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King Gizzard & the Lizard Wizard @ Parco della Musica

King Gizzard & the Lizard Wizard @ Parco della Musica

| Alberto Adustini

Padova, 22 Agosto 2023

Io lo sapevo che mi sarei trovato in questa situazione, ne ero certo, me lo sentivo e puntualmente non mi sbagliavo.

Quando mesi fa era stata annunciata, in data unica italiana a Padova, il concerto dei King Gizzard & the Lizard Wizard, il primo pensiero era stato “chissà come devono essere dal vivo, chissà che caos, che miscuglio, che delirio… pensa a doverne scrivere poi, per spiegare a chi non c’era cosa si è perso”.

E taaaac, eccoci qui.

Allora l’inizio è facile: c’è molto caldo, all’ingresso del Parco della Musica, a cancelli ancora chiusi, una fila sorprendentemente lunga, che va via via allungandosi col passare del tempo. Impiego una buona mezz’ora per entrare, il tempo di ordinare da bere che sul palco salgono gli openers della serata, The Prize, quintetto originario di Melbourne impegnato in un tour europeo da qualcosa come trenta date in poco più di un mese. Massimo rispetto. A menar le danze pare essere Nadine Muller, batteria e voce, che spinge un punk rock che talvolta si tinge di garage, altre volte sembrano i Pixies, e nonostante le tre chitarre, delle quali due sembrano spesso superflue, si fanno ben volere, si divertono, ci credono, il pubblico capisce ed approva, applaude e quindi non vedo perchè star lì a fare il puntiglioso. Bravi e basta.

Ma veniamo al dunque.

Le 21:30 da poco passate, la morsa del caldo si allenta, si respira un minimo ed ecco che guadagna la scena il sestetto australiano.

Per fare una dozzinale, grossolana introduzione, i King Gizzard & the Lizard Wizard suonano un molto ipotetico rock psichedelico (definizione che dopo pochi minuti di concerto risulterà drammaticamente fuorviante), hanno inciso 24 dischi in poco più di dieci anni di carriera (senza contare live, EP, collaborazioni, ecc), cinque solo nel 2022, e sul palco tendenzialmente fanno il cacchio che gli pare. 

Guidati dal frontman Stu Mackenzie, le due ore di live che seguiranno saranno quanto di più alienante, stordente e al contempo divertente sia possibile vivere di fronte ad un palco.

Il live del combo di Melbourne fugge facilmente a qualsivoglia definizione o etichetta, probabilmente sì, di base il loro è un rock psichedelico, per quelle voci ipereffettate, quelle chitarre che fanno molto San Francisco negli anni ‘60 (versante Jefferson Airplane piuttosto che Grateful Dead), però in certi momenti siamo in pieno trash metal, in altri sono quasi jam prog rock, le canzoni stesse presentano al loro interno più variazioni di ritmo e idee di quante ne contenga l’intera discografia di un qualsiasi rocker italiano medio.

Accanto a me scorgo diversi ragazzi ad occhi chiusi ballare e lasciarsi trasportare dalle evoluzioni delle chitarre e dalle ritmiche travolgenti di Michael Cavanagh, che spesso si trova circondato da Stu, dalla salopette nera di Joey Walker e da Ambrose KennySmith.

Parlare della scaletta lunga diciannove pezzi e quasi due ore e mezza, è quasi riduttivo e limitante, la tensione ed i decibel ti fanno rimanere costantemente sopra la soglia dell’attenzione, difficile distrarsi, impossibile perdere il filo, in quanto il filo non esiste: ci si lascia condurre, trasportare, si segue questa sorta di flusso, la corrente.

Il lungo finale, affidato alla terza ed ultima suite di Murder of the Universe, intitolata Han-Tyumi and the Murder of the Universe, è la perfetta conclusione di un viaggio del quale hai goduto dal primo all’ultimo metro, nonostante tu non riesca a capire dove ti abbia portato. Né ricordare da dove fosse partito.