Skip to main content

Tag: tour

Fast Animals And Slow Kids @ Strike_Up_Festival

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Fast Animals And Slow Kids •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Strike Up Festival #5

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Castello Della Rancia (Tolentino) // 01 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Esistono due categorie di persone.

Quelle che credono nel colpo di fulmine e quelle che non ci credono. Posso affermare di far parte della prima, senza ombra di dubbio. Perché esistono, anche, varie tipologie di colpi di fulmine, tra cui quello “musicale”. Circa due anni fa, in occasione del Rimini Park Rock, vidi quattro ragazzi suonare in apertura ai Biffy Clyro.

Suonavano forte, di cuore, di pancia. Suonavano con gli occhi dello stupore di chi calca finalmente quei palchi. Suonavano con la pazzia di chi tenta sempre il tutto per tutto… anche arrampicarsi su un’americana per scorgere meglio il pubblico, da lassù.

E poi sono arrivate le presentazioni: Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Jacopo Gigliotti, Alessio Mingoli. “Salve, noi siamo i Fast Animals and Slow Kids e veniamo da Perugia”. Una formula magica, uno stringersi la mano per non lasciarsela più.

È stato amore a prima vista.

La scoperta e la riscoperta di una parte di me in ogni canzone, in ogni verso, ad ogni concerto. Empatia pura. Sono volata a Berlino lo scorso dicembre, solo per ascoltarli dopo il periodo di pausa dedicato alla scrittura del quarto album, Animali Notturni, pubblicato il 10 maggio.

Un nuovo disco. Consapevolezza, personalità, professione di libertà e coesione rafforzate nel tempo e confermate traccia dopo traccia. Un nuovo tour inaugurato ufficialmente dalla data allo Strike Up Festival di Tolentino.

Quel primo giugno cerchiato in rosso sul calendario ormai da mesi e una location da togliere il fiato: il Castello della Rancia, illuminato e imponente sullo sfondo.

Un anfiteatro gremito di persone che, dopo aver applaudito i Bruxa e i Caracalma, si è acceso in un’ovazione sull’intro di Radio Radio intonato da quelle che sono ancora ombre avvolte nel fumo.

I musicisti sono al loro posto, la formazione è schierata. Manca solo Aimone.

Arriva anche lui, nella sua autentica semplicità.

Capelli al vento, microfono in aria. Si inizia.

È Radio Radio ad aprire la setlist. L’inno coraggioso e cantato all’unisono,che celebra la volontà di continuare a dire ciò che si pensa e metterlo in musica. Una fusione perfetta e complementare tra vecchi e nuovi brani: se Coperta, con i suoi ricordi illusori confusi nella nebbia è l’antenata ideale di Non potrei mai, Dritto al cuore è il pezzo che segna il primo apice emozionale della serata.

Questo è un brano a cui teniamo davvero tanto” – confessa il frontman – “Non vedevamo l’ora di suonarla live. La dedichiamo a tutti quelli che sanno di aver sbagliato, una volta. Perché una volta si può sbagliare”.

“Non vedo l’ora di ascoltarla live” ho pensato la primissima volta che ho fatto girare il cd in macchina, appena comprato, appena scartato. Il “locale” è esploso sul serio. 

Un groviglio di corpi, nomi, voci sempre più attaccati e tesi verso Aimone, già a strettissimo contatto con le transenne. Tra ombre di Demoni e la fotografia nitidissima di Annabelle, il palco si popola di quelle figure misteriose che sono gli Animali Notturni: Questa è per tutti quegli amici che abbiamo perso lungo la strada”.

Una canzone che sembra composta appositamente per la dimensione, per narrare quelle storie di vita vissuta, di chilometri, di incontri, di domande, tra le righe delle corde di chitarra. Un invito ad avvicinarsi al palco, a fare un passo in avanti, per eliminare qualsiasi barriera, qualsiasi distanza tra artista e pubblico, perché, in fondo quegli animali notturni sono uomini.

Sono loro, siamo noi.

Abbiamo voluto chiudere l’ultimo disco con una nota di speranza. Questa è Novecento”. Ecco il secondo picco d’emozioni: una ballata incorniciata da un titolo d’amore. Il nome del secolo dei grandi cambiamenti, delle cadute e delle rinascite, dell’orizzonte comunque aperto. Un brindisi al futuro, con i bicchieri, i sorrisi, le lacrime, gli occhi rivolti al cielo.

Poteva mancare lo stage diving di Romizi? Lui che, da anni, cavalca l’onda umana che si innalza ad ogni tempesta di suono generata dai Fast Animals And Slow Kids? No, non poteva mancare.

E per l’occasione si tuffa e arriva in un attimo su un piccolo palco preparato vicino al mixer, con bacchette e timpani.

“Ragà, con quel bastardo (Alessio) abbiamo indetto una sfida super tamarra. Daje”. Un intermezzo strumentale di sole percussioni che crea il ritmo e le vibrazioni in modo perfetto per introdurre Forse non è la felicità, urlata a squarciagola.

Si spengono le luci, ma solo per un attimo. Il tempo per L’urlo e il finale è tutto per una canzone che rappresenta una parte integrante del cuore e dell’anima di questo gruppo e dei loro fan.

“Questa risale al 2012, quando eravamo quattro stronzi e non ci cacava nessuno. La musica era un obiettivo lontano ma da quel momento abbiamo iniziato a suonare ovunque. Per dieci anni. E dopo dieci anni la musica è la nostra vita. Quindi grazie amici”.

Aimone chiede un ultimo grande applauso per quella formula magica. “Buonasera, noi siamo i Fast Animals And Slow Kids e veniamo da Perugia”.

Un boato che si esaurisce soltanto alla fine di A cosa ci serve. Quel brano lontano, ora, nel tempo. Quella domanda, sempre attuale. quella risposta che ci diamo dopo ogni concerto: serve a sentirsi vivi. A credere ancora in qualcosa. A sorridere, pur avendo perso completamente la voce.

Serve a sentirsi meno soli.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14141,14144,14145,14125,14128,14138″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14134,14132,14133,14126,14143,14140″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14131,14135,14136,14129,14139,14137″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”14130,14124,14123,14142″][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1559483619620{margin-top: 10px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

 

scaletta fask

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Ma9Promotion e Strike Up Festival

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Coez @ Palazzo_Dello_Sport

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Coez •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Palazzo Dello Sport (Roma) // 29 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Silvia Consiglio

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13948,13942,13946,13940,13943,13937″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13938,13944,13945,13947,13941,13939″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Goigest

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Marco Mengoni @ RDS_Stadium

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Marco Mengoni •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

RDS Stadium (Rimini) // 29 Maggio 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][vc_column_text]Fuori piove e fa freddo, in questo maggio che sembra novembre, ma dentro il palazzetto va a fuoco.

La penultima tappa dell’Atlantico Tour di Marco Mengoni all’RDS Stadium di Rimini è un live da tutto esaurito. 

Di concerti ne ho visti nella mia vita e, devo ammettere, che un pubblico così caldo, così entusiasta, moltissimi artisti della scena rock, alternativa o underground che dir si voglia, possono solo sognarselo. 

Una ventina di minuti dopo le nove si inizia. 

Il palco è diviso in tre livelli: c’è una sorta di fondale industriale, di ferro e lamiera, con barre a led e uno schermo trasparente, che all’occorrenza può rendersi invisibile. Sul proscenio invece un telo in stile teatro kabuki nasconde le sagome dei coristi.

Si parte con Muhammad Ali. Il brano, tratto dall’ultimo album, in questa occasione è stato completamente riarrangiato con l’inserimento di un canto tribale. Questo non sarà l’unico elemento etnico presente nello spettacolo.

 In due ore, Mengoni è riuscito a introdurre tantissime sonorità latine e brasiliane, e non mancano i richiami alla musica soul o africana.

Sul monitor appare la celebre frase del campione di pugilato, “I’ma show you how great I am” e Marco Mengoni salta, letteralmente, fuori dal palco da una botola nascosta. 

Sul secondo pezzo, Voglio, cade il velo kabuki e si svela il palco nella sua interezza. Ho letto in qualche intervista che l’ispirazione di questa struttura arriva dritta dritta dai Talking Heads.

Come il loro, e con le dovute proporzioni, anche quello di Mengoni è uno show che si trasforma sotto gli occhi del pubblico. Il ritmo è scandito da effetti di luce e laser.

Lo show è suddiviso in tre parti, inframmezzate da alcuni monologhi. 

Il primo, Sei tutto è stato scritto dallo stesso Marco, e recita “sei tutto il male che eviti e quello che affronti fino in fondo” e apre la strada al secondo momento del concerto con La Ragione del Mondo, uno dei brani più emozionanti dell’ultimo disco. 

Tra il pubblico giurerei di aver visto anche qualche lacrima.

L’intro di Buona Vita invece si fonde con le sonorità dei Buena Vista Social Club di Compay Segundo, musica che Mengoni ci racconta di aver ascoltato a lungo, durante la realizzazione di Atlantico. 

La casa Azul invece è dedicata a Frida Kahlo.

In questi anni Mengoni ha viaggiato e si vede. Il suo è uno show ricco, non barocco, ma ricco. Di parole, di sensazioni, di colori. Ha cercato di portare sul palco tutto quello che è oggi, la sua caleidoscopica personalità. 

La mia sensazione è che Marco Mengoni in questi anni sia diventato grande, più consapevole. Si è liberato dalla maschera di cantante pop che piace alle ragazzine per diventare un artista completo.

Con Atlantico è riuscito a mettere in piedi, coadiuvato da una grande squadra, come spesso ricorda durante il concerto, uno show articolato, che unisce musica e contenuti.

Nonostante questo, lui è lì per cantare e sembra non dimenticarsene mai. I balletti ci sono, gli ammiccamenti anche, ma la musica rimane il centro di tutto questo.

Arriva un secondo monologo: la citazione in apertura è dello scienziato James DewarLa mente è come un paracadute, funziona solo se si apre”. 

Secondo Marco non c’è altra soluzione per sopravvivere a questo mondo, descritto da titoli di giornale che parlano di inquinamento, intolleranza e isolamento.

“Siamo stati più belli di così, più onesti, più buoni. Siamo stati più comprensivi forse, più umani, più giusti“, ed è la gentilezza il segreto, “be pitiful, for every man is fighting a hard battle” come recita l’aforisma di Ian McLaren a chiusura del testo.

La terza parte del concerto è quella più densa di emozioni. Si parte con Guerriero.

Sul pubblico vengono calate delle passerelle sospese, che Mengoni usa per avvicinarsi ancora di più alle persone. Vuole bene al pubblico, è palese, e il pubblico vuole bene a lui. 

L’Essenziale vede Marco per la prima volta seduto al piano forte. Per quanto mi riguarda, è uno dei momenti più belli del concerto.

Quello che mi piace di Mengoni è che dà l’idea di essere proprio come appare. Un ragazzo semplice, che non ha dimenticato da dove viene. Nonostante questa umiltà, è uno che sul palco ci stare. Ci sa stare, eccome.

Il pubblico di Mengoni è devoto: quando chiede di spegnere tutte le luci e alle persone di mettere via gli smartphone per concentrarsi sulla musica per il tempo di una canzone, la gente lo fa.

Così, nel 2019 un intero palazzetto lo ascolta cantare al buio, senza il telefono in mano. Lo scambio con i fan è infatti uno degli aspetti più interessanti di questo live: è spontaneo e diretto, senza artifici e senza sovrastrutture.

Dopo circa due ore, e dopo un lungo viaggio attraverso questi ultimi dieci anni di musica, lo show giunge alla fine.

Ammetto di aver pensato, di lui come di tanti altri usciti da un talent, che forse non sarebbe arrivato dove è ora, senza una trasmissione come X Factor. Stasera mi sono ricreduta.

Marco, al di sopra di qualunque chiacchiera sul destino o la fortuna, ci sarebbe arrivato comunque su questo palco, e su tanti altri. Forse ci avrebbe messo più tempo, è vero, ma di mestiere ne ha da vendere.

Quello che oggi mostra al pubblico non è frutto di improvvisazione, ma di lavoro. È il risultato di un talento, e non di un talent.

Mengoni è un bravo artista, uno che è riuscito a prendere le giuste misure e a colorare la propria musica con toni diversi, a volte soffusi, a volte vivaci, altre malinconici, senza mai tradirsi. 

Vorrei chiudere con sue parole, prima di lasciare il palco e ringraziare per la decima volta le persone che sono venute a sentirlo: “questo non è un concerto di Marco Mengoni, questo è un concerto di tutti noi e di tutti voi“.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Daniela Fabbri

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13912,13913,13914,13916,13923,13921,13925,13924,13922″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13917,13918,13920,13926,13928,13927″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1556052397943{padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13919,13915,13929″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Goigest

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Si scrive “pacca”, si legge Banana Joe: il post-grunge rinasce a Genova

Ci sono tanti modi di definire lo stile Banana Joe, ma quello che ormai li caratterizza di più sta, senza ombra di dubbio, in quattro precise lettere: P-A-C-C-A.

Per capire che cosa sia la pacca firmata BJ non è sufficiente ascoltare qualche loro brano in cuffia: bisogna gustarseli sotto il palco, accanto ad una cassa vibrante, nel bel mezzo del pogo.

Ecco che la pacca si manifesta in tutto il suo splendore, sferrandoti il suo schiaffo migliore e lasciando che le tue viscere si schiantino sopra quel muro del suono dal rumore pesante.

I Banana Joe non hanno quasi bisogno di presentazioni: noi di Vez ci siamo affezionati e tra non molto lo sarete anche voi.

In momento storico in cui la discografia sembra perdersi nei meandri dell’Indie e della Trap, c’è finalmente qualcuno che non perde occasione per infuocare le chitarre, rendendo giustizia ad un suono ormai distante dalle radio e dall’immaginario collettivo.

Tre, ma come se fossero 10: Andrea Gnisci (voce e basso), Fulvio Masini (chitarra) ed Emanuele Benenti (batteria), suonano insieme da diversi anni ormai portando in giro il loro stile che oscilla tra sonorità post-grunge e la musica psichedelica degli anni ‘60-’70.

Genovesi, giovani, gasati: le band che piacciono perché sanno come farsi piacere.

Lo scorso ottobre hanno lanciato il loro primo album Supervintage che hanno fatto conoscere su diversi palchi del Nord-Italia, un concentrato di pura energia rock che lascia ben sperare per i nuovi lavori in arrivo. Perché, sì, sono in arrivo nuovi brani: ora ne abbiamo la conferma.

Noi di Vez li abbiamo incontrati, intervistati e anche un po’ umiliati.

Qui l’intervista a cura di Giovanna Vittoria Ghiglione:

 

 

I racconti al chiaro di luna degli Avantasia

C’era una volta Avalon, un’isola misteriosa avvolta dalla nebbia e dal mistero. Le sue sponde erano abitate da creature magiche e sfuggenti: fate, maghi, cavalieri, re e regine. 

Avalon era la patria di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, di Merlino e Morgana; una terra lontana e incantata che ha sempre suscitato un fascino viscerale tra scrittori e artisti.

Nel 2000 un giovane cantante tedesco Tobias Sammet, frontman degli Edguy, ha un sogno; quello di creare un super gruppo metal che riunisca insieme alcuni dei più grandi nomi del panorama internazionale. Ed è da questa idea e da una crasi tra le parole Avalon e Fantasia, che nascono gli Avantasia.

Nel loro primo album intitolato The Metal Opera Part I, del 2001, Avantasia, traccia numero 9 del cd, viene presentata come un mondo al di la’ dell’imaginazione umana in cui si svolgono le vicende raccontate nei 13 brani che compongono l’opera.

La band nata come un side project degli Edguy ad oggi è forse la creatura più riuscita di Tobias, quella a cui dedica più tempo e sopratutto quella in cui riesce ad esprimere al meglio le sue doti sia di polistrumentista che di autore.

La formazione attuale comprende oltre al cantante Tobias Sammet, Sasha Paeth alla chitarra, Miro Rodenberg alla tastiera e Felix Bohnke alla batteria.
Accanto a loro però nel corso degli anni, e degli album, si sono avvicendati tutti i grandi nomi del panorama metal mondiale: da Alice Cooper a Michael Kiske ( degli Helloween), da Rudolph Schenker (degli Scorpions) a Marko Hietala (dei Nightwish) per citarne alcuni.
Gli Avantasia ci propongono un metal di tipo operistico con brani spesso lunghi, che a volte superano i 10 minuti, e che ci proiettano in un mondo fiabesco e fatato. Ogni concept album ci racconta una storia diversa ed ha un suo filo conduttore.

Quello che li rende un unicum nel panorama musicale mondiale è l’abilità di spaziare da un genere ad un altro regalandoci un carosello di sonorità che vanno dal power metal al symphonic, dal folk all’hard rock, senza però stranire l’ascoltatore.

L’alternarsi continuo di generi infatti si sposa con il cambio di cantanti e di timbriche, con l’introduzione di un coro o di una voce femminile, che va a rendere la musica di Tobias non solo armonica ma anche ipnotica.

Le canzoni dei loro album si susseguono in un turbinio di generi ed emozioni che ti prendono e ti trasportano in un mondo magico al di là dello spazio e del tempo.

Dal 2001 ad oggi gli Avantasia hanno prodotto 8 album l’ultimo dei quali, Moonglow, é uscito lo scorso 15 febbraio ed è accompagnato da un tour mondiale.

Secondo Sammet Moonglow, che è costato alla band due anni di fatiche, sarebbe l’album più dettagliato che abbiano mai prodotto; non solo ambizioso ma ricco di amore per i particolari.

Come si può evincere dal titolo le canzoni prendono spunto dalla luna e dalla notte. Si tratta di 12 tracce piuttosto cupe che si ispirano ai romanzi di matrice vittoriana e che parlano di creature che si muovono nelle tenebre in cerca di qualcosa.

C’è chi ispirato dalla luce lunare abbandona le proprie convinzioni per inseguire i propri sogni, chi aspetta un segno e chi vuole ritrovare se stesso.

La notte e la luna, che dall’alba dei tempi sono fonte d’ispirazione per gli artisti, sono riuscite a catturare l’attenzione del frontman tedesco che con questo album, ha dato il meglio di sè.

Per tutti gli amanti del genere, ma anche per gli appassionati di fantasy, gli Avantasia saranno all’ Alcatraz di Milano il 31 marzo per l’unica data italiana del Moonglow Tour. Un appuntamento da non perdere per chi vuole farsi trasportare dalla loro musica; per chi vuole chiudere gli occhi e immaginare di trovarsi tra le Nebbie di Avalon.

Laura Losi

Subsonica: sogniamo, perché c’è sempre qualcosa in più

I Subsonica sono tornati. Lo hanno fatto percorrendo strade che seguono curve dorate, come i contorni del numero Otto, scelto come titolo del loro ultimo album. Una cifra, un simbolo denso di significati. Uno fra tutti, la continuità.

I cinque musicisti di Torino, dopo oltre due anni di esperienze da solisti, si sono ritrovati per scrivere un nuovo capitolo della loro ultra ventennale carriera come band. Le solide radici affondate negli anni Novanta, la consapevolezza del mutamento dei tempi, lo sguardo attento all’attualità, la volontà di esprimersi con il loro linguaggio, la musica. Passato e presente che convergono in un unico, spettacolare tour, in giro per l’Italia.

Abbiamo parlato di questo e di tanto altro con Samuel, che ci ha svelato il segreto grazie al quale il microchip emozionale dei Subsonica è ancora così ricettivo e in costante evoluzione.

 

IMGL4524

 

Si sta per concludere il fortunato tour che promuove Otto, il vostro ultimo lavoro in studio. Che cosa racchiude questo titolo, oltre al significato prettamente matematico?

Il primo spunto ci è venuto pensando al fatto che questo è il nostro ottavo album. In più, l’otto è un numero pieno di simboli. Se girato in orizzontale, indica l’infinito, quindi il tempo che crea un ciclo su se stesso. In qualche modo, i Subsonica fanno parte di questo immaginario… è molto tempo che siamo insieme e abbiamo assistito allo scorrere di vari cicli della musica. Per alcune culture orientali, l’otto è il numero della ricerca dell’equilibrio, con il suo nucleo centrale e i due cerchi laterali. Anche questo aspetto sembra raccontare l’esigenza di un gruppo come il nostro, composto da cinque teste pensanti, di forte carattere e che necessitano di un equilibrio fra loro. Tutta questa serie di ispirazioni e scintille ci ha fatto propendere alla scelta del titolo.

 

Il 18 gennaio è uscito sulle piattaforme Vevo e Youtube il video di Punto Critico, brano che descrive realisticamente “questi anni senza titolo”. Quanto la musica può essere o può tornare ad essere uno strumento di denuncia e di comunicazione oggi?

La musica è sempre stata un veicolo di comunicazione e di racconto. Ciò che cambia sono le esigenze della società e di chi ascolta la musica. È cambiato anche il modo di ascoltarla. Quando noi abbiamo iniziato, si incideva su vinile, adesso si ascolta in streaming. Cambiano le modalità attraverso cui gli uomini usano la musica, che rimane però sempre un linguaggio fondamentale. In questo momento, stiamo assistendo ad una costruzione e ricostruzione di nuove forme di linguaggio. Ad esempio, il rap o la trap hanno riportato al centro dell’attenzione la parola. Perciò, per certi versi, di fronte a un passaggio epocale, la gente sta ritornando ai concerti, le sale diventano sempre più piccole e il pubblico sempre più numeroso. Molte realtà musicali approdano a stadi e palazzetti in tempi brevissimi. È in corso un processo di enorme cambiamento musicale.

 

IMGL4408

 

Bottiglie rotte è stato il singolo che ha anticipato Otto. È ispirato dagli effetti deformanti e narcisistici che caratterizzano l’era social. Qual è il vostro rapporto con l’evoluzione tecnologica e dei media? Voi che siete stati i primi musicisti in Italia ad aprire un sito internet, nei primi anni duemila…

Sì, noi siamo stati il primo gruppo ad avere un sito legato alla musica e siamo stati, forse, tra i primi al mondo a registrare in mp3. Tra noi c’è un ingegnere informatico che, in quei periodi, si stava laureando e aveva in mano tutte le nuove onde della tecnologia. Il supporto mp3 era in fase di studio e costruzione, proprio a cura di uno dei suoi professori. Oggi, ovviamente, i nativi “duemila” sono nati già immersi in questo alfabeto di comunicazione e hanno una lucidità, una rapidità e una leggerezza nell’utilizzo superiore a tutti quelli venuti prima. Ma questo fa parte della storia del mondo: tutti quelli che vengono dopo si avvalgono degli strumenti scoperti dai propri genitori o fratelli maggiori per poi reinventarli al meglio. Nel testo di Bottiglie rotte non è contenuto un giudizio. C’è un racconto del presente. Un presente composto da tanti palcoscenici infilati nelle tasche di ognuno di noi e nei nostri telefoni. Abbiamo ormai a disposizione un vero e proprio palcoscenico, per farci vedere da chiunque. C’è chi lo utilizza in maniera più intelligente e chi invece sembra “buttarsi un po’ via”. E anche quello fa parte della naturale andamento del mondo.

 

Fin dagli esordi, la vostra attitudine è stata sempre fortemente innovativa, puntando sui suoni elettronici e sulla cultura delle basse frequenze. Dopo oltre vent’anni di carriera, che sfumature assume oggi il verbo “sperimentare”?

Sperimentare è l’unica forma di comunicazione e di linguaggio che conosciamo. La sperimentazione ci dà la possibilità di continuare a sperare perché nella ricerca si ha comunque la speranza di trovare qualcosa. Quindi, da sempre siamo stati ricercatori e sperimentatori di nuove tecnologie, dallo studio, alla scrittura, all’utilizzo della lingua italiana, per arrivare fino al live. Oggi, per primi, suoniamo su un palco completamente in movimento, mai utilizzato in Italia. Ogni sua parte si muove insieme a noi, lasciando un po’ tutti a bocca aperta. È uno spettacolo molto ambizioso e che, fortunatamente, siamo riusciti a amalgamare insieme alla musica. Quando si costruiscono delle scenografie così ricche, si corre il rischio di nascondere quella che è la parte fondamentale del concerto, la musica. Invece la peculiarità del nostro tour è proprio la capacità di trasportare la musica in uno scenario imponente.

 

Gli spettacoli, infatti, hanno un potente impatto visivo, oltre che sonoro. Le cinque pedane che si muovono sul palco è come se rappresentassero ognuno di voi. Come è cambiato il ruolo di ogni componente della band nel tempo? Come siete “posizionati” oggi?

Oggi siamo posizionati tutti in linea, come avviene nell’ultima parte del concerto. Nella costruzione di questo spettacolo, abbiamo tenuto conto proprio del fatto che i Subsonica sono una vera band: dei caratteri molto forti e la necessità di ognuno di compiere un proprio gesto creativo. Due cose che ci hanno messo sempre un po’ in difficoltà ma che ci hanno sempre dato linfa vitale, tanto da essere uno dei gruppi più longevi con la stessa formazione in Italia. Nel momento in cui vedi il palco, vedi anche questo racconto. Non un solo palco, ma cinque, ognuno con il proprio carattere, con il proprio movimento, con i propri video, le proprie luci e immagini. E i Subsonica sono questo: cinque elementi che potrebbero vivere musicalmente da soli, ma che suonano insieme al di là delle difficoltà e con il desiderio di mediazione. Abbiamo compreso come imbrigliare e canalizzare le nostre personalità, rendendole complementari in una fonte inesauribile di ispirazione.

 

IMGL4425

 

Sono sempre stata affascinata dal rito della costruzione della setlist. Avete più di un centinaio di brani in repertorio… In che modo li avete scelti per la scaletta?

Diventa sempre più complicato, con otto dischi e con più di un centinaio di canzoni, appunto. Due ore di concerto si sviluppano, più o meno, su una ventina di brani… Quindi sì, è difficile! Poi tra il pubblico c’è chi si affeziona più a un pezzo rispetto a un altro, oltre a quelli esaltati da tutti. Noi, avendo fatto anche i dj e arrivando dal periodo storico in cui i dj erano le rockstar, ci approcciamo alle scalette con questo meccanismo. Un meccanismo legato alla danza e al movimento fisico. Si parte con un’onda inziale, poi una breve pausa, poi una ripresa, poi un’altra piccola pausa e il finale in crescendo. Al concerto dei Subsonica non vai solo ad ascoltare musica o a cantare delle canzoni, vai anche a ballare e vivere fisicamente il live. Ed è proprio il nostro pubblico a richiedere questo.

 

Ospite e compagno di viaggio in tournée è Willie Peyote, con cui avete collaborato per la realizzazione del singolo L’incubo. Come nasce questo featuring?

Le nostre collaborazioni nascono da un incontro umano, prima che musicale. Tra di esse, è rarissimo trovare un contatto dettato da ragioni puramente di marketing o di interesse. Prima abbiamo la necessità di conoscerci e di apprezzarci l’uno con l’altro. Per quanto riguarda Willie, abbiamo assistito al suo percorso e alla sua crescita, essendo anche lui di Torino. Ci sono molti punti in comune, che derivano anche dal fatto che si è un po’ formato con la nostra musica. Ci siamo resi conto che oggi, con Willie, sembrava di rivedere i Subsonica degli inizi. Non tanto per il tipo di musica o per le cose che dice, ma per il tipo di affezione che il pubblico crea attorno a lui. Quell’affezione di riconoscimento non relativo alla gratitudine ma a una questione di identificazione, in lui e nella sua musica. Stesso meccanismo che avevamo vissuto noi, sulla nostra pelle, negli anni Novanta. È nata da lì la curiosità. Ci siamo incontrati, gli abbiamo fatto sentire una canzone che avevo scritto e avevo lasciato fuori dal mio album solista – tra l’altro questa è una notizia inedita (ride) – e lui l’ha riadattata, piacendogli molto, secondo il suo stile musicale. Ha modellato la sua parte e il tutto è stato riarrangiato in stile Subsonica. È venuto spontaneo, finito il suo tour, chiedergli di venire con noi. Nello spettacolo è stato creato uno spazio per lui, dove facciamo L’incubo, a cui segue I cani, un suo brano suonato da noi, e Radioestensioni, una canzone del nostro primo disco. Gli abbiamo chiesto di riscriverne una parte e Willie ha accettato con grande emozione perché quell’album è stato una delle sue più grandi ispirazioni. Tutto quadra, insomma!

 

IMG 0113

 

Il vostro tour è partito con l’European reeBot 2018, toccando nove città europee per poi approdare in Italia con l’8 Tour. Qual è un aspetto dei concerti all’estero che vi manca quando suonate in Italia e qual è un aspetto dell’Italia che vi manca quando siete all’estero.

All’estero suoniamo in spazi più ridotti, nei club. E i club sono i luoghi in cui noi siamo nati, abbiamo ascoltato la musica e abbiamo costruito la musica che volevamo fare. È il posto in cui vai solamente con gli strumenti e con la tua musica. L’essere innamorati dei club rimarrà sempre nel DNA dei Subsonica. In Italia, invece, riempiamo spazi più ampi con la necessità di costruire un vero e proprio spettacolo. È un altro tipo di attitudine, molto bella anche questa e in cui ci stiamo divertendo, portando in giro uno spettacolo così entusiasmante. È come se diventasse tutto più teatrale, ecco. Ovviamente, in Italia, è tutto più emozionante, per il calore del pubblico… un pubblico esperto, che conosce la musica, che ama la tua musica e che rivolta sul palco una quantità esorbitante di energia. Ecco, siamo fortunati ad avere molti fans che vivono all’estero e che ci permettono di suonare in Europa, facendo esperienza della sua diversità e bellezza. E siamo fortunati a poter tornare in Italia e realizzare uno spettacolo come quello dell’8 Tour.

 

IMG 0174

 

Per concludere, prendo in prestito una delle canzoni a cui sono più affezionata. In un contesto come quello attuale, che cosa sogna Aurora?

Più si va avanti e più è difficile sognare… Aurora sogna l’abbiamo scritta quando i nostri sogni stavano prendendo forma. Vedevamo che, in qualche modo, ce la stavamo facendo. Il personaggio di Aurora era una figura alla ricerca di una realizzazione, che non si riconosceva nella società e che si sentiva diversa. Sentiva di più e doveva raccontare qualcosa di più. Oggi, la situazione è invariata. Perché quando vivi la tua vita, percependo che il mondo attorno non ti rappresenta e avendo la necessità di costruire un tuo alfabeto, sei un’Aurora.  E Aurora oggi racconterebbe qualcosa di diverso, sicuramente… Ma la matrice e il meccanismo che fa diventare una persona qualunque un’Aurora è il non aderire a quello che si ha intorno e pensare che, forse, c’è qualcosa in più da scoprire.

 

Testo di Laura Faccenda

Foto di Luca Ortolani

Foto di copertina di Chiara Mirelli

 

Soviet Soviet

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Non era la prima volta che seguivo i Soviet Soviet in tour; lo avevo fatto già a primavera scorsa in centro-nord Europa (Svizzera, Germania, Austria..).

Ora toccava all’est! Quattro fulminee date, senza day-off e giri turistici, un dai e vai veloce e poi tutti a casa.

Io sarò il loro fotografo ed il loro driver.

Prima tappa Bratislava, Slovacchia. Il furgone è carico e la prima parte del viaggio è sempre la più lunga.

Andrea, Alessandro e Matteo mi raccolgono a Rimini Nord, tappa a Bologna per far salire il fonico di fiducia Andrea (Cosmo, ndr.) e poi dritti verso la prima tappa.

Arriviamo a Bratislava a metà pomeriggio dopo oltre 8 ore di strada, la luce sta scendendo, il morale è alto.

Il locale in cui suoneranno è il Kulturak, un club underground più simile a un vecchio night; nascosto, sudicio, sottoterra ma assolutamente affascinante.

Sound check, qualche birra e parte la serata con il live della band di supporto.

Sono le 20:30, scordiamoci gli orari italiani: si inizia presto, si finisce presto! I live dei Soviet sono sempre carichi di energia ed il pubblico, che presenzia numeroso, risponde equamente evolvendosi quasi a creatura mistica in simbiosi con la band.

Andrea, voce e basso, si scalda subito dopo i primi pezzi e inizia a vorticare su se stesso pestando le corde peggio di un fabbro slovacco.

Le chitarre dilatate e precise di Matteo riempono di melodia la pressante parte ritmica di Alessandro che va avanti come una mietitrebbia. Il pubblico canta, balla e si gode un’ora e dieci di concerto senza mai fermarsi.

Gli slovacchi già conoscono i Soviet e stasera hanno avuto la conferma della loro carica esplosiva.

Qualche birra e a letto presto, domani si riparte, Praga ci attende!

Il giorno dopo arriviamo a Praga in circa tre ore di viaggio, si arriva al locale in una zona aldilà del fiume, uno scenario quasi post-bellico e di periferia, anche qui sottoterra, qualcosa di simile ad un girone dantesco, mattoni a vista e luci rosse.

Non è la prima volta dei Soviet a Praga, e lo si vede subito dall’incitamento febbricitante del pubblico che alla prima nota del basso di Andrea si lascia andare in danze ancestrali e di sinistra natura!

Il palco suda, la band impazzisce e il giro di basso del leader non dà scampo alle gambe dei presenti che non riescono a stare fermi sulle note di Pantomime o di Endless Beauty.

A fine concerto i fan si fermano a parlare con la band, è già ora di tornare in albergo per riposare e partire per la prossima tappa: Budapest.

Dopo un viaggio di cinque ore circa arriviamo nella capitale ungherese.

La venue è un festival (Vanishing Point) all’interno di un enorme complesso (Durer Kert), districato di sale, corridoi e giardini. Un posto incredibile.

L’accoglienza è ottima, ci sanno fare gli ungheresi! I Soviet saranno tra gli headliner della serata e dopo intervista e foto per un blog locale è ora di iniziare.

Il pubblico è davvero numeroso e nel backstage la tensione si affoga tra risate, sigarette e birre.

Salgono sul palco e come sempre la miccia si riaccende, i pezzi scorrono veloci e l’energia è assolutamente palpabile; Fairy Tale, Surf a Palm, Ecstasy

Il pubblico si dimena ed Andrea non è da meno, tanto da ribaltarsi letteralmente sul palco. Si finisce con distorsioni e noise psichedelici, quasi a salutare in catarsi gli avventori del Durer Kert.

Una bomba!

Si smonta e si torna in albergo. L’ultima tappa è Zagabria, ma me la perdo: alla frontiera croata mi chiedono, oltre alla patente, la carta d’identità che da buon fesso avevo lasciato in Italia.

No pasaran! La band andrà comunque a suonare e il giorno dopo li incontro a Lubiana. E poi si torna a casa.

Alla fine di questa avventura siamo tutti stanchi ma sicuramente più che soddisfatti.

I Soviet Soviet si confermano una ottima band live, con una energia incredibile, fin troppo intrappolata nel solo spazio digitale di un disco.

La risposta del pubblico estero è davvero incredibile ed intensa. I nostri italianissimi Soviet Soviet sono seguitissimi in terra straniera e non hanno nulla da invidiare a band più affermate.

Il loro sound dal vivo è potente, graffiante ed è davvero difficile stare del tutto fermi.

Il consiglio spassionato è quindi quello di vederli in concerto, perché non ve ne pentirete.

 

Foto e Testo: Siddharta Mancini

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 B R A T I S L A V A

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9422,9417,9418,9419,9420,9421,9423″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

P R A G A

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9424,9425,9426,9427,9435,9428,9429,9430,9431,9432,9433,9434,9436,9437″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

B U D A P E S T

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1503314301745{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 11px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”9438,9439,9440,9441,9442,9443,9444,9445,9446,9447,9448,9449,9450,9451,9452,9453,9454,9455,9456,9457,9458,9459,9460″][/vc_column][/vc_row]

The Smashing Pumpkins

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

 • The Smashing Pumpkins •

 Unipol Arena – Bologna // 18 Ottobre 2018

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Ieri sera Gli SMASHING PUMPKINS hanno concluso il loro tour all’Unipol Arena di Bologna con 3 ore e 15 minuti di concerto.

Una scaletta che sarebbe stata riconoscibile anche da quelli un po’ meno fan di quello che sono io, che non potevo credere di essere realmente nello stesso posto di Billy Corgan.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_placement=”middle” css=”.vc_custom_1539949299019{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8930″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Gli Smashing Pumpkins hanno subito scaldato il pubblico con Disarm, una canzone che è quasi evocativa per i tempi in cui viviamo anche ora e lui ci spedisce subito un sorriso.
Non ho potuto fare in modo di non vedere una sorta di parallelismo in questa scelta come brano d’apertura.
Attorno a me il clima che si respira è proprio quello che mi sarei aspettata da un concerto di un gruppo come gli Smashing Pumpkins, che per lungo tempo hanno calcato le scene e hanno riunito sotto un genere particolare con una voce altrettanto originale, un pubblico sempre più eterogeneo.
Giovani, molto giovani, meno giovani (come noi) e pubblico di mezza età che cantavano e saltavano. Bellissimo.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8929″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Billy corgan ha una voce che pare è rimasta tale e quale, delle chitarre e una batteria che non sembrano nemmeno suonati dal vivo.
Una scaletta che ancora adesso mi fa commuovere al solo pensiero, perché se già non avevo ricevuto una botta di emozioni tutte assieme con Disarm all’inizio, Billy ha pensato bene di incasellare una dopo l’altra canzoni come Tonight , Tonight, Today, la splendida e mia preferita 1979 e Ava Adore, tra gli altri.
Tre ore e un quarto quindi.
Un tempo davvero unico, trascorso con tutti i membri di VEZ Magazine.
Eravamo cinque realmente presenti, ma la nostra chat “aziendale” è stata ricca scatti e note audio. Per stare comunque tutti assieme.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8928″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

SETLIST:

Disarm

Rocket

Siva

Rhinoceros

Space Oddity
(David Bowie cover)

Drown

Zero

The Everlasting Gaze

Stand Inside Your Love

Thirty-Three

Eye

Soma

Blew Away

For Martha

To Sheila

Mayonaise

Porcelina of the Vast Oceans

Landslide
(Fleetwood Mac cover)

Tonight, Tonight

Stairway to Heaven
(Led Zeppelin cover)

Cherub Rock

1979

Ava Adore

Try, Try, Try

The Beginning Is the End Is the Beginning

Hummer

Today

Bullet With Butterfly Wings

Muzzle

Encore:
Silvery Sometimes (Ghosts)

Baby Mine
(Betty Noyes cover)

Foto per gentile concessione di Luigi Rizzo

Testo: Sara Alice Ceccarelli[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Mercury Rev

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Mercury Rev @ Teatro Moderno – Savignano Sul Rubicone // September 13, 2018

+ Herself

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Dopo avere inaugurato a Milano le quattro date italiane, gli americani Mercury Rev arrivano a Savignano per festeggiare i vent’anni di Deserter’s Songs , a detta di tutti il loro album capolavoro.
Deserter’s Songs è il quarto disco dei Mercury Rev, uscito nel 1998 a sette anni da Yerself Is Steam , il loro disco d’esordio.
Successivamente pubblicheranno tra alti e bassi altri quattro album, varie raccolte ed una colonna sonora, ma Deserter’s Songs rimarrà il picco della loro carriera.
Questo capolavoro “dream pop” è arte. L’inconfondibile voce di Jonathan Donahue, canzone dopo canzone ci guida nel suo mondo, fatto di pura magia.
Un concerto intimo con un meraviglioso Teatro a fare da cornice ad una folla incantata da melodie quasi fiabesche. Canzoni fuori dal tempo, come in un racconto medievale denso di suoni e strumenti.
Erano i primi anni 2000 quando un amico mi fece ascoltare questo disco, chiusi gli occhi, perdendomi in quelle melodie, in quella bellissima Opus 40 , forse la mia preferita.
E questa sera è stato come riaprire gli occhi dopo vent’anni.

Tears in waves minds on fire / nights alone by your side

ed è subito pelle d’oca.

Ringrazio come sempre DNA Concerti ed i ragazzi di Retro Pop Live per l’accoglienza.

Foto e Testo: Luca Ortolani

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8616″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8626″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8630″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8619″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8623″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8628″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8627″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8615″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8621″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8624″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8618″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8617″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8620″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8625″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8629″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Opening:

Herself (Gioele Valenti)

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8612″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8611″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8613″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8608″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8610″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8609″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Setlist:

The Funny Bird

Tonite It Shows

Peaceful Night

I Collect Coins

Hudson Line

Here

Endlessly

Delta Sun

Sea Of Teeth

Goddess

Holes

Opus 40

Dark Is Rising

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Cosmo

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Cosmo @ Festareggio // August 30, 2018

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Cosmo.

Cosa dire? Che bomba!

10 anni fa pubblicava il suo primo disco ufficiale coi Drink To Me e ora lo ritroviamo tra gli artisti emergenti più affermati del panorama italiano.

Se Dr. Jekyll e Mr. Hyde sono diventati l’emblema della doppia personalità in campo letterario forse Cosmo potrebbe esserlo in campo musicale. Una doppia anima è la caratteristica del suo nuovo disco Cosmotronic. Il mondo pop si incontra con il clubbing in un dualismo che riesce ad esaltarne le singole parti.

Due facce di una stessa medaglia, due personaggi che esistono uno in funzione dell’altro, due viaggi in parallelo ben distanti ma anche così dannatamente legati. Un giovane artista per cui la sperimentazione è vita.

Nulla è dato per scontato e nulla è lasciato al caso. Tutto è studiato nei minimi dettagli ma la sorpresa è sempre dietro l’angolo, tanto da domandarsi “cosa combinerà in questo live?”.

La libertà è probabilmente uno dei suoi più grandi cavalli di battaglia e ciò che gli permette di potersi realizzare appieno come artista. Dalle parole, ai mix alle grafiche tutto passa quasi interamente da lui. Un artista a tutto tondo a cui piace lavorare in casa, offrendo un prodotto che non si può negare essere a km 0.

Se in questa nuova avventura ha voluto curare molto la parte strumentale non ha però abbandonato il lato pop estremamente comunicativo ed è l’empatia rimane la sua più grande forza.

L’abbiamo visto chiaramente al concerto del 30/08 a Reggio Emilia.

Determinato più che mai a coinvolgere i presenti, Cosmo ha invitato a nascondere i cellulari e godersi a 360 gradi lo spettacolo. Così finalmente la potenza della musica ha riconquistato il suo posto in vetta, troppo spesso rubato dagli schermi.

Il pubblico ha allora potuto ballare e cantare come non mai al ritmo di una nuova era nella musica italiana.

Mille grazie a DNA Concerti e a FestaReggio per la bellissima serata.

 

 

Foto Mirko Fava

Testo Martina Boselli[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8455″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8448″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8464″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8463″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8457″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8458″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8460″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8459″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8454″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8449″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8452″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8451″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8462″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8456″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8446″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

Nick Murphy fka Chet Faker

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Nick Murphy fka Chet Faker
@ Circolo Magnolia // August 22, 2018

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8303″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8288″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8286″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8290″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8301″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8289″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8284″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8296″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8292″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8291″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8293″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8295″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8285″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/3″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8307″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8305″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_single_image image=”8306″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8294″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Siddharta Mancini

Thanks to Live Nation / Indipendente Concerti

 

 

 

 

 

 

 [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Brujeria

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

Brujeira @ Circolo Magnolia // August 6, 2018

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8186″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8189″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8190″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8196″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8187″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8193″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8192″ image_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8194″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8188″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1517934209414{margin-top: 10px !important;margin-bottom: 10px !important;}”][vc_column width=”1/2″][edgtf_single_image enable_image_shadow=”no” image=”8195″ image_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”8191″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Emanuela Giurano

 

Thanks to Hellfire Booking Agency

 

 

 

 

 [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]