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Tag: Live

acieloaperto 2021 | I HATE MY VILLAGE a Villa Torlonia

ACIELOAPERTO | NONA EDIZIONE

26 AGOSTO 2021
I HATE MY VILLAGE
l ritorno del supergruppo composto da membri di Calibro 35, Verdena, Bud Spencer Blues Explosion e Jennifer Gentle

La band formata da Fabio Rondanini alla batteria (CALIBRO 35, Afterhours) e Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion e molti altri), con la partecipazione di Alberto Ferrari (Verdena) e la produzione di Marco Fasolo (Jennifer Gentle) torna in concerto in Romagna: giovedì 26 agosto, sul palco di Villa Torlonia di San Mauro Pascoli (FC).

Nato dall’incontro di Rondanini e Viterbini, I Hate My Villagetestimonia il loro amore viscerale per la musica africana, un amore nato sui palchi – accompagnando maestri quali Bombino e Rokia Traoré – e poi cresciuto in sala prove con la curiosità di chi ha costantemente voglia di contaminarsi e divertirsi nell’ampliare il proprio orizzonte. Jam dopo jam prendono forma le tracce che hanno costituito il disco omonimo della band: un album in cui melodie e ritmi dalla Madre Africa si fondono con timbriche occidentali, ottenendo una miscela di straordinario effetto. Questo risultato si amplifica ulteriormente grazie al contributo di uno dei personaggi chiave del rock italiano dagli anni ’90: Alberto Ferrari (Verdena) si inserisce con la sua inconfondibile vocalità donando all’amalgama strumentale un ulteriore elemento capace di unire mondi – apparentemente lontani – che in I Hate My Village sembrano coesistere da sempre. Il suono che deriva da questo magico incontro è coraggioso ed innovativo. In cabina di regia Marco Fasolo (Jennifer Gentle) lo restituisce in maniera emozionante, dimostrandosi ancora una volta uno dei produttori più visionari e abili, tanto nel riprendere l’energia dei musicisti in gioco, quanto nel raccontare tutti i variopinti paesaggi sonori della loro scrittura.

Un viaggio in un mondo senza frontiere: questo è I Hate My Village, in concerto giovedì 26 agosto a Villa Torlonia Parco Poesia Pascoli.

Il concerto si aggiunge agli spettacoli già annunciati: Willie Peyote (19 giugno, con doppio spettacolo), Niccolò Fabi (16 e 17 luglio) e Kokoroko (6 agosto) alla Rocca Malatestiana di Cesena, e IOSONOUNCANE (20 agosto) e Arlo Parks (31 agosto) a Villa Torlonia di San Mauro Pascoli.

La rassegna

Organizzata dall’associazione culturale Retropop Live nella splendida Rocca Malatestiana di Cesena nella suggestiva Villa Torlonia di San Mauro Pascoli (FC), la manifestazione ha portato sui palchi di queste magiche location artisti del calibro di Eels, Calexico, Black Rebel Motorcycle Club, Xavier Rudd, Belle and Sebastian, Mark Lanegan, Niccolò Fabi, Gogol Bordello, solo per citarne alcuni. Ha i patrocini dei comuni di Cesena e San Mauro Pascoli, e della Regione Emilia-Romagna.

L’associazione culturale Retro Pop Live è attiva sul territorio cesenate e romagnolo da quasi un decennio. Ha operato in numerosi locali e rock-club del territorio, organizzando concerti e distinguendosi per la proposta artistica che spazia all’interno del rock alternativo in tutte le sue sfaccettature.

INFORMAZIONI AL PUBBLICO

I biglietti della rassegna musicale sono disponibili in prevendita sul circuito TicketOne.
Le aree concerto prevedono esclusivamente posti a sedere, e saranno rispettate le norme anti-covid disposte dal protocollo regionale per lo spettacolo dal vivo.
Info line al 339 2140806 oppure info@acieloaperto.it
Maggiori informazioni sono consultabili sul sito www.acieloaperto.it o sulla fan page facebook “acieloaperto”.


Giugno 2021 al COVO SUMMER: il programma completo tra concerti, stand-up comedy e Euro 2021

Il Covo Club torna a brillare con la programmazione del COVO SUMMER 2021: dal 1° giugno fino alla fine dell’estate nel Cortile del Casalone (Viale Zagabria 1, Bologna) tornano i concerti, ma anche le risate con gli spettacoli di stand-up comedy e il tifo comune con le proiezioni di tutte le partite dell’Italia agli Europei 2021.

Covo Summer fa parte di Bologna Estate 2021, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna e dalla Città metropolitana di Bologna – Destinazione Turistica.

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Programma GIUGNO 2021

COVO SUMMER

(Cortile del Casalone – Viale Zagabria 1, Bologna)

 

mar 1 giugno: GIUDA (live – rock’n’roll)

gio 3 giugno: HAI PAURA DELL’INDIE? – Max Collini legge l’indie

ven 4 giugno: GENERIC ANIMAL (live – emo punk)

dom 6 giugno: CACHEMIRE – Edoardo Ferrario e Luca Ravenna (SOLD OUT)

mer 9 giugno: EMMA NOLDE (live – alt pop)

gio 10 giugno: QUANDO TUTTO DIVENTÒ BLU – Concerto a fumetti con Alessandro Baronciani

ven 11 giugno: ITALIA – TURCHIA (partita EURO 2021 – free entry)

sab 12 giugno: SQUAT CLUB (talk – ingresso up to you)

mar 15 giugno: GAZEBO PENGUINS (live – emo / post hardcore)

mer 16 giugno: ITALIA – SVIZZERA (partita EURO 2021 – free entry)

gio 17 giugno: FOSCO17 + BENELLI (live – pop)

ven 18 giugno: POST NEBBIA (live – psych pop)

sab 19 giugno: LO SGARABONZI

dom 20 giugno: ITALIA – GALLES (partita EURO 2021 ore 18 – free entry)

gio 24 giugno: NICOLÒ CARNESI (live – pop)

ven 25 giugno: FRANEK WINDY + IBISCO (live – alt pop)

sab 26 giugno: EURO 2021 (gara ottavi)

 

Per tutti gli show e i concerti con ingresso a pagamento, prevendite disponibili su DICE.

Tutte gli eventi e le info aggiornate sul sito ufficiale delCovo Club e su FB

 

ORARI CONCERTI, SPETTACOLI e STAND UP COMEDY

Fino al 21 giugno: apertura porte ore 19, inizio live ore20:45

Dal 21 giugno: apertura porte ore 20, inizio live ore 21:15 (info in aggiornamento)

 

PARTITE EURO 2021

Dall’11 giugno nel Cortile del Casalone tornano le proiezioni di tutte le partite dell’Italia agli Europei 2021, per tifare di nuovo tutti assieme! Con musica pre e post partita.

FREE ENTRY fino a esaurimento posti e con distanziamento, per prenotare i posti (congiunti vicini) basterà scrivere una mail a euro@covoclub.it

 

Maledetti Cantautori @ Teatro della Concordia

Teatro della Concordia (Venaria Reale) // 28 Maggio 2021

 

…E quindi uscimmo a riveder le stelle
Dante, Inferno, XXXIV, 139

 

Ieri sono tornato a un evento live. Chiamiamolo concerto, anche se, a ben vedere, Maledetti Cantautori è molto di più.
Avevo un accredito stampa. E a quel punto anche un vago senso di colpa, così, avvisata la biglietteria della mia presenza, ho comunque pagato l’ingresso. È una questione di karma, è una questione di militanza e di sostegno. Io senza voi non scriverei, in fin dei conti. Ora, devo anche chiedere scusa a VEZ, perché io ai concerti tendo ad ascoltare e a pensare e così, alla fine, ho una timida foto per altro neanche scattata dal sottoscritto. E sorrido a pensarci, perché nonostante non fossimo in molti, la mia etica da concertista over quaranta mi impone di avere cautela nell’uso del telefono a un concerto. Un buon segno, penso, non ho perso le buone maniere.

Il Teatro della Concordia di Venaria Reale è il luogo che accoglierà questo nuovo inizio. Quindi sarò comodamente seduto, con un ottima acustica, in ampi spazi rispettosi di norme anti-covid. Quasi commosso anche dalla birra pre-concerto, un rituale che sembra appartenere a un’era lontana, di baccanali e festival pieni di droplet e sudore.
L’evento principale è stato preceduto dall’esibizione di due nuove proposte del panorama torinese: Carsico ed Eugenio Rodondi, esponenti di un nuovo cantautorato pieno di buoni propositi.
Lo spettacolo principale inizia quindi poco dopo le 21.00. Sul palco sale Nicholas Ciuferri, autore del libro cui si ispira lo spettacolo, Nathalie, cantautrice e vincitrice di X-Factor nel 2010, The Niro, nome d’arte del cantautore romano Davide Combusti, Riccardo Tesio, fondatore dei Marlene Kuntz, produttore e chitarrista, Andrea Angeloni ai fiati e il 23enne giovane talento Pit Coccato.

È uno spettacolo fatto di storytelling e musica, in cui alcuni autori, sia del passato sia contemporanei, vengono presentati con brevi racconti e successivamente da un brano eseguito dagli ottimi musicisti che accompagnano Ciuferri.
Per il sottoscritto è un ripartire dalle basi. Da un racconto che si fa musica, o meglio, da un racconto che arriva alla musica. L’inquadratura scelta per fotografare l’artista descritto non è mai banale e ci porta verso lati poco noti o conosciuti, raccontando aspetti delle grandi star accessibili solo a chi si è dedicato a fondo alle loro biografie. Si parte con Tim Buckley, con un genio eclettico e problematico, dal suo rapporto con il figlio, l’amore, le famiglie, la dipendenza. Il racconto non è mai morale, pietista, anzi, incalza, aumenta di ritmo, lascia indizi sparsi, quasi come fosse un gioco tra chi racconta e il pubblico. E poi, all’apice della narrazione c’è una morte, un punto fermo, un presente. E poi musica, a turno tra Nathalie e The Niro. Il racconto prosegue con la Joplin, il Chelsea Hotel e l’incontro con Cohen, un Thom Yorke alle prese con ospedali, plastiche e una mamma, un Cash che diventa statua e gigante, come nella realtà, sospeso tra Steinbeck e linee bianche da seguire, il Lead Belly di In The Pines, resa famosa dai Nirvana nell’Unplugged, e poi Chris Cornell, Jeff Buckley, Lou Reed.
È una piccola Spoon River in prosa, in cui il soggetto non è rivelato se non dalla sua musica. Un gioco fatto di parole chiave, canzoni nascoste nelle vite narrate, piccoli segreti di grandi personaggi. È come stappare una bottiglia di buon vino e trovare tutti i profumi possibili, e, alla fine, assaggiare.
Risultati della serata: ho comprato il libro oggi. Se Ciuferri scrive come racconta, allora ho delle belle ore davanti. Poi ho scoperto che la musica dal vivo è ancora in grado di emozionarmi. Anzi no, diamo merito anche al sottoscritto: i peli delle mie braccia hanno ancora memoria e sanno alzarsi con fierezza in caso di musica ben suonata. Posso vantarmi di questa cosa, ieri sera ne sono stato orgoglioso e quasi mi sono commosso. Ultimo: cantare, anche sussurrando, dentro la mascherina è come fare l’amore sotto le lenzuola.
Lo fai proprio solo se devi. 

La musica è tornata dal vivo, il mondo è tornato un posto più vivibile, grazie anche a questi artisti che nonostante il poco pubblico si sono impegnati e hanno dato vita a uno spettacolo interessante e appassionante.
Regolarmente conclusosi nel rispetto del coprifuoco vigente. 

Chiudo con un consiglio da amante dei bei racconti raccontati: il podcast. Ragazzi, questo spettacolo deve uscire dai teatri e dalle piazze. Osate. 

 

Andrea Riscossa

Foto di Copertina: Davide Garibaldi

Daniel Blumberg @ Anfiteatro del Venda

Una magnifica follia

Anfiteatro del Venda (Galzignano Terme) // 13 Settembre 2020

 

Praticamente c’è sto tizio, vestito in maniera leggermente eccentrica di scuro, cappellino da baseball calato sul viso a nascondere lo sguardo, che sta seduto al piano, e tamburella, giochicchia, insiste in maniera seriale, quasi ossessiva, su un paio di note gravi, le quali escono dall’impianto effettate e stridenti, completamente snaturate. 

“Starà facendo il sound check”, presumo sia stato il pensiero mio e dei (non moltissimi) presenti, comodamente sdraiati sul prato inclinato che circonda il palco del Venda, mentre il sole lentamente prosegue il suo tragitto verso ovest, tuttavia ancora troppo alto sull’orizzonte per lasciar spazio allo spuntare delle luci della pianura padana, fondale naturale per le esibizioni da queste parti.

Tra una chiacchiera, un bicchiere di vino ed un paio di risa poco alla volta tutti si convincono del fatto che quella figura longilinea e vagamente “strana”, china sul piano, deve essere lui, dai, il signor Daniel Blumberg, trentenne inglese che in questa domenica settembrina porta in Italia, unica data nella penisola, in una location con pochi eguali, il suo recente On&On….

Il di cui sopra musicista non pare dare molta importanza alla situazione che lo circonda, intento com’è a guardarsi intorno quasi smarrito, a stuzzicare la tastiera, bofonchiare qualcosa in un microfono, accennare un paio di note sull’armonica, veder correre senza sosta una biondissima bambina (che ancora non so se potesse essere sua figlia o comunque appartenente all’entourage), sorseggiare del vino, alzarsi a far nulla in particolare per poi risedersi al piano, sistemare un libretto sul leggio. 

In questo clima tra il bucolico dell’ambientazione, l’informale della domenica pomeriggio orario aperitivo, il surreale del vedere il motivo stesso del tuo pellegrinaggio in cima a queste colline intento a cazzeggiare in mezzo al palco che quasi per caso ti accorgi che gli ultimi due accordi di piano somigliano davvero molto a quelli di Madder, pezzo tratto da Minus, prima gemma regalata al mondo da Daniel Blumberg, risalente al 2018. Quando, diversi minuti dopo, si avvicina al microfono e con il suo timbro inconfondibile scandisce “It’s my morning answer” non ci sono più dubbi, è lei; semmai ti resta qualche perplessità per il semplice fatto che non sai ancora se sia effettivamente iniziato il concerto o meno, ma tant’è, inutile continuare a crucciarsi, meglio assumere una posizione più adatta e rispettosa verso quello che, e non lo dico solo io, è l’autore di uno dei migliori dischi del 2020 ed i cui concerti, e io non lo dico perché è la prima volta per il sottoscritto, sono sempre delle esperienze magnifiche.

Prendendo come assioma dunque che Madder sia stato il primo brano in scaletta, quello che emerge subito, senza troppi fronzoli, è la continua, incessante necessità, il bisogno che Blumberg sembra di avere di alterare, portandoli quasi fino al rumore vero e proprio, quasi fino alla cacofonia, i suoi brani; i quali, beninteso, sono dei capolavori, dei veri miracoli cantautoriali.

Daniel Blumberg ha una facilità e creatività espressiva e compositiva imbarazzante da quanto è sfacciata, brani come Minus, terzo brano in scaletta quest’oggi, o la title track On&On, che ha trovato spazio verso la fine del live, sono composizioni che la stragrande maggioranza dei cantautori al giorno d’oggi pagherebbe per riuscire a comporre, farebbe carte false per avere qualcosa di simile a Permanent in repertorio, credetemi. 

Un incrocio tra Mark Linkous e Keaton Henson ed un pizzico di Sufjan Stevens (con sfumature nella voce di Ben Sollee aggiungerei) sotto il quale scorre una vena rumorista di pura avanguardia, motivo per il quale più che a veri e propri concerti, quelli di Daniel Blumberg somigliano ad esibizioni  che potreste vedere in qualche MoMa o Guggenheim o in qualche galleria d’arte moderna, come quando in un momento di passaggio tra Family and On&On, unite da lenti, lentissimi tocchi di piano e vaneggi di armonica, ha passato svariati minuti a creare un fastidiosissimo rumore con un microfono, o come prima di Teethgritter, quando i minuti sono trascorsi nel guardarlo far cadere all’infinito nella coda del piano diversi oggetti metallici (monete forse?). 

È la struggente, severa carezza di The Bomb a chiudere quest’esperienza così trasversale, così vera; il sole ora sì è giunto a destinazione, dietro alle colline e al contempo le luci del mondo, mai così distanti, disegnano un tappeto intermittente alle spalle di quest’uomo, questo concentrato di creatività e stupore, di dolcezza e frastuono, che stranito, spaesato, si alza dal pianoforte, un abbozzo di inchino, non una parola, due passi a lasciare gli assi del palco del Venda, si siede poco lontano, “Minus the intent to feel, I’m here”.

 

Alberto Adustini

Francesca Michielin @ Acieloaperto

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• Francesca Michielin •

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+
Gregorio Sanchez

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 Acieloaperto

Villa Torlonia (San Mauro Pascoli) // 01 Settembre 2020

 

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Gregorio Sanchez

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The Comet Is Coming @ Acieloaperto

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• The Comet Is Coming •

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 Acieloaperto

Rocca Malatestiana (Cesena) // 13 Agosto 2020

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Max Gazzè @ Acieloaperto

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• Max Gazzè •

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 Acieloaperto

Rocca Malatestiana (Cesena) // 10 Agosto 2020

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Efterklang @ Sexto ‘Nplugged

Un magnifico riverbero

Piazza Castello (Sesto al Reghena) // 9 Agosto 2020

 

Vengo regolarmente a Sesto al Reghena per il Sexto ‘Nplugged dal 2007, quando esordii in Piazza Castello di fronte a sua immensità Antony and the Johnsons. L’ultima mia volta a queste latitudini è una ferita ancora aperta, leggasi Sharon Van Etten, annullato per maltempo mentre parcheggiavo la macchina con il mio bel biglietto in mano. Il virus mi aveva precluso l’ennesima serata con il mio grande amore Chan, ma non può piovere per sempre, giusto? Ed ecco che i miracoli (perché di questo si tratta) a volte accadono e in piena emergenza pronte tre serate tre per palati fini, perché il pubblico di Sexto oramai ha aspettative che vanno dall’alto in su.

Stasera per me è una primizia, dopo un lungo inseguimento, perché finalmente vedrò il mio gruppo musicale danese preferito (e uno potrebbe dire “sai che concorrenza”, al che io risponderei “e gli Aqua dove li metti?”), ovvero gli Efterklang.

Premettiamo subito che parliamo di un concerto CLAMOROSO.

Cla – mo – ro – so, ve lo sillabo, qualora non fosse passato il messaggio.

In tutta sincerità confesso che mi aspettavo molto, per la caratura della band in primis, poi perché si presentava in formazione a sette, che ha sempre un suo fascino, e perché adoro la loro capacità di cambiarsi d’abito con una disinvoltura e naturalezza fuori dall’ordinario, propria delle grandi band.

Ecco, visto che si parla di abiti, vorrei mi fosse concessa una piccola digressione su Caspar Clausen, voce degli Efterklang e da stasera mio nuovo spirito guida. Si presenta sul palco con un calice di vino bianco, capelli biondi fuori taglio, come un frontman dei Bee Hive senza il doppio colore, una fronte enorme, un abbigliamento che meriterebbe un trattato a parte, total white, camicia abbondante nelle maniche, pantalone fuori moda alto in vita, sandalo forato di dubbissimo gusto (mise che sarebbe stata perfetta nelle commedie anni ’80, nelle scene all’interno delle discoteche, quando ci sono le comparse che ballano in maniera imbarazzante con le braccia lungo i fianchi, spero di aver reso l’idea). Semplicemente perfetto. Ciliegina sulla torta una sorta di bipolarità del nostro che sono riuscito a gestire solo dopo alcuni brani, in quanto mi soffermavo rapito a guardarlo passare in tempo zero dal trasporto del canto al fissare immobile persone a caso nelle prime file, e sorridere loro, con quell’espressione come dire, alla Mariano Giusti per capirsi, il personaggio lievemente eccentrico che Guzzanti interpretava in Boris. Se ce l’avete presente bene, altrimenti non è che posso fare tutto io.

Ad ogni modo un’ora e mezza circa farcita di bellezza, così tanta che si fatica a contenerla in un semplice live report, perché l’iniziale Monument, o Vi Er Uendelig (noi siamo eterni, come ci traduce Caspar), quasi una ninna nanna, piuttosto che The Colour Not Of Love erano state già capaci di irradiare e riempire di magia la piazza, tutta, compresi i vuoti dei distanziamenti, e abbracciare e abbracciarci, sotto la stessa luna, sotto lo stesso campanile che sovrasta il palco.

Una scaletta che attinge principalmente da Piramida e dall’ultimo Altid Sammen, che alterna brani in lingua inglese a brani in danese, e per quei strani, sovrannaturali, inspiegabili meccanismi che solo la musica dal vivo sa creare, sulle note Hold Mine Hænder, tutto il pubblico diventa d’incanto connazionale dei sette sul palco, e per alcuni dolci minuti un canone delicato e sognante tra palco e platea rende più di qualche occhio lucido (eccomi).

Sedna apre i numerosi encore, a cui fa seguito una Black Summer arricchita da una coda di sfacciata bellezza (Siv Øyunn Kjenstad, sappi che sei una meraviglia dietro a quella batteria, ed hai una voce celestiale, e meglio se mi fermo). A questo punto del concerto la famosa quarta parete è stata già abbattuta da tempo, sulle note di The Ghost, Caspar Clausen si siede a bordo palco, a due metri dalla platea, gli si affianca il basso (e il baffetto) di Rasmus Stolberg, il pubblico si alza in piedi e parte un convinto battimani a tempo, si avverte palpabile la sensazione che in condizioni “normali” tutto il pubblico sarebbe già da tempo sotto il palco, a ballare e a cantare, ma non si può, non ancora, per cui “se Maometto non va alla montagna…”, ecco che Alike mette i titoli di coda, con i sette che, uno strumento a testa (tra i quali i cucchiaini e una diamonica), totalmente in acustico, scendono dal palco, percorrono con molto rispetto il periplo di piazza Castello, e voglio pensare che non sia stato un caso che le ultime parole cantate in questa serata indimenticabile siano state queste:

The days are gone and the game was fun
The path was wrong, but it gave us hope
The more we found, the more we grew
Upon the truth, upon the truth
And it made us feel alike

 

Alberto Adustini

Calibro 35 @ Acieloaperto

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• Calibro 35 •

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 Acieloaperto

Rocca Malatestiana (Cesena) // 01 Agosto 2020

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L’atmosfera è strana, diversa.
Siamo seduti e siamo pronti. Non possiamo stare vicini ma, dopo mesi di attesa, abbiamo un palco davanti.
È quasi irreale da quanto è bello.

22.00

Ci siamo. La platea è piena; sì, piena, perché il concerto è sold out e le distanze che ci separano sono riempite dalla voglia di ognuno di noi di tornare a vivere la tanto agognata dimensione live. Da fotografa di concerti ricomincio da qui perché, caso vuole, l’ultimo concerto fotografato prima del lockdown è stato proprio quello dei Calibro 35, al Locomotiv di Bologna, durante il primo tour del nuovo disco, Momentum, uscito per Record Kicks lo scorso gennaio.

Gabrielli e soci salgono sul palco e il film ha inizio.

Come se la puntina girasse sul 33 giri di Momentum, Glory-Fake-Nation sancisce l’inizio del nostro ritorno alla musica dal vivo e la batteria di Rondanini scandisce una marcia incalzante che ci guida alla scoperta di una scaletta pressoché perfetta.

Eccoci, Stan Lee fa il suo ingresso. Siamo in una Milano a mano armata soul, che strizza l’occhio alla modernità, ma anche un po’ ai ghetti di Brooklyn.
Il disco prosegue con la terza traccia, Death of Storytelling, sognante, vibrante, perfetta.

Continua l’inseguimento con lui, IL pezzo: SuperStudio. Forse il più amato di Decade (2018), arriva preciso e tagliente come il piombo di una calibro 9, per poi lasciare spazio al funk, quello puro, che ti entra dentro. Qui la sezione ritmica fa godere e, se non stai attento,quella sedia (che, diciamocelo, sta un po’ stretta) diventa il tuo dancefloor sulle note di CLBR35, che si specchia con il suo lato A e il funk-rock spaziale di Bandits, verso la fine della scaletta.  

Ma torniamo a noi e alle atmosfere un po’ noir di Automata e Tom Down, che ci trasportano in un romanzo di Raymond Chandler, dove l’investigatore privato dei romanzi hard-boiled degli anni ’30 sbircia attraverso la veneziana del suo ufficio, mentre in un vicolo lercio di China Town si sta consumando l’ennesimo, efferato, delitto.

A questo punto la macchina da presa torna negli anni ’70 e l’occhio di bue insegue un’auto spinta a folle velocità, in mirabolanti progressioni funk-jazz con botta e risposta tra il basso di Cavina e l’hammond di Gabrielli, che ci catapultano nei B-movies tanto amati da Tarantino. 

Dopo la godibilissima Thrust Force e Universe siamo a metà scaletta e l’atmosfera si fa fumosa. Come al cinema, siamo tutti incollati alla sedia, in attesa del colpo di scena… che arriva, eccome se arriva. 

Come? Con una chicca dall’ultimo album Momentum, Fail it till you make it, con quella batteria leggermente indietro che ti trascina, ti coinvolge e ti sconvolge, per poi incalzare e lasciare spazio all’assolo del sax di Gabrielli. Travolgente.

Non poteva che seguire 4×4 (sì, sono di parte, adoro questo pezzo); qui il protagonista del nostro film si muove come un gatto all’ombra dei lampioni di una città distopica, per poi precipitare nel vortice delle chitarre di Martellotta.

S.P.A.C.E. e il flauto traverso di quel genio di Gabrielli ci fanno tornare negli anni ’70; siamo ormai ai 3/4 della scaletta e Black Moon omaggia la meravigliosa luna che c’è in cielo questa sera, a far da cornice a questo concerto così tanto atteso dagli amanti del genere e dagli amanti della musica in generale perché, ragazzi, non so se fino a qui l’abbiate capito, ma stiamo parlando di Musica con la M maiuscola, grazie anche alla magistrale produzione ad opera di Tommaso Colliva.

Finalmente arriva lo space western di Bandits on Mars e noi balliamo, ormai inebriati dal funk che ha intriso ogni molecola del nostro corpo e, a seguire, il ritmo sincopato di Ungwana da S.P.A.C.E. (2015), il quinto album in studio del gruppo. 

Con One nation under a format, il cui titolo omaggia George Clinton e i suoi Funkadelic, e Trafelato, arriviamo alla fine di questo viaggio.

Ci manca un po’ Travelers, ma non gliene facciamo una colpa perché dopo i primi saluti arriva, come un regalo sotto l’albero, la Giulia che sfreccia in Bovisa, tra gli applausi e i sorrisi del pubblico. 

Titoli di coda, il film si chiude.

Il merch va a ruba e mi lascio soffiare sotto al naso l’ultima copia del vinile di Decade (argh!). 
Niente panico, c’è quella dolce musicassetta snobbata dai più, che mi chiama.
È mia e Gabrielli ci lascia il suo autografo sopra.

A quando il prossimo?

 

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Testo e Foto: Isabella Monti

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Pearl Jam @ Autodromo Imola

Autodromo Enzo e Dino Ferrari (Imola) // 5 Luglio 2020

 

• Il concerto che non c’è •

 

Scena 1
Torino, esterno, giorno.
Inside Job

Il giorno prima di ogni concerto, soprattutto se dei Pearl Jam, corro.
Cuffie nelle orecchie e corro. Lascio che la loro musica entri in circolo con la respirazione, seguo il ritmo, mandando all’aria ogni buon consiglio sulla corsa. Visto da fuori sembrerò pazzo, più che un allenamento è riallineamento, una overdose di musica propedeutica una razione doppia di endorfine.
Ma è liberatorio, col sudore se ne vanno pensieri inutili e preoccupazioni, cerco di tornare alla neutralità, pronto all’urto del concerto.
Correre, quasi un lusso. Appartengo a quella schiera di runner cui è stato impedito di sudare in pubblico. Non è stato un sacrificio, non credo di aver fatto la mia parte rinunciando a così poco. Però mi mancava.
Guardo le gambe, sento la destra che perde colpi, usurata da pallavolo e calcio.
Guardo davanti e sorrido, perché ogni volta, più o meno verso lo stesso albero (sarà l’ossigenazione del cervello che salta sempre allo stesso chilometro), mi suggerisco la solita, facile metafora della corsa come allegoria della vita. Inizio, sudore, fine. Superamento costante dei propri limiti. Un passo dopo l’altro. E giù di cliché a pioggia, un ibrido tra Moccia e i perugina. E se Moccia fosse un ghost writer dei messaggi dei baci? E se avesse iniziato così?
Inizia a piovere.
Corro e scarto pensieri. Corro e costruisco storie che vorrei fermare, vorrei scrivere, ma sono liquide, come liquido sto diventando io. Come stai Andrea? Come arrivi a questo concerto?
Eddie mi ricorda proprio adesso che “how I choose to feel is how I am”. Le parole delle canzoni, mentre il tuo cuore pompa sangue e I tuoi muscoli iniziano a lamentarsi entrano come coltelli nel burro e non fanno a tempo a depositarsi che subito provocano catene di associazioni, è come stare su un tapis roulant al Louvre. Rimangono impressioni, torneranno su più tardi, coll’acido lattico.
Corro col solo obbiettivo di costringere il corpo a cercare il letto prima della mente. Stanco, devo essere stanco. Stasera non penserò a domani, o subentrerà l’ansia da prestazione, per me e per loro.
Cazzo quanto piove.
Oddio, arriva. 

Let me run into the rain
To be a human light again

Dissolvenza in nero.
Inside Job.

 

 

Scena 2
Interno auto, autostrada, giorno.
Light Years

I viaggi in auto verso i concerti sono come le prime pagine dei libri. Hai curiosità e diffidenza verso qualche faccia nuova, o magari sei felice come un bambino, perché ritrovi personaggi lasciati lì, chiusi dopo l’ultima pagina dell’ultimo concerto.
Si parla di qualunque argomento, l’importante è che dalle casse esca musica che vada bene a tutti.
La dimensione del viaggio ci era stata negata, e mai come ora capisco quanto sia importante mettere chilometri tra il proprio divano e un qualcosa che accade altrove.
Chilometri, parole, musica, un’autostrada che si riempie sempre più di automobili piene di nostri simili, diretti verso lo stesso luogo, stessi sorrisi, stesse colonne sonore, magari stesse storie.
Dalle casse riconosco Light Years, e la domanda è sempre la stessa: le canzoni capitano casualmente nei momenti giusti o sono i pensieri che seguono segretamente le note e ti ritrovi a pensare se le canzoni capitino casualmente.
Al Pinkpop Festival del 2000 Eddie Vedder dedicò questa canzone all’amica Diane Muus, scomparsa tre anni prima, a trentatré anni. Eddie così parlò: “sometimes you have got friends that don’t fuck up at all and are great people. And then you just lose them for some reason. They are off the planet and you never had a chance to say goodbye. I only mention this because there was a person we used to know here and that was Diane and ah, we never got a chance to say goodbye. This is goodbye. And if you’ve got good friends, love them while they’re here.
Ecco, la risposta è no, non capitano casualmente. È stato un periodo di addii negati, di persone perse senza uno sguardo reciproco. Un ultimo, consapevole, gesto d’amore. Abbiamo delegato tutto questo senza poterci opporre. È un peso che cala lento.
E allora prendiamoci questo concerto per curarci un po’, per raccontare le nuove cicatrici.
Siamo stati immobili, come pietre, ma la musica ci ha continuato ad illuminare.
Mi giro, I tre sono persi a discutere se con la partenza di Abruzzese sia davvero andato tutto a fanculo.
Sorrido, godiamoci questo viaggio, che mai come in questo 2020 si sta come al Pinkpop sul palco Eddie Vedder.

Your light’s reflected now, reflected from afar
We were but stones, your light made us stars

Dissolvenza in nero
Light Years.

 

 

 

Scena 3
Autodromo Enzo e Dino Ferrari, pit, esterno, tramonto.
Release

Trovato posto, il nostro posto nel pit, conosciuto i vicini di spalla.
Birre, cesso chimico, birre.
È incredibile come l’alimentazione prima di un evento impegnativo come un concerto sia, generalmente, liquida. Siamo astronauti.
L’aria cambia, sale un po’ di vento ad asciugarci, la sera sta arrivando, porta musica. Pixies andati, visti a Torino e recensiti, sapevo avrebbero fatto muovere le chiappette anche a questi giovini, linee di basso come schiaffi, irresistibili.
Adesso però ho bisogno di un’assoluzione.
Adesso ho bisogno di un’onda sonora che riallinei me al mondo, me alla musica, me a questo momento che aspetto ogni anno, come una medicina unica e rara.
In Let’s Play Two c’è un momento che mi rovina la vista, annacquandola, ogni volta. È all’inizio di Release, quando Eddie introduce la canzone. Cerca un certo John, “wherÈs John?”:

TherÈs a guy named John in the front. WherÈs John?
I just want to point out one guy at the front,
because he was the first guy in line two days ago; four days ago.
And he wanted to be in front for this song, because it meant a lot to him.
HÈs going through some stuff, and wÈre gonna help him.
Sing with me

Musica.
Lo stadio intona insieme a Eddie un lungo e profondo Oooohhhhhhhhh….

How are you doing now, John?

Oh, yeah.

Come va adesso Andrea?
Ho resistito, ho tenuto botta, ho teso i muscoli per mesi, per arrivare qua. Altro che quattro giorni, io è una vita che sto in fila. E sono e sarò John per sempre e per sempre avrò bisogno di essere lì, quando ci sarà bisogno di una “o” bella lunga e bassa, per ritrovarsi, riallinearsi e dirsi, senza troppi problemi che siamo passati attraverso qualche casino e che abbiamo un bisogno fisico di catarsi, di una benedetta catarsi di massa possibile solo attraverso la somministrazione consapevole e volontaria di basso chitarra batteria voce. Ukulele q.b. .
Cari John, lo so che siete là fuori anche voi. È tornato il momento di cantare tutti insieme, anche a cazzo di cane, ma farlo, oggi, qui, è la cosa più bella che ci sia.

I’ll ride the wave where it takes me
I’ll hold the pain, release me

Dissolvenza in nero.
Release

 

 

 

Scena 4
Autodromo Enzo e Dino Ferrari, pit, esterno, notte.
Rearviewmirror

Dissolvenza in nero

Fin qui tutto bene.
Belle le canzoni di Gigaton. Sognavo di cantare a squarciagola ravanèi remulass, barbabietole e spinass nel nanananaanaanananana di Superblood  Wolfmoon da mesi. Fatto.
Mai stato un musone da setlist scadente o presunte tali. Sapevo che anche questa volta non avrebbero deluso. C’è però una canzone che non possono non suonare. Una sola chiedo, perché è importante che mi arrivi addosso cantata da migliaia di persone e da loro, lassù, sul palco.
Fin qui tutto bene.
Poi arriva, chitarra, chitarre, batteria e basso. E via, l’autodromo esplode. Si tira fino al What I could not forgive, Mike ha già le mani al cielo. Adesso ognuno se ne va per la sua strada, poi tornano, poi via di nuovo, io vacillo.

Dissolvenza in nero

Migliaia di mani battono insieme, richiamano e reclamano. Un basso esaudisce i desideri.
Saw Things, per quattro.
Al quarto Eddie è posseduto, occhi chiusi, io galleggio. Le ombre si sono alzate, Mr. McCready è già piantato come un palo, mento in su, in estasi mistica, a sparare note sulla folla, la canzone sta per entrare nella sua terza vita, perché Rearviewmirror è una e trina, è composta, come la parola che la definisce.
Rear-view-mirror.
Batteria che corre i cento metri, io ho addosso un paio di baccanti, il pubblico dietro di me sembra un’onda impazzita.

Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

Quando torno sulla terra, finite le note, è come se mi svegliassero da un sogno. Come se mi venisse tolto qualcosa cui tengo tantissimo. È infantile, me ne vergogno un po’, ne vorrei una al giorno di Rearviewmirror, così, tutti centomila insieme.
Insieme.


I hardly believe
Finally the shades are raised… hey

Dissolvenza in nero
Rearviewmirror

 

 

 

Scena 5
Autodromo Enzo e Dino Ferrari, esterno, notte.
Present Tense

Una Baba O’Riley che ha spostato le stelle per volume e che ha fatto ballare i sismografi chiude il concerto.
I sorrisi che si vedono dopo l’ultima nota, a luci accese, sono unici. Non li puoi trovare da nessun’altra parte. Ci sono sorrisi da sport, sorrisi da paternità, sorrisi di complicità, sorrisi irreverenti. Poi quelli da pit, che, con pochi altri, pongono una condizione precisa di tempo e luogo. Me li guardo per bene, me li tengo stretti.
Ho le orecchie che fischiano, le gambe molli, una sostanza simile al vinavil in gola.
Urge una birra, take a bottle, drink it down, pass it around.
I passi che faccio per uscire sono sempre I più pesanti, perché so che sono quelli più lontani dalla “prossima volta”. Oddio, avrei Zurigo, a breve. Però, mi concedo un sorriso ad angoli verso il basso. E un sospiro.

Dissolvenza in nero

Mi allontano. Mi metto in disparte, voglio osservare tutto questo. Perché con tutto quello che è successo ho cambiato il modo di percepire certi eventi. È come se testimoniare la realtà sia diventata un’urgenza. Ed è come se guardare questo nuovo spettacolo, con nelle orecchie ancora le loro chitarre, mi aiuti a digerire  marzo e aprile duemilaventi. Non vedere i miei genitori, gli amici, dover lavorare in continuazione per rimanere a galla, l’uscire con mascherina, autocertificazione, le code, la gente impaurita e arrabbiata, gli amici medici, gli amici ammalati, gli amici intubati. File di camion che escono da una città, i telegiornali visti di nascosto, spiegare a mia figlia perché sta succedendo tutto questo, perché i negozi nel quartiere sono chiusi e perché alcune serrande non si alzeranno più.
Chiuso, dentro.
Per fortuna c’era la musica, c’era una famiglia, c’era una bambina con cui ascoltare skipping prima di addormentarsi. Sono fortunato, lo riconosco qui e ora, del resto makes much more sense to live in the present tense.
È un mettere un piede davanti a un altro, come la corsa, metafora da due soldi.
Grazie piccolo esercito di John, siamo stati bene anche questa volta. Alla prossima.
 
You’re the only one who can forgive yourself oh yeah…
Makes much more sense to live in the present tense…

Dissolvenza in nero
Present Tense

 

 

Epilogo.
Sotto un albero, privo di ossigenazione, esterno, giorno.
Come Back

Questa volta mi sono fermato.
Ho un ultimo pensiero per me, per chi è ancora qua. Io a questo concerto ci sono andato davvero.
È durato tre mesi, forse quattro, è nato in quarantena ed è continuato ogni volta che una canzone dei Pearl Jam mi richiamava a un attimo di riflessione, a un pensiero, a un ricordo.
È il privilegio della reminiscenza, anzi, della ἀνάμνησις (anamnesi). È un qualcosa di bellissimo, un regalo della mente. È conoscenza, è il risveglio della memoria destata dalla sensibilità.
O forse non dovevo correre con 32° e assenza di ombra.
Ok, se queste saranno i miei ultimi pensieri, i miei ultimi respiri, lascio volentieri il ricordo di uno cui si alzavano ancora i peli delle braccia alla 456esima Rearviewmirror. Oppure cerco di tenere duro, fino al prossimo concerto, magari vero, questa volta.
Ecco. Come back. Il prima possibile, ne abbiamo tutti, per davvero veramente, un grandissimo bisogno.
E piove di nuovo.

If I don’t fall apart
Will my memory stay clear?

Dissolvenza in nero
Titoli di coda
Come back

 

 

 

 

Andrea Riscossa

Foto di copertina: Francesca Garattoni

 

 

Let the Music Play @ Anfiteatro del Venda

Anfiteatro del Venda (Galzignano Terme) // 16 Giugno 2020

 

Alla fine è successo. Prima di quando sperassi(mo). Meglio anche di quanto sperassi(mo).

È stato bello, è stato vero.

Siamo tornati ad un concerto. Un concerto reale, con i crismi che deve avere. Niente drive in, niente ologrammi, niente streaming né altre diavolerie. 

Un pubblico, coi distanziamenti e le misure previste, un palco — e che palco… esagero nel dire che in Italia ci sono pochi luoghi che possono reggere il confronto con l’Anfiteatro del Venda, con quel palco affacciato sulla pianura Padana e le sue mille luci? —e gli artisti su di esso. 

Tutto bello. Tutto perfetto.

Cioè non proprio tutto, come sostengono i rappresentanti delle Maestranze dello Spettacolo del Veneto, che ad inizio serata si prendono la scena, espongono uno striscione e fanno capire senza grandi giri di parole che la ripartenza tanto sbandierata è effimera, quando non proprio inesistente, soprattutto per certi settori, quali ad esempio la cultura. Sono parole importanti, dure, come giusto che sia, perché se la facciata ci appare stia tornando ad essere bianca, nasconde dietro ancora un sacco di sporco, che sarà difficile eliminare. Ad ogni modo un in bocca al lupo a tutti loro, sperando che presto possano ritrovare un po’ di serenità. E di diritti.

È la volta poi della musica, quella suonata, quella che ci ha spinto in cima al monte Venda, sfidando il maltempo che sta trasformando questo giugno in un novembre inoltrato, e ad aprire le danze tocca a Ricky Bizzarro, rocker trevigiano, una vita sul palco, da solo, in teatro, soprattutto coi Radiofiera, che hanno un disco pronto in uscita, prodotto da Giorgio Canali, e che questo virus ci costringe ad attendere. Ricky scherza “ho scritto un libro, ma ne ho una sola copia qui”, canta, suona, coadiuvato dal Maestro Sergio Marchesini, che con la sua fisarmonica fungerà da trait d’union della serata. Con l’occasione Bizzarro presenta anche un paio di brani in anteprima, mostra la sua enorme classe con una commovente In Meso Al Prà Dea Fiera, trascina con la sempre bella Me ciamo fora, si congeda felice quanto noi di essere tornato su di un palco.

Il testimone passa ad Erika Boschiero, col suo delicato folk, in bilico tra Joni Mitchell e la canzone popolare mostra (a me personalmente, che non la vedevo dal vivo da diversi anni…) un livello artistico ed una padronanza della voce e della chitarra non comuni e che strappano applausi ed urla di approvazione da tutta la collina. Salta con una naturalezza disarmante da un toccante omaggio a GianluigiGianniSecco, ad una dolcissima Cucurrucucù Paloma, alle tradizioni bellunesi de L’omo nero.

Il giro delle province venete si chiude con il veneziano Iacampo, che non pare aver risentito di questi mesi di stop forzato e si esibisce in una deliziosa Le mie Canzoni con il suo cantautorato così personale e figurativo, per poi annunciare che “ho comprato io il libro di Bizzarro, è all’asta”, e respingere al mittente Marchesini che aveva sbagliato ingresso e strappare risa e applausi al bel pubblico.

La serata scivola via in maniera così piacevole e naturale che accetto di buon cuore di lasciare lo spettacolo anzitempo (accogliendo tra i primi per altro l’invito di Simone, il padrone di casa, di non ammassarsi all’uscita), ma la cinquenne tradisce qualche segnale di stanchezza e pur avendo apprezzato il tutto (in particolar modo l’invito di Erika Boschiero ad accendere le torce dei cellulari per creare un po’ di scena) reclama un letto, per cui sì, è un report senza finale, senza il gran finale che posso solo presumere ci sia stato, con i quattro moschettieri assieme sul palco, distanziati il giusto, ma uniti dal grande abbraccio della musica.

Sopra il Venda ci sono le nuvole, ma noi siamo tornati a riveder le stelle, già. 

 

 

Alberto Adustini

Big Thief @ Locomotiv Club

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• Big Thief •

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+
Pays P

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Locomotiv Club (Bologna) // 22 Febbraio 2020

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Foto: Francesca Garattoni

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Pays P

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Grazie a Locomotiv Club

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