisse di coltivare questo sogno, ora me la godo con tutte le ansie del caso, penso “ben venga!”. Possiamo dire di farlo di professione, ed è una cosa che non scambierei con tutte le certezze di questo mondo.”

Natty Dub: “Certo è che bisogna fare dei sacrifici, perché nel caso di me e Jeremy, per portare avanti questo progetto abbiamo dovuto abbandonare tutti gli altri, musicali e non, che ci supportavano economicamente. Io consiglierei quindi a chi vuole intraprendere questa strada di concentrare tutte le proprie energie su un unico progetto, quello che più si sente proprio.” 

Davide: “Dal canto mio, posso dire che psicofisicamente è veramente dura. A livello psicologico devi imparare a volerti bene, perché non tutte le date vanno bene e ti danno la stessa soddisfazione. Devi ricordarti perché lo fai. È importantissimo anche riposarsi, soprattutto per me che uso la voce, tutte le mancanze che ho dal punto di vista fisico e lo stress psicologico si riflettono immediatamente sul modo in cui canto.” 

 

A proposito di tour: come imposterete i prossimi live? Ci sarà qualche cambiamento?

Jeremy: “Ci sarà Johnny Marsiglia, e questo già presuppone un’innovazione allo show. Porteremo il disco nuovo più qualche grande classico (ride) di Terapia Di Gruppo. Cercheremo di fare sempre di più. Quello che possiamo dirti è che varrà sicuramente la pena di venire a questi live. Abbiamo una voglia matta di suonare i pezzi nuovi.”

Davide: “Ci dicevamo ieri che tanto sappiamo già come andrà a finire, che alla fine di questo nuovo tour avremo in mano il prossimo disco.”

 

Anna Signorelli

“Night club” di Jacopo Et: l’avanguardia del dance pop contemporaneo

Nato a Forlì, ma formatosi nell’ambiente musicale bolognese, Jacopo Ettorre, in arte Jacopo Et, riporta in auge la sfrontantezza tipica del ragazzo di provincia.

Cresce infatti a San Ruffillo, in quel bar dove le giornate scorrono fra motorini, discussioni sul calcio e litri di birre industriali.

Jacopo Et nasce musicalmente l’11 maggio del 2018 con l’uscita di “Fulmini”, che nei mesi successivi viene seguita da “Fuori”, “Golf”,“Grattacieli” (feat. Kharfi) e “Buio”.

Ciò che gli preme è esprimersi liberamente, raccontando quello che lui ama chiamare “il lato oscuro della provincia”, in cui si scovano personaggi tutt’altro che politically correct e viene scansato arduamente ogni falso buonismo.

Lo scorso 19 luglio, distribuito dall’etichetta Fulmini Records ed edito da Sony ATV, è uscito il suo nuovo singolo “Night club”, prodotto da Gabry Ponte, che lo ha affiancato anche nella stesura degli arrangiamenti. Ai mix & master c’è invece la mano di Patrizio Simonini, già noto per il sodalizio con artisti del calibro di Tiziano Ferro, Jovanotti, Franco Battiato.

Non passa affatto inosservato l’artwork, che è stato abilmente realizzato dall’eclettico fumettista Maurizio Rosenzweig.

Il pezzo, “orgogliosamente tamarro”, da un lato richiama uno dei film più cari all’artista, ossia “Fight club” di David Fincher, dall’altro mette in evidenza il tema della notte, uno dei fili conduttori del progetto.

Jacopo Et, in quanto figlio musicale degli 883, ci tiene a sottolineare come questo brano sia inoltre una risposta alla domanda “Come sarebbe stata la regina del Celebrità se fosse stata al Pepe nero?”. Per chi infatti conosce “La regina del Celebrità” degli 883, non può non saltare all’occhio la citazione, che diventa esplicita nel verso che recita“Senza pietà”.

Il fil rouge che lo unisce agli altri brani è decisamente la musica elettronica e l’evidente passione per la retrowave e per la synthwave, per Kavinsky e Perturbator.

Il suo è un progetto che è difficilmente ricollegabile a qualcosa di già presente sulla scena musicale, infatti l’artista rifugge qualsiasi etichettatura o categorizzazione.

Molto atteso è l’EP, che, in uscita venerdì 26 luglio, conterrà anche tre brani inediti: “Benzinaio”. “Luci”, “Cani randagi”.

Si conclude così il primo ciclo del percorso artistico di un ragazzo che, con un mix letale di provincialismo applicato ad un accenno di musica pop elettronica e una buona dose di arroganza benevola, tenta di fare del pop senza parlare di lacrime, abbandoni o addii.

 

Greta Samoni

 

 

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Eco Sound Fest 2019: Playlist di Futura 1993

A Caprarola torna l’Eco Sound Fest: ecco la playlist per il festival che guarda all’ambiente

Dal 26 al 28 luglio tanta musica italiana in una cornice suggestiva, per un’esperienza da vivere a 360°

 

L’estate è da sempre il terreno fertile per momenti di aggregazione e serate tra amici e da un po’ di anni il palcoscenico dei più importanti festival musicali. Nel pieno della stagione delle rassegne, non poteva mancare l’Eco Sound Fest giunto alla sua settima edizione e ospitato dal Parco delle Ex Scuderie Farnese di Caprarola (VT) dal 26 al 28 luglio 2019.

 

L’Eco Sound Fest nasce da un’idea della Proloco Giovani con l’obiettivo di unire la promozione della creatività giovanile, in particolare legata alla produzione musicale, al rispetto dell’ambiente: leit motif di questo festival sostenibile, ormai punto di riferimento per chi condivide l’impegno di ridurre l’impatto ambientale, gli organizzatori hanno allestito il parco con ornamenti costruiti attraverso il riciclo creativo e, durante la manifestazione, sono previsti l’utilizzo soltanto di materiali ecocompatibili e una politica corretta di smaltimento dei rifiuti. Bottiglie, lattine, vecchie ruote e biciclette non sono più materiale di scarto, ma risorse preziose con cui decorare le diverse aree del parco.

 

Un palco tutt’altro che convenzionale, immerso tra le bellezze artistiche rinascimentali e i paesaggi incontaminati, vedrà esibirsi nei tre giorni Noyz Narcos, Nada, Canova, Claver Gold, Psicologi, Peter White, Pippo Sowlo e tanti altri, all’interno dell’affascinante terra della Tuscia, scenario perfetto che permetterà al pubblico di godere di un’esperienza a 360°: non solo musica con la sua area concerti, ma anche un’area campeggio attrezzato di docce e bagni, un’area relax, un’area espositiva, un’enoteca e un’area ristoro con piatti locali e stagionali per ogni tipo di intrattenimento e comfort. A pochi passi dalla location del festival, la Villa Farnese, il borgo medievale di Caprarola e la riserva naturale del Lago di Vico, raggiungibile con un servizio navetta.

 

L’ingresso di ogni giornata costa 5€, tuttavia è possibile acquistare un abbonamento che garantisce l’accesso a tutte le serate del festival al costo di 10€ (il prezzo di quest’ultimo aumenterà nei prossimi giorni). Tickets e abbonamenti acquistabili sulla piattaforma Do It Yourself: https://www.diyticket.it/festivals/123/eco-sound-fest-2019.

 

LINE-UP

Venerdì 26 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€ (early bird)

T.B.A. / Claver Gold / Noyz Narcos

Sabato 27 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€

Pippo Sowlo / Psicologi / Canova

Domenica 28 luglio – inizio concerti ore 20,30 – ingresso 5€

T.B.A. / Peter White / Nada

 

Per ulteriori informazioni: Pagina Facebook http://bit.ly/2rzmRZe – Evento https://bit.ly/2YMLcHS

 

Non perderti la nostra playlist dedicata agli artisti dell’Eco Sound Fest! Sono presenti i successi degli artisti dell’edizione 2019, da quelli dell’ultimo album di Noyz Narcos Casa mia e Mic Check, Domenicamara e Shakespeare dei Canova, inni indie pop al sapore di libertà, fino a Senza un perché della sacerdotessa del rock alternativo italiano Nada anche colonna sonora dell’acclamatissima serie tv The young Pope. Non mancano i progetti musicali protagonisti dell’edizione 2018: il pop romantico d’altri tempi degli Ex-Otago Quando sono con te, la penna visionaria e insieme concreta di Rancore (visto al Festival di Sanremo lo scorso febbraio), l’irriverenza folk e mai scontata di una delle proposte più fresche degli ultimi anni Eugenio in via di gioia Chiodo fisso e Giovani illuminati.

 

Dale: la rivincita del pop made in Italy

A volte trovare musica italiana dal respiro internazionale sembra essere un vero e proprio rompicapo. Eppure, il nostro bel paese è pieno di giovani artisti pronti ad affacciarsi al mercato d’oltre oceano. Noi di Futura 1993 ne abbiamo scovata una in particolare: si chiama Dale ed è una promettentissima cantautrice pop dalle origini italo canadesi. Il suo nuovo singolo autoprodotto “Yes, I Will”, uscito martedì 30 aprile, ci parla di rinascita tramite sonorità pop che rimandano ai primi anni 2000. Fresca di questa nuova uscita, abbiamo deciso di farle qualche domanda per scoprire la sua storia, la sua musica e le sue ispirazioni.

 

Ciao Dale! È appena uscito il tuo ultimo singolo “Yes I will”, ci racconti cosa significa questo brano per te? 

Ciao! È appena uscito e ne sono molto contenta. Sono stata lontana dalla scena inedita per un anno e questo brano segna il mio “ritorno sulla scena” con conseguente e decisivo cambio di rotta sul piano artistico. Ho variato il team, provato nuove collaborazioni e ho tirato fuori un brano che nessuno si sarebbe aspettato da me con un testo che racconta tutti i rifiuti che mi hanno frenata molte volte e il perché non succederà mai più.

 

E come sta andando l’accoglienza da parte del pubblico?

Con “Yes, I Will” ho deciso di complicarmi le cose: a differenza dei singoli precedenti non ho

potuto contare su collaborazioni o partecipazioni di enti/persone per la diffusione del brano: in questo caso sono solo io e ogni consenso che sto ricevendo per me vale il doppio perché è stato ottenuto con le mie sole forze. È stata una piacevole sorpresa vedere apprezzato questo mio nuovo sound, mi sta permettendo di allargare il mio pubblico e mi ha chiarito ancora di più le idee sulla strada da seguire.

 

Ora parlaci un po’ di te. Quando e come nasce la tua passione per la musica?

Da che ne ho ricordo, sono sempre stata attratta da tutto ciò che avesse a che fare con la musica. Non c’è stato, dunque, un particolare momento che ha segnato l’inizio di questo grande amore. Sin da piccolissima ho sempre ballato e cantato in giro per la casa seguendo il mio personale concetto di “performance” appreso in primis attraverso lo schermo dalle principesse dei grandi classici Disney. Nel corso degli anni ho poi coltivato la mia passione attraverso studi di danza, canto e recitazione.

 

Domanda di rito ma necessaria, quali ascolti hanno maggiormente influenzato il tuo percorso artistico?

Quand’ero bambina, in macchina durante il tragitto casa-scuola, ho sempre ascoltato le maggiori hit anni ‘80 presenti nelle playlist di mio padre e credo di aver assorbito molto da quei brani. Quando ho cominciato ad ascoltare musica per conto mio, mi sono riconosciuta subito nel pop amando poi sopra tutti Britney Spears. Sono influenzata in generale da tutto il pop dei primi anni 2000 sia femminile che maschile (ad esempio Justin Timberlake) e dalle produzioni di Timbaland e Max Martin.

 

Hai un sound decisamente internazionale e scrivi brani in inglese. Sei italo-canadese ma so che vivi in Italia, cosa ha condizionato questa scelta linguistica?

Ho doppia cittadinanza e doppia nazionalità, sono nata in Italia, parlo in italiano, vivo, mangio e penso in italiano, mi piace l’idea di potermi avvicinare alle altre mie radici esprimendo i miei sentimenti attraverso la musica. È una scelta personale, ma non troppo ponderata perché mi è molto più facile scrivere in inglese. Non nego comunque che un domani potrò sperimentare di cantare in italiano o in francese sempre per restare fedele al mio background familiare.

 

E invece come valuti l’attuale settore discografico in Italia? 

Chiuso, improntato quasi esclusivamente sulla lingua italiana e poco incline all’internazionalità. È un settore che rischia poco, che investe solo su progetti identici tra di loro perché ormai si punta solo su ciò che saprai già di poter vendere, che si alimenta solo tramite personaggi (spesso anche validi) che emergono dai talent o contenuti virali. Secondo me si potrebbe fare molto di più e con ottimi risultati.

 

Con chi ti piacerebbe collaborare, sia in Italia che all’estero?

Sinceramente non saprei scegliere di preciso qualche artista italiano perché non ho ancora

individuato qualcuno che possa avere una visione musicale simile alla mia, in ogni caso sto continuando a monitorare il panorama e magari presto avrò una risposta anche a questa domanda. Per una collaborazione estera… ultimamente mi ha conquistata Ava Max quindi ammetto in tutta sincerità che adorerei collaborare con lei. In ogni caso una collaborazione con una qualsiasi artista pop d’oltreoceano sarebbe sempre e comunque accolta a braccia aperte!

 

Ultima domanda, cosa dobbiamo aspettarci dal tuo progetto? Puoi anticiparci qualcosa?

Sicuramente un altro brano a breve (credo di aver già deciso quale), sto lavorando a delle demo per un progetto parallelo in cui credo molto e lavorando a un featuring che mi vedrà protagonista di una canzone dove probabilmente non canterò solo in inglese… non vedo l’ora!

 

Alice Lonardi

 

Futura 1993 è il network creativo creato da Giorgia e Francesca che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro. Seguici su Instagram, Facebook e sulle frequenze di Radio Città Fujiko, in onda ogni martedì e giovedì dalle 16.30

 

BIRØ – Episodio 3

Ecco il terzo episodio scritto da BIRØ, cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

3 EPISODIO

 

Suono il citofono. Chi me l’ha fatto fare? Perché?
Potevi evitare di fermati a berne un paio prima di arrivare qui.

Sono già brillo e una volta superata la soglia so già che mi butterò a capofitto sul banchetto degli alcolici.

Potresti anche cercare di fare conversazione anziché presentarti ogni volta in queste condizioni.

Che poi con chi parlo? Non parlo con nessuno in ufficio figuriamoci in una situazione così.
Oltretutto saranno tutti ben vestiti, io sono qui con una bottiglia di vino presa in offerta e una camicia che ho stirato seguendo un tutorial di You Tube. Non è nemmeno la più bella che ho. Lei me ne avrebbe dette di tutti i colori, mi avrebbe detto…

Non ci pensare.

Ma che importa? Non ha più importanza lei cosa avrebbe detto.

Guardo nel mio pacchetto di sigarette e constato che ho tredici sigarette in tutto. Tredici. Ne ho fumate tre solo da casa a qui. Non riuscirò mai a sopravvivere.

E’ come la storia della bicicletta.

Mi viene in mente quella storia di Pierino e della bicicletta.
In sostanza Pierino vuol chiedere in prestito la bicicletta a Gianni, il suo vicino. Mentre imbocca vialetto per andare a casa di Gianni comincia a pensare che gli verranno fatte mille raccomandazioni, che le gomme sono appena state gonfiate, che la catena è nuova e che è un ricordo, e che deve trattala bene, di chiudere bene il lucchetto ecc ecc
Così quando arriva a citofonare il vicino si affaccia e tutto quello che Gianni riesce a dirgli è: “Senti Gianni, vaffanculo te e la bicicletta”. E se ne torna a casa.

Ecco, io mi trovo nella situazione: “Vaffanculo te e la tua festa, io me ne torno a casa”.

Sei proprio uno stronzo.

Si, sono uno stronzo. A parte il fatto che avranno messo dell’impegno per organizzare la festa, in fondo il matrimonio dovrebbe almeno essere uno dei momenti di massima felicità per un uomo e io invece me ne sto qui come se non me ne importasse nulla. Anzi, non me ne importa proprio nulla. Io vado con camicie stropicciate alle feste eleganti.

Ad ogni scalino sento il naturale impulso di voltarmi e andarmene, mi dico che sono ancora in tempo, che possono fare tranquillamente a meno di me ma come è ovvio che sia mi trovo davanti alla porta dell’appartamento. Un coglione tutto agghindato mi apre la porta con un sorriso smagliante.

Vaffanculo te e la tua festa        
“Ciao! Come va? Auguri, ho portato una bottiglia di vino non so se…”

“Oh grazie mille, sei stato gentilissimo!”
Hai visto? Sei riuscito ad essere gentile, ti sei presentato proprio come un ometto

“Vuoi qualcosa da bere?”

No grazie, sono a posto

“Volentieri!”

Bravo, bevine ancora quattro o cinque che diventerai l’anima della festa.

Certo che non è il mortorio che pensavo, in sottofondo sta suonando qualcosa che sembra musica da ascensore che si mescola al chiacchiericcio degli invitati, ciò nonostante l’atmosfera sembra molto vivace. Noto un gruppo di colleghi del reparto grafico intenti a parlare tra di loro, uno mi guarda e alza la bottiglia di birra come a proporre un brindisi accompagnato da un flaccido sorriso. Poi ributta la testa nella conversazione.
Testa di cazzo.

Non è che puoi pretendere…

E basta che cazzo, stai zitta pure te.
Chiedo e mi informano che per fumare bisogna uscire sul balcone. Raccomandano di usare il posacenere.
Tutto quello che ho sono tredici sigarette, tasto le varie tasche della giacca in cerca dell’accendino.
Passo due dita sul livido ingiallito ma ancora decisamente gonfio.

Solo ora mi rendo conto di che immagine potrebbe essersi formata questa gente di me. Uno che non parla mai con nessuno, che tendenzialmente sta seduto al suo computer scorrendo dati di fatturato e che un bel giorno arriva con un ematoma gigantesco sulla mascella.

Sei stanco di mentire     
Sono stanco di mentire, soprattutto a me stesso. Non riesco a dirmi e ad accettare le cose come stanno, nascondo la testa come uno struzzo pensando che poi il resto del mondo non mi veda.

Tutto ciò che vorresti è diventare invisibile.

Senza lasciar tracce, fare come se non fossi mai esistito. Senza aver mai fatto del male.

Improvvisamente diventa un ping pong tra le birre e il balcone, parlo poco e ascolto anche meno, guardo le labbra muoversi e semplicemente annuisco con la testa, secco la bottiglia e con una scusa mi allontano per prenderne un’altra che stappo ed esco sul balcone a fumare.

Ripeti l’azione svariate volte. A poco a poco le parole inciampano l’una sull’altra se provi a parlare, le voci attorno si mescolano e anche l’atmosfera sembra più calda. Non sopporti più questo cazzo di jazz in sottofondo, non sopporti più le chiacchiere, non sopporti il fatto di sentirti come se ti avessero fatto l’elemosina, averti invitato qui quando nessuno ti conosce per davvero, nessuno sa chi sei.

Urto contro qualcuno e vengo riportato alla realtà. Cerco di dire semplicemente “scusami”, ma quello che esce sono sostanzialmente solo le consonanti. Non capisco bene cosa mi dice o cosa dice in generale, sento la sua mano che mi batte sul braccio, il suo sorriso che si apre e gli altri attorno a lui che si mettono a ridere. Le loro risate suonano come se fossero moltiplicate per cento.

Vattene, tu non c’entri con tutto questo.

Io non faccio parte di tutto questo.

Vorresti mutare completamente la stanza.          
E poi c’è sempre questo cazzo di jazz di sottofondo.

Prendo la giacca e saluto frettolosamente il padrone di casa.

Non mi sento molto bene, ci vediamo lunedì al lavoro.

Esco dall’appartamento. Barcollo. La discesa in ascensore mi sembra eterna e non appena le porte si aprono mi scaravento fuori dal condominio vomitando nella prima aiuola che trovo.
Eccolo.

Finalmente, il silenzio mi piomba addosso e per un attimo, per un brevissimo attimo tutto sembra veramente in equilibrio. Forse non necessariamente nel posto giusto ma in equilibrio.
Dura un qualche secondo prima che io alzi la testa.

Prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi e mi rendo conto che l’aria è fredda, è gelida. Tiro fuori l’ultima sigaretta. Butto via il pacchetto.

Mi ritrovo a camminare per strada, da solo, cercando di smaltire la sbornia. Sono stanco, veramente stanco. Trascino le gambe, le strade sono deserte. Passa solo un tram che porta qualcuno chissà dove.

Il cellulare vibra.

E’ un messaggio del mio collega che mi chiede se va tutto bene.

Non è mai lei.

Ma vorrei che lo fosse, anche se per mandarmi affanculo, per dirmi che sono stato uno stronzo o anche solo per chiedermi se sto bene e le direi che si sto bene ma cazzo no, non è vero, io non sto bene per niente.

La verità è che ti aspetti una qualche salvezza che ti venga dal cielo.       
Si.

E ti aspetti che accada all’improvviso, che come per magia le cose cambino di punto in bianco

E’ così sbagliato?

E’ anche peggio dell’essere sbagliato. Non è possibile.

Credo di non avere più il controllo, né sui pensieri e nemmeno sulle mie azioni. So quello che faccio ma non riesco a fermarmi.

Vorresti dare la colpa a qualcuno…

ma non c’è nessuno a cui dare la colpa.
Sento ancora di dover vomitare. Mi appoggio alla ringhiera del Naviglio e guardo giù, verso l’acqua buia e silenziosa. Non ne posso più.

Tiro fuori il cellulare e passo il pollice sullo schermo, buio e silenzioso. Come sempre.

Basta, smettila di aspettare

Ma non voglio

Devi. E’ semplice

Davvero è così semplice? Volevo solo essere felice con quello che avevo, e invece ora sembra che tutto quello che avevo è proprio ciò di cui devo liberarmi. Non ci capisco più niente.

Non c’è nulla da capire. Non pensare.

E in fondo….cos’ho da perdere?

E’ questione di un attimo. La mano si apre e non fai in tempo a battere le palpebre che è già successo. Senti solo il rumore del tuffo nell’acqua e se ci provi puoi vederlo scendere verso il fondo mentre il Naviglio inonda la memoria e cancella tutto. L’unico appiglio che avevi oltre ai tuoi ricordi se ne va. Non tornerà più e non tornerai più indietro. Per un attimo ti rendi veramente conto di quello che hai fatto, di quello che è successo e forse di quello che succederà. E’ come un dolore molto forte unito ad un sollievo altrettanto forte. Ti senti come un bimbo che da domani farà i primi passi trascinando un macigno e col tempo ti renderai conto che non è mai stato reale.

Adesso resti solo tu.

E la notte.

BIRØ e la scrittura: un artista fuori dagli schemi

BIRØ è un cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Oggi pubblicheremo appunto il primo di questi.

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

1 EPISODIO

 

Esco dal bar ciondolando. Appallottolo la schedina persa e cerco di fare canestro in un cestino vicino. Inutile dirlo, la pallina di carta cade molto prima del cestino.
Faccio fatica a stare dritto figuriamoci riuscire a fare canestro.
Accendo una sigaretta e mi incammino verso la macchina.
Milano di notte mi sta simpatica. E’ come se improvvisamente ci fosse un filtro che lascia emergere un’atmosfera più vibrante, tranquilla eppure sempre sull’attenti, come se potesse sempre succedere qualcosa anche dove il silenzio regna sovrano.

Le pozzanghere lungo la strada riflettono le insegne blu dei bar e le luci dei lampioni, sento qualcuno in sottofondo parlare della partita e all’improvviso penso che almeno su quello avrei potuto avere un po’ più di fortuna. Tre pali su quattro tiri. Un gol poteva scapparci, sbancavo un 200 euro che mi avrebbero fatto comodo

E in cosa li avresti spesi?

Magari avrei potuto organizzarle una cena.

Sii almeno onesto con te stesso.

Portarla fuori, non so cucinare.

Avresti comprato del vino.

Qualche bottiglia di vino per festeggiare.

Festeggiare cosa?

Ma festeggiare cosa? Cosa c’è da festeggiare? Anche riuscissi a parlarci sarebbe un gran successo e cosa farei per festeggiare?

Compreresti del vino.

Comprerei del vino. La causa di tutto.

Non ricordo quando ho cominciato a bere, non che esista veramente un punto preciso in cui si inizia, ma non riesco a ricostruire le circostanze per cui ho cominciato a bere così tanto. Non ci riesco, sono troppo ubriaco.

Metto le chiavi nella macchina e mi accorgo che l’ho lasciata aperta.
Sei veramente un coglione.

Un vero e proprio coglione. Ti accorgi anche tu che non è possibile? Si, per tante persone potrebbe essere una dimenticanza ma per te comincia a diventare un abitudine.

La moka.

L’altro giorno hai fuso una moka dimenticandoti il fornello accesso. Devi darti una regolata.
Ti serve una regolata.

La macchina è glaciale, dò un giro di chiave e dopo un lungo borbottio il motore parte.

Sei troppo ubriaco per guidare.

Devi stare calmo, tranquillo.

Prendi una cicca.

Cerco una cicca nel portaoggetti, c’è un pacchetto che sarà lì da chissà quanto ma lo prendo comunque. Sembra di masticare un sasso. Nel portaoggetti ci trovo anche un cd degli Smiths che non ricordavo assolutamente essere lì. E’ un “The Best Of”, quindi so esattamente a cosa vado incontro ma dò un’occhiata rapida alla tracklist.
Ti ricordi?

Era bello discuterne, a lei facevano schifo. Proprio schifo, non ne capivo la ragione ma lei diceva che la voce di Morrissey è una tortura. Schifo, usava proprio questa parola.

Apro la confezione e dentro trovo un piccolo biglietto che recita

Balli sopra un bacio tra le pieghe di un letto.

Che frase stupida, avrò avuto vent’anni quando l’ho scritta. Ecco, questa è una frase che fa schifo, ma allora ero tutto esaltato dallo scrivere e dallo studiare che mi sembrava una gran figata, mi sembrava di essere Morrissey.
Vuoi chiamarla.

Prendo il cellulare e scorro la rubrica.

Non farlo.

Squilla. Poi metto subito giù il telefono.

Non puoi averlo fatto veramente.

E invece si, cazzo, lancio il cellulare sul retro del sedile e tiro un pugno al volante della macchina. Mi sento un vero coglione. Lei magari adesso guarderà la chiamata e cosa penserà? Avrà paura?
Hai fatto una cazzata, fermati qui al semaforo, mastica la cicca e respira.

Si, mastica la cicca e respira.
Non ti manderà un’altra denuncia.

MASTICA LA CICCA E RESPIRA. Non c’è bisogno di agitarsi, adesso vai a casa e non succede nulla, bevi un goccio di birra, fumi una sigaretta e vai a letto e ti fai una bella dormita. Nulla di più semplice. Lei non ci farà caso, se ne starà col suo nuovo ragazzo e domani forse qualcosa cambierà.

Questa non è la strada giusta.

Forse, chissà. Le cose a volte non cambiano per niente, o se cambiano è in peggio.

Devi ritornare sulla circonvallazione per tornare a casa tua.

Ma io cosa ci posso fare? Mi sento in balia di tutto questo, degli eventi e di quello che lei ha scelto. Non capisco e non riesco ad uscire dalla convinzione che se valeva qualcosa allora valeva la pena anche lottare e non mi sembra giusto che mi sia rimasto così poco dopo tutto quello che ho dato.

Dai torna a casa, non ci pensare. Non fare cazzate, vuoi andare lì ubriaco come sei per fare cosa? Pensi che ti troverà cambiato?

Intanto parcheggio. Spengo il motore e all’improvviso è come se tutta la strada si fosse stata mutata. Il silenzio è ovunque. Riguardo l’ingresso di casa sua che per dieci anni è stata casa nostra. E’ una strana sensazione, vedere ciò che hai amato e che poi invece diviene qualcosa di estraneo. Inavvicinabile addirittura.
Sento dei passi, qualcuno sta chiacchierano. Una donna ride. I passi si fanno sempre più vicini, mi volto per guardarli.

E’ lei.

E’ lei.

Resta qui in macchina, aspetta che entrino e poi vattene. Nessuno ne se accorgerà.

Scendo dalla macchina, quando la portiera sbatte si voltano entrambi e se all’inizio sembrano non riconoscermi in breve capisco dalle loro espressioni che hanno capito benissimo chi sono.

Lei è spaventata, cerca le chiavi nella borsa compulsivamente, come se fosse la cosa più importante nel mondo e striscia contro il muro verso la porta.

Lui si avvicina a me con passo deciso. Cerco di spiegargli che va tutto bene, non voglio far niente, ma non appena alzo le mani in segno di resa le sue mi spingono forte sul petto buttandomi a terra. L’alcool amplifica la sensazione, mi gira la testa, se provo a rimettermi in piedi scivolo sul selciato.

Non faccio in tempo a rendermene conto che lui mi prende il bavero e mi assesta una centra sulla mandibola.

Ricasco a terra. Ci rimango. Fischia tutto.

Mentre resti steso per terra e un il sangue comincia ad invaderti la bocca senti voci in lontananza: “Sta bene?” “Starà bene!”. La porta sbatte, a poco a poco riesci a rimetterti in piedi con non poca fatica. Passi le dita sul colpo e constati che sta uscendo un po’ di sangue. Probabilmente domani si gonfierà e sarà un livido. Risali in macchina, giri la chiave e il motore torna a disturbare il silenzio della via. Torna a casa.

 

 

Anna Ox: un buon motivo per rivalutare la Lomellina

Suonano insieme da 10 anni, hanno alle spalle tre album, uno dal titolo GIOACCARDO (“Charles” Abnegat Records 2014), gli altri due ELK (“World” Picane 2015 e “Ultrafun Sword” Niegazowana 2016) e il primo marzo 2019 esce il primo ufficiale degli Anna Ox dal titolo Black Air Falcon Dive, grazie alla collaborazione tra l’etichetta To Lose La Track E LAROOM RECORDS.

La particolarità di quest’album è che sarà prevalentemente strumentale, un mix tra post-rock, elettronica, r’n’b, fatta eccezione per un’unica traccia. La traccia in questione si chiama Fucsite ed è quella che vede il featuring con Adam Vida, probabilmente sconosciuto alle orecchie dei più, ma necessario un solo ascolto per capire quanto la sua voce si sposi bene alla strumentale e quanto il pezzo funzioni.

Una voce decisa che non irrompe subito, ma merita di essere scoperta, come lo è d’altronde la storia che racconta il loro incontro.

 

Come è nato il gruppo?

Il nucleo degli Anna Ox suona insieme e si conosce da 10 anni. Veniamo tutti da Vigevano e siamo cresciuti suonando insieme, un po’ alla volta. Vigevano è un paesone e per noi suonare e andare a concerti di band conosciute e soprattutto sconosciute insieme (il video di Fucsite parla proprio di questo) è stata la colla della nostra amicizia. Dopo aver fatto parte di realtà eterogenee che in ogni caso ci hanno dato grandi soddisfazioni, abbiamo deciso di provare (per gioco all’inizio) a mettere insieme una formazione che prendesse spunto dalla musica strumentale, da anni la nostra principale passione. Abbiamo trovato una formula particolare, con un giro complicatissimo di cavi che permette al nostro fonico di essere a tutti gli effetti un membro live della band, dato che ogni suono che passa da chitarre e basso e controllato in uscita dagli ampli dalla sua postazione, per interpretare il momento ma partendo da una sorgente analogica.

 

Parliamo del nome, pare richiamare una cantante non propriamente sconosciuta…

È un classico nome da sala prova, che ha proprio quella dimensione lì che conserva a mio parere in potenza tutto quel sottotetto di amici che si incontrano da una vita per stare insieme e suonare e che sviluppano una chimica utile a partorire fenomeni del genere. In buona sostanza si voleva esser seri e chiamarci con un nome inglese di animale. Ox vuol dire toro e piaceva molto, ma da lì a rinominare la chat di gruppo Anna Ox il passo è stato breve. A dire il vero ci piace molto. Ovviamente musicalmente nessuno di noi ascolta con assiduità Anna Ox a, ma concordiamo sia una super cantante con alle spalle dei gran brani. Sarebbe bello un giorno fare un feat. con lei.

 

Come avete conosciuto Adam Vida?

Ho conosciuto Adam per pura coincidenza durante un viaggio di piacere in California nel 2015. Ero ospite di questa gentilissima signora italoamericana a San Francisco. La prima sera nel preparare la cena, mi raccontò che il giorno successivo ci sarebbe stato anche suo figlio che al momento si trovava al Coachella. Ovviamente ero convinto fosse fra il pubblico e invece era sul palco, come ospite di un noto rapper. Ho conosciuto una persona profonda, umilissima, con una storia e una visione del mondo affascinante nel cuore, che poggia le basi sull’accettazione della vita e del diverso (Adam è figlio di una immigrata italiana e di un immigrato senegalese). Siamo rimasti in contatto, scambiandoci la nostra musica (lui nel frattempo è diventato decisamente e meritatamente popolare). Vista la sua impennata non avrei mai immaginato che saremmo arrivati a collaborare fattivamente a un brano e invece il suo amore per la base di Fucsite è stato a detta sua folgorante e ispirante, tanto che mi sono ritrovato una mattina inaspettatamente una linea di voce su una mail con oggetto una roba del tipo: How does it works? Mannaggia, funziona da Dio Adam, altroché.

 

È previsto un album?

È prevista l’uscita di un album. Si chiamerà BACK AIR FALCON DIVE e uscirà per l’etichetta TO LOSE LA TRACK in collaborazione con LAROOM il 1° marzo. È composta da 7 tracce. Doveva essere tutto strumentale, ma alla fine Fucsite ha come ospite Adam Vida. È stato un esperimento stimolante e di successo, quindi è probabile che altre tracce del disco riusciranno cantate da altri artisti. Per quanto ci riguarda la dimensione strumentale ha comunque una dignità propria altissima, siamo grandi fan del genere ed in effetti le canzoni hanno tutte una propria emotività e grazia che permette loro di stare in piedi già da sole.

 

Alice Govoni

 

 

 

Futura 1993 è il network itinerante creato da Giorgia Salerno e Francesca Zammillo che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro, attraverso un programma radio e tante diverse testate partner. Segui Giorgia e Francesca su Instagram, Facebook e sulle frequenze di RadioCittà Fujiko, in onda martedì e giovedì dalle 16:30.

 

Teryble e l’omonimo singolo – Intervista di Futura 1993

Non si muove una foglia senza che Futura 1993 non se ne accorga. Questa volta ad attrarre la nostra attenzione è stato Guglielmo Giacchetta, che già da un po’ muove i suoi primi passi nell’underground bolognese col nome d’arte di Teryble. Con il suo ultimo, omonimo, singolo Teryble”, il giovane trapper del capoluogo emiliano vuole mettere in chiaro subito il suo intento: far tesoro di quanto prodotto fino ad adesso per ricominciare con un nuovo progetto al fianco di Parix Hilton, producer rinomato nella scena trap, ex chitarrista di Sfera Ebbasta, oltre che agente dello stesso Teryble. Abbiamo deciso dunque di fargli qualche domanda anche per testare di che pasta è fatto.

 

TERYBLE COVER SPOTIFYb

 

Guglielmo e Teryble, quanta distanza c’è tra la persona e il personaggio?
Sono sempre stato un po’ timido nell’esprimermi e raccontare quello che sono. Quello che ho creato fa parte di me, sono semplicemente io che racconto quello che non sono mai riuscito a dire. Non voglio etichettarmi come personaggio, non mi riconosco in nulla di quello che già esiste: i miei messaggi, quel che faccio, ognuno è libero di interpretarlo come gli pare.

Parliamo del tuo nuovo singolo: come è nato e qual è il suo messaggio principale?
È nato quasi per scherzo, in questa canzone ho raccontato in modo giocoso la mia vita e quello che sono, non abbiamo pensato a un messaggio preciso da dare ma piuttosto a presentare Teryble e le sue sonorità. Il vero messaggio arriverà con le prossime uscite, spero.

Hai affermato che Teryble è un collage di cose diverse; quali sono a tuo avviso le più importanti che caratterizzano il tuo alter ego?
Come ti dicevo prima, non credo sia etichettabile come alter ego, Teryble sono io, o meglio è una parte di me. Ciò che mi contraddistingue penso sia l’autoironia, direi che si vede abbastanza.

 

Come nascono i tuoi brani? Come gestisci il flusso creativo tra rime e strumentale?

Le canzoni, le rime e la strumentale escono sempre in modo estremamente naturale, per questo devo ringraziare Parix Hilton: ci chiudiamo in studio a parlare e fumare, è così che tutto nasce.

 

Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a fare tabula rasa dei tuoi progetti autoprodotti per rilanciarti con questo nuovo progetto?
La voglia di rivalsa, di raccontare chi sono al meglio delle mie possibilità. Quel che facevo prima non mi rispecchiava, credo di aver trovato finalmente la mia dimensione.

Com’è il tuo rapporto con Parix Hilton? Come avete deciso di sviluppare un progetto artistico insieme?

Parix è un amico, un fratello e un collega, oltre ad essere il mio producer e il mio manager. Insomma è un elemento fondamentale del mio percorso musicale, ma anche di vita.

 

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La scena trap bolognese è in fermento, e giorno dopo giorno nascono nuovi ambiziosi progetti musicali. Come ti collochi in questo scenario? Perché Teryble è diverso?

Non c’è una scena statica a Bologna. Tutti i talenti che nascono qua poi faranno parte della scena di Milano, mentre noto un grande espatrio da Roma. Bologna è un punto di arrivo e un punto di partenza: un porto di talenti, si potrebbe dire così. Credo che l’unica differenza tra me e gli altri colleghi bolognesi sia la professionalità e la mentalità, punti fondamentali se vuoi che questa passione diventi un vero lavoro.

 

Considerando ciò che hai in serbo per il tuo pubblico, come pensi sarà il 2019 di Teryble?
Il 2019 per me è una sorpresa, il successo sarà determinato solo dalla continuità e dalla serietà. Tutto è già pronto, bisogna solo trovare il modo giusto di mostrarlo.

 

Ci salutiamo, ma con una domanda: perché vale la pena ascoltare Teryble?
Per qualsiasi artista credo non sia possibile spiegare la sua arte o perché a qualcuno potrebbe piacere. Le arti in generale non hanno un perché, specialmente la musica. È semplicemente il mio modo di esprimermi, può piacere come non piacere, c’est la vie.

Francesco Trovato

 

 

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