Skip to main content

Tag: Live

La resistenza dei Doormen tra chitarre, vinili e live

Incontro Vins all’ingresso del Moog locale, un po’ speakeasy e un po’ salotto bohémien, nascosto in un vicoletto in centro a Ravenna. Gli altri Doormen, Luca “Mala”  e Andrea “Allo” sono già dentro, con la loro birra in mano.

Tommaso non riesce ad esserci: è bloccato a Bologna, “ma si fida di noi” aggiunge subito Luca. Per non essere da meno prendo la mia birra anch’io e andiamo nella sala al piano di sopra, con le fotografie alle pareti e i divani in velluto, per la nostra intervista. 

I Doormen sono una band di Ravenna che ormai da dieci anni si muove, con grande consenso di pubblico e critica, sulla scena rock alternativa.

Qualche mese fa è uscito il loro ultimo disco, Plastic Breakfast, un album che rispetto ai precedenti segna il ritorno ad un suono più ruvido: tante chitarre e pochi effettini. Tutto quello che manca alla musica italiana degli ultimi anni.

La prendiamo larga: come descrivereste la vostra musica a chi non vi conosce?

Luca: La nostra musica è il risultato del nostro background, quello di ognuno di noi. In questo disco in particolare, rispetto agli altri lavori, c’è veramente il contributo di tutti. 

È un disco fatto a quattro mani e quattro teste. Non a caso ci abbiamo messo quasi tre anni prima di farlo uscire. 

In passato eravamo sempre io e Vins a comporre. Io scrivevo i riff e lui i testi e le linee vocali, poi univamo le cose. Stavolta ognuno di noi ha detto la sua.

È il primo disco da band. Tanto è vero che ci sono stati anche dei momenti di scontro: “questo mi piace, questo non mi piace”, ma ce l’abbiamo fatta. Anche se la maggior parte delle persone lo ascolta su Spotify.

È una cosa che vi dà un po’ fastidio, questa di Spotify.

L.: Sì, un po’ sì. (ride, ndr). Questa volta abbiamo deciso di fare solo il vinile, che è una cosa da appassionati. Sai perché mi sta sul cazzo Spotify? Perché se lo ascolti lì sopra ha un suono bello, ma se lo ascolti su disco è diverso: è meglio, ha un’altra grana.

IMGL2283

 

Raccontatemi un po’ di voi, quando nascono i Doormen?

L.: I Doormen hanno avuto due fasi, nel 2009 e nel 2015, quando abbiamo cambiato la sessione ritmica e sono entrati nella band Allo, cioè Andrea, e Tommy. I migliori sulla scena romagnola.

Quando ci sono questi cambi a volte il rischio è di trattarsi come turnisti, invece ci siamo presi bene, e abbiamo trovato la formazione definitiva.

Parlando dell’ultimo album, Plastic Breakfast, visto che prima avete accennato al fatto che ognuno di voi
ha portato il proprio universo musicale, ero curiosa di sapere quali sono stati i vostri ascolti durante la realizzazione e quali le vostre ispirazioni.

Vins: Per me senza dubbio i Nirvana. Perché in quei dischi lì, quelli belli, ci sono loro quattro. Qui ci siamo noi quattro. 

Che il riff sia gentile o incazzato, siamo noi. Non c’è stato un vero e proprio riferimento, ma sicuramente un’ispirazione.

Andrea: Dentro Plastic Breakfast c’è il nostro background, che arriva direttamente dagli anni Novanta. Lo sapevamo ma è stato ancora più evidente quando abbiamo iniziato a lavorare insieme sui pezzi. 

IMGL2269

 

Infatti, rispetto ad album precedenti il suono è più graffiante, più dritto. C’è meno synth, ci sono meno effetti. 

L.: Sì, infatti a questo proposito l’esempio dei Nirvana è calzante. Questo disco è stato suonato in presa diretta, come siamo noi dal vivo. Mi viene in mente In Utero, che è stato registrato in questo modo. 

Molti ci dicevano “avete dei bei pezzi, però dal vivo avete qualcosa in più”. 

V.: Ti riassumo tutto con una frase del fonico Filippo Strang, dello studio di registrazione di Frosinone, dove abbiamo realizzato il disco. In tutti i nostri lavori precedenti, una volta registrato il canovaccio, ci mettevamo il cimbalino, l’ovetto, la chitarra acustica e altri effetti.

Così, quando finiamo tutte le registrazioni di Plastic Breakfast salto su e faccio: “e l’acustica dove la mettiamo?”e Filippo “ao’, ma che stai a dì? Questo è un album maschio, non la mettiamo da nessuna parte”. E così è stato.

A.: Non ce l’eravamo detti all’inizio quello che volevamo fare, siamo partiti ed è venuto fuori questo. Avevamo voglia di fare delle cose belle grintose, probabilmente perché è quello che ci viene meglio. 

In questo disco ritorna la formula: chitarra-basso-batteria. Rispetto ai precedenti mi sembra più pensato per la dimensione del concerto. Avete pensato al live mentre lo facevate?

L.: E’ esattamente quello, è pensato per il live. Se senti il disco e vieni al nostro concerto suona esattamente così. Eravamo noi quattro, ci siamo chiusi in sala prove ed è venuta fuori questa cosa qua. 

A.: Volevamo portare il disco in concerto e riproporlo il più uguale possibile. Per questo sintetizzatori e suoni particolari li abbiamo esclusi a priori. 

L.: Nulla da recriminare rispetto ai dischi precedenti, che ci hanno permesso di fare tante cose importanti. Però, per fare un esempio, Abstract (RA) è stato un disco che abbiamo fatto io e Vins, orfani della sezione ritmica. L’abbiamo dovuto riarrangiare parecchio.

V.: Quello era un disco costruito in laboratorio.

IMGL2257
Chi non vi ha mai visti dal vivo cosa si deve aspettare da un vostro concerto?

L.: Poche chiacchiere sul palco. Parliamo zero, solo in qualche rara occasione sfociamo nel cabaret.

A.: Sicuramente è un live carico, dritto e diretto. C’è qualche rallentamento, come nel caso di Have You Ever, ma fondamentalmente è un concerto che arriva dritto in faccia. 

Have You Ever è il pezzo che calma il respiro all’interno di Plastic Breakfast che invece ha un ritmo molto serrato.

A.: Eravamo stanchi quel giorno (ride, ndr)

Ho visto che avete fatto delle date anche all’estero. Qual è la differenza rispetto ai concerti in Italia?

A.: L’attenzione.

L.: Il tour è stato una figata. Abbiamo suonato in uno dei locali di riferimento della scena underground parigina, ma anche europea, che è il Supersonic. Ci hanno suonato i Godzilla, solo per nominare una band.

Dopo quella abbiamo infilato altre date, una in particolare in un piccolo paesino che sembrava Twin Peaks, Ainey Le Chateau. Siamo arrivati e sai chi c’era? Nessuno.

V.: Un villaggio nelle campagne francesi, dove non c’era un’anima. 

L.: Il promoter del locale sembrava Mangiafuoco e mentre noi stavamo montando le attrezzature, ci fa “voi non vi preoccupate, alle sette e mezza sarà pieno”.

Non ci credevamo, ma aveva ragione lui: alle sette e mezza il locale era pieno. Poi è finita che al termine del concerto abbiamo cenato tutti insieme con chi era venuto a vederci. 

A.: In Francia hanno la cultura del concerto. La gente arriva e nessuno se ne va prima della fine. Aspettano che finisci e applaudono. In tutte le nostre date erano presi bene, partecipi. 

L.: In Italia non c’è quell’attenzione totale verso l’artista. Anche se Bologna e Milano, per esempio, sono due zone calde. Ci abbiamo fatto dei bei concerti e l’accoglienza è sempre grandiosa. 

IMGL2252

 

Mi avete già accennato qualcosa sul processo creativo. In questo album come è stato?

V.: Ognuno presentava qualcosa e ci si lavorava sopra insieme.

L.: Poi tutte le volte che io presentavo qualcosa o Vins presentava qualcosa, Tommy, arrivati alla fine del pezzo, ci diceva che non gli piaceva e dovevamo rifarlo tutto. Per questo ci abbiamo messo tre anni a farlo (ridono, ndr).

Ti racconto questo aneddoto: siamo andati a fare le post produzioni dal nostro amico Andrea Cola dei Sunday Morning, avevamo cinque pezzi finiti e li abbiamo registrati per capire cosa sarebbe venuto fuori. Quando li abbiamo riascoltati ci siamo detti: “ok, fanno cagare”. 

V.: Io quel giorno ero in spiaggia, ho ascoltato questi pezzi e ho mandato un messaggio nella chat: “ragazzi, io mollo”. 

L.: È stato utile fare post produzione per questo motivo, ci ha fatto capire dove intervenire. 

Ho visto che, sia nei video che nelle copertine, Ravenna è sempre presente. 

L.: E’ presentissima, sempre. Non è un caso che oggi siamo qua al Moog, che è casa nostra. Il video invece è stato realizzato da Matteo Pozzi (Action Man e Cacao). Ci ha fatto vedere una Ravenna interpretata alla sua maniera, alterata in varie forme e colori. Esiste, ma può essere diversa. 

V.: E’ un po’ il discorso del Professor Keating: tu vedi una cosa in un certo modo, ma se vai sulla cattedra la vedi in un’altra maniera. 

Come influenza Ravenna il modo in cui viene realizzato un vostro album? 

V.: La nebbia e il clima sicuramente incidono molto. 

L.: Alla fine se ci pensi Ravenna è una città fuori dalla via Emilia, è chiusa. Per la copertina del disco, a proposito di malinconia, abbiamo collaborato con Alessandro Garavini. Le foto sono state fatte nella Piallassa Piomboni, che è il cimitero delle navi russe. 

A.: Era quello che cercavamo e le sue foto ci sono piaciute subito. Davano l’idea di un disagio clamoroso. Che poi è quello che è Ravenna. 

L.: A Ravenna sono passati anche Lord Byron e Oscar Wilde. Quest’ultimo ci ha scritto sopra una poesia, così come Herman Hesse che descrisse Ravenna come una “città di rovine e di chiese”. C’era del disagio clamoroso anche allora.

IMGL2232

 

Ascoltando i vostri album precedenti ho percepito una certa coerenza, di lingua e di temi. Avete mai pensato di cambiare qualcosa, magari seguendo una tendenza, come cantare in italiano?

A.: Ci abbiamo provato e abbiamo capito che non era per noi. All’inizio, con il disco in inglese, abbiamo anche cercato qualcuno che ci producesse, ma ci segavano tutti: “Canti in inglese, cosa dobbiamo fare per te?”. 

V.: Per Plastic Breakfast avevo fatto un file registrato da me, chitarra e voce, con alcuni pezzi dell’album cantati in italiano, ma non eravamo noi. Non ci siamo nemmeno impazziti troppo sopra.

L.: Ci sarebbero voluti dieci anni per uscire con il disco. 

V.: Noi volevamo fare date all’estero, se canti in italiano all’estero non ci vai. 

L.: Una cosa influenzava l’altra. I live all’estero erano anche un modo per dare un senso al disco: “stronzi, l’avete fatto in inglese e adesso ci andate”. Infatti abbiamo prima fatto le date all’estero e poi in Italia. Adesso riprendiamo il tour 5 Giugno, qui a Gambellara.

Comunque a voi non interessava provare una strada diversa per guadagnare un pubblico più ampio. 

L.: Il nostro è un pubblico di colti e appassionati, che ascoltano quel genere lì. Poi, che lo faccia una band italiana o inglese, non importa. Se è fatto bene è contento e ti compra il disco.

V.: Negli anni Novanta, fino ai primi Duemila, era più facile trovare anche nel mainstream qualche pezzo che ti piaceva. Iris dei Goo Goo Dolls era mainstream ma era un bel pezzo.

Adesso non è più così. Negli anni Novanta i Nirvana te li mettevano ovunque, è vero c’erano anche le Destiny’s Child, ma si sentivano anche i Bush e tanto altro. 

A.: A me piacevano le Destiny’s Child! (ridono tutti, ndr)

V.: Adesso c’è solo quello. Se ascolti la radio non senti una chitarra per quattro ore. 

L.: Anche Noel Gallagher è uscito con un disco che ha la ‘drum machine e non ha le chitarre. Tutto oggi, soprattutto in Italia, è impostato sulla melodia, sul cantautorato. Che non c’entra niente con noi.

A.: Oggi nei dischi mainstream le chitarre stanno scomparendo. Resistono invece nell’underground. 

Come sono cambiati i vostri obiettivi negli ultimi dieci anni?

L.: Tutto è cambiato. I Doormen hanno sempre suonato tanto, soprattutto nei primi anni di attività.

Abbiamo fatto tante aperture a band grosse: Paul Weller, i Charlatans, i Vaselines. Abbiamo aperto ai Tre Allegri Ragazzi Morti, recentemente ai Preoccupations. Però allora c’era più giro, adesso si suona meno.

Quando siamo usciti con Plastic Breakfast ero molto scoraggiato, il disco era figo ma trovare date non era così facile. Poi è arrivata l’apertura ai Preoccupations, abbiamo iniziato a collaborare un’agenzia di booking (Hey Man Booking) e la situazione ha iniziato a muoversi ancora.

L’obiettivo oggi è di divertirsi e fare delle belle date live. Di band italiane che fanno cose in inglese ce ne sono poche, e quelle poche che ci sono – se sono in giro – è perché la gente vuole andarle a sentire. Tendenzialmente chi organizza concerti predilige la formula in italiano, ma forse quello non è nemmeno il nostro pubblico. 

V.: Dieci anni fa c’era più sogno. Oggi puoi sperare che succeda qualcosa, ma non lo fai per quello. Forse c’era più tensione, oggi c’è un po’ più “sbat’ e cazz“, ma abbiamo constatato che alla fine porta risultati migliori. 

Ultima domanda: che consiglio dareste ai voi stessi di dieci anni fa?

V.: Di spendere i soldi della cassa più in promozione che in fonici.

IMGL2292

 

Intervista di Daniela Fabbri.

Foto di Luca Ortolani.

George Ezra @ Mediolanum Forum

Venerdì 17, per la maggior parte delle persone è sinonimo di sfortuna, ma per gli appassionati di musica che venerdì scorso si sono riuniti al Mediolanum Forum di Assago voleva dire solo una cosa: George Ezra.

Il biondino britannico, dalla voce possente, dopo il sold-out di ottobre al Fabrique torna a Milano per l’unica data italiana del suo tour.

Il palco che accoglie Ezra e la sua band, tutti in nero, è allestito come se fosse una grande stanza di una casa, con enormi finestre sullo sfondo e oggetti di scena sparsi qua e la: piante, lampade e persino un grammofono.

George, nonostante la giovane età, è un cantante d’altri tempi che ride, scherza e soprattutto parla con il suo pubblico. 

Racconta di come siano nate le sue canzoni, dei viaggi da cui ha tratto ispirazione e delle sue vicende personali. Mentre lui parla, con la sua voce calda, tutti si sentono coinvolti, come se fossero stati presenti nel momento in cui le sue parole e la sua musica prendevano forma.

Ezra non è solo un cantante è anche un ottimo narratore. 

Sul palco non ci sono momenti morti, tra chiacchiere e canzoni non c’è tempo per altro. Ezra non fa cambi d’abito, fa continui cambi di chitarra.

Lui e il suo strumento sono inseparabili, è come se la forza e la potenza della sua voce fossero in qualche modo collegati all’oggetto che stringe tra le mani; non c’è George Ezra senza la sua chitarra.

La scaletta è studiata alla perfezione; i vecchi successi, che gli hanno regalato la fama al livello internazionale, si alternano ai nuovi brani, che hanno confermato il suo valore artistico. 

Il momento più riuscito, a mio avviso, è stato quando calato il buio sul palco Ezra si avvicina al grammofono e fa partire una musica, accompagnata dallo scrosciare della pioggia. E poi, come un lampo, parte Did You Hear The Rain.

La voce dell’inglese è come un tuono: potente.

Ma in realtà tutto il concerto è un susseguirsi di emozioni: durante Song 6 il palazzetto, completamente buio, è stato illuminato dai flash degli spettatori che ondeggiavano a tempo di musica. Quando al termine della canzone una fan urla “sei bellissimo” un sorriso imbarazzato si dipinge sul volto del cantante.

George Ezra è un ragazzo semplice, come dimostra la musica.

Le grandi finestre sul palco si trasformano in delle vetrine in cui passano non solo i primi piani dell’artista e della band, ma anche immagini evocative: grandi foglie color smeraldo durante Barcellona, una scimmietta e altri animali esotici per Paradise.

Una scenografia semplice che però ha un grande effetto e rende l’atmosfera ancora più coinvolgente.

Alla fine del concerto invita tutti a partecipare alla sua festa, non solo il pubblico, non solo la sua band ma anche il gruppo di apertura. E così sul palco arrivano i The Hot 8 Brass Band che aiutano George con l’ultima canzone: Shotgun, il secondo singolo estratto da Staying at Tamara’s. 

Canta, corre, balla, salta e scherza con tutti quelli presenti sul palco: lui è nato per questo. La passione e la gioia che si possono leggere nel suo sguardo sono una cosa rara. 

Questa era l’ultima canzone, Ezra saluta tutti e con il sorriso e gli occhi felici lascia il palco.

Se You later alligator, speriamo presto.

Laura Losi

Sei tutto l’Indie Fest vol. III

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Sei tutto l’Indie Fest vol. III •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Scarda
La MUNICIPàL
Auroro Borealo
UkuLele
Adelasia

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Monk (Roma) // 18 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Matteo Cassoni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13832,13830,13829,13827,13826,13825,13824,13822,13823″][/vc_column][/vc_row]

Ultimo @ Mediolanum_Forum

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Ultimo •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Mediolanum Forum (Milano) // 16 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Johnny Carrano

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13769,13772,13779,13774,13773,13775,13771,13777,13778″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13768,13776,13770″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a VIVO Concerti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Built to Spill @ VoxHall

Aarhus, 13 May 2019

It’s a sunny spring evening in Aarhus and VoxHall is open tonight to host Built to Spill, on their tour to celebrate the twentieth anniversary of Keep It Like a Secret.

The concert is scheduled to start at 20:00, and a few minutes before the opening band takes the stage I enter the venue and I find it suspiciously desert: a handful of people, a few known faces and most of the attendees enjoying a drink beyond the bar that shields the floor from the golden light coming from the wide windows looking at the small river that cuts the city.

Lights dim and Oruã from Brasil start playing: dark, noisy guitars, hypnotic drums and a vocal attitude that recalls Cedric Bixler-Zavala. Listening to them was a continuous in and out of a timeless dimension, a sort of black hole inside of which there was music but on the outside time was passing very slowly: to me, the hour of their set seemed longer than the twelve years I had to wait to see Built to Spill again.

By the time Oruã set was over, the venue was a bit more crowded, but still far from the expectations: why? …and the answer is: there is another band to go!!!

A bit scared of another endless hour of wait, I lean on the barrier in front of the stage with no expectations at all.

The second band of the bill is Slam Dunk from Canada, a happy crazy quartet on their last date of the tour. Their rock is fresh and catchy, their attitude on the stage a storm of energy: jumps, jokes and messing around are the perfect entertainment to keep the crowd awake and allow the late people to fill the floor.

Once they carry out of the stage their guitars, there is nothing much to arrange to host the main act of the night, as all the three bands share the same drum kit, a few ampli on the back of the scene and… basically that is it: simple, open, essential, a setup that is so typically Built to Spill.

Doug Martsch walks in, carrying his inseparable backpack, like he is just another sound tech, as usual: he sets up his pedals, whatever he has on top of a case next to the mic and as soon as the three other touring members of the band take the stage, he starts. Not a word, but You Were Right, the eighth track of the record we are here to listen to.

It is an interesting choice, the fact of playing every evening the tracklist of the record shuffled: most of the bands, when they play an anniversary-of-some-record show, play the record top to bottom. How innovative. Despite I could understand that it is what the audience expects, it is also true that listening to very well known songs in a different order sparkles something new, a nuance that you would not have noticed otherwise, and that is the magic and the craftsmanship of a live show.

There are no frills on the stage, the lights are wisely balanced to allow the crowd to see the musicians on the stage but at the same time low enough to give a feeling of intimacy. The songs flow one after the other with no effort: Time Trap arrives and goes, I am completely lost in the extended guitar solos; The Plan, memories of a past life that come back.

Sidewalk, a string on Doug’s guitar breaks and in front of a full house, on the stage, there it is, the embodiment of humility: a man and his only guitar, no fancy backups, no frenetic helpers that come and change it because show must go on, no. The band keeps playing without looping, improvising a solo that it seems it has always been there, as part of the song, and in the meantime the string is changed, a truly genuine moment.

The main set ends with Broken Chairs, during which I cannot help taking the following note while I am both lifted and intimidated by the guitar solos: “these solos are some of the finest examples of musical architecture, precisely built to be both slender and solid like the arches in a gothic cathedral: clean, immense and strong enough to carry the weight of a heart full of the emotions”.

The band leaves the stage, but we all know they will be back because one song is missing from the setlist played so far, and it is probably the gem of the album: Carry the Zero.

It is not time to say goodbye yet, so before we get to the closing of the concert, we are treated with a handful of songs that spans through the whole production of the band, and a cover, and a stage invasion by the opening bands and finally, with dimmed lights and a slight melancholic feeling, we finally get to that carried zero that changes everything.

I am well aware those are the last minutes of a one and a half hour delight and on those parting words a hint of sadness slips under my skin — luckily, those two wild clowns of Slam Dunk frontmen show up on the stage again, transforming this intimate goodbye into a party, while a shy smile finds its way on Doug Martsch’s face.

Pictures courtesy of Steffen Jørgensen

ita

Miles Kane @ Santeria

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Miles Kane •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

+ Angelica

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Santeria Toscana 31 (Milano) // 15 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Alessandra Cavicchi

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13754,13752,13751,13750,13758,13753,13755,13757,13756″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13749,13760,13759″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

AngelicA

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13762,13761,13763″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a Indipendente Concerti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Built to Spill @ VoxHall

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Built to Spill •

 

VoxHall (Aarhus) // 13 Maggio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]È una soleggiata serata primaverile ad Aarhus e il VoxHall è aperto stasera per ospitare i Built to Spill, in tour per celebrare il ventesimo anniversario di Keep It Like a Secret.

Il concerto inizia alle 20:00, e pochi minuti prima che il gruppo di apertura salga sul palco, entro nel locale trovandolo sospettosamente deserto: una manciata di persone, qualche faccia conosciuta e la maggior parte della gente che si gode un drink dall’altra parte del bar che si separa l’area concerto dalla luce dorata che entra dalle ampie finestre sul fiumiciattolo che attraversa la città.

Le luci si abbassano e gli Oruã dal Brasile iniziano a suonare: chitarre cupe e rumorose, ritmi ipnotici e una voce che strizza l’occhio a quella di Cedric Bixler-Zavala. Ascoltarli è un continuo entrare ed uscire da una dimensione senza tempo, una sorta di buco nero al cui interno c’è musica ma al di fuori il tempo scorre molto lentamente; per me, l’ora del loro set è stata più lunga dei dodici anni che ho dovuto aspettare per rivedere i Built to Spill.

Alla fine del set degli Oruã, il locale è un po’ più pieno ma ancora lontano dalle aspettative: perché? …e la risposta è: c’è ancora un’altra band!!!

Un po’ spaventata dal pensiero di un’altra infinita ora di attesa, mi appoggio alla transenna senza alcuna aspettativa.

Il secondo gruppo della serata sono gli Slam Dunk dal Canada, un quartetto pazzo e felice alla loro ultima data del tour. Il loro rock è allegro e coinvolgente, il loro atteggiamento sul palco un uragano di energia: salti, scherzi e confusione sono il perfetto intrattenimento per tenere il pubblico sveglio e permettere alle ultime persone di riempire il locale.

Finito di portar via dal palco le loro chitarre, non resta molto da sistemare prima dell’arrivo del nome principale della serata, in quanto i tre gruppi condividono la stessa batteria, qualche amplificatore sul fondo della scena e… fondamentalmente è tutto lì: semplice, aperto, essenziale, un allestimento così tipicamente Built to Spill.

Doug Martsch entra come se fosse solo un altro tecnico del suono, portando in spalla il suo zainetto come al solito: si prepara la pedaliera, sistema non so cosa sopra ad una cassa di fianco al microfono e non appena gli altri tre membri del gruppo entrano in scena, inizia. Non una parola, ma You Were Right, l’ottava traccia dell’album che siamo qui ad ascoltare.

È una scelta interessante, quella di suonare ogni sera la tracklist dell’album mischiata: la maggior parte dei gruppi, quando suonano un qualche anniversario di disco, suonano il disco dall’inizio alla fine. Quanta originalità. Nonostante possa capire che quello sia ciò che il pubblico si aspetta, è anche vero che ascoltare canzoni che conosciamo bene in un ordine diverso può far emergere qualcosa di nuovo, delle sfumature che magari non avremmo colto altrimenti, e questa è la magia e l’artigianalità di uno spettacolo dal vivo.

Non ci sono fronzoli sul palco, le luci sono sapientemente bilanciate da permettere al pubblico di vedere i musicisti sul palco, ma allo stesso tempo abbastanza basse da dare un senso di intimità. Le canzoni scorrono una dopo l’altra senza sforzo: Time Trap arriva e se ne va, io sono completamente persa negli assoli dilatati delle chitarre; The Plan, ricordi di una vita passata che riaffiorano alla mente.

Sidewalk, una corda della chitarra di Doug si rompe e di fronte al locale pieno, sul palco, c’è l’impersonificazione della parola umiltà: un uomo e la sua sola chitarra, niente costosi backup, niente aiutanti frenetici che arrivano con una chitarra fresca perché lo spettacolo deve continuare, no. Il gruppo continua a suonare, ma senza entrare in loop, improvvisando assoli come se fossero sempre stati lì, parte della canzone, e nel frattempo la corda viene cambiata in un momento di vera autenticità.

Il set principale si chiude con Broken Chairs, durante la quale non posso fare a meno di annotarmi il seguente pensiero mentre sono al contempo sollevata ed intimorita dall’assolo di chitarra: “questi assoli sono tra le più raffinate architetture musicali, costruiti con precisione per essere snelli e solidi come gli archi in una cattedrale gotica: puliti, immensi e forti abbastanza da sostenere il peso di un cuore pieno di emozioni”.

La band lascia il palco ma sappiamo tutti che torneranno, perché manca una canzone dalla scaletta suonata finora, ed è probabilmente la perla dell’album: Carry the Zero.

Non è ancora un vero e proprio commiato, perciò prima di arrivare alla conclusione del concerto siamo coccolati con una manciata di canzoni che coprono l’intera produzione del gruppo, e poi una cover, e poi un’invasione di palco da parte dei gruppi di apertura e poi, finalmente, con luci soffuse e un vago senso di malinconia, arriviamo a quello zero riportato che cambia ogni cosa.

Sono ben consapevole che questi sono gli ultimi minuti di un’ora e mezza deliziosa e sulle parole d’addio della canzone un accenno di tristezza s’insinua in me — fortunatamente, quei due pagliacci sgangherati dei frontmen degli Slam Dunk tornano sul palco di nuovo, trasformando questo intimo arrivederci in una festa, mentre un timido sorriso si fa largo sulla faccia di Dough Martsch.

 

Francesca Garattoni
Foto per gentile concessione di: Steffen Jørgensen

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13683,13686,13691,13694,13692,13690,13689,13688,13685″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1557864717992{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13684,13693,13687″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

en

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Wacken Open Air: Tre giorni di musica Metal!

Era il 1990 quando il villaggio di Wacken, nel Nord della Germania a circa 70 km da Amburgo, ospitava il primo Wacken Open Air. All’epoca si esibirono 6 band tedesche e parteciparono circa 800 spettatori.

Nel 2019, alla trentesima edizione, il festival si conferma essere uno dei principali eventi heavy metal a livello mondiale, con la presenza di 200 gruppi internazionali e un pubblico di 80.000 persone.

Le vendite hanno fatto registrare il tutto esaurito per 15 anni consecutivi. Dal 2008 ogni anno viene infranto il record di sold out anticipato, fino ad arrivare al 2015, quando i biglietti sono stati venduti tutti in 12 ore.

Negli anni hanno partecipato al W:O:A band del calibro di Nightwish, Iron Maiden, Motörhead, Mötley Crüe e Judas Priest, oltre ad artisti come Alice Cooper e Ozzy Osbourne. Una menzione particolare va fatta anche ai nostri Lacuna Coil presenti a più edizioni.

Quest’anno sarà la volta di Airbourne, Slayer, Anthrax, Of Mice & Men e Within Temptation.

Dall’1 al 3 agosto i campi intorno a Wacken verranno invasi dalle tende da campeggio dei partecipanti e verrà allestita una vera e propria città in cui le migliaia di persone, accomunate soltanto dalla voglia di esserci, vivranno per la durata dell’evento.

Ci saranno 8 palchi, una chiesa per speciali concerti in acustico, ristoranti e beergarden in piena tradizione tedesca.

Se qualcuno, per assurdo, si stancasse di assistere agli spettacoli potrebbe distrarsi in piscina o con i numerosi eventi collaterali proposti.

L’appuntamento per ogni fedele del metal, anche quest’anno, è a Wacken.

 

Mirko Fava

 

Still Corners @ Largo_Venue

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Still Corners •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

+ True Sleeper

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Largo Venue (Roma) // 13 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13674,13666,13668,13672,13673,13667,13670,13669,13671″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

True Sleeper

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13677,13675,13676″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a Radar Concerti | Astarte

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

The Get Up Kids @ Locomotiv_Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• The Get Up Kids •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

+ Muncie Girls

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Locomotiv Club (Bologna) // 13 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13648,13638,13645,13640,13637,13644,13651,13639,13641″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13650,13646,13647,13649,13642,13636″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Muncie Girls

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13653,13652,13654,13658,13660,13656,13657,13659,13655″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

The Get Up Kids

002

 

Muncie Girls

 

000

 

 

Grazie a Hellfire Booking Agency

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Lenny Kravitz @ Unipol_Arena

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Lenny Kravitz •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Unipol Arena (Bologna) // 12 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Si presenta sul palco dell’Unipol Arena di Bologna con gli immancabili pantaloni a zampa, kimono di seta, occhiali a specchio e capelli assurdi. 

Eccentrico, stiloso e stravagante, l’ormai 55enne Lenny Kravitz guadagna il sold-out con il suo Raise Vibration Tour, attirando persone da ogni parte d’Italia. 

Il live inizia alle 21.20 con We Can Get It All together seguita da Fly Away, in assoluto la mia preferita, che fa esplodere una festa di cori e canti scatenati a cui ho contributo attivamente traumatizzando con le mie urla il ragazzo seduto accanto a me! 

Dopo Dig In e Bring It On le note di American Woman sfumano nel ritmo reggae di Get Up, Stand Up tributo al cantautore jamaicano Bob Marley deceduto proprio l’11 maggio di 38 anni fa. 

Quando si avvicina alle transenne per salutare i fans è subito strage di cuori, il pubblico femminile intorno a me è in delirio, lo definisce “illegale”, grida “nudo” e “ti amo” sperando che prima o poi si tolga quel kimono… 

Impossibile dar loro torto, il suo sex-appeal regna su tutto e tutti, si muove e gesticola in maniera estremamente affascinante, è completamente padrone del palco, una vera rockstar! 

Dopo una serie di pezzi più recenti arrivano i cavalli di battaglia: con I Belong To You e Mr. Cab Driver è impossibile non cantare e ballare insieme a lui che ci incita a battere le mani e decide di fare un giro nel parterre in mezzo alla folla scortato dalla security, muovendo onde di persone in estasi che si fiondano nella sua direzione sperando di riuscire a raggiungerlo per poterlo almeno sfiorare. 

Sugli spalti tutti si alzano in piedi, Lenny si ferma qualche minuto sulla pedana rialzata al centro del palazzetto per poi tornare sul palco e concludere la sua performance con Again, salutando infine il suo pubblico con autografi su CD e magliette dei più fortunati. 

Ho avuto occasione di essere sua spettatrice già 3 volte, di cui la prima ben 10 anni fa, e ho constatato che vederlo dal vivo è sempre un’esperienza strepitosa, è impeccabile e sa fare tutto, amalgama rock, soul e blues sfoderando un mix di tecnica ed esperienza, supportato da una band di tutto rispetto che completa, insieme alla sua voce inconfondibile, un coinvolgimento emotivo a mio avviso davvero speciale. 

Credo che nessuno sia rimasto deluso, in questa domenica piovosa come alternativa a divano e TV direi che non è affatto male! 

Mi ha lasciato la voglia di riascoltarlo in auto durante tragitto di rientro a casa e sono certa che da domani avrò la sua playlist in loop su tutti i miei dispositivi, in attesa di un suo nuovo tour a cui di sicuro non mancherò! 

 

Testo: Silvia Gardelli

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13603,13601,13602,13594,13604,13599,13597,13593,13596″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a D’Alessandro & Galli

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Millencolin @ Vidia_Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Millencolin •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

+ WOES

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Vidia Club (Cesena) // 04 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Valentina Bellini

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13524,13533,13532,13528,13530,13527,13529,13522,13531″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13526,13523,13521,13520,13525″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

WOES

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13513,13515,13517,13519,13516,13512,13514,13518″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]003

Grazie a Hub Music Factory

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]