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Damien Rice @ Teatro La Fenice

Damien Rice @ Teatro La Fenice

| Alberto Adustini

Venezia, 11 Luglio 2023

Credo ce l’abbiate in mente tutti il dialogo di Pulp Fiction tra Mia Wallace (Uma Thurman) e Vincent Vega (John Travolta), seduti al tavolo poco prima della sfida di ballo, quando lei fa quella domanda sui “silenzi che mettono a disagio”.

Ora, questo nelle intenzioni è un articolo, racconto, chiamatelo come volete, in merito al concerto che Damien Rice ha tenuto ieri sera (11 luglio) al Teatro La Fenice di Venezia, quindi siamo di fronte ad una combo di una potenza incalcolabile: uno dei più grandi cantautori degli ultimi vent’anni in uno dei più bei teatri del mondo.

E nonostante le insopportabili afose temperature di questi giorni tentino di rendere più faticoso e snervante i quaranta minuti di camminata attraversi i campi e le calli della Serenissima, dalla stazione al teatro, ciò che si inscena alle 21:15 è quanto di più vicino io possa pensare alla definizione di incanto.

Una situazione sospesa, dove tempo e spazio tendono ad annullarsi, diventano irrilevanti ai fini dell’esperienza che si sta facendo, dove le variabili in ballo escono dai canonici piani o sistemi per collocarsi ad un livello superiore, dove ciò che conta è ciò che senti, ciò che percepisci, ciò che sei in grado di percepire.

È un live che vive di vuoti, come gli ampi spazi del palco scarnamente riempiti dalla minima strumentazione a supporto dell’esibizione, una postazione centrale, qualche pedale e una manciata di chitarre, alla sinistra una tastiera, alla destra una sedia e il violoncello di Francisca Barreto, tutto attorno a mò di semicerchio pochi fari.

È un live che vive spesso di silenzi, di sottrazione, Damien stesso pare volersi sottrarre agli sguardi adoranti e bramosi di magia del pubblico, è spesso in ombra o illuminato appena da luci laterali o alle spalle, quando non nascosto da una tenue coltre di fumo. 

Il concerto si poggia su di un delicato equilibrio tra Rice e il pubblico, religiosamente in silenzio durante i brani quanto fragoroso al termine degli stessi. Non mancano ovviamente i boati e gli urli di approvazione alle prime note di Older Chest, Delicate, si ride sonoramente negli intermezzi “colloquiali”, specie se l’argomento di discussione sono le prime erezioni giovanili (ok forse questa si poteva omettere…), o se il massimo complimento che riesce a fare della location è un “pretty pretty place”.

Sono forti e sincere le emozioni che si sprigionano in 9 Crimes, dove la voce di Francisca Barreto si avvicina in maniera magica al timbro di Lisa Hannigan, c’è spazio anche per un duetto “a sorpresa”, quando sul palco viene chiamata Greta Zuccoli a cantare Cold Water.

E pare sinceramente sorpreso Damien quando chiede al pubblico con quale brano terminare il concerto, se qualcosa di più soft o forte. La scelta ricade sulla seconda opzione, per cui è la mia preferita, I remember, a chiudere col suo inizio dolce e il finale (letteralmente) stroboscopico un concerto memorabile.

Un applauso che pare non avere fine “costringe” i due musicisti a tornare sul palco, c’è da mettere la ciliegina, ed ecco che senza microfono, ora sì consegnandosi alla platea, Damien Rice dona la sua canzone più celebre, The Blower’s Daughter.

Perfetto. 

Sarebbe stato tutto perfetto davvero.

Ma.

Ricordate il discorso iniziale, quello di Pulp Fiction e del silenzio? 

Io non lo so se il problema sia stato il silenzio che mette a disagio, o se la motivazione fosse un’altra, sciatteria, ignoranza, genuino irrefrenabile entusiasmo, però aver sentito il bisogno impellente da parte di uno spettatore di applaudire mezzo secondo prima che tutto fosse finito, che quel “’Til I find somebody new” appena sussurrato da Damien Rice suggellasse qualcosa di davvero, davvero bello… lo avverto solo io quel fastidio che fatica ad andarsene?

In copertina foto di Aurora Ziani (Damien Rice @ Pistoia Blues Festival)