Skip to main content
Robbie Williams @ Lucca Summer Festival

Robbie Williams @ Lucca Summer Festival

| Alma Marlia

Lucca, 28 Luglio 2023

Dopo i Blur, in occasione del Lucca Summer Festival le mura storiche fanno da sfondo al concerto di un’altra star della musica internazionale: Robbie Williams. Nell’attesa dell’inizio del concerto, cammino per la città gremita di abitanti e fan mentre ricordo il video in bianco e nero di Want You Back for Good dei Take That dove, sotto una pioggia battente, i cinque ragazzi britannici di una delle boyband più famose degli anni ‘90 dicevano addio al loro pubblico. Fu proprio Robbie Williams il primo a dichiarare di voler intraprendere un percorso da solista. Quegli occhi di ghiaccio ci guardavano tagliati dalla luce irriverente di chi desidera affermarsi e in quasi trent’anni di carriera hanno collezionato palchi e successi che ora fanno tappa nella città toscana.

Mi avvicino agli ingressi dove mi dicono con tono sprezzante che il mio pass vale solo per i posti in piedi nella parte più lontana del prato. Cammino attraverso la discriminazione del PIT.di prima classe, la superba platea della seconda classe e, lontano, le gradinate della terza. Dietro delle transenne si schiacciano i rappresentanti del quarto stato degli appassionati di musica che non guarda mai i suoi miti nelle palle degli occhi ma solo sui maxischermi, però balla di più, canta di più, si diverte di più. Hanno ragione, quello è il mio posto! Spero solo che questo Titanicnon affondi con l’audio come durante l’esibizione dei Blur.

Apre le danze Diodato, raffinato artista nostrano, accompagnato da una band dove emerge il deciso violino di Rodrigo D’Erasmo. Il timbro chiaro e pulito dell’artista si diffonde per l’aria rossa del tramonto e la chiusura con Fai Rumore incanta un pratone dove si raduna un pubblico eterogeneo per stili ed età.  Mi guardo intorno e noto a chiare lettere il nome Robbie scritto su magliette o su parti di corpo con il rossetto.

Un po’ ti chiedi perché il misurato Diodato apra il concerto di un folletto della musica come Robbie Williams, che trasforma il palco in un materasso di gomma su cui saltare senza posa. Guardando il contante ti rendi conto che, per quanto apparentemente distanti, entrambi esplodono di energia: quella che attraversa Diodato nell’intensità in cui chiude la sua emozione in un pugno, quella di Robbie che entra più tardi nel loop del ritornello di Hey Wow Yeah Yeah.

Ad accogliere l’artista inglese c’è una foresta di mani alzate, applausi verso il cielo e cellulari pronti a riprendere ogni minimo istante. Il cantante slitta con eleganza dal primo brano verso Let Me Entertain You: la miccia è accesa, gli animi si infuocano.

Robbie salta sul palco come una scheggia impazzita, mostra le mutande irriverente sostenuto dal ritmo potente della batteria. Anche il pubblico si muove, non può farne a meno, affascinato da quel sex symbol impenitente che abita bene la sua pelle da star, e non solo per le miriadi di paillettes che lo rivestono. La voce di Robbie pervade l’aria, netta e precisa, e ringrazi l’audio che per questa volta non ha fatto brutti scherzi e ci permette di godere del concerto. Il timbro sfida i segni del tempo, rimane caldo e vibrante come negli esordi da solista, con quella capacità di portati verso il cielo con Monsoon e riportarti sulla terra con Strong cantando il ritornello a cappella con il pubblico.

Lasciarsi andare alle sue canzoni è un’emozione particolare perché un minuto prima scateni ogni parte del tuo corpo per Candy come punto da una tarantola e pochi minuti dopo l’infinita dolcezza di Feel ti assale per non lasciarti più. La serata è un continuo salire e scendere di sfumature diverse tra cui si muove un Robbie Williams sicuro di sé che ammicca ai fan e ci gioca in un brit italiano tutto suo.

Lo spettacolo si trasforma in un qualcosa di indefinito a metà tra il concerto e uno show da cabaret, l’artista salta come un canguro tra aneddoti, hit di successo, gag in cui coinvolge chi ha davanti e ricordi del suo passato con i Take That. Accenna le prime strofe di Could It Be Magic, omaggia gli Oasis con la cover di Don’t Look Back in Anger lasciando spazio alla chitarra elettrica per uno splendido assolo, continua raccontando quanto si sentisse diverso, incompreso e ostacolato nel gruppo che lo aveva reso famoso. Lo dice una volta. Due. Infinite. Non è uno scherzo, forse sì, ma da vibrante showman diventa un adolescente petulante. Fortunatamente riprende a cantare, fili di luci blu si intrecciano nel cielo ed intorno a me le persone si abbracciano e si scambiano sguardi complici, ma è la tastiera che ci cattura per condurci verso l’emozionante I Love My Life; il palco è sotto una pioggia di stelle filanti e il prato canta all’unisono per abbracciare in coro un cantante che ha appena confessato che è grazie ai suoi figli se è l’uomo che è.

In questo mondo di pensieri felici e brani che si susseguono, l’atmosfera è squarciata dalla frizzante Rock DJ, attesissima, almeno da me. Tra synth e richiami dance, gli occhi ricordano un aitante Robbie che si toglie pezzi di corpo circondato da spietate pattinatrici cannibali, e balli sulle note fino in fondo, rimanendo senza fiato.

Dopo il calcolato bis, le dolci She’s The One e Angels conducono verso la chiusura del concerto. Sanno di amore e di nostalgia, ma soprattutto quando le canti con Robbie hanno il sapore delle sensazioni provate a fior di pelle, quelle che ci fanno sentire invincibili. L’aria vibra di promesse che qualcosa di bello aspetta ognuno di noi, passa tra gli abbracci della gente, la chiudi nei sogni della notte. 

Vorrei dire che l’esibizione si è conclusa con un pubblico felicemente stanco, sudato, coi vestiti e i polmoni pieni di polvere, la voce inesistente, ma non è così. Niente affaticamento estremo che spesso si chiede ai concerti che vogliamo vivere come tali. Eppure, appena torni casa la serata già ti manca, vorresti tornare indietro nel tempo e viverla di nuovo. Magari con qualche gag robbiniana in meno, ma sicuramente con ogni canzone da rivivere nuovamente con lui.