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Tag: vez buzz

VezBuzz: i Sex Pistols e “the great rock’n’roll marketing”

Uno dei buzz più conosciuti della storia della musica è quello che vede protagonisti i Sex Pistols. Era il Giugno del 1977, le strade di Londra venivano addobbate per la grande festa del Giubileo della Regina Elisabetta II e i Sex Pistols pubblicavano il loro dissacrante singolo God Save the Queen.

Non si può però parlare dei Pistols senza tirare fuori il nome di Malcom McLaren, la grande mente che architettava ogni provocazione della band di Johnny Rotten, Sid Vicious e compagni. McLaren riuscirebbe a vendere qualsiasi cosa – anche il classico frigorifero agli eskimesi – grazie alla sua dialettica.

Gli viene naturale, è la cosa più facile del mondo per lui. Questo spiega tante cose, soprattutto come abbia fatto grazie ad un pionieristico lavoro di marketing, a far diventare famosa in tutto il mondo una band che, di fatto, non sapeva suonare.

Passato alla storia come manager del gruppo, questa definizione risulta comunque essere riduttiva per descrivere quello che è stato davvero McLaren: un curioso, spregiudicato, irriverente anticipatore di tendenze ma soprattutto il burattinaio che ha mosso i fili della grande “truffa del rock’n’roll”.

Sì, perché i Sex Pistols, una delle band simbolo del movimento punk, furono in realtà il primo gruppo creato a tavolino con uno scopo ben preciso: promuovere gli abiti creati dall’allora semi-sconosciuta stilista Vivienne Westwood, fidanzata di McLaren, venduti nel negozio “Sex”, da cui appunto presero il nome i Sex Pistols. Una enorme operazione di marketing, una delle più grosse del mondo della Musica.

Quello che riuscì a fare McLaren insieme ai suoi Pistols in quella serata di Giugno ha dell’incredibile.

God Save the Queen era uscita il 27 Maggio di quell’anno e in pochi giorni era diventata il pezzo che nessuna radio voleva passare, che le televisioni si affrettavano a censurare e che, fin dai primi versi, scandalizzava i ben pensanti. Addirittura alcuni negozi di dischi si rifiutavano di mettere in vendita il singolo, a causa del contenuto ritenuto oltraggioso.

In God Save the Queen, i Pistols si facevano beffe della sacra monarchia inglese paragonandola al regime fascista, anche se Johnny Rotten, cantante della band, dichiarò diversi anni dopo che “non si scrive una canzone come God Save the Queen perché si odiano gli inglesi. Si scrive una canzone come quella perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati.”

Il pezzo originariamente doveva chiamarsi No Future, come ripetuto ossessivamente nel ritornello diventato poi un emblema del punk, ma McLaren decise di cambiarlo in God Save the Queen, proprio per la coincidenza della sua uscita con il Giubileo d’argento della regina.

God Save the Queen è l’inno del punk inglese, che in quel “no future, no future, no future for you” racchiude tutto il senso del movimento, che non è più solo una corrente musicale, ma una vera e propria sottocultura giovanile.

Il punk era arrivato a dare una vigorosissima spallata al mondo della musica rock e ad urlare parolacce nelle orecchie dell’imbolsita borghesia inglese, disinteressata ai problemi sociali ma sempre premurosa verso la propria Regina. Era la rivolta, l’elettricità, una musica che non voleva essere condizionata da niente ad eccezione di se stessa.

Nessun futuro, nessuna speranza per il sogno inglese, nessun desiderio: la generazione dei ragazzi della seconda metà degli anni Settanta nel Regno Unito poteva anche piantare i chiodi nella bara delle proprie illusioni e i Sex Pistols erano lì per ricordarglielo: il mondo non cambia, le cose non cambiano, tutto rimane uguale, quello che puoi fare è arrabbiarti e gridare.

Il punk era l’aperta e dichiarata contestazione di ogni regola e nessuno più dei Pistols riusciva a incarnare questo atteggiamento. La band nel giro di poche settimane collezionò contratti con case discografiche, firmati e stracciati alla velocità della luce, uno dopo l’altro.

McLaren però non è il tipo che si accontenta, serviva una delle sue inverosimili trovate per tenere sempre alto l’interesse generale sui Pistols. Probabilmente avrebbe desiderato che la sua band eseguisse God Save the Queen di fronte alla faccia impassibile di Sua Maestà, ma non potendolo fare si inventò qualcosa di diverso, ma altrettanto esplosivo.

Per promuovere il singolo venne organizzata un’operazione di marketing magistrale: il 9 Giugno 1977 McLaren noleggiò una barca, che ribattezzò “Queen Elizabeth River Boat”, ci fece salire sopra i Sex Pistols e la fece navigare sul Tamigi, fino ad arrivare di fronte al Palazzo di Westminster. Qui iniziarono a suonare, facendo inevitabilmente scalpore tra i presenti.

L’attitudine di un gruppo scalcinato e violento, come i Pistols, unita alla mente da agitatore di Malcom McLaren fecero il resto. Immaginate la scena: una chiatta scivola sul Tamigi, sopra i Pistols suonano – male – e urlano oscenità mentre a riva si festeggia il Giubileo. Lo sguardo allucinato di Lydon, le magliette strappate, il corteo di freak brutti, sporchi e cattivi di cui i Pistols si circondano.

La band è guardata a vista dalla polizia inglese, che ad un certo punto li accosta e sale a bordo. La festa in barca si interrompe tra gli insulti alla regina. Nel frattempo una rissa coinvolge Jah Wobble – amico dei Pistols e poi bassista nei PIL di Lydon – e un cameraman, così la barca viene fatta attraccare e undici persone vengono arrestate.

Il resto è storia: il giorno dopo i giornali riportano a caratteri cubitali l’evento scandalistico dei nuovi selvaggi del rock e God Save the Queen sale al secondo posto delle classifiche inglesi.

La leggenda vuole che in realtà fosse addirittura al primo, mai dichiarato perché l’industria radiofonica inglese cospirò contro il brano, censurandolo come poteva.

Nei giorni successivi il singolo venne poi bandito dalla radio della BBC e l’Independent Broadcasting Authority, un’associazione che controlla e regola le trasmissioni nel Regno Unito, vietò la messa in onda di qualsiasi sua esecuzione. Questo naturalmente non fece che alimentarne il mito, arrivato fino ai giorni nostri.

 

Daniela Fabbri

 

https://youtube.com/watch?v=tHrUleT8HTs

 

VezBuzz: quella volta che i Radiohead sono spariti completamente (dal Web)

Un po’ per curiosità, un po’ per deformazione professionale, sono sempre stata attratta dalle tecniche di comunicazione adottate da artisti e band per promuovere i propri lavori. Forse qualcuno avrà già sentito parlare del “buzz”. Questa parola onomatopeica richiama il ronzio fatto dalle api.

Il buzz infatti viene utilizzato per generare sorpresa e curiosità, e di conseguenza brusio, o parlando di marketing sarebbe meglio dire “passaparola”. E non c’è bisogno che lo dica io, quanto il passaparola sia importante, soprattutto nell’era dei social.

Anche nella musica, sono tanti gli artisti che hanno adottato e messo in piedi strategie di comunicazione insolite, il buzz appunto, per lanciare i propri dischi o per creare interesse intorno a sé, in maniera spontanea. In questa rubrica, VezBuzz, parlerò dei casi più originali.

Il primo che mi interessa raccontare, anche per amore verso il gruppo, è quello dei Radiohead in occasione dell’uscita di A Moon Shaped Pool. Correva l’anno 2016 e a casa di alcuni fan della band che avevano fatto acquisti sul sito ufficiale, arrivò uno strano volantino. Oltre al logo dei Radiohead una frase: “Sing a song of sixpence / that goes ‘Burn the witch” e un minaccioso “We know where you live”.

Sing a song of sixpence è il titolo di una filastrocca per bambini, mentre Burn the Witch fa pensare alla caccia alle streghe. Tra la fine di Aprile e l’inizio di Maggio infatti, periodo in cui vennero consegnati i volantini, si festeggia la Notte di Valpurga.

In alcuni paesi del nord Europa questo rito pagano indica la fine dell’Inverno e per lungo tempo fu associato proprio alle streghe, per via dei riti, i baccanali e i falò che avevano luogo durante quella lunga notte. Non so voi, ma io ho i brividi.

A questo, seguì un altro fatto davvero, davvero insolito. I Radiohead, da un giorno all’altro, cancellarono completamente le loro tracce dalla rete. Il sito, i profili Facebook, Instagram e Twitter della band vennero completamente svuotati, così come scomparvero i tweet di Thom Yorke dal suo profilo personale.

Questo naturalmente portò i fan, ma non solo, a parlare, a fare congetture, a chiedersi come mai. Proprio loro, che in Kid A ci avevano spiegato “How to disappear completely” l’avevano fatto veramente.

Il 2 Maggio successe qualcosa di nuovo. Su Instagram apparve un piccolo video con un uccellino in stop-motion, che cinguettava con entusiasmo. Più tardi, sempre su Instagram, la band pubblicava un altro video criptico di un gruppo di persone mascherate che ballavano intorno ad una donna legata.

Finalmente il 3 Maggio 2016 arrivò il video di Burn the Witch, il primo singolo dopo cinque anni, con chiari richiami al film horror The Wickerman e ad uno spettacolo televisivo per ragazzi degli anni Sessanta, la serie Camberwick Green.

Il pezzo ha una potenza abbagliante e frenetica, con loop di percussioni elettroniche e il falsetto di Yorke immerso in un oceano di riverbero. Il resto è storia.

A Moon Shaped Pool non sarà ricordato come l’album più sperimentale dei Radiohead, ma di certo è stato un grande ritorno dopo The King of Limbs, non particolarmente amato da alcuni fan, forse tra i lavori più difficili della loro carriera.

I Radiohead hanno sempre fatto parlare di loro per la volontà di staccarsi dalle logiche promozionali della discografia. Il concetto di sparizione però, o sarebbe meglio dire di annullamento, non è qualcosa di nuovo, ma è l’essenza stessa della loro poetica.

Con la campagna di comunicazione e di attesa per A Moon Shaped Pool hanno eliminato e ucciso, metaforicamente, la loro precedente incarnazione e si sono trasformati in una versione attualizzata di loro stessi. La loro versione aggiornata al 2016.

Dai punti di domanda per la strategia, fino ad arrivare agli immancabili “rivoluzionari” e “avantissimo” pronunciati ogni volta che si parla della band dell’Oxfordshire, passando per le millemila analisi e disanime di quanto stava accadendo c’è una sola cosa che conta: che A Moon Shaped Pool sia uscito e che l’obiettivo sia stato raggiunto.

Certo, la grandezza della band e gli album epocali che hanno realizzato negli anni hanno avuto un ruolo importante nella sua anticipazione, ma con numerose band che hanno lo stesso livello di irriducibile supporto dei Radiohead, perché A Moon Shaped Pool ha attirato così tanto l’attenzione?

Per come la vedo io, la campagna di attesa che è stata messa in piedi per il web ha giocato un ruolo importante. Annunciando l’ora del lancio alle 19:00 di domenica 8 Maggio, due giorni prima del rilascio, la band aveva predisposto uno scenario che assicurava alla gente di aspettare con impazienza davanti ai propri computer, in attesa di fare clic sul download.

L’ascolto del disco è stato la cosa più simile ad un evento a cui si sia assistito da anni. Commenti sui social e la BBC Radio 6 che ha organizzato una sorta di festa con ascolto dal vivo e speaker che commentavano le tracce.

A Moon Shaped Pool è stato un’esperienza personale, ma vissuta con la consapevolezza che migliaia di altre persone stavano facendo la stessa cosa, nello stesso identico istante.

 

Daniela Fabbri