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Tag: parco della musica

Fontaines D.C. @ Parco della Musica

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• Fontaines D.C. •

Parco della Musica (Padova) // 16 Agosto 2022

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]In un caldissimo post-Ferragosto, il Parco della Musica di Padova si prepara ad accogliere un altro dei live act più attesi dell’estate. Fra coloro che furono decretati come eroi del Primavera Sound, figurano gli irlandesi Fontaines D.C. che con il loro post punk acido e chitarroso fanno parlare di sé da diverso tempo. L’esordio musicale risale al pre-pandemico 2019 con Dogrel, disco che aveva fatto scoprire la formazione dublinese al pubblico dell’underground internazionale. Si intuiva già all’epoca la portata del suono della band, un post punk frastornato, disordinato, giovane ma metodico. Con A Hero’s Death del 2020 che le cose cambiano e i Fontaines raggiungono un “loro suono”, una formula rivisitata di indie rock con virate darkwave, ricca di schitarrate e riff incalzanti. Due anni dopo, Skinty Fia, che in slang irlandese è una specie di maledizione che ha a che fare con i cervi, accompagna la band nel tour 2022 mentre ottiene ottime recensioni sulle maggiori testate. Nonostante ritenga A Hero’s Death il miglior lavoro della band, la prova del nove resta sempre il live e questo ci porta a Padova.

Dall’apertura dei cancelli è tutto un via vai di gente che non vede l’ora di sentire Grian Chatten e i suoi dal vivo: c’è chi li vede per la prima volta, chi li torna a vedere perché “al Primavera sono stati una bomba”, chi li vuole vedere perché ci vede i nuovi Gang Of Four o giù di lì, chi è travolto dall’hype di questi nuovi eventi post-covid e chi i live li segue e basta. L’atmosfera dunque si crea ben prima del concerto e nonostante le lunghe attese per cibi e bevande (vi ricordate quando ci si ammassava tutti insieme appassionatamente per una birra?) il fermento è palpabile.

Non avevo mai visto i Fontaines dal vivo né avevo guardato i video live prima del concerto proprio perché volevo fosse tutto una sorpresa. La cosa che mi lascia un po’ basito è l’allestimento del palco, sopra cui vedo diverse installazioni con decori floreali e la targa con il nome della band che svetta sopra le americane. Per un pregiudizio del tutto positivo aspettavo di trovare un palco più sobrio, più scarno, ma sono fiducioso e non bado ai contorni. Alle nove e mezza, con estrema puntualità, i Fontaines D.C. salgono tutti insieme sul palco accolti dalle grida e dagli applausi dei presenti che nel frattempo si erano ammassati per accaparrarsi il posto più vicino. I cinque ragazzotti irlandesi piacciono subito per la loro aria simil-trasandata e i loro outfit decisamente discutibili ma funzionali allo scopo. L’evoluzione estetica dell’hipster si riassume nel riscoprire i capi in disuso dei propri padri per metterseli addosso senza far caso alle conseguenze degli accostamenti e i Fontaines in questo sono maestri.

Lo show si apre prevedibilmente con la prima traccia dell’ultimo album, In ár gCroíthe go deo, che viene cantata e seguita da tutti. I cinque si destreggiano un po’ goffamente sul palco dove cercano di dimenarsi senza dare troppo nell’occhio. La pecca che fin da subito notiamo è l’equalizzazione del suono dove vengono premiati i bassi mentre l’impatto dei Fontaines spinge tutto negli alti. La folla è comunque molto partecipe e c’è chi si agita, chi urla e chi balla. Neanche a dirlo, da sotto, è il trionfo degli smartphone complice anche la nutrita schiera di fan new-generation presente ma che non è comunque la parte più ampia del pubblico. La scaletta prosegue con una buona scelta fra i pezzi che ottengono tutti un’ottima accoglienza ma mentre seguiamo le chitarre le mille luci ed effetti che provengono dalle installazioni montate sul palco disturbano l’armonia. Che una band divenuta ormai mainstream abbia bisogno di portare sul palco uno show che vada oltre l’abilità musicale è scontato e comprensibile, tuttavia l’accostamento fra il tono musicale dei nostri eroi e le luci da sala giochi (compresa l’insegna Fontaines D.C. che lampeggia) spesso cozzano.

Il concerto risulta gradevole nonostante i ragazzi sul palco non siano delle eccellenze musicali e tantomeno performative, però diamo loro il bonus della gioventù e del primo riconoscimento e successo a livello di performance, per cui li seguiamo e anzi li incoraggiamo come possiamo. I brani vanno e vengono con allegria, Sha Sha Sha dal primo disco, ottiene molti cori e viene subito intonata dalle prime file così come avviene con la successiva Roman Holiday dell’ultimo. Protagonista dello show è il nuovo disco che nonostante i tentennamenti e alcuni attacchi non troppo felici, convince per la portata che ha. Non sempre i Fontaines sono all’altezza di loro stessi su disco ma c’è tempo e le occasioni per migliorarsi non mancano mai.

Con A Hero’s Death, per cui partono le ovazioni, la band ci saluta e lascia il palco per la consueta tradizione che precede l’encore. Fin qui tutto bene se non fosse che l’insegna Fontaines D.C. si illumina con i colori della bandiera italiana, un’idea pacchiana e decisamente fuori luogo. I ragazzi non demordono e nonostante la figuraccia estetica ritornano per suonarci gli ultimi tre pezzi prima di mandarci a letto, nell’ordine Skinty Fia, Boys in the Better Land e la conclusiva I Love You.

Se escludiamo gli outfit (il cui cattivo gusto si ritrova anche nel merchandising), le tamarrate decorative e una non sempre stabilità musicale, i Fontaines D.C. vengono approvati dal pubblico del Parco della Musica che li saluta come nuovi interpreti del post punk. Si spera abbiano ancora molto da dire ma soprattutto molto da suonare.

 

Fernando G. Maistrello

foto di Siddharta Mancini

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Idles @ Padova & Roma

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• IDLES •

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Parco della Musica (Padova) // 15 Luglio 2022

Ippodromo delle Capannelle c/o Rock In Roma (Roma) // 16 Luglio 2022

 

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Due anni fa, il Parco della Musica di Padova annunciava il primo grande evento estivo: il concerto della formazione inglese Idles.

L’hype schizzò subito alle stelle per quello che si prospettava un concerto imperdibile per appassionati e seguaci del genere ma non solo. Qualche settimana più tardi il governo annunciava il lockdown con cui iniziava il tristemente noto periodo pandemico. Il concerto degli Idles venne quindi rimandato all’anno successivo per poi avere luogo solo due anni più tardi.

Nel frattempo lo scenario mondiale è cambiato, il pubblico è cambiato, gli eventi – in un certo senso – sono cambiati. Ma andiamo con ordine.

Venerdì 15 Luglio 2022 è il giorno tanto atteso della data patavina della band di Bristol e il Parco della Musica si prepara ad accogliere il pubblico. Padova è la seconda data del weekend italiano degli Idles e arriva subito dopo un Carroponte (Milano) gremito e trionfante. Bisogna fare meglio o per lo meno eguagliare.

Negli ultimi tempi Joe Talbot e soci non sono certo rimasti fermi ma anzi, l’ultimo disco in studio Crawler (Novembre 2021) li ha portati in giro per i vari festival che quest’anno hanno potuto svolgersi dopo lo stop pandemico. Si sente dire da chi è tornato dai festival quanto spaccano dal vivo, quanto sono carichi, coinvolgenti, gli Idles un must have dei live in circolazione. Stasera li mettiamo alla prova.

L’apertura è affidata ai romani Calzeeni, band che accompagna i nostri eroi per tre date su quatto previste. Purtroppo chi scrive ha perso l’opening act a causa di disagi autostradali (fare il tratto Verona – Padova la sera d’estate è come fare la fila alle poste) ma, stando a quanto sento una volta a destinazione, mi sono perso solamente un tuffo nel punk anni ’90.

Arrivo in tempo per vedere Mr. Talbot e i suoi salire sullo stage accolti da una folla festante e affamata di pogo e sudore. Fin dalle prime note capiamo quello che ci aspetta.

Gli inglesi ruggiscono sul palco e ringhiano il loro post punk grezzo e incazzato, pesante come un macigno, dolce come un pugno dritto in pancia. La batteria martellante di Joe Beavis scandisce il pogo che parte all’istante dalle prime file. Il potente suono che dal palco si diffonde nel parco entra nelle orecchie dei presenti come una sassata contro un vetro. Se su disco gli Idles non scherzano, dal vivo si difendono anche meglio ed è proprio sul palco che la vena hardcore punk supera di gran lunga quella post punk che rimane però la base compositiva dei nostri.

Per quanto post punk sia un genere ampio e ormai parecchio abusato, rispecchia però il sound della band inglese che ci ricorda i momenti più incazzati dei Killing Joke nei loro periodi più illuminati, passando per i fraseggi disordinati alla Gang Of Four.

La scaletta è quella che ti immagini: spazio alle tracce dall’ultimo disco e qualche vecchia gloria qua e là, soprattutto sul finale.

Per quanto mi riguarda i momenti più elettrizzanti sono stati l’esecuzione di Meds, le chitarre impazzite di War e le grida di Crawl. Pieni voti anche per la tenuta del palco e il carisma di Talbot che fra un “grazi mille” e un altro non annoia mai chi ascolta senza essere coinvolto nel pogo.

Un’ora e quaranta più tardi gli Idles ci salutano lasciandoci sudati e senza fiato. Come non accadeva da tempo, il palco del parco si spegne e la matassa di gente avvinghiata subito sotto si scioglie lasciando scorrere una marea di facce sconvolte dal caldo, dallo show e dalla musica che fino a poco prima ha schiantato i timpani. Mi piace molto il pubblico che vedo intorno, un carosello di magliette di Misfits, Descendents, ma anche camicie hipster floreali, qualche abito nero e un po’ metal qua e là. La magia è finita e si torna a casa e lo facciamo con le orecchie fischianti che implorano un altro concerto del genere.

Che la musica dal vivo sia finalmente ripartita lo si era capito da qualche mese ma è con concerti del genere che si capisce cosa abbiamo perduto nei due anni precedenti.

 

Testo di Fernando Maistrello

Foto di Siddharta Mancini (Padova), Simone Asciutti (Roma)
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Iosonouncane @ Parco della Musica

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• Iosonouncane •

+

Vieri Cervelli Montel

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Parco della Musica (Padova) // 31 Luglio 2021

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_empty_space][vc_column_text]Nonostante il maltempo di questi giorni risparmi parzialmente la domenica, con la pioggia, in Veneto, ci si impara a convivere.

Ma quella di Iosonouncane, è stata una pioggia sonica che sembra sceneggiatura presso il Parco della Musica a Padova.

L’evento che muove le moltitudini mi mancava. A un anno e mezzo dall’ultima volta, torno ad assistere a un concerto grande e a posteriori possiamo sentenziarlo anche come un grande concerto… come preferite.

Osservo un pubblico insolitamente tranquillo che ancora sta riprovando i meccanismi ormai persi da troppi mesi, parlando di vivere un concerto.

Tutti stanno aspettando sul palco Jacopo Incani, in arte Iosonouncane, per cui le definizioni generiche, che possono innescare eventuali ilarità, sono sempre inadeguate.

Jacopo, musicista di Buggerru, ha pubblicato da poco il suo terzo album, il monumentale Ira: due ore di musica tra psichedelia, canzone d’autore, elettronica, prog e sperimentazione.

Allora comincio a chiedermi: come suoneranno le sue canzoni? Quali sceglierà? Quanto durerà? Di che umore sarà e soprattutto quante sigarette si fumerà?

Alle 20.30 in punto, ecco il live d’apertura di Cervelli Vieri Motel. Il loro disco uscirà quest’inverno ed è prodotto dallo stesso Jacopo Incani, che li ha voluto fortemente in tour. La loro mezz’ora si palesa con un tradizionale sardo e si conclude con una insolita ma interessante rilettura di Almeno tu nell’universo, forte di un finale con i rumori che arrivano a sconvolgere la melodia originale, un iter apparentemente banale ma audace e ben riuscito. 

Per il resto, i brani si snodano a cavallo tra un Free Jazz e un Post Rock con continue variazioni di dinamica che rendono i brani ancora più affascinanti. Da tenere d’occhio.

Ma arriviamo al dunque. Le 21.30 sono trascorse da poco e Jacopo sale sul palco, accompagnato dai suoi due musicisti Bruno Germano (che ha co prodotto l’album) e Amedeo Perri (che ci ha suonato dentro), con cui forma un trio dai suoni tanto alieni quanto tribali e viscerali. 

I tre sono sistemati di fronte a una serie di synth, campionatori e arnesi vari, vestiti completamente di nero, avvolti dal fumo e illuminati solo da qualche luce rossa e blu.

Non una parola, non un saluto, prima di cominciare, ma ci si getta subito nelle stringenti spire di Ira, una scelta di austerità in un climax crescendo, con brani estratti da questo nuovo disco lungo, ordinato e folle.

Nei primi minuti Incani si dimena per ottenere i giusti volumi, poi inizia il viaggio, un viaggio sonoro a tratti inquietante e funereo, che dall’Africa raggiunge i cieli oscuri del nord Europa e altri continenti obliati.I riferimenti artistici possono essere molti: da Andy Stott ad Apparat, da Scott Walker al tribale del Maghreb ma l’impronta è sempre più la sua, personale e intima, lontana dalle convenzioni e rituali, quasi volesse scrivere una nuova grammatica. Una musica labirintica in cui si ha il piacere di smarrirsi ed infine ritrovarsi.

L’attesa è ripagata da un concerto dall’impatto marmoreo e mastodontico, che esplode in un magma sonoro fragoroso che fa strano vivere seduti.

La musica è una liturgia solenne e drammatica, ostile a tratti violenta, caratterizzata da dilatazioni, pause e brusche accelerate. Senza troppi colpi di scena, abbiamo la conferma della bravura di un artista la cui abilità durante i live non è più una sorpresa. 

Difficile, praticamente impossibile sin dall’inizio, ipotizzare una vaga idea di scaletta. Ok lo ammetto, ho ascoltato diverse volte Ira ma ancora non associo i titoli alle canzoni, considerandola quasi una lunghissimo unico paesaggio sonoro. Forse è giusto interpretarlo così.

Le canzoni si lasciano il passo a vicenda, rincorrendosi, guardandosi negli occhi, in una trama di immagini bellissime. 

I pezzi dell’album Ira traslano dalla nevrosi ritmica al lento, per aprirsi a momenti d’improvvisazione. Chiudo gli occhi e decido di abbandonarmi ad un’esperienza immersiva: una sensazione di trance cui abbandonarsi facendosi accompagnare dalla traiettorie imprevedibili del suono.[/vc_column_text][vc_empty_space][vc_single_image image=”20555″ img_size=”full”][vc_empty_space][vc_column_text]

Apro gli occhi e mi volto verso il pubblico, e attorno a me vedo gambe piegate e corpi seduti rigidi, in ipnosi da suggestioni sonore da ascoltare, immobili.

A tratti voci ancestrali sono spezzate da un dolore innato, mentre le angoscianti trame di synth si levano come a sfidare un ostinato cielo che non vuole saperne di dare tregua.

I pezzi di Ira progrediscono verso l’ossessivo, ma c’è spazio anche per l’esecuzione di Tanca, tratta dall’album Die, uno dei suoi brani più riusciti, che conferma l’entusiasmo di un pubblico ancora molto affezionato al passato. Le teste ondeggiano e solo in questo pezzo si sentono urla entusiaste da hit tanto desiderata in scaletta.

Alcuni, pochi, travolti dall’entusiasmo, provano a riversarsi sui lati per assistere al set in piedi, ma vengono subito riportati a sedere dai più miti consigli dal solerte staff, quasi addestrato dall’artista. 

Nel frattempo la voce di Incani, un inserto momentaneo all’interno di pezzi di lunga durata, assume essa stessa funzione di strumento musicale che ne consente una più facile assimilabilità. 

Degno di nota la facilità con cui passa dall’uso del falsetto a timbri molto bassi, quasi baritonali (con l’uso anche di effetti), che rivelano una crescita importante per Jacopo anche nell’uso del canto. 

La birra, stretta tra le mani, diventa sempre più calda con il passare del tempo e con l’aumentare dell’attenzione che avvolge il viso dei presenti. Così, la lancetta gira in fretta, facendo perdere la cognizione del tempo agli ascoltatori. 

Incani ed i suoi lasciano gli strumenti a concludere da soli l’ultimo loop e i tre si dileguano col favore del buio. 

Sì, se né andato, Jacopo ha finito di stregare Il Parco della Musica di Padova. 

Una zona di convivialità tra tavolini, alimentari e drink ci portano verso una dimensione più rilassata, contornata da fili luccicanti che ci riportano ad un meraviglioso salotto all’aperto.

Sarebbe stato meglio stare in piedi e dimenarsi sotto il palco, ma in attesa di tornare anche a quello, siamo comunque grati per questo meraviglioso e ipnotico momento. Di questi tempi, non è scontato.

 

 

[/vc_column_text][vc_column_text]Foto e testo di Massimiliano Mattiello

 

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Vieri Cervelli Montel

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