Tre Domande a: Thomas Umbaca
Se dovessi riassumere la tua musica con tre parole, quali sceglieresti e perché?
La prima è casa. È uno spazio che cerca di accogliere. Non in tutte le case c’è equilibrio. Ma restando idealisti quello che faccio vuole essere il contesto dentro cui trovare una certa familiarità, poi quello che si percepisce cambia, ed è giusto così. Casa può essere tante cose, ma si suppone sia uno spazio dove non dover dimostrare niente, dove poter stare, nel proprio essere, nel proprio suono, nel suono di tutti.
La seconda è pianta. Vedo la mia musica un po’ come una pianta, ma come qualsiasi altro organismo in realtà, nel senso che non smette di crescere, è in evoluzione continua, anche quando il pezzo è “chiuso”, perché ogni volta che lo suono per qualcuno rivive. E il contesto in cui rivive è proprio l’acqua con cui ha bisogno di essere annaffiata per non deperire.
La terza è polpette. Le polpette di mio padre sono buone, e oltre a essere buone sono tonde, e c’è da dire che ci piacciono anche perché sono tonde, ci immaginiamo già il sapore guardando quella forma compatta e sferica, esistono già nell’immaginario. Però poi ogni polpetta ha i suoi ingredienti e i suoi sapori, perché ognuno le fa diversamente. Cioè, oltre alla forma c’è il resto, un mondo, e delle volte pensiamo di aver già capito tutto, quando bisogna assaporare un po’ più a fondo, c’è sempre tanto e di più da scoprire. Come l’idea di polpetta è diversa dalla polpetta, l’idea di musica è diversa dalla musica. In un mondo in cui il primo aspetto ci rivela già tutto, la mia musica rema verso un ascolto vero.
Se dovessi scegliere una sola delle tue canzoni per presentarti a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?
È difficile scegliere perché è come se ogni pezzo fosse una parte di te, che alla fine ti compone per quello che sei. Però proprio per questo motivo forse sceglierei I’m in a Carousel, perché contiene dentro molte cose, sfumature mie e del sentire umano. Penso che ci sia dentro anche molto di quello che mi piace a livello sonoro e musicale, c’è la libertà ma c’è anche ritmo, c’è melodia ma che si tiene stretta a un’armonia. C’è anche tutto il pianoforte, il suo registro grave (le note basse) della tastiera che io associo un po’ agli abissi, a una caverna scura, e ci sono spiragli di luce fatti di note lì in alto, che sradicate da terra fluttuano più scivolose… poi c’è tutto quello che sta nel mezzo della tastiera, che è tante cose, qualcosa di più familiare, che si avvicina di più alle nostre frequenze, quelle per esempio della nostra voce quando parliamo… Mi piace questo brano perché ti fa perdere, e secondo me perdersi nella musica è un’esperienza che vale sempre la pena.
Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
Tutto quello che si potrebbe racchiudere nella parola scambio. Dare e prendere allo stesso tempo, nella stessa misura (nei migliori dei casi). Conoscere posti nuovi, persone nuove, che si mostrano già disponibili e aperte perché scelgono di partecipare al concerto. E il concerto è il contesto più magico che possa esistere, è una realtà ideale, è realtà perché comunque è un momento vero, non un’invenzione, ma è anche tutto quello che spesso non siamo al di fuori, ma che potremmo essere. Per cui mi piace questo, svegliarmi il giorno dopo con quella sensazione di aver aggiunto qualcosa, nel bene o nel male, al mio esistere, e di aver comunque contribuito a spostare qualcosa nello spazio, energia e suono tra altri corpi. Motivo per cui amo il vento!
Foto di copertina: Jasmina Martiradonna