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A Place to Bury Strangers @ Curtarock

A Place to Bury Strangers @ Curtarock

| Alberto Adustini

Curtarolo, 28 Luglio 2023

Ma sapete che ci ripensavo proprio stamattina e mi dicevo “Madonna ma da quanto tempo non mi divertivo tanto ad un concerto!”

I miei ultimissimi passaggi sotto o fronte palco erano stati praticamente tutti all’insegna di raffinata bellezza (Damien Rice, Emma Ruth Rundle), di puro svago (Placebo), ma non ricordavo l’ultima volta nella quale mi sono ritrovato a due metri dalle transenne a farmi letteralmente dilaniare i timpani dal delirio sonoro degli A Place To Bury Strangers. E soprattutto trarne incalcolabile godimento.

Gli APTBS, in data unica italiana in un minitour europeo tra luglio e agosto, da un paio d’anni sono in formazione stabile a tre, con la voce e chitarra di Oliver Ackermann e la coppia John (al basso) e Sandra (batteria) Fedowitz, già titolari dei Ceremony East Coast.

Siamo in provincia di Padova, a Curtarolo, un paesino che, per qualche purtroppo raro insieme di aspetti e congiunzioni varie (ma soprattutto grazie a qualche pazzo che si mette in testa di realizzare i propri sogni), ospita il Curtarock, giunto all’edizione numero ventitré. 

Ventitré edizioni. Ventitré, di un festival totalmente gratuito dove lungo le cinque serate viene proposta una serie di artisti che definire “non propriamente spendibili” è dir poco, dato che si passa dal death metal all’afro beat al noise al post rock, dove l’acqua non costa 3 euro, c’è un’area bimbi gratuita e presidiata, un bel mercatino musicale, stand con diverse proposte enogastronomiche, il tutto in un contesto incredibilmente sereno e felice e soprattutto vivibile. 

Ah, in mezzo ad una zona industriale!

Questa è chiaramente una evidente e voluta critica a tutti quei promoter e organizzatori vari che lucrano in maniera vergognosa su ogni aspetto, dai parcheggi all’acqua, dal cibo alle varie attrazioni.

La “situazione” è così piacevole che, mentre passeggio con mia figlia (munita precauzionalmente di cuffie antirumore ovviamente) tra le varie bancherelle incrocio i tre APTBS, ci scambio due parole, foto di rito, Sandrami dice “Have fun tonight!”, le rispondo “It’s on you!”, John mi dà la mano “Yeah it’s on us! You’re right!”, grasse risate, lei mi sorride, vorrei chiederle di sposarmi ma non colgo l’attimo, e mi accorgo che c’è anche Nikki poco distante, quello di Radio Deejay intendo, che di musica, e non lo scopriamo certo oggi, ne capisce a pacchi, e si complimenta per la maglia di mia figlia (un gatto che fa meow…), ed è già tempo di Robox, power trio strumentale dedito ad uno spettacolare math/post/punk/rock insomma sono dei fighi della madonna, il giusto equilibrio tra rumore, distorsioni e tempi dispari, stop/go che tanto piacciono a noi orfani dei Don Caballero, per dirne uno.

Rapido cambio palco e senza grossi preamboli o altro Oliver, John e Sandra prendono posizione e sganciano uno degli attacchi di concerto più clamorosi dei quali io abbia memoria, un muro vero e proprio in piena faccia, la chitarra del frontman, tagliata a metà longitudinalmente, che emette suoni che mai avevo sentito uscire da un amplificatore, i due Fedowitz che martellano sferzate incendiarie, dritte e micidiali, la voce iper effettata ovviamente… è tutto così perfetto, tutto così maledettamente giusto che anche Oliver sente che c’è l’alchimia giusta, ci mette mezza canzone a prendere la malcapitata chitarra e lanciarla in aria, recuperarla a terra, finire una canzone, nemmeno il tempo di rendersi conto di quello a cui stai assistendo che Sandra sta già battendo i quattro per il pezzo successivo.

A metà concerto poi accade che i nostri decidano che il palco non sia poi così adatto per continuare il loro set, per cui scendono in mezzo al pubblico e tamburo, basso e voce e cominciano a creare un momento che passa dal tribale al noise, una sorta di jam che ha poco di sciamanico e molto di industriale, tra urla belluine e ritmiche marziali con tutto il pubblico in cerchio attorno.

Momento clamorosamente bello.

Sospeso in questo stato di trance quasi mi dimentico della creatura che ho sulle spalle, che inizia a reclamare un minimo di stanchezza. 

Tanto era totalizzante ciò a cui stavo assistendo che accolgo l’invito, senza troppi rimpianti, lentamente ci dirigiamo verso la macchina mentre i tre ragazzotti di New York stanno ancora facendo del loro meglio, ora nuovamente sul palco, per permettermi di seguire il concerto anche a chilometri di distanza.

Ok è tempo di chiudere con un finale forse populista (può essere), forse banalotto (senza dubbio), forse opportunistico (direi più opportuno)? 

Lo faccio lo stesso e ve lo beccate così com’è: avete presente le ultime settimane, quelle migliaia di post e articoli e tweet polemici per i disagi (reali e totalmente condivisibili sia chiaro) provati da un sacco di persone che sono state a festival e concerti (dei quali non farò i nomi ma insomma avete capito di chi parliamo) in giro per l’Italia? Quel tipo di polemica che ciclicamente ritorna, sempre uguale a se stessa, sempre riferita a quegli stessi eventi che SEMPRE continuano a fare decine di migliaia di spettatori da sempre? Intendo proprio quelle polemiche che sono perfettamente rappresentabili dal meme della pistola ad acqua verso il sole, o del “Old Man Yells At Cloud”, infatti chi dovrebbe recepirle, come dicono i francesi, pare fottersene bellamente.

Ecco, le alternative esistono, cercatele, sono sane e più numerose di quanto pensiate, hanno ancora lo spettatore al centro, lo spettatore e la musica. 

Che di questi tempi sembra quasi una bestialità. 

E che si fottano anche i _ _ _ _.