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Tag: laura beschi

Ladytron “Time’s Arrow” (Cooking Vinyl, 2023)

Ladytron. Una parola che se scandita a punta di lingua sa di anni ’70 del secolo scorso, e più precisamente del 1972, di canzone di un album di debutto e soprattutto dei Roxy Music. Un tuffo nel passato che diventò presente nel 1999, quando quattro ragazzi britannici originari di Liverpool, in Inghilterra, decisero di far sentire la loro passione nel panorama musicale. E anche se non si chiamavano Paul, John, Ringo e George, ma Helen, Mira, Daniel e Reuben, decisero che il mondo li avrebbe ascoltati al di là di ogni confine fatto di tè delle cinque, gossip reali e mirabolanti scogliere. Così fu, e i Ladytron attirarono l’attenzione del pubblico su di loro con la loro musica fatta di chitarre, percussioni e strumenti elettronici, combinando sonorità new wave con lo shoegaze, sottogenere dell’alternative rock, e l’elettropop. 

Dopo l’eponimo album Ladytron del 2019, il gruppo esce ora con Time’s Arrow, il settimo album in studio, in Italia per Cooking Vinyl. Un lavoro di dieci tracce di melodie ben curate e testi che non vogliono semplicemente seguire la musica oppure dominarla, bensì semplicemente farne parte come un compagno di viaggio. Le atmosfere si caricano di distorsioni leggermente noisy per un effetto onirico ma anche futurista come nell’introduttiva City of Angels e la leggera ed evocativa We Never Went Away. Contrariamente alle fantasie più malinconiche dell’album precedente, il nuovo progetto sembra prendere più respiro e le melodie, per quanto tutte caratterizzate dallo smodato uso di suoni synth-pop, non si omologano con il rischio di diventare un gioco di ripetizioni, bensì emergono ognuna con una propria identità, come la rarefatta ma pulsante Fight From Angkor, dove le chitarre distorte diventano sensazione per l’ascoltatore che ne rimane intrappolato. Ipnotica è, invece, Faces, dove la ripetizione a loop della parola che dà il nome al brano crea un’atmosfera di ossessione ma anche di liberazione dall’ossessione stessa, come una liberazione emotiva da un contesto in cui ci si sente soffocare da volti da guardare per tenerli con sé e al tempo stesso lasciarli indietro per continuare ad andare avanti. La chiusura dell’album è lasciata alla title track Time’s Arrow, dalle sfumature più oscure, con bassi presenti e vocalità che rimangono oniriche ma scendono nel timbro per poi risalire e trascinare l’ascoltatore dietro la scia di una freccia melodica che, quando scoccata, non si può più fermare, che sia esso il tempo o semplicemente i Ladytron. 

Il disco non sorprende, perché conferma la cura del gruppo nella propria produzione musicale e la volontà di mantenere costante la propria identità, sfidando mode e rimanendo fedeli a ciò in cui credono. Potremmo definirlo di nicchia, ma sarebbe riduttivo per un progetto che si fa ascoltare e anche molto bene, non annoiando mai. Certamente non lo troverete tra le colonne sonore di spumeggianti festeggiamenti con fuochi di artificio, ma questo non vuol dire che non vi porterà altrettanto lontano, né che la loro musica non arrivi dentro per farvi muovere vivendo emozioni speciali, come le sue melodie, sintetiche sì, ma piene, seducenti e vibranti. 

 

Ladytron
Time’s Arrow
Cooking Vinyl

 

Alma Marlia

Ásgeir “Time On My Hands” (One Little Independent Records, 2022)

Cronache emotive di lande gelide

 

Scritto sulla sabbia

Fuori attende la sabbia nera
sottile e umida
Il dito si ghiaccia un poco
a scrivervi
Il corpo si scalda un poco
e anche il groviglio che si chiama
spirito
mente
anima
Le onde si avvicinano
il respiro
pieno di mestizia
di gioia di vita
Le onde si avvicinano

Sigurður Pálsson

 

Uno dei più grandi poeti Islandesi descrive appieno il clima in cui si diventa grandi in quest’isola glaciale.

Con le nostre caotiche metropoli, la bellezza dei piccoli centri storici, le distese verdeggianti a perdita d’occhio, la brulicante gioia di vivere delle nostre spiagge, il profumo del nostro cibo, la particolarità dei paesini arroccati nelle montagne è davvero arduo anche solo immaginare di vivere in un luogo così sperduto e quasi surreale.

L’ambiente che ci circonda influisce sulla percezione di noi stessi, sui nostri bisogni e sulle nostre priorità. Così, in uno dei paesi meno popolati del nostro continente, si resta a casa, si coltiva la propria individualità. Un popolo di introversi; nel tempo libero spesso poeti, scrittori, musicisti o cantanti.

Come se il gelo infiammasse i loro animi e li spingesse a scavare sempre più a fondo, a sviscerare ogni emozione, aprendo una finestra su sé stessi e vedere colori vivi e rigogliosi, quando ogni altra finestra affaccia sul grigio dei paesaggi appiattiti da un inverno pressoché perenne.

Una landa quasi desolata, tra ghiacciai, montagne, vulcani e fiumi gelati, ma abitata da esseri umani che mantengono il loro sangue caldo e il cuore pulsante.

Questa piccola isola glaciale ha donato varie gemme musicali tra cui Björk, Sigur Rós, i Múm e gli Of Monsters and Men per citare i più conosciuti.

Dal 2012 è apparso un ulteriore diamante grezzo, Ásgeir, diventato subito famoso nella sua terra, riuscendo a vendere più di Björk, e nel 2014, traducendo i suoi pezzi in inglese, ha intrapreso la conquista verso il mondo. 

Ora prova a rivendicare il suo spazio e la sua identità con un nuovo album, Time On My Hands, sperimentando e tentando di portare il suo stile ad un livello nettamente superiore rispetto ai suoi primi lavori.

La sua natura introversa e riflessiva lo ha portato a sfornare un album eccelso, lontano dal “classico” folk melodico con cui  è stato in passato etichettato. Una crescita di questo giovane uomo concreta, riscontrabile nella ricercatezza delle parole, delle melodie e nella potente sfumatura malinconicamente introspettiva, solenne, che assume ogni testo.

Mescolando l’acustica con l’elettronica, riesce a rendere anche i pezzi più intensi più eleganti.

Già dal primo brano, Time On My Hands, che porta il nome del disco, la delicatezza nella voce di Ásgeir colpisce come il vento gelido islandese; un pezzo molto classico, chitarra morbida e batteria che accompagna senza spezzare il brano. Il secondo brano Borderland ci mette subito in difficoltà, accostando la finezza della voce con la sfrontatezza di un synth e una base più elettronica.

Il terzo pezzo Snowblind è il primo singolo estratto dall’album è il matrimonio perfetto tra elettronica e sonorità ricche di sensibilità. In Waiting Room il suo falsetto leggero riesce ad emozionarci, e, socchiudendo gli occchi, ci troviamo esattamente dove lui vuole portarci: una stanza con vista su una terra di nessuno. Giantess è un pezzo altisonante, dove Ásgeir si avvale di un ritornello folk molto orecchiabile, mentre in Limitless riesce a dare davvero l’idea di qualcosa di illimitato con la dolcezza della sua voce, facendoci planare sull’eternità di un ghiacciaio immacolato.

Time On My Hands non è solo l’ultimo album di questo cantautore, non è solo un connubio tra falsetto, synth ed elettronica, è molto di più. Un lungo viaggio nella sua interiorità, un lungometraggio di terre lontane, di venti gelidi che sferzano le acque, di paesaggi impervi. 

Un riassunto di anni di lavoro e impegno sulla sperimentazione con vari suoni, che riesce egregiamente a padroneggiare per creare qualcosa di davvero caratteristico.

 

Ásgeir
Time On My Hands
One Little Independent Records

 

Marta Annesi