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Knotfest Italy 2023

Knotfest Italy 2023

| Valentina Ricci

Bologna, 25 Giugno 2023

Sono le 10:30 di una domenica di giugno infuocata, soprattutto per la folla in coda ai cancelli dell’Arena Parco Nord di Bologna, pronta ad assicurarsi i posti in prima fila della prima edizione del Knotfest Italy. Purtroppo, con l’apertura delle porte ritardata di un’ora, non ho potuto assistere all’unica band italiana in apertura, i Destrage.

Direttamente da Glasgow, i Bleed from Within salgono sul palco più carichi che mai. La band melodic death metal/deathcore ci dimostra fin da subito una grande precisione nell’esecuzione dei pezzi. Oltre ai potenti riff, assoli, sinfonie orchestrali e bassi che fanno tremare il palco, ciò che mi ha sorpreso di più è la loro capacità di non perdere mai colpi dall’inizio alla fine della performance, senza tralasciare il coinvolgimento del pubblico, che già iniziava ad aprire un mosh pit bello aggressivo. Dopo una delle loro tracce più note, The End of All We Know, la band scozzese lascia il palco sotto numerosi applausi di tutti i presenti.  

Dopo circa mezz’ora, ci siamo lasciati travolgere dall’energia dei texani Nothing More. La band hard rock di Johnny Hawkins dà inizio allo show con SPIRITS, tratto dal loro ultimo album, che lascia intuire la potente adrenalina di cui son fatti questi ragazzi. Tutti si muovono sul palco in modo perfettamente sincronizzato, in un intreccio di riff pesanti, un cantato intenso e drammatico e parti di synth elettronico. Un Hawkings a torso nudo e ricoperto di una vernice rossa/nera, dà il suo meglio alla fine di This Is the Time (Ballast), scatenandosi in una performance pazzesca in cui suona delle percussioni mantenute con le mani dalle persone in prima fila. Ovviamente, nessuno perde l’occasione di alzare il telefonino per riprendere questo momento unico. 

La scaletta del festival ci concede un’altra pausa, prima di far salire sul palco i pionieri del symphonic blackened deathcore: i Lorna Shore. Pronti a presentarci le tracce del loro ultimo album Pain Remains, il cantante Will Ramos ci saluta con poche parole prima di sbatterci in faccia tutta la sua potenza vocale. La performance in generale è stata impressionante, ricca di impetuosi blast-beat, fantastici assoli e breakdown altrettanto devastanti, con l’incredibile versatilità di Ramos a completare questo fantastico show. Il gruppo ci lascia con Pain Remains I, II e III, e non potevamo chiedere un’uscita di scena migliore.

Poco dopo, il palco è pronto ad accogliere gli I Prevail, in Italia per la loro prima volta. Un intro elettronico precede il loro ingresso con Bow Down, che manda il pubblico in delirio. Il resto della setlist si concentra sul nuovo disco TRUE POWER, con cui riusciamo ad apprezzare il loro sound pieno di influenze nu-metal ed elettroniche, senza dimenticare i breakdown distruttivi che fanno scatenare la gente nel pit. Le interazioni con il pubblico non sono state moltissime, ma ho apprezzato l’uso delle cover come intro di alcune canzoni (es. Chop Suey dei System of a Down prima di FWYTYK), facendoci scappare anche qualche lacrimuccia durante Hurricane

Più tardi, cambiamo totalmente contesto: arriva l’ora dei vichinghi con gli svedesi Amon Amarth. Anche se il loro melodic death metal si discosta un po’ dal resto della line up, sono stati una delle band più attese del festival. L’allestimento del palco è in tema nordico: un elmo con le corna su cui poggia la batteria, un mostro marino gigante che spunta fuori durante Twilight of the Thunder God e una bandiera con un’imbarcazione come sfondo. L’esecuzione dei brani è impeccabile e lo show costruito nei minimi dettagli, in cui possiamo vedere un possente Johan Hegg che ci parla in un italiano quasi perfetto e brinda insieme a noi, corno alla mano, dopo uno “Skål” detto a gran voce. Personalmente avrei apprezzato un pizzico di cattiveria in più, ma nel complesso è stato molto intenso.

Smontato l’allestimento, gli amanti del metalcore (e non) si posizionano in attesa degli Architects. Il gruppo britannico, reduce di qualche critica sul recente cambiamento di stile e di nuove sostituzioni nella formazione, si fa subito perdonare dando inizio al concerto con Nihilist, mostrando tutta la cattiveria di cui sono capaci. L’abilità del cantante Sam Carter di alternare voce screamata e pulita è eccezionale come sempre, con una grande presenza scenica che lo contraddistingue dai frontman di altre band del genere. I più nostalgici hanno apprezzato l’inserimento di brani come Doomsday e Royal Beggars, ritrovando lo spirito degli Architects del passato. Il picco viene raggiunto quando Carter chiede a tutto il pubblico di fare stage diving durante Impermanence, che lo prende alla lettera e inizia a lanciarsi in aria fino ad arrivare oltre la transenna. Uno show pieno di energia e coinvolgimento emotivo. 

Finalmente, al calare della sera e dopo un’intera giornata passata a sopravvivere al caldo, è arrivato il momento di ascoltare i creatori stessi del festival. Gli Slipknot fanno il loro ingresso con il botto (nel vero senso della parola) e i 15.000 spettatori presenti impazziscono e urlano senza ritegno. Dopo le prime due canzoni, il cantante Corey Taylor si scusa con il pubblico della propria resa vocale un po’ calante, per un problema alla gola che gli sta creando qualche fastidio, ma la cosa non sembra impedirgli di dare il massimo. La band inserisce nella scaletta due brani dell’ultimo lavoro, The Dying Song (Time to Sing) e Yen, non apprezzati da tutti, ma sicuramente molto ben riusciti. Lo show prosegue per un’ora e mezza di puro delirio, fra i vari tentativi di Corey Taylor di parlare in italiano (con tanto di bestemmia urlata che fa impazzire il pubblico) e l’esecuzione di vecchi brani come The Devil in I, Psychosocial e Wait and Bleed. Durante il bis la band ci propone Duality e Spit It Out, ma per chi come me non li aveva mai visti dal vivo, non aver potuto sentire Before I Forget ha lasciato un pochino di amaro in bocca. Nonostante questo, ci hanno regalato davvero un bellissimo concerto, degno del loro nome.

Setlist Slipknot

(Rec) Death March
(Rec) Prelude 3.0
The Blister Exists
The Dying Song (Time to Sing)
Liberate
Yen
Psychosocial
The Devil in I
The Heretic Anthem
Eyeless
Wait and Bleed
Unsainted
Snuff
Purity
People = Shit
Surfacing

Encore

Duality
Spit It Out
(Rec) ‘Til We Die

Foto di copertina: Knotfest Italy, Aldeghi-Diotallevi