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Tag: garrincha dischi

Endrigo “Anni Verdi”

Tre amici e la passione per la musica che dalla cantina di casa li ha portati a suonare per le feste di paese fino ad arrivare su palchi importanti. 

Si sono meritati il loro spazio nelle band alt rock italiane grazie alla malinconia che solo la voce delicata e grintosa di Gabriele Tura sa esprimere, al talento con chitarra, basso e tastiere di Matteo Tura e l’energia di Ludovico Gandellini alla batteria.

Il nuovo disco è anticipato dai singoli Infernino (affiancati dai Bologna Violenta), Smettere di Fumare e l’ultimo uscito Anni Verdi. 

Nonostante il titolo possa far pensare ad una rievocazione del passato, un racconto di una gioventù tra palchi, banconi del bar e casini, non è così. Come spiega Gabriele, questo pezzo è ambientato ai giorni nostri, nel presente. Rappresenta la vita passata un po’ allo sbando, tra concerti, interviste, birre. Sicuramente affascinante, ma col rischio di rimanere incastrati nell’adolescenza e di dover combatte per diventare adulti, per dimostrare a tutti di esser cresciuti, migliorati.

E puntualmente si ricade negli anni verdi, nelle sbronze e nelle cazzate.

Una nostalgica ballata alternative rock che esplode in un’accorata promessa.

È un lungo sabato sera, coi post sbronza, stanze di alberghi, gli imprevisti, le fan, le emozioni che solo il palco può regalare. Un trucchetto per sfuggire alla routine della vita “da grande”. Il lavoro, la famiglia, i rapporti imposti, le responsabilità vengono messi da parte, e per quella serata (o tour) esiste solo la musica; suonarla e farla vivere. 

Uno scambio di energie in eccesso. Loro esprimono, noi percepiamo, contraccambiamo e restituiamo. Benefici per entrambi le parti e s’abbracciamo. 

 

 

 

Endrigo

Anni Verdi

Garrincha Dischi / Manita Dischi

 

Marta Annesi

Agnello “Il Minotauro” (Garrincha Dischi, 2019)

Per definizione l’agnello è la creatura più docile del regno animale. Agnello è anche il nome (nonché il cognome del cantante e fondatore del gruppo) di una band palermitana nata nel 2016 e, ascoltando l’album, risulta essere un appellativo appropriato per questa band carica di sensibilità, dolcezza e irrequietezza verso il mondo.

L’obiettivo primario del gruppo è una crescita costruttiva e la conseguente tutela del suo stile, una ricerca estetica musicale, linguistica e spirituale, per regalare all’ascoltatore un’esperienza totalmente nuova, il più possibile distante da quello che si può trovare sul mercato musicale attuale.

Il loro album d’esordio Il Minotauro, composto da singoli usciti tra il 2017 e il 2018, è traboccante di atmosfere romantiche e commoventi, scaturite da animi nobili che sembrano cozzare con la superficialità che ci circonda oggi.

Funamboli contemporanei alla ricerca di un equilibrio tra ritmi tipici della musica italiana anni ‘60, indie e surf, adottano testi delicati e nostalgici, grazie all’uso smodato del sax, che colora di tinte malinconiche tutto l’album.

La figura fragile e riflessiva de Il Minotauro primo brano e titolo dell’album, esplode in tutta la sua angoscia ed emarginazione, la quale sembra essere il mantra della band. Emblema della società evoluta, dove ci ritroviamo più spesso lontani gli uni dagli altri, chiusi nella nostra personale disperazione (come lo è il Minotauro del suo labirinto), alla ricerca di un/a compagno/a che divida con noi l’onere di questo massiccio fardello.

Altra questione che viene valutata è la paura nei suoi più intimi aspetti: paura dell’abbandono da parte della persona amata, come nel brano Marta, dalle sonorità morbide e armoniose, fino ad arrivare alla paura delle relazioni stesse. Il terrore di impegnarsi che impregna le generazioni moderne nel pezzo Casa Tua, dove ricorre la paura di imbarcarsi in una situazione troppo grande, troppo importante — come potrebbe essere salire a casa dell’amata — ipotizza la fine del sentimento, quasi per codardia, e il raggiungimento di qualcosa con l’ansia di non esserne poi all’altezza.

Il loro intento è dar spazio e voce alle emozioni, utilizzando un registro pop per analizzare la collettività come in Sulla sdraio nato dall’unione creativa con Nicolò Carnesi. Si servono delle classiche retoriche del cantautorato indie a tratti ripetitivo e circolare per esprimere l’insoddisfazione di una generazione mentalmente relegata su una sdraio, schiacciata dalla realtà che ci scorre dinanzi come un film, nella quale non possediamo potere decisionale ma siamo solo spettatori non paganti. 

Come ammette il gruppo stesso, “il brano è volutamente più monotono, per trasmettere una percezione di tempo perduto e del fatto che vivere in dipendenza dal mondo esterno ti condanna all’infelicità”.

La critica verso la società moderna è contestualizzata in Tutto questo penare, dall’intro fresco, estivo, estremamente pop, in forte contrasto con il testo amaro, improntato sulla solitudine e sulla discordanza degli schemi sociali (sposarsi, far figli, sistemarsi) in rapporto alla vera felicità. 

Come astronauti esploratori di un universo parallelo, questa band vuole parlare di amore, di solitudine ma soprattutto della paura di una generazione, il terrore nelle relazioni interpersonali e della gestione dell’emotività in un momento storico interamente incentrato sull’avere, più che sull’essere.

 

Agnello

Il Minotauro

Garrincha Dischi, 2019

 

Marta Annesi

Loren @ Bradipop_Club

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• Loren •

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C I   S A L V E R E M O   T O U R

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Bradipop Club (Rimini) // 23 Marzo 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]“Siamo soffitti poggiati a colonne sonore di vecchi film”

Soffitti, Loren

 

In un momento storico e sociale come quello in cui ci troviamo, ricordare a tutti che l’essenza di quello che siamo deriva da un passato che non dobbiamo dimenticare ha qualcosa di futuristico.

Una sorta di innovazione che in qualche modo ci rammenta di come siamo effettivamente dei piccoli esseri umani, nonostante molto significativi poiché minuscoli pezzi di un puzzle che crea un eterogeneo universo.

Un dolce eco, quelle colonne sonore di quello che ho scoperto essere la voce dei miei nonni paterni che mi hanno più volte ricordato che se non conosciamo la storia passata siamo destinati a ripetere gli errori nel futuro.

E se non bastasse questo cassetto della memoria che si apre per farmi amare una band colta e umile, arriva anche la canzone Giganti con i continui e involontari, per ammissione di Francesco (cantante e autore ndr), collegamenti con la nostra Romagna e nello specifico Rimini.

Tra Pantani e Simoncelli, durante la nostra cena assieme veniamo anche a conoscenza del nome passato della band, Amarcord, che chiude il cerchio sulla nostra terra e strizza l’occhio agli anni d’oro della musica italiana.

Quei Giganti appunto, sui quali poggiano delle colonne dalle radici profonde, scavate e riempite dai sacrifici e le gesta di un passato da tenere sempre nel cuore.

Grazie Loren, avete restituito compattezza e spessore ad un periodo spesso ripetitivo e ridondante del panorama musicale italiano attuale.

 

Sara Alice Ceccarelli

 

Ci sono concerti che non sono solo concerti perché non si limitano ad una semplice esibizione.

Ci sono band che non sono solo un insieme di persone con la passione per la musica, ma “anime” che ci mettono davvero l’anima in quello che creano, realizzano e che poi portano sul palco dopo prove su prove, per arrivare ad avere un risultato perfetto tra arrangiamenti e sacrifici.

È il caso dei Loren e del loro omonimo album uscito per Garrincha Dischi che ieri hanno fatto tappa al Bradipop Club di Rimini con il loro Ci salveremo Tour.

È facile innamorarsi di certe parole e del modo in cui vengono intonate ed interpretate da Francesco (penna e voce del gruppo).

Ed è altrettanto facile lasciarsi coinvolgere e trasportare completamente dall’energia che la band riesce a creare dal momento in cui sale sul palco.

Ognuno al proprio “posto di combattimento”, pronti per mettere in scena una lotta tra  sentimenti, corse e soste, promesse mantenute e mancate, amori che resistono al tempo e tempo che poi sembra sempre sfuggire dalle nostre mani.

Ho visto una moltitudine di concerti, sempre pronta ad immortalare con dei video quei secondi in cui si ha la possibilità di registrare dal vivo tutte le canzoni che ami e che fino a quel momento hai ascoltato solo nelle cuffie, magari stesa sul letto o in macchina mentre vai a lavoro.

Ecco, ieri sera io ho registrato ben poco, perché avevo paura di perdermi proprio la magia di quei momenti. Ieri per la maggior parte del tempo ho lasciato il telefono in tasca, perché più che rivedere un video, volevo sentire e conservare tutte quelle emozioni che arrivavano  una dopo l’altra. Senza sosta.

A fine concerto avevo perso la voce.

Sono tornata a casa con la convinzione che è importante avere una propria identità, perché è l’unico modo per arrivare al cuore delle persone.

Che si tratti di musica o di parole, arriva solo ciò che nasce dalla verità e dall’autenticità, tutto il resto tende a scomparire.

Per questo i Loren hanno una lunga strada da percorrere, appena iniziata ma sicuramente capace di conquistare ancora molti moltissimi cuori.

Loro dicono che Ci salveremo tutti e io ci credo. A me quest’album ha salvato un sacco di volte.

 

Claudia Venuti

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 SETLIST:

 

 

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Garrincha Dischi

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Testo:

Foto: Luca Ortolani

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Una Giornata con Imuri

Poco più di un mese fa, la riproduzione casuale di Spotify, mi propone una canzone, il titolo è: Duecento sigarette de IMURI ed è subito colpo di fulmine, un po’ come funziona con le persone. Ecco, a me funziona così con la musica ed è successo così con questa giovane band abruzzese composta da quattro ragazzi, che in un pomeriggio di inizio inverno hanno catturato la mia attenzione.

Dopo un po’ di ricerche, scopro che sta per uscire il loro album Chat Hotel per Garrincha dischi / Manita dischi, un disco che sin dalla sua data d’uscita (21 dicembre) non ha mai smesso di accompagnare le mie giornate. Imuri hanno un sapore diverso, innovativo sia nei suoni che nei testi, perché in loro c’è dell’estro, del non sentito e risentito, di capitoli di vita trasformati in testi capaci di farti andare a fondo.

Imuri vanno oltre “i muri”, le convinzioni e i limiti e non possono essere ascoltati in maniera superficiale perché di superficiale non hanno nulla. L’uscita del disco, precede di poco l’inizio del tour, organizzato e promosso da Vox Concerti.

La prima tappa è nella mia città: 19 gennaio al Bradipop Club di Rimini, ed è lì che ho un appuntamento con Lorenzo Castagna (cantante e fondatore della band) e con gli altri membri del gruppo: Antonio Atella, Valerio Pompei e Marco Fontana. Al mio arrivo i ragazzi sono alle prese con il sound check, ci presentiamo e aspetto che finiscano.

Un’attesa piacevole, perché è stato bello vedere quanto effettivamente un gruppo possa fare “gruppo” anche dietro le quinte.

A raggiungermi poco dopo è Lorenzo con il quale ho il piacere di sedermi per fare due chiacchiere. Ci accomodiamo sul divano e gli chiedo quelle che sono le mie curiosità.

 

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Partiamo dal principio, dall’idea di dar vita ad una band: come nascono Imuri? C’è stato subito feeling o avete dovuto imparare a convivere e conoscervi pian piano?

Fare gruppo è come ricominciare ogni volta da zero, fino a quando non si trova un equilibrio. Ognuno di noi, singolarmente, ha sempre avuto una vita da musicista impegnata e avevamo già altri progetti con altre band. Io ad un certo punto nell’estate 2014, in una sera in cui mi stavo annoiando, non andai al mare ma rimasi in città e insieme ad un mio amico batterista, decidemmo di prendere un paio di birre e fare delle prove in sala, così senza impegno. Da lì abbiamo iniziato a muovere i primi passi. Post laurea ci siamo trasferiti a Berlino e abbiamo iniziato a scrivere il primo disco, successivamente sono tornato in Italia e lui decise di mollare. Io no e sapevo di un ragazzo bravissimo alla batteria che è Valerio e da lì abbiamo iniziato a lavorare seriamente per dar vita a questa band, abbiamo chiamato un bassista, perché ci siamo resi conto che il duo era un po’ povero, bassista che ha mollato a sua volta e poi è arrivato Antonio. Avere un gruppo è come una famiglia, è come un’azienda o una relazione e non è sempre semplice far combaciare sia gli impegni personali che le idee. Adesso però ci siamo stabilizzati anche con l’arrivo del quarto elemento, Marco, posso finalmente dire: ci siamo!

 

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Per quanto riguarda la nascita dei vostri brani, viene creata prima la musica o il testo? E di solito chi è il più ispirato fra voi?

I procedimenti sono diversi, il vecchio stile di rinchiudersi in sala prove dopo aver partorito un’idea sulla quale poi si ragiona insieme, ognuno dice la sua e si costruisce insieme l’impalcatura del brano. Molto spesso succede anche che vengono portati brani già realizzati quasi per intero, quindi con una stesura completa, che può essere chitarra e voce o piano e voce e poi insieme si arrangia tutto il resto. Di solito comunque è il testo che si adatta alla musica, sia per un discorso metrico che onomatopeico, poi ci sono anche stati casi in cui ho scritto prima il testo e poi abbiamo pensato alla musica. Quello più ispirato sono io e sono sempre io quello che scrive.

 

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Il vostro album è denso di stati d’animo e sentimenti che spaziano dal bene al male, dal positivo al negativo, da assenze a presenze, e lo avete anche definito un album-critica nei confronti di quest’epoca malata. Cosa inquina quest’epoca?

Questa è una bella domanda! Secondo me abbiamo perso molte cose e il fatto che abbiamo praticamente accesso a tutto, fa crollare automaticamente tutto. Da qui a 3 anni finiremo come in una puntata di Black Mirror, si è persa l’umanità, l’istinto, la spontaneità di ogni tipo di cosa, dai rapporti al fare musica. Si è abbassato tantissimo il livello dell’essere umano, dell’evoluzione stessa dell’umanità.

 

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All’ascolto apparite fuori dai classici schemi pre-impostati tipici di una categoria piuttosto che di un’altra. Sentite di appartenere ad una categoria in particolare e come definite la vostra musica? Se ne avete una.

Ognuno di noi ha un’influenza, abbiamo un retaggio solido e vero, perché abbiamo suonato tanto e sempre in diversi contesti e situazioni e abbiamo vissuto la musica suonata per davvero ed è inevitabile che ci siano influenze varie: dal rock al blues. A tratti anche un po’ di quella “psichedelia” che ci piace molto, anche se man mano stiamo cercando di raggiungere una forma-canzone più fruibile, per dare un messaggio più chiaro perché è finita l’epoca delle cose strane e un po’ “malate”.

 

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Secondo voi la musica è davvero un salva-vita capace di cambiare la vita delle persone? E quanto ha cambiato e sta cambiando la vostra?

La musica credo sia un’entità talmente potente, che fa da contorno e ci accompagna ogni giorno, in qualunque situazione di vita o momento di gioia e dolore. A livello lavorativo, si crea una sorta di rapporto di amore- odio. perché si tratta di dover tirare fuori sempre idee nuove ed è una lotta continua, soprattutto quando ti metti in gioco come in questo caso, che devi portare in giro il tuo prodotto e in qualche maniera convincere la gente che valga. La musica è come la poesia, è spietata: ti delude, ti fa stare a mille poi ti da le bastonate, ma stare senza è impossibile, io non riuscirei a smettere.

 

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Un tour appena iniziato, anche se avete già avuto modo di esibirvi, se doveste descrivere le sensazioni post live, come le descrivereste? Alla fine cosa vi portate a casa?

Dipende dai contesti e ci sono casi e casi. A volte veniamo apprezzati di più, altre volte meno. Le sensazioni alla fine sono tutte positive, perché avere l’opportunità di fare quello che amiamo è già motivo di gioia, senza avere troppe aspettative, o meglio, è giusto avere ambizioni ma senza avere troppe pretese. È un equilibrio sottile. Non mi piace tirare le somme, cerchiamo di goderci al meglio ogni momento e dare sempre il massimo che abbiamo dentro da dare al pubblico.

 

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E dopo aver assistito al loro live, non posso far altro che confermare quanto dichiarato da Lorenzo. Questi artisti sul palco riescono davvero a dare il massimo e fare del loro meglio. Sono solo all’inizio del loro tour, quindi consiglio a tutti di tenere d’occhio le date (in aggiornamento) per andare ad ascoltarli dal vivo, perché la loro musica merita.

La loro musica è vera ed è di quella musica suonata dopo prove su prove, quella che nasce dal sacrificio di tenere viva una passione e fare in modo che diventi anche qualcosa in più. Come un sogno che alla fine si realizza.

 

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Testo: Claudia Venuti

Foto: Alessio Bertelloni

I LOREN e l’esordio con l’album omonimo. E con il cuore.

Il 14 dicembre è una data importante per i Loren dal momento che uscirà il loro album omonimo.

La giovane band è composta da cinque ragazzi tutti fiorentini e il legame con la loro città d’origine è forte in molti dei loro testi.

Un nuovo gruppo che arricchisce la famiglia indie-rock di Garrincha dischi.

Melodie orecchiabili che di primo acchito ti fanno venire voglia di ballare ma che ad un secondo ascolto, più profondo e più attento, ti portano a concentrarti sui testi.

Perché le loro melodie fanno quasi passare le parole in secondo piano ma, credetemi, perdersi il senso di questi testi
sarebbe un vero peccato.

Suoni ottimisti e allegri che vanno di pari passo con parole ricche di speranza che strizzano l’occhio ad un futuro radioso.

Ottimismo, secondo me, è la parola chiave per decodificare tutto il disco.

Ci salveremo tutti è la traccia numero uno. Già dal titolo capiamo qual è la visione della vita dei Loren: non c’è spazio per la sconfitta o la tristezza.

Le cose del passato si incontrano con quello che il futuro ha in serbo per noi. L’unione tra il passato e il futuro è la chiave verso la salvezza; è così che una cicatrice si trasforma in un tatuaggio.

Un album eclettico ricco di riferimenti ad artisti italiani e internazionali: i Loren hanno un background di tutto rispetto che va da Cremonini ad artisti internazionali come i The killers.

Dieci tracce che ci accompagnano in un viaggio musicale: passiamo da ballate, come Blister, a canzoni dal piglio più rock, Psicosi e Tutti fermi, o ancora a brani che se chiudi gli occhi ti fanno venire in mente l’estate, Roland Garros.

Menzione d’onore, a Giganti, la canzone che mi ha toccato di più di tutto l’album. Una celebrazione del passato e della fiorentinità. Ma sopratutto una celebrazione dei momenti di vita vissuta; perché oggi, abituati come siamo a passare il nostro tempo al telefono rischiamo di perderci i momenti importanti.

Questi cinque fiorentini sono da tenere d’occhio perché hanno tanto da regalare. E non escludo che riusciranno a fare come il loro idolo Batistuta: a zittire uno stadio, ma con il suono della loro musica.

E’ quello che gli auguro.

 

Laura Losi

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