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Tag: Live

Ghostemane @ Estragon

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• Ghostemane •

Estragon (Bologna) // 08 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il death/rapper americano classe 1991 ha fatto tappa nel nostro paese per un unico appuntamento all’Estragon di Bologna.
Diventato ormai un vero nome culto all’interno della scena, grazie alle sue svariate influenze musicali che passano dal rap/trap arrivando all’industrial/doom, Eric Whitney aka Ghostemane ci ha regalato un live infuocato.

 

Grazie a Hellfire Booking Agency e ERocks Production[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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Wavy Jones

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Emis Killa @ Palaestragon

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• Emis Killa •

S u p e r e r o e  T o u r

 

Palaestragon (Bologna) // 06 Febbraio 2019

 

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SETLIST:

INTRO + DONALD TRUMP

SULLA LUNA + ADIOS + DOPE

SOLI

LINDA

QUELLA FOTO DI NOI DUE

VAFFANCULO

SONO CAZZI MIEI

— FREESTYLE —

COCAINA + SERIO

SUPEREROE

L’ERBA CATTIVA

COME FOSSIMO COWBOY

CULT

MARACANA

CLARO

ROLLERCOASTER

PAROLE DI GHIACCIO

FUOCO E BENZINA

 

Grazie a VIVO Concerti[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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Dave Orlando, i Pearl Jam e un po’ di Messico

Questa intervista nasce da un’idea condivisa. E da tanta empatia. Due elementi fondamentali per la riuscita di un progetto. Sì, perché dal momento in cui sono entrata a far parte del mondo di VEZ Magazine, il mondo di Vez Magazine si è intersecato alla perfezione con il mio, sfiorando con delicatezza anche le sfere più personali.

Lau, quando suona Dave a Rimini?” – mi disse Sara, direttrice della rivista e amica, un paio di settimane fa. “Venerdì 18 gennaio, all’Hobos”. “Ok, io e la Vali ci organizziamo per le foto, tu lo intervisti”.

È andata così.

Nella cornice di un locale che porta con sé il calore del Messico, l’entusiasmo dei leggendari avventurieri, il profumo del limone con la tequila, Dave Orlando ci ha presi per mano, accompagnandoci lungo un cammino musicale, tra i brani dei Pearl Jam, di Eddie Vedder e delle colonne sonore del film Into the Wild.

Non solo. Ha condiviso con il pubblico, con noi, uno dei suoi brani inediti, Il funambolo.

Abbiamo voluto approfondire…

 

Un brano con cui apri molto spesso i tuoi live è Off he goes, dei Pearl Jam. Una canzone in cui si racconta di un viaggio, di partenze, di ritorni, di cambiamenti. Dove ti ha condotto, ad oggi, la strada della musica?

Off he goes è un brano a cui sono particolarmente affezionato perché è sia complesso a livello musicale che a livello emotivo. Musicale perché non è facile da eseguire e l’ho preparato con grande impegno. Doveva venire in quel modo, secondo anche un po’ il mio perfezionismo nella musica.

Per quanto riguarda il significato, parla di un personaggio in cui ho rivisto sempre Eddie Vedder. Un uomo che lascia la sua città, gli affetti, la quotidianità per intraprendere questo viaggio lungo la strada della musica. Una volta tornato, si accorge di un profondo cambiamento. Nella canzone, in realtà, l’aspetto che più mi affascina è l’interpretazione, che rimane sospesa: è il mondo ad essere cambiato o è mutato il punto di vista del protagonista? È il protagonista ad essere cambiato, durante il viaggio.

Ecco, ho rivisto qui il mio percorso da quando mi sono dedicato completamente alla “vita musicale”: mi sono allontanato da una quotidianità che avevo vicina ed è cambiato proprio il mio modo di approcciarmi ad essa. Ho rinunciato a molte cose, tra cui, la più importante, il tempo. C’è un dispendio di energia enorme, sia sul palco che dietro le quinte diciamo. Io affronto tutto in modo viscerale, personale e tento di spiegarlo così, all’inizio di ogni serata. Con Off he goes.

Soprattutto nei miei live da solista, in cui decido soltanto il pezzo di apertura, mai la scaletta. Mi racconto attraverso dei brani che mi rappresentano, che sento tantissimo e che parlano la mia stessa lingua, seguendo le emozioni e l’atmosfera che si crea. Ad oggi, sicuramente, guardandomi indietro, il bilancio è positivo perché vivo di una passione. Della mia passione.

 

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Riportando l’attenzione alla partenza, appunto. Quando hai deciso di intraprendere questo viaggio? Quando ti sei detto: “Da grande voglio fare il musicista”?

Il viaggio è partito dalla passione, appunto. Scoperta anche un po’ per caso, nonostante i miei genitori avessero sempre avuto ed hanno tutt’ora a che fare con la musica. Loro, però, non mi hanno mai spronato a suonare uno strumento o cose simili ecco. Forse era inevitabile che mi avvicinassi a questo mondo. All’inizio per curiosità, amici che suonavano…e soprattutto l’ascolto di tanta, tanta musica.

L’idea di formare la prima band è arrivata intorno ai tredici anni e da lì, attraverso le tappe fondamentali per lo meno per la mia generazione… nessun ragazzino a sedici anni partecipava ai talent ecco… quindi, tappa dopo tappa, è cresciuta anche la consapevolezza di certe doti e capacità. Il mio approccio è sempre stato più “professionale” durante il percorso al punto che, qualche anno fa, ho sentito fortemente il desiderio di far diventare il tutto un lavoro, anche se non mi piace troppo chiamarlo così. Da un sogno si è trasformato, con il tempo, in un progetto realizzabile.

Chiaro che la mia carriera ruota molto attorno alle cover. Ho avuto sempre, distribuiti negli anni, anche progetti di musica inedita. Mai miei al 100 % in quanto non essendo il cantante non li sentivo troppo miei. Ma è stato utilissimo perché l’approccio è davvero diverso rispetto al contesto delle cover o dei tributi. Ti vedi in sala prove, inizi a jammare finché non esce un riff che funziona, porti le tue idee.

Probabilmente il tutto era impostato in modo troppo adolescenziale: ti incontri spesso, produci poco perché il metodo è sbagliato. Il passaggio ai progetti con le cover è stato dettato anche dall’età. A un certo punto devi per forza scegliere, investire costruttivamente tempo e qualità.

 

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Hai molti progetti all’attivo, sia da solista che con delle band. Tributi a Nirvana, Pearl Jam, Foo Fighters, Eddie Vedder, Chris Cornell. I più grandi nomi del panorama grunge anni ’90. Che cosa può suggerirci oggi, e ancora oggi, quella musica?

Gli artisti che sono emersi in quegli anni e che sono ancora in attività… non molti purtroppo… hanno iniziato a scrivere canzoni per esprimere un’urgenza, un disagio che era diffuso tra i giovani, specialmente a Seattle, che è stata una fucina di talenti. Provavano rabbia, volevano ribellarsi a una società a cui non sentivano di appartenere. Ovviamente, oggi il messaggio è molto cambiato. Sono uomini adulti che hanno anche superato difficoltà, momenti bui, perdite.

Hanno costruito spesso una famiglia, sono maturati, vedono la vita con altri occhi… e tutto questo si ascolta nei loro lavori più recenti… che non possono essere, tra l’altro, simili o di totale ripresa delle prime produzioni. Non capisco quelle persone che criticano per forza i cambiamenti da un disco all’altro di un gruppo o di un artista. Riprendendo questo discorso, appunto, il messaggio che la musica nata negli anni Novanta può veicolare oggi è l’importanza della comunicazione, della musica come comunicazione.

L’immenso potere che ha la musica di far sentire unite persone legate da esperienze simili che si rivedono in determinati brani…e magari riscontrano in quei brani lo stesso percorso, la stessa forza nel superare gli ostacoli, nel non arrendersi, nel voler costruire qualcosa. Purtroppo, secondo me, specialmente in Italia, abbiamo perso questo valore. Ascolto sempre più testi vuoti, basati su cliché, su schemi prefissati per entrare a far parte di un contesto che è basato molto sul business.

 

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Immagina di avere una macchina del tempo e tornare a Seattle, nel 1990. Squilla il telefono… “Ehi, vuoi venire a suonare con noi?”. Chi vorresti fosse dall’altro lato della cornetta? Di quale gruppo avresti voluto far parte?

Ehhh questa domanda mi mette parecchio in difficoltà. In qualche modo sono legato a tutte quelle band, da ognuna prenderei qualcosa. Se volessi fare un disco grunge, ad esempio, prenderei un po’ delle caratteristiche di ognuna, benché tutte diversissime. Dovendone scegliere una… Ti dico i Pearl Jam, forse anche per un discorso di longevità.

È stato il gruppo che si è espresso nei modi più diversi, dall’hard rock alla ballata acustica e credo che sia quello che mi rispecchia di più. Essere Eddie Vedder non sarebbe stato male dai… Ecco, mi vengono in mente ora anche gli Stone Temple Pilots che sono rimasti sempre più nell’ombra. È una band che adoro e, secondo me, il disco più bello uscito nel 1991 forse non è Ten… Ma Core degli Stone Temple Pilots.

 

4b

 

Oltre ad avere la grande capacità e il talento di rendere personali le cover che esegui, hai anche un progetto di musica inedita. Abbiamo ascoltato Il funambolo. Che cosa significa per te comporre, scrivere?

Ad un certo punto, ho sentito che era arrivato il momento e il bisogno di comunicare qualcosa di mio. Ok, riesco a farlo anche attraverso le cover rispecchiandomi molto negli artisti, nei brani, nelle parole e nelle atmosfere musicali che omaggio. Ma volevo dire la mia. Ovvio che dietro quello che tu scrivi, c’è sempre la speranza che arrivi a più persone possibili. Sarebbe ipocrita non ammetterlo… non è però il motivo per cui ho iniziato a scrivere.

È la musica che mi ha cercato. Non ho preso in mano una chitarra o mi sono messo di fronte a un foglio di carta, pensando: “Adesso scrivo una canzone”. È quella magia che avviene quando ti svegli, di notte o di mattina, con un’idea. Unendo tutti i pezzi, viene fuori qualcosa. Descrivo la mia musica come molto istintiva e poco ragionata perché c’è tanto di me. Non mi importa che sia più o meno condivisibile o ancora meglio, o peggio, vendibile. Non riesco a scendere troppo a compromessi quando si parla della mia musica e non voglio contaminarla. Non le ho dato molto spazio, per ora. Ma voglio che ne rimanga invariata l’autenticità.

 

Talvolta, parlando delle tue canzoni, hai confessato che sono ancora chiuse in un cassetto… Quale chiave potrebbe aprirlo?

Sinceramente, non lo so. Molti segnali, nel tempo, mi hanno portato a pensare di lasciar perdere. Non batoste o cose simili… magari aspettative disattese. E ho pensato: “Sto buttando via soltanto tempo?”. È anche vero, però, che ogni volta che suono i miei brani durante un live, magari solo uno, qualcosa dentro si muove. Mi dispiacerebbe privarmi dell’emozione provata quando eseguo una mia canzone. Il cassetto si aprirebbe se… arrivasse un contratto da qualche milione di euro? Scherzo ovviamente. Forse dipende solo da me. Il tema “inediti” è una questione a cui tengo talmente tanto che se non ci sono i presupposti per farli uscire…piuttosto non li faccio uscire.

È strano da spiegare. Sicuramente avere gli spazi per presentarli e farli ascoltare aiuterebbe molto. Di solito li propongo in qualche mio live quando percepisco che si crea uno scambio intenso con il pubblico. Quando si condivide una stessa lunghezza d’onda e io mi sento più aperto. Allora è figo. Quella magia lì è decisiva per aprire o meno il cassetto. E mi darebbe anche più energia per continuare a scrivere, comporre. Ecco, la comunicazione, lo scambio comunicativo sarebbe una chiave per aprire quel cassetto.

 

Ultima domanda. Se tra il pubblico, durante un tuo live, ci fosse la Musica in persona, come la ringrazieresti? Quale brano vorresti dedicarle?

Cazzo…. Bella domanda, ma difficile! Voglio rispondere in maniera istintiva. Credo che le dedicherei un mio brano. Ti spiego. Detto con tutta la modestia e l’umiltà del mondo, il “dono” di riuscire a creare una canzone dal nulla, secondo me, è una cosa grandissima. Ed è un dono che la vita e la musica ti fanno. Io, al di là di quello che può pensare la gente, sento di averlo. Per quanto riguarda il brano, sceglierei Il funambolo. È quello che propongo anche di più perché me ne sono innamorato da subito…della musica, delle parole, della metafora. Lì ho scritto tutto io e sarebbe tutto per Lei.

 

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Testo di Laura Faccenda

Foto di Valentina Bellini

 

 

Years & Years @ Fabrique

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• Years & Years •

 

Fabrique (Milano) // 04 Febbraio 2019

 

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L’electro pop band britannica capitanata dal carismatico Olly Alexander, ha presentato nell’unica data italiana al Fabrique di Milano, PALO SANTO il nuovo album uscito il 6 luglio per Polydor e anticipato dai singoli Sanctify e If You’re Over Me.
Gli Years & Years sono una delle band più rappresentative della nuova ondata electro pop britannica: il giusto equilibrio tra influenze 80’s e dance, beat elettronici e reminiscenze indie pop hanno portato il gruppo a dominare le più prestigiose classifiche oltremanica diventando un fenomeno worldwide.
SETLIST:
SANCTIFY
SHINE
KARMA
METEORITE
EYES SHUT
LUCKY ESCAPE
GOLD
DESIRE
PALO SANTO
TIES
PREACHER
HALLELUJAH
NO TEARS LEFT TO CRY
LIKE A PRAYER
WORSHIP
RENDEZVOUS
IF YOU’RE OVER ME
ALL FOR YOU
PLAY
KING
Grazie a Radar Concerti e Astarte

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Foto: Luca Ortolani

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I Hate My Village @ Monk

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• I Hate My Village •

Monk (Roma) // 02 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Alle 21:30 del 2 febbraio si aprono finalmente le porte del Monk, circolo ARCI nato nel 2014, che a luglio compirà cinque anni e che “resiste” e si afferma tra i tanti locali come luogo di culto romano.

Casa base di live importanti per la scena musicale contemporanea e di numerosi incontri che pongono al centro di ogni evento l’aggregazione e la condivisione culturale.

Siamo tanti nella sala concerti per questa prima data italiana andata sold out, pervasi da curiosità ed euforia, come di chi attende ad un primo appuntamento.

Vedremo salire sul palco alcuni dei nostri artisti preferiti (già conosciuti per i loro progetti precedenti e paralleli) che hanno creato un’ intesa e quindi deciso di formare un’ unica band di livello “I Hate My village“.

I fantastici 4 del rock alternativo sono Fabio Rondanini alla batteria (Calibro 35, Afterhours), che insieme ad Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) è la mente di questo progetto, Alberto Ferrari alla chitarra e voce (Verdena) e Marco Fasolo (Jennifer Gentle) – al basso durante il tour – produttore e curatore del sound dell’album.

Eccoli apparire, finalmente, per presentarci il loro primo album Tony Hawk of Ghana, visibilmente emozionati per il debutto. Si dirigono composti verso la propria postazione, uno scambio di sguardi d’intesa e si parte con Presentiment, una scossa elettrica che ti attraversa e ti invita al movimento.

I brani si susseguono in modo energico, naturale, come colonne sonore di paesaggi aspri e selvaggi dal forte impatto mistico. Ognuno di questi è caratterizzato da un’alternanza di bassi graffianti, ritmi sincopati e discontinui della batteria e dai vocalizzi sussultori e urlati caratteristici di Ferrari.

Le luci calde a intermittenza e la macchina del fumo creano l’ambiente ideale per I Ate My Village, e finalmente il pubblico, che non ha mai avuto bisogno di rompere il ghiaccio, si lascia andare alle danze. L’ andamento del brano è così energizzante da far sciogliere anche l’individuo più legnoso.

Bahum è una festa, come un grande abbraccio sonoro tra loro, un festeggiamento intorno al grande fuoco che hanno creato insieme. Quando arriva  poi l’attesissima Tony Hawk of Ghana, che da il titolo all’album, si conferma un sigillo a tutte le aspettative sul live e su questo album sorprendente.

Un concerto come un grande sogno, che ci porta per certo in Africa in un villaggio sconosciuto.

Un villaggio dove questi musicisti si sono “accampati” con la mente e con il loro sound, prendendo tutto ciò che è possibile assimilare da queste atmosfere e fondendolo nelle proprie contaminazioni artistiche.

Grazie ad Fleisch[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Rachele Moro

Foto: Simone Asciutti

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Uriah Heep @ Vidia_Club

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• Uriah Heep •

 

Vidia Club (Cesena) // 02 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”11120,11122,11113,11114,11116,11126,11117,11127,11118,11119,11121,11123,11124,11125,11128″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Grazie a Vertigo
Foto: Mattia Celli

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You Me At Six @ Santeria_Social_Club

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• You Me At Six •

+ Big Spring | Hot Milk

 

Santeria Social Club (Milano) // 01 Febbraio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Febbraio, altrimenti chiamato volgarmente tristezza è un mese grigio e umido nel cuore dell’inverno. Incisivo nella sua breve durata tanto quanto è logorante gennaio con i suoi novantasette infiniti giorni. Se poi aggiungiamo che febbraio 2019 porta con sé i miei 37 anni, possiamo direttamente passare a marzo.

E invece no!

Perché c’è la musica, quella che mi viene in soccorso e che mi invita a partecipare proprio il primo del mese al concerto di uno dei gruppi più dolci e gentili che io abbia mai avuto il piacere di conoscere.

Questa sera infatti gli You Me at Six, gruppo britannico del Surrey formatosi nel 2004, raggiungono Milano portando sul palco del Santeria Social Club i loro successi intervallando la scaletta anche con pezzi dell’ultimo album in studio, VI uscito nel 2018.

Grazie a questo concerto ho avuto anche la possibilità di conoscere un locale esclusivo e molto originale in una zona di Milano da me mai frequentata. Quello che dapprincipio sembra essere un locale ricercato con una parete di alcolici di ottima annata sulla sinistra, mi smentisce non appena volgo lo sguardo a destra e mi ritrovo, ammirata, ad osservare capi d’abbigliamento in perfetto stile minimal – retrò.

Ma niente effetto smarrimento per me, solo tanta curiosità di procedere oltre la porta e di curiosare tra i tavoli del pub immergendomi in questa particolare atmosfera, mix perfetto di accoglienza e di creatività.

Davanti a me un’entrata scura con sopra la scritta a neon rossa TEATRO, quasi come annunciare una terza parte altrettanto esclusiva, per tanti ma non per tutti. All’aprirsi delle porte si avverte una sorta di abbraccio vellutato e morbido con due file di tende, come al cinema o appunto a teatro, che si schiudono su una sala affollata e sorridente.

Così come nel 2017 quando ho avuto il piacere di conoscere questa affettuosa band britannica, Josh Franceschi e i suoi musicisti hanno volontariamente deciso di regalare gioia ad un pubblico positivo e reattivo, cantando con il sorriso e intrattenendo il pubblico quasi come conoscessero tutti i presenti nome per nome.

Circa a metà concerto con Cold Night l’energia in circolo tra il palco e il pubblico era talmente tanta che le persone non sapevano se ballare, saltare oppure cantare e basta.

Mille e di nuovo mille le cose che Josh ha deciso di donare al pubblico, come i suoi balli festosi e l’atto di “ribellione” verso le costrizioni che il pubblico deve rispettare rimanendo lontano dal palco, fuori dall’area pit.

Dopo le tre canzoni di rito concesse ai fotografi accreditati sotto al palco, Josh strappa il nastro che delimita l’area e chiama a gran voce il pubblico ad avvicinarsi, salutando e toccando le mani quanto più in là possibile.

Ed ecco il turno della mia preferita Take on The World e via cellulari con torcia accesa e diretta sul palco su richiesta del cantante. Nell’aria c’è tanto amore ora, con questa canzone dal testo meraviglioso che ci accompagna verso la conclusione di una serata dall’atmosfera entusiasta che come sempre loro sanno ricreare.

Esibizioni live, le loro, che non perdono mai quel valore di fondo che è il rispetto verso gli altri, misto alla valorizzazione di ogni forma di amore e condivisione in barba ad un mondo che predica la chiusura e il sospetto.

La band canta, ride e si avvicina al pubblico che in risposta li abbraccia tra un turbinio di luci viola e sostenendo il cantante in uno stage diving che aveva tutte le caratteristiche del “vi voglio abbracciare tutti”.

Performer unici nella loro carica emotiva ed espressiva coinvolgendo il pubblico a tale livello da far dimenticare quali sono i cantanti e quali gli spettatori paganti, quasi come fossero gli You Me at Six ad aver pagato per assistere alla nostra gioia.

È stato tutto unico anche se non irripetibile, perché gli You me at Six superano loro stessi ogni volta.

E grazie ragazzi. Siete splendidi.

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Grazie a Indipendente Concerti e Live Nation[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Sara Alice Ceccarelli
Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10974,10951,10967,10948,10966,10949,10958,10955,10957,10968,10954,10963,10973,10959,10960,10962,10964,10952,10965,10950,10956,10969,10970,10961,10971,10972,10953,10975,10976″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Big Spring

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Hot Milk

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Architects @ Alcatraz

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• Architects •

+ Beartooth | Polaris

 

Alcatraz (Milano) // 30 Gennaio 2019

 

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Dopo vari soldout in giro per il mondo, gli Architects sono tornati nel nostro paese a distanza di due anni dagli ultimi show italiani per un’unica data il 30 gennaio 2019 all’Alcatraz di Milano!
Negli ultimi anni la band capitanata da Sam Carter ha continuato ad infiammare i palchi di tutto il mondo con apparizioni nei più prestigiosi festival mondiali, suonando il più grande show della loro carriera all’Alexandra Palace di Londra, ed è stata protagonista di varie copertine di famosi giornali come Rocksound e Kerrang.
Nonostante la scomparsa del chitarrista Tom Searle, non hanno smesso di scrivere musica, e sono pronti per continuare a renderlo orgoglioso conquistando il cuore di migliaia di fans!
La band è stata accompagnata da due special guest di eccezione: i Beartooth, la band di Caleb Shomo, che il 28 settembre dello scorso anno ha rilasciato il suo terzo album Disease, e la band australiana Polaris.

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Grazie a Hellfire Booking Agency[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Foto: Elisa Hassert

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Beartooth

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Polaris

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Anna Von Hausswolff @ Atlas

Aarhus, January 25, 2019

It is a cold night in Aarhus, freezing temperature and the promise of a snowfall. It is the first time I go and attend a concert at Atlas, a warm and intimate venue with red walls and a cozy low stage.

There are about a hundred people scattered around, some seating on the steps on both sides of the room, some enjoying a beer in the candle light in front of the stage.

The stage is pretty essential, with guitars, a drum set and mike stands waiting for the opening band — Of the wand & the Moon — to step on it and entertain the crowd with their pleasant-to-the-ears neofolk music.

After just a thirty minutes set, the stage is emptied and as the noise of stormy winds fills the speakers, people fill the space in front of the stage while we all wait for the main artist of the evening, the Swedish musician Anna von Hausswolff.

Anna von Hausswolff is a blond pixie with the fierceness of a Viking goddess: she can caress your ears with the softest of the melodies and the moment after she’s orchestrating a raging wall of sound with her keyboard and synths worth of the most brutal death metal bands.

Despite the setlist she plays is only seven songs long, including the encore, she drags her audience into this distorted temporal dimension where music, melodies, noises and sounds all clash together creating beauty.

After the powerful opening sequence with The truth, the glow, the fall, Pomperipossa and Ugly and Vegenful, Anna steps in front of her keyboard and with just voice and a harmonica, she gets hold of the whole crowd with Källans återuppståndelse.

The lights are blue, the moment so magic, her voice so magnetic and mesmerising: you could feel she had complete control of the audience, her charisma filling the whole room.

And then it arrived, the song that I was waiting for: The mysterious vanishing of Electra with its gloomy atmosphere, the oppressive, ossessive guitar riffs that suffocates the listener in a crescendo of agony until the moment when you cannot bear it any longer.

Silence.

And then the fury arrives and liberates all our interior demons like a storm. I am not ashamed to admit I had shivers down my spine.

The set concluded with Come wander with me/Deliverance and Gösta performed among the crowd. The curtain fell on the stage and it was time to step outside into the magic light of a snow covered city.

Photo courtesy of Steffen Jørgensen

ita

Flogging Molly @ Estragon

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• Flogging Molly •

Estragon Club (Bologna) // 28 gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

E’ con un grandissimo soldout che l’unica data italiana, per questo tour dei Floggin Molly, approda all’Estragon di Bologna.

I Flogging Molly, capitanti dal carismatico Dave King, salgono sul palco dopo il live dei Buster Shuffle, scaricando la loro energia di celtic folk/punk un pezzo dopo l’altro.

Trascinati dal motore battente di Mike Alonso la grande famiglia italiana dell’irish folk accoglie i Losangelini con entusiasmo in una “bolgia infernale” e sottopalco il pogo non ha mai fine.

Siamo solo al terzo pezzo e parte Drunken Lullabies, sto ancora fotografando sottopalco, e subito verrebbe la voglia di lanciare tutta l’attrezzatura in aria e buttarmi nel pogo! La spensieratezza e la fratellanza tipica dell’irish folk emerge subito, e in un attimo ti ritrovi a ballare abbracciato con qualcuno che neanche conosci, sono solo sorrisi e pogate senza fine.

Chiaramente non possono mancare i grandi successi come Drunken Lullabies o Salty Dog o Float.

Quasi due ore di live volano e ci ritroviamo già in macchina per venire a casa, esausti e contenti, come dopo ogni buon concerto che si rispetti, e una cosa è certa, i Flogging Molly sono il classico gruppo – come nelle migliori tradizioni irish – da vedere live, perché l’energia che trasmettono è contagiosa, nessuno si è tirato indietro dal ballare!

“Cause we find ouverselves in the same old mess

singin’ drunken lullabies”

 

Setlist:

(No More) Paddy’s Lament

The Hand of John L. Sullivan

Drunken Lullabies

The Likes of You Again

Swagger

The Days We’ve Yet to Meet

Requiem for a Dying Song

Life in a Tenement Square

Float

The Spoken Wheel / Black Friday Rule

Life Is Good

Rebels of the Sacred Heart

Devil’s Dance Floor

Crushed (Hostile Nations)

What’s Left of the Flag

The Seven Deadly Sins

 

Grazie ad Hub Music Factory

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo e Foto: Michele Morri

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Neck Deep @ Zona_Roveri

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Neck Deep •

+ Dream State | Parting Gift

 

Zona Roveri Music Factory (Bologna) // 26 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Credo che un vero orecchio critico debba sapere quando cade in fallo, quando con presunzione e forse con un po’ troppa superficialità affronta una circostanza musicale che non crede adeguata ai suoi standard.

È quello che mi è successo in quel di Bologna, più precisamente Zona Roveri, sabato 26 gennaio, per il concerto dei Neck Deep.

Essendo figlio del punk rock californiano di prima “battitura” tendo ad essere diffidente verso le nuove leve, soprattutto quelle del Pop-Punk. Oberato dall’emulazione esasperata dei Blink 182 lungo il corso degli anni, la fiamma conoscitiva e curiosa si è gradualmente affievolita, lasciando spazio ad una sorta di glaciale indifferenza verso la categoria.

Fuoco ravvivato dall’inclinazione musicale della mia compagna che ha deciso (con pieno merito) di portarmi a vedere la band Gallese. Zona Roveri è più gremita di quel che credevo, il pogo e la partecipazione scivolano costanti e dettati da grande intensità.

Le sonorità che popolano le mura del locale riecheggiano molto bene, in maniera compatta, quadrata, energica e coinvolgente.

Il morbido e il duro viaggiano su di un binario equilibrato e uniforme, la vena romantica delle tematiche si mescola alle distorsioni, la batteria detta la strada come un faro luminoso che giostra i salti e cori del pubblico che, per usare un’espressione calcistica sono il dodicesimo uomo in campo.

Un muro di suoni ben indirizzato che fa perdere di vista un dettaglio non di poco conto, ai giovani gallesi manca il basso tra le loro file. La formazione ordinaria attuale non lo prevede.

Il vecchio bassista ha terminato la sua esperienza del 2018 ma sembra che la scelta azzardata del quartetto possa apparire convincente, anche se non nego di avere molta curiosità nel sentire uno show dei Neck Deep con un basso e una voce di coro supplementare.

A questo punto arriviamo a Ben Barlow, alla sua voce e alla sua presenza. Partendo dal presupposto che sono ragazzi giovani e che l’attitudine in questo settore o ce l’hai o non puoi inventartela. Il ragazzo mescola un cocktail di genuina cattiveria, rabbia mai invasiva e sorrisi consacranti da vero Frontman buono.

Un piccolo leader dalle notevolissime capacità vocali, dallo spirito trascinante di chi sul palco sembra ci sia nato. Non nego l’amore verso personaggi cosi diretti, cosi alla ricerca del contatto col pubblico, che dimostrano che stare sul palco è una scelta dettata da un’esigenza innata di vivere e vedere perché no, a dispetto della massa, il bicchiere mezzo pieno.

L’espressività travolgente e sincera ha creato una sorta di filo conduttore familiare che ha abbattuto letteralmente il muro di scetticismo che mi avvolgeva.

Band promossa, band da seguire soprattutto in campo internazionale, band che fa ancor più rumore perché il Galles non è prettamente un’officina di situazioni musicali pop-punk, ma questi hanno le carte e lo spirito per scrivere pagine importanti per la scena.

La ricerca di una consacrazione tramite tecnicismi, virtuosismi e complesse situazioni musicali è un cliché che i Neck Deep smembrano perfettamente, dando adito al fatto che le cose semplici, d’impatto e ben suonate restano sempre le migliori, quelle che alla gente restano veramente.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

MOTION SICKNESS

GOLD STEPS

LIME ST

——

SMOOTH SEAS

PARACHUTE

——-

TORN

JUDGEMENT DAY

KALI MA

——-

SERPENTS

WHAT DID YOU EXPECT?

——-

CITIZENS

DON’T WAIT

——-

DECEMBER

1970 SOMETHIN

IN BLOOM

——-

ROOTS

WHERE DO WE GO WHEN WE GO

 

 

Grazie a Hellfire Booking Agency[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Testo: Vasco Bartowsky Abbondanza

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10824,10825,10826,10832,10831,10827,10828,10829,10841,10834,10840,10833,10835,10830,10837,10839,10842,10836,10838″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Dream State

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Parting Gift

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10855,10853,10852,10857,10856,10854″][/vc_column][/vc_row]

Basement @ Locomotiv_Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Basement •

+ Culture Abuse | Muncie Girls

 

Locomotiv Club (Bologna) // 25 Gennaio 2019

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Gli Inglesi Basement, in questo Venerdì di fine Gennaio riscaldano con il loro Rock il pubblico del Locomotiv Club di Bologna e ci presentano Beside Myself, il loro ultimo album uscito nel 2018 per l’etichetta Fueled By Ramen.

In supporto Muncie Girls e Culture Abuse.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

Disconnect

Nothing Left

Aquasun

Whole

Be Here Now

Brother’s Keeper

For You the Moon

Reason for Breathing

Pine

Spoiled

Stigmata

Covet

Promise Everything

 

Grazie a Hellfire e ERocks Production[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”10778,10782,10774,10783,10775,10769,10772,10789,10781,10777,10771,10787,10773,10776,10780,10784,10785,10786,10779,10770,10788″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1548005329787{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Culture Abuse

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Muncie Girls

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