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Porcupine Tree @ Piazzola Live Festival

Porcupine Tree @ Piazzola Live Festival

| Alberto Adustini

Piazzola sul Brenta, 25 Giugno 2023

Dopo sette anni di stop (e se non faccio male i conti c’ero per quell’edizione ad onorare sua maestà Neil Young e quell’inizio da solo al piano a suonare After The Gold Rush) torna ad illuminare quello splendore di piazza Camerini a Piazzola sul Brenta il Piazzola Live Festival.

Un cartellone variopinto, diciamo così, se si pensa che all’interno della stessa rassegna trovano spazio i Placebo e Checco Zalone

Ma non facciamo i sofisti e veniamo al dunque, alla serata d’apertura (e la più – dal sottoscritto – attesa) affidata ai leggendari Porcupine Tree.

La creatura di Steven Wilson, in Italia per una manciata di date (l’altra a Roma), si presenta sfortunatamente in formazione rimaneggiata, orfana qual è del basso di Nate Navarro, rientrato precipitosamente negli Stati Unitiper una “serious family crisis”, come spiegato ad inizio serata dal frontman.

Il rammarico si ferma comunque qui, potendo comunque gioire delle tastiere di Richard Barbieri, della chitarra e della (magnifica) voce di Randy McStine e soprattutto di sua maestà Gavin Harrison, batterista neo sessantenne da ormai più di vent’anni dietro alle pelli nei Porcupine Tree, che alterna a piccole distrazioni come i Pineapple Thief e tali King Crimson.
Difficile dire chi sia il più atteso della serata tra lui e mister Wilson.

Ad ogni modo sono da poco trascorse le 21, c’è ancora una discreta luce ma accolti da un folto (e forzatamente seduto) pubblico ecco i nostri guadagnare il proscenio.

Per ultimo, rigorosamente scalzo, arriva l’occhialuto artista proveniente da Kingston upon Thames, imbracciata la sua chitarra dorata dà il via sulle note dirompenti di Blackest Eyes, opening anche del loro album In Absentia (disco che vide per altro l’esordio proprio di Gavin Harrisoncon i Porcupine Tree), risalente al lontano (sic) 2002.

Nonostante un’alchimia ben evidente sul palco ed un Wilsondecisamente loquace (oltre alla spiegazione per l’assenza di Nate esprime un certo qual “rammarico” per suonare di fronte ad un pubblico seduto, invitando tuttavia a rimanere seduti, o ad alzarsi solo se non si preclude la vista a chi sta dietro…) forse causa anche di un qualche problema in regia luci e dei visual che personalmente perplimevano, la prima parte del live fatica un pò a scaldare i seduti astanti. 

Con le prime note di Open Car però si cambia registro, tutto si alza di livello, i decibel, le luci, Gavin Harrisonche inizia a sciorinare il suo sconfinato repertorio, Wilson col tipico humour inglese che si autocelebra introducendo The Sound Of Muzak “written by a visionary” indicando se stesso, e che con l’andare del tempo cerca sempre con maggior insistenza alla sua destra Randy McStine, mentre Barbierinelle retrovie mantiene questo bolide chiamato Porcupine Tree in strada.

La scaletta è serrata, si passa dal faccione a tutto schermo di Marshall Applewhite durante Last Chance to Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled al capolavoro Anesthetize, “this is a long song” cit., per concludere con Sleep Together, prima degli acclamati bis.

Steven Wilson rientra accompagnato solo dal fido Richard, e i due si esibiscono in una toccante Collapse The Light Into Earth, al termine della quale arriva finalmente il rompete le righe e la gente si ammassa sotto il palco, per la doppietta finale Halo e Trains.

Oltre due ore di grande, grandissima qualità, da parte di una band che ha per davvero la musica al centro del proprio credo. E di questi tempi non è cosa da poco.