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Tre Domande a: Biava

Tre Domande a: Biava

| Redazione

Come e quando è nato questo progetto? 

È il 2020 quando, cullato dalla nostalgia di un amore a distanza (lei a Roma, io ad Alicante), pubblico primo brano. La musica, però, era la mia bussola esistenziale già da tanto: la chitarra è diventata la mia compagna di vita già da ragazzino. Covo il mio progetto nella cenere per anni senza espormi troppo, come un sogno soffocato dalla paura del fallimento. Il 2023, però, è l’anno della svolta. Dopo tanti incontri, esperienze, delusioni (truffe, difficoltà economiche) hanno dipinto un quadro grigio, quasi scoraggiante. Poi, una sera di dicembre al Tempio di Milano, cambia qualcosa. Atmosfera mistica, sto con amici e la mia ex ragazza quando ho un’epifania. Capisco che la mia vita a metà tra la passione e la quotidianità mi logora. Le scelte fatte per paura di fallire facevano altro che allontanarmi da chi volevo essere. Ho 25 anni, forse tardi per alcuni, ma non abbastanza per me, quando prendo in mano la mia vita e decido che è ora di fare sul serio. Inizio a gettarmi a capofitto in quel mare incasinato che è l’industria musicale, con la consapevolezza che la mia indole non deve più essere cancellata. Gennaio 2023: esce L’Isola dei Giocattoli Difettosi, un inno dedicato a tutti quelli che si sentono inadeguati, a chi cerca disperatamente il proprio posto nel mondo e a chi sta cercando di guarire da ferite rimaste aperte. La mia storia è appena iniziata, ma so già che sarà un viaggio incredibile. Mi do forza ripetendomi che non è mai troppo tardi per essere felici. Per me questa roba è allo stesso terapia e la mia più grande ossessione.

Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta? 

Voglio costruire decostruendo. Vorrei contribuire nel vincere l’apatia e la paura del futuro, il machismo, l’ossessione per la performance, la fretta dei risultati l’intolleranza verso chi è diverso portando un minimo di rivalsa, auto accettazione, libertà. Sono solo una persona come tante, con le mie cicatrici e le mie imperfezioni. Ho vissuto il dolore, la perdita, la solitudine e la paura. Ma ho anche conosciuto l’amore, la gioia, la speranza e la forza. Le mie canzoni sono il riflesso della mia esperienza, il mio modo di creare una bussola che dia un senso alla geografia del mio mondo. Non sono qui per dire a chi mia ascolterà cosa fare o come pensare. Sono qui per condividere la mia storia, per farti compagnia nel tuo viaggio. Se ti ritrovi nelle mie parole, se le mie canzoni ti toccano, ti prendono bene o ti fanno piangere, allora sono felice. Forse, in mezzo a qualche verso, potresti trovare un pezzo di te stesso. Ma se non è così, va bene lo stesso. 

C’è un evento, un festival – italiano o internazionale – in particolare a cui ti piacerebbe partecipare? 

Mi sarebbe piaciuto tanto, tantissimo, suonare o anche solo partecipare da spettatore al Warped Tour. Dal 1994 al 2019, in America, quel tour ha visto esibirsi sui suoi palchi tutti i miei gruppi preferiti della scena pop punk e alternative-emo. Green Day, Blink-182, Sum 41, My Chemical Romance, Yellowcard, Taking Back Sunday, The Used: solo per citarne alcuni. Nomi che hanno segnato la mia adolescenza. E poi scoprire nuove band, talenti emergenti che portavano avanti la tradizione del genere con grinta e passione. Il Warped Tour era un evento unico, un’esperienza irripetibile che univa musica, sport estremi e attivismo sociale. Un vero e proprio melting pot di culture e controculture alternative. Purtroppo il tour è stato cancellato nel 2019. Ma il Warped Tour continua a rappresentare un simbolo musicale e generazionale per me e per tanti altri ragazzi come me. Certo, c’è chi lo criticava, definendolo un evento “troppo pop” o “troppo commerciale”. Ma per me e per tanti altri, quelle critiche erano solo frutto di intolleranza e di un’incapacità di comprendere la vera essenza del Warped Tour. E poi non sopporto i puristi che pretendono di insegnarti cosa è ‘vera arte’ e cosa no.