Skip to main content

Mese: Aprile 2019

Kris Roe @ Freakout_Club

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Kris Roe •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

+ Slimboy

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Freakout Club (Bologna) // 19 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13243,13239,13238,13240,13237,13241,13244,13242″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

Slimboy

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13245,13248,13246,13249,13247″][/vc_column][/vc_row]

Tre Allegri Ragazzi Morti @ Monk

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Tre Allegri Ragazzi Morti •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Monk (Roma) // 18 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13230,13224,13229,13228,13227,13223,13233,13232,13231″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13222,13225,13226″][/vc_column][/vc_row]

Diario di una Band – Capitolo Due

“Ma con chiunque sappia divertirsi mi salverò
Che viva la vita senza troppo arricchirsi, mi salverò
Che sappia amare, che conosca Dio come le sue tasche”

Rino Gaetano

 

 

Caparezza disse che è sempre stato contrario ai talent show perché la musica non è una gara. Questo pensiero mi ha fin da subito affascinato, un po’ come un coro da stadio riuscito dopo un gol al 90esimo minuto. Rimasi di stucco appena lessi quelle sue parole, cosi semplici se ci pensiamo, ma cosi terribilmente rivoluzionarie in rapporto allo sterile dominio televisivo che ha gradualmente e capillarmente condizionato il palinsesto musicale.

Qualcuno potrebbe dire “ è facile parlare male del main stream quando non ci sei dentro”, giustissimo.

Però, e sottolineo però, bisogna capire la vera logica di un artista, di una band o di un cantautore. Il tipo di contributo che può dare una forma d’arte quando alla base è semplice gioia di creare, andando oltre ad ogni concetto d’ imposizione, oltre ogni numero di graduatoria e oltre a ogni conto in banca.

In sintesi è libertà allo stato puro, impermeabile da tossine, eretta su di un concetto che sosteneva fino a tempi non sospetti le possibilità e le speranze di giovani e meno giovani sognatori di professione, in balia di un settore che ancora consentiva colpi di scena .

Sembra assurdo come la ricerca della libertà espressiva sia deragliata fuori concorso, un presupposto anacronistico che personalmente destabilizza e preoccupa. Nessuno negli anni ’70 avrebbe pensato che in Italia la figura del cantautore avrebbe raggiunto tale resa, un po’ come il tracollo di Blockbuster per fare un esempio pratico, in fondo chi l’avrebbe mai detto?

Si modifica il corso degli eventi, si riduce al minimo lo sforzo per avere accesso alle possibilità, la gavetta è percepita come un gesto di autolesionismo, il paladino armato di chitarra è stretto tra gli slogan e la pochezza di un movimento denominato “Indipendente” o “Indie”, come preferite.

Vera macchina fotocopiatrice che vomita cloni più o meno bellocci da spremere per quel poco di tempo che serve ad alimentare il motore di un mercato sempre più lontano dalla bellezza della musica per quella che è, per quella che ci ha fatto innamorare e credere di poter cambiare le cose, (per lo meno migliorarle).

Da “pischello” i miti del punk rock erano una sorta di miraggio, idoli che spesso portavano alla frustrazione. La California dentro e fuori , il riflettore, la festa perfetta marchiata post America Pie. Bello, figo e allettante. Impazzivo sognando e sognavo impazzendo.

Si suonava, ci si provava e si cadeva spesso fino al punto che però la musica passava in secondo piano. Quando l’apparire diventò più importante dell’essere, inevitabilmente il giochino si ruppe senza possibilità di rimettere i cocci al loro posto.

Un chiaro segnale, molto tenue, ma palese e lungimirante su ciò il futuro avrebbe riservato, come possiamo toccare oggi con mano e orecchi.

Decisi di mollare la presa, lasciando la penna e la chitarra in un angolo per tre anni. Fino al primo viaggio a Dublino, dove l’assenza di pretese e castelli troppo grandi, mescolati alla scoperta di una cultura musicale e umana molto simile a quella del popolo Romagnolo mi hanno spinto a riprendere lo smalto abbandonato.

Reinventarsi con stimolo, sulle macerie di una passione che ha tracciato una cicatrice profonda e dolorosa. Mescolare le carte del passato e dell’imminente scoperta è stata una sfida troppo allettante. Gli astri poi si sono allineati, i compagni di viaggio arrivati come fossero li pronti a rispondere alle armi, inneschi e propositi incastrati come una partita perfetta a Tetris e condivisi dalla gente che gradualmente, aumentava ad ogni concerto.

E dopo appena tre anni di lavoro ho avuto la soddisfazione di poter suonare in molte occasioni, in Italia e all’estero al fianco di artisti che in giovinezza mi avevano condizionato e riempito di inavvicinabili aspettative solo perché io prendevo quello che non andava osannato, la presunzione.

Situazioni che sono arrivate inderogabilmente dal momento in cui l’assillo di arrivare e di dover eccellere non esisteva più. Aver una mentalità flessibile, che si accontenta ma che non si abitua all’ordinario, combattere la noia e consacrare i propri principi, i propri luoghi d’appartenenza, rapportare alla musica uno stile di pensiero e non ragionare solamente sul pentagramma.

Contornarsi di persone che abbiano la veduta semplice, serena e determinata, che sappia ridere e piangere quando è necessario, che ami la natura e per natura ami la vita.

C’è chi i castelli deve costruirseli per arrivare al cielo e chi in un castello vero e proprio ha la fortuna di creare e personalizzare tutto il tempo utile.

La predisposizione di chi ha scritto le pagine felici della storia non sono da ricercare nelle aspettative o nella scaltrezza di saper cogliere il momento giusto per comporre la melodia giusta, tra tenacia e paura lo scalino è breve. L’assillo di convincere la massa senza prima convincere se stessi è un rischio grosso che porta a conclusioni sterili o comunque a un prodotto fasullo.

Apprezzo chi lo fa, l’ha fatto e lo farà per la causa unica, la ricerca spasmodica di qualcosa di puro e personale che sia degno di essere ricordato e che possa rendere un po più semplice la vita di chi non per scelta è costretto a vivere nelle difficoltà.

Scrivo queste righe da persona libera e suono la mia musica da persona libera, per questo sono sereno di dire sempre quel cazzo che mi pare.

Il mondo non lo cambieremo ma per lo meno proviamo a colorarlo, perché in ogni caso le matite funzionano anche con la punta sbeccata.

Non aspettarsi niente, ma essere consapevole di poter dimostrare tutto.

 

Vasco Bartowski Abbondanza

Parlare di musica è come inculare un gatto

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

 P0P

Parlare di musica è come inculare un gatto

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]Da oggi inizia la nostra collaborazione con P0P!

Ma chi è P0P??

P0P è un personaggio molto misterioso. L’unica certezza è la Tv a tubo catodico che ha al posto della testa
Si narrano storie pazzesche sul suo conto: dalle notti di fuoco con Myss Keta alle giornate afose di agosto passate a giocare a carte con Willie Peyote.

Su Vez Magazine si disegnerà, si parlerà di musica a modo suo.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Cliccate qui e seguite P0P su instagram!

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13189″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13190″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13191″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13192″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13193″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13194″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13195″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13196″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13197″ img_size=”full”][/vc_column][vc_column width=”1/2″][vc_single_image image=”13198″ img_size=”full”][/vc_column][/vc_row]

BIRØ – Episodio 3

Ecco il terzo episodio scritto da BIRØ, cantautore classe 1990 originario di Varese.

Il suo “Capitolo 1: La Notte” (Vetrodischi) è un progetto che mira a coniugare testi propri della tradizione cantautorale italiana con la musica elettronica per raccontare storie attraverso musica e parole. I suoi brani raccontano eventi legati tra loro e come le pagine di un libro seguono uno sviluppo cronologico.

“Capitolo 1: La Notte” è la storia di un uomo che analizza le sue ossessioni, le sue paure e i suoi vizi, ma anche le proprie gioie e fortune, il tutto grazie ad uno stile narrativo personale. Tutti i brani sono ambientati in un’unica notte e questo spazio temporale diventa il filo conduttore tra una canzone e l’altra: i toni crepuscolari dei testi di BIRØ trovano nella commistione tra cantautorato ed elettronica un compagno perfetto per questo viaggio che dura fino all’alba.

Dopo la pubblicazione di “Incipit”, il suo primo EP ufficiale, BIRØ si è fatto conoscere al grande pubblico con un fortunato tour che ha avuto appuntamenti importanti come il Mi Ami 2017 e il Collisioni Festival riscuotendo ottimi feedback di pubblico e critica, candidandosi di diritto quale nome su cui puntare per il futuro.

Biro ci racconta, attraverso tre racconti brevi e inediti, il significato delle sue canzoni in maniera più ampia.

Il racconto è come un’espansione dell’universo narrativo del personaggio protagonista del disco. Mentre nel disco vengono presi in dettaglio certi punti e aspetti, nel racconto questi dettagli vengono messi sotto la lente d’ingrandimento.

La necessità era quella di raccontare il punto di vista del protagonista a partire soprattutto dalla sua solitudine e dalle sue dipendenze. Il disco sicuramente fa ben capire questi aspetti e penso riesca a riportarne una chiara immagine, mi sembrava che però ci fosse l’esigenza di spiegare anche il perché lui si sia ritrovato, le cause e le circostanze. E magari quali potrebbero essere le sue prospettive.

 

Buona lettura e correte ad ascoltare il suo album!

 

3 EPISODIO

 

Suono il citofono. Chi me l’ha fatto fare? Perché?
Potevi evitare di fermati a berne un paio prima di arrivare qui.

Sono già brillo e una volta superata la soglia so già che mi butterò a capofitto sul banchetto degli alcolici.

Potresti anche cercare di fare conversazione anziché presentarti ogni volta in queste condizioni.

Che poi con chi parlo? Non parlo con nessuno in ufficio figuriamoci in una situazione così.
Oltretutto saranno tutti ben vestiti, io sono qui con una bottiglia di vino presa in offerta e una camicia che ho stirato seguendo un tutorial di You Tube. Non è nemmeno la più bella che ho. Lei me ne avrebbe dette di tutti i colori, mi avrebbe detto…

Non ci pensare.

Ma che importa? Non ha più importanza lei cosa avrebbe detto.

Guardo nel mio pacchetto di sigarette e constato che ho tredici sigarette in tutto. Tredici. Ne ho fumate tre solo da casa a qui. Non riuscirò mai a sopravvivere.

E’ come la storia della bicicletta.

Mi viene in mente quella storia di Pierino e della bicicletta.
In sostanza Pierino vuol chiedere in prestito la bicicletta a Gianni, il suo vicino. Mentre imbocca vialetto per andare a casa di Gianni comincia a pensare che gli verranno fatte mille raccomandazioni, che le gomme sono appena state gonfiate, che la catena è nuova e che è un ricordo, e che deve trattala bene, di chiudere bene il lucchetto ecc ecc
Così quando arriva a citofonare il vicino si affaccia e tutto quello che Gianni riesce a dirgli è: “Senti Gianni, vaffanculo te e la bicicletta”. E se ne torna a casa.

Ecco, io mi trovo nella situazione: “Vaffanculo te e la tua festa, io me ne torno a casa”.

Sei proprio uno stronzo.

Si, sono uno stronzo. A parte il fatto che avranno messo dell’impegno per organizzare la festa, in fondo il matrimonio dovrebbe almeno essere uno dei momenti di massima felicità per un uomo e io invece me ne sto qui come se non me ne importasse nulla. Anzi, non me ne importa proprio nulla. Io vado con camicie stropicciate alle feste eleganti.

Ad ogni scalino sento il naturale impulso di voltarmi e andarmene, mi dico che sono ancora in tempo, che possono fare tranquillamente a meno di me ma come è ovvio che sia mi trovo davanti alla porta dell’appartamento. Un coglione tutto agghindato mi apre la porta con un sorriso smagliante.

Vaffanculo te e la tua festa        
“Ciao! Come va? Auguri, ho portato una bottiglia di vino non so se…”

“Oh grazie mille, sei stato gentilissimo!”
Hai visto? Sei riuscito ad essere gentile, ti sei presentato proprio come un ometto

“Vuoi qualcosa da bere?”

No grazie, sono a posto

“Volentieri!”

Bravo, bevine ancora quattro o cinque che diventerai l’anima della festa.

Certo che non è il mortorio che pensavo, in sottofondo sta suonando qualcosa che sembra musica da ascensore che si mescola al chiacchiericcio degli invitati, ciò nonostante l’atmosfera sembra molto vivace. Noto un gruppo di colleghi del reparto grafico intenti a parlare tra di loro, uno mi guarda e alza la bottiglia di birra come a proporre un brindisi accompagnato da un flaccido sorriso. Poi ributta la testa nella conversazione.
Testa di cazzo.

Non è che puoi pretendere…

E basta che cazzo, stai zitta pure te.
Chiedo e mi informano che per fumare bisogna uscire sul balcone. Raccomandano di usare il posacenere.
Tutto quello che ho sono tredici sigarette, tasto le varie tasche della giacca in cerca dell’accendino.
Passo due dita sul livido ingiallito ma ancora decisamente gonfio.

Solo ora mi rendo conto di che immagine potrebbe essersi formata questa gente di me. Uno che non parla mai con nessuno, che tendenzialmente sta seduto al suo computer scorrendo dati di fatturato e che un bel giorno arriva con un ematoma gigantesco sulla mascella.

Sei stanco di mentire     
Sono stanco di mentire, soprattutto a me stesso. Non riesco a dirmi e ad accettare le cose come stanno, nascondo la testa come uno struzzo pensando che poi il resto del mondo non mi veda.

Tutto ciò che vorresti è diventare invisibile.

Senza lasciar tracce, fare come se non fossi mai esistito. Senza aver mai fatto del male.

Improvvisamente diventa un ping pong tra le birre e il balcone, parlo poco e ascolto anche meno, guardo le labbra muoversi e semplicemente annuisco con la testa, secco la bottiglia e con una scusa mi allontano per prenderne un’altra che stappo ed esco sul balcone a fumare.

Ripeti l’azione svariate volte. A poco a poco le parole inciampano l’una sull’altra se provi a parlare, le voci attorno si mescolano e anche l’atmosfera sembra più calda. Non sopporti più questo cazzo di jazz in sottofondo, non sopporti più le chiacchiere, non sopporti il fatto di sentirti come se ti avessero fatto l’elemosina, averti invitato qui quando nessuno ti conosce per davvero, nessuno sa chi sei.

Urto contro qualcuno e vengo riportato alla realtà. Cerco di dire semplicemente “scusami”, ma quello che esce sono sostanzialmente solo le consonanti. Non capisco bene cosa mi dice o cosa dice in generale, sento la sua mano che mi batte sul braccio, il suo sorriso che si apre e gli altri attorno a lui che si mettono a ridere. Le loro risate suonano come se fossero moltiplicate per cento.

Vattene, tu non c’entri con tutto questo.

Io non faccio parte di tutto questo.

Vorresti mutare completamente la stanza.          
E poi c’è sempre questo cazzo di jazz di sottofondo.

Prendo la giacca e saluto frettolosamente il padrone di casa.

Non mi sento molto bene, ci vediamo lunedì al lavoro.

Esco dall’appartamento. Barcollo. La discesa in ascensore mi sembra eterna e non appena le porte si aprono mi scaravento fuori dal condominio vomitando nella prima aiuola che trovo.
Eccolo.

Finalmente, il silenzio mi piomba addosso e per un attimo, per un brevissimo attimo tutto sembra veramente in equilibrio. Forse non necessariamente nel posto giusto ma in equilibrio.
Dura un qualche secondo prima che io alzi la testa.

Prendo un lungo respiro, chiudo gli occhi e mi rendo conto che l’aria è fredda, è gelida. Tiro fuori l’ultima sigaretta. Butto via il pacchetto.

Mi ritrovo a camminare per strada, da solo, cercando di smaltire la sbornia. Sono stanco, veramente stanco. Trascino le gambe, le strade sono deserte. Passa solo un tram che porta qualcuno chissà dove.

Il cellulare vibra.

E’ un messaggio del mio collega che mi chiede se va tutto bene.

Non è mai lei.

Ma vorrei che lo fosse, anche se per mandarmi affanculo, per dirmi che sono stato uno stronzo o anche solo per chiedermi se sto bene e le direi che si sto bene ma cazzo no, non è vero, io non sto bene per niente.

La verità è che ti aspetti una qualche salvezza che ti venga dal cielo.       
Si.

E ti aspetti che accada all’improvviso, che come per magia le cose cambino di punto in bianco

E’ così sbagliato?

E’ anche peggio dell’essere sbagliato. Non è possibile.

Credo di non avere più il controllo, né sui pensieri e nemmeno sulle mie azioni. So quello che faccio ma non riesco a fermarmi.

Vorresti dare la colpa a qualcuno…

ma non c’è nessuno a cui dare la colpa.
Sento ancora di dover vomitare. Mi appoggio alla ringhiera del Naviglio e guardo giù, verso l’acqua buia e silenziosa. Non ne posso più.

Tiro fuori il cellulare e passo il pollice sullo schermo, buio e silenzioso. Come sempre.

Basta, smettila di aspettare

Ma non voglio

Devi. E’ semplice

Davvero è così semplice? Volevo solo essere felice con quello che avevo, e invece ora sembra che tutto quello che avevo è proprio ciò di cui devo liberarmi. Non ci capisco più niente.

Non c’è nulla da capire. Non pensare.

E in fondo….cos’ho da perdere?

E’ questione di un attimo. La mano si apre e non fai in tempo a battere le palpebre che è già successo. Senti solo il rumore del tuffo nell’acqua e se ci provi puoi vederlo scendere verso il fondo mentre il Naviglio inonda la memoria e cancella tutto. L’unico appiglio che avevi oltre ai tuoi ricordi se ne va. Non tornerà più e non tornerai più indietro. Per un attimo ti rendi veramente conto di quello che hai fatto, di quello che è successo e forse di quello che succederà. E’ come un dolore molto forte unito ad un sollievo altrettanto forte. Ti senti come un bimbo che da domani farà i primi passi trascinando un macigno e col tempo ti renderai conto che non è mai stato reale.

Adesso resti solo tu.

E la notte.

Heroes- Bowie by Sukita

•Un uomo dai mille volti•

 

Nella suggestiva cornice di Palazzo Medici Ricciardi di Firenze, dal 30 marzo 2019 al 28 giugno, sarà allestita una mostra, curata da Ono Arte Contemporanea, dedicata ad una delle figure più poliedriche della storia della musica mondiale: David Bowie.

Heroes- Bowie by Sukita racconta attraverso 60 scatti un sodalizio artistico, ma anche una profonda amicizia, che ha legato il camaleontico cantante al fotografo giapponese.

La mostra ci restituisce un ritratto di Bowie nel suo momento di gloria, un viaggio tra le sue trasformazioni, tra i suoi outfit memorabili e le sue stravaganze. 

Le foto sono scattate da Masayoshi Sukita, fotografo giapponese, che ha immortalato l’artista nel corso di tutta la sua carriera. Sukita, grazie al rapporto che ha creato con il cantante, ci ha regalato foto più intime e personali di Bowie. Dobbiamo a lui la copertina di Heroes, uno dei brani più conosciuti ed iconici del Duca Bianco.

David Bowie oltre che per le sue doti di musicista è famoso per la sua abilità continua nello stupire e nel rompere gli schemi tradizionali. 

Se per molti artisti tracciare un profilo può essere facile, per lui non è così. 

Una semplice domanda come chi era David Bowie, in realtà, ci metterebbe in grandissima difficoltà.

Nel corso della sua vita ha creato innumerevoli alter ego che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a creare il suo personaggio. Bowie era un trasformista, un camaleonte.

Nonostante la sua carriera sia iniziata nel 1967 con David Bowie il vero successo arriva nel 1972 con l’album The Rise and Fall Of Ziggy Stardust ad the Spiders from Mars.

Qui nasce il suo primo alter ego: l’alieno androgino dai capelli color del fuoco Ziggy Stardust. Nella creazione del personaggio sono stati forti gli influssi di Arancia Meccanica di Kubrik e del teatro giapponese Kabuki.

 

06 1973rca 017trim 2016ver
© Photo by Sukita 2019

Ziggy diventa David e David diventa Ziggy; è difficile capire dove finisca uno ed inizi l’altro. Con la sua creatura Bowie è l’antesignano del glam rock che avrà tanto successo negli anni successivi.

La creazione di questo personaggio è stato un colpo di genio che ha lanciato Bowie sulla strada dell’immortalità. Nell’album sono trattati svariati argomenti, scomodi ma anche estremamente all’avanguardia: politica, droghe ed orientamento sessuale.

La vita dell’alieno però è breve. Come ho detto poco sopra Bowie è un trasformista e stare legato troppo a lungo ad un solo personaggio non fa per lui. Così il 3 luglio del 1973 sul palco dell’Hammersmith Odeon di Londra Bowie uccide il suo alter ego. I fan rimangono scioccati, nessuno si aspettava una cosa del genere.

Mentre stava viaggiando in America, per portare in giro la tournée legata all’album, trova l’ispirazione per la sua nuova opera. Nel 1973 esce Aladdin Sane, una sorta di diario di viaggio, ispirato proprio alle esperienze vissute in terra americana.

Alladin, con la saetta dipinta sul volto, è il nuovo alter ego di Bowie.

Il personaggio di Aladdin Sane, potrebbe essere ispirato al fratello a cui venne diagnosticata la schizofrenia. Lo stesso nome, che si potrebbe tradurre come “un giovane folle” (a laid insane), richiama alla mente la malattia mentale, tematica molto cara al cantante. 

L’anno seguente esce Diamond Dogs, un album che va controcorrente: mentre nel mondo inizia a spopolare la disco music Bowie se ne esce con questo album complesso. Qui prende vita un nuovo personaggio chiamato Halloween Jack: capelli rossi e benda sull’occhio. Un personaggio che si muove in un futuro post-apocalittico, ispirato dall’opera di George Orwell.

Ma il personaggio per cui Bowie è più spesso ricordato è il Duca Bianco. La creazione di questo alter ego, che prende vita nell’album Station to Station (1976), deriva forse dall’esperienza cinematografica vissuta ne L’uomo che cadde sulla terra. 

Il Duca Bianco era un personaggio odioso, per stessa ammissione di Bowie, era freddo, ariano quasi ieratico. Nonostante l’album contenga la hit Golden Years, il cantante sta affrontando un periodo buio e difficile dovuto ai problemi legati allo stress e alle tossicodipendenze; insomma non è tutto oro quello che luccica.

Inoltre a causa dell’aspetto ariano e per alcune dichiarazioni, in questo periodo, vienne spesso accusato di fomentare fascismo e nazismo.

Il Duca era un alter ego diametralmente opposto a Ziggy: i capelli erano laccati all’indietro, le tutine erano state sostituite da abiti impeccabili ed eleganti. Il successo però fu travolgente, il pubblico amava il Duca Bianco…non ne aveva mai abbastanza.

Ma è nell’ultimo album, Blackstar, che Bowie si spoglia e ci presenta la sua vera identità: David Robert Jones. Qui è un profeta, cieco, e ci preannuncia la sua morte.

45 02 17t 02
© Photo by Sukita 2019

Bowie era malato da tempo di cancro e questo album è il suo epitaffio, il suo addio ai fan. I video che lo ritraggono steso in un letto  assumono un significato più profondo che, ad una prima vista, era impossibile cogliere.

Sapeva che la malattia lo stava traghettando verso la fine e, fino all’ultimo, Bowie è stato un uomo di scena. Blackstar è il suo saluto, il suo congedo dal mondo.

Con la sua morte, il 10 gennaio 2016, non abbiamo perso solo Bowie abbiamo perso tutti i suoi alter ego: Ziggie, Aladdin, Jack, Il Duca e, ovviamente, David Robert Jones.

 

Laura Losi

Jess e Lobina – Video intervista

Con il nostro Semprepiùpoveritour facciamo entrare la gente nella nostra musica

 

Però, ad entrare letteralmente in casa delle persone, in verità, sono proprio loro. Si chiamano Chiara Lobina, in arte Lobina e Jessica De Pascale, detta Jess, e sono le protagoniste del nuovo appuntamento con le scoperte artistiche della Liguria.

Ci troviamo a Genova, dove la splendida cornice della Claque – importante teatro e punto di riferimento per la musica genovese – mi ispira e mette in soggezione allo stesso tempo.

Qui le ragazze mi raccontano di loro, della forte passione per la musica e di quella voglia instancabile che le spinge ogni giorno a lottare affinché quella passione diventi un giorno un vero e proprio lavoro a tempo pieno.

Jess e Lobina sono due giovani e talentuose cantautrici genovesi, diverse e simili al contempo. Che non sono un duo, ci tengono a sottolinearlo: “Abbiamo due progetti differenti – racconta Lobina – e continuiamo a portali avanti singolarmente, ma qualche tempo fa, forti della situazione in cui oggi si trovano moltissimi musicisti, abbiamo deciso di unire le forze per trasmettere un messaggio importante. Basta con questa stupida competizione: siamo artisti, facciamo musica, abbiamo bisogno di collaborare e sostenerci a vicenda”.

Ed è proprio quello che, in modo naturale e spontaneo, stanno facendo le due ragazze attraverso la loro musica. “Ci sono tanti artisti che ce l’hanno fatta – mi spiega Jess – e tanti che sono ancora acerbi. Poi, proprio nel mezzo, c’è una grande quantità di persone brave, determinate e con prodotti molto validi che però, per chissà quale motivo, non riesce a fare il salto di qualità. E se da soli è un viaggio troppo difficile da affrontare, perché non farlo insieme?

Ora, tra tanti modi per trasformare una critica sociale in qualcosa di unico e divertente, questo rientra sicuramente tra le genialate dell’anno. Stanche dei locali che vedono gli artisti come dei carillon da salotto, stanche di quella considerazione becera e irrispettosa che tanti hanno nei confronti dei musicisti, Jess e Lobina si sono rimboccate le maniche e hanno deciso – in un certo senso – di boicottare e ribaltare completamente la struttura dello show tradizionale che, ad oggi, si riduce meramente in burocrazia spicciola: Quanto dobbiamo pagarvi? Quanta gente portate? Quanto casino fate? E la migliore, che resta l’evergreen per eccellenza, valida un po’ per tutti gli ambiti artistici, nientepopodimeno che l’intramontabile Ti pago in visibilità. Ma come, non lo sapete? La visibilità è la moneta del futuro. Altro che bitcoin!

La loro idea, dunque, è semplice quanto originale: portare fisicamente all’interno delle case di sconosciuti la propria musica, ma non solo. Un secret live di nicchia, dedicato a pochi, sempre diverso e irripetibile. “Siamo esseri umani – mi spiega Chiara – e come tali vogliamo essere…umani! Vogliamo essere compresi, noi con la nostra musica. Quando entriamo a casa delle persone non vogliamo semplicemente suonare, ma instaurare con quei pochi e intimi ascoltatori un rapporto umano, entrando in sintonia con loro”.

Un tour indoor che racconta la situazione dei musicisti emergenti, pieno di difficoltà ma anche di soddisfazioni, un modo per raccontare la competizione e combatterla – metaforicamente, per carità – a colpi di chitarra. Una musica diversa, umana e autentica, un modo per trascorrere del tempo tra una canzone e un bicchiere di vino e, perché no, qualche confidenza. Nessuna interpretazione, nessun filtro, nessuna messinscena.

Il semprepiùpoveritour è, di fatto, una trovata simpatica per sottolineare in modo intelligente la difficile condizione in cui si trovano oggi molti musicisti: da soli, in un mare di squali assetati di sangue, dove chi prima suonava in una fabbrica abbandonata e ora riempie i palazzetti, allora è un figo. Ebbene, nel 2019 – all’alba di un futuro gestito da intelligenze artificiali, macchine che si guidano da sole, assistenti domestici e Auto-Tune che trasformano i cantanti da doccia in pop-star, siamo ancora al punto di contare. Contare qualsiasi cosa: persone ai concerti, visualizzazioni, ascolti, click, like, cuori, case, libri e fogli di giornale. Ma sticazzi non ce li mettete? Eddai regà.

 

Giovanna Vittoria Ghiglione

 

A Ferrara si va “Fortissimo”

Matteo Bianchi ci racconta la sua “Penna”

 

2 DICEMBRE

 

«I don’t want to be the one / left in there, left in there»… laggiù, in una cittadina tra i campi, sul cuscino di lui lei aveva sistemato una mattina il suo pigiama, prima di andare al lavoro. Si sa quanto i pigiami siano morbidi. E magari sono quello che portiamo addosso di più sincero. Spontanei, a volte scontati. Quello che basterebbe per svegliarsi bene il primo gennaio. Il suo aveva un biscotto enorme, tante stelline e tante piccole lune su un cielo blu. E lui che con gli occhi la seguiva da mesi sul finire del turno, in mezzo alla folla degli acquisti, sapeva che ci sono cieli e notti in giro che riempirebbero una casa. Più delle luci di Natale. Notti sfogliate solo nei racconti che l’avrebbero scaldato più del solito cappotto grigio. Quello da battaglia, appeso vicino all’entrata. Di solito lei dormiva sul fianco destro, lievemente raccolta, con le braccia al petto; perciò, quando spegnevano la luce al secondo piano in una stanza tra le tante, lui le prendeva le mani e la stringeva a sé. In due si vede anche al buio, e il buio stesso si fa inconsistente. Talvolta si svegliava per assicurarsi che lei non avesse freddo, le baciava i capelli che si erano sciolti sul cuscino e tornava ad appoggiare il viso sulla sua schiena, sperando di avere altri dieci minuti a disposizione, sebbene del tempo non gli importasse più granché.

 

 

Copertina Fortissimo 1 

 

Il libro si intitola Fortissimo (Minerva), comprende un mezzo piano e si apre con dei versi degli Anthony and the Johnsons. Quali e quante musiche ci sono in questo libro?

«Il testo di Hope there’s someone si sovrapponeva a quello che sentivo per la persona di fianco a me in quel momento. La musica è la prova di una coincidenza che diventa emozione. Anche il tono e il timbro vocale erano adatti alla circostanza. Fortissimo e Mezzo piano hanno sia una connotazione fisica di spazio, legata alla percezione della realtà circostante, sia una temporale: il mezzo piano è il mezzanino di ogni condominio che consente incontri momentanei, in cui ci si dice tutto con uno sguardo. Esiste una sfumatura musicale che lega i due titoli: sono entrambi indicazioni dinamiche dell’intensità sonora e, astraendo, offrono la possibilità di dare volume alle conseguenze delle nostre azioni».

 

Se dovessi scegliere una (o più d’una) canzone da ascoltare in sottofondo, leggendo le tue poesie, quale sarebbe?

«Mi hanno accompagnato nella stesura l’intero Bon Iver, Bon Iver, Solitude di Ryuchi Sakamoto, Odradek di Alva Noto, proprio per affrontare il buio. È stata la reazione visionaria di questi artisti, ognuno con il proprio stile, a convincermi; il modo con cui si sono opposti all’incombenza del passato sul presente. D’altronde “il sogno è l’infinita ombra del vero”, scriveva Pascoli».

 

Secondo te, poesia e musica mantengono ancora oggi il legame indissolubile che hanno fin dalle origini?

«Decisamente. La prima parte del libro è una prosa poetica, vale a dire una prosa costruita mediante figure retoriche, prevalentemente di suono. Uso assonanze, allitterazioni e rime in quantità per sostenere quello che di fatto è un flusso di coscienza. Un monologo interiore che asseconda i miei stati d’animo. È il riflesso di quello che ho provato, e la musica mi è fondamentale per tenere insieme il discorso. Dove non c’è logica e razionalità, e nella poesia non c’è, la musicalità è un medium: dà alla parola lo slancio necessario per arrivare all’orecchio del lettore, non solo alla sua mente. Non applico una struttura metrica tradizionale abbastanza solida o lavorata, sono andato a orecchio».

 

E il mondo della musica e quello della letteratura trovano ancora qualche connessione?

«Sono in realtà molto scoraggiato, mi demotiva parecchio il panorama attuale, perché il punto di collisione più forte era quello cantautoriale, anello di congiunzione tra testo poetico e musicale. Siamo circondati da prove scadenti, non trovo contemporanei viventi degni di nota. Forse solo Nicolò Fabi riesce a tenere il punto, e, quando è in forma, Samuele Bersani, poiché dimostra un grande rispetto nei confronti della lingua, questo per quanto riguarda i più giovani. Guccini, Branduardi e Vecchioni sono indimenticabili soprattutto per le prime prove; Battiato e Tenco, ovviamente, e pure Gino Paoli agli esordi. Ma la cosiddetta “scuola genovese” in toto, conquistata dalla passione di De André: “Sono evidentemente fortunato – annotava sotto le ciglia – soprattutto quando riesco a trasformare il disagio in qualcosa di bello e magari anche di utile, non necessariamente di memorabile”.

Un altro filone interessante è quello che unisce il rap al poetry slam, la poesia d’occasione incanalata su un tema a richiesta. Io non sono vicino a quel metodo di scrittura: nel poetry slam la forma si impone troppo sul contenuto rischiando di impoverirlo, non solo di storpiarlo. Davanti a un impoverimento cambierei approccio, per questo non l’ho mai concepito, anche perché scimmiotta un’urgenza, è un volersi dare un tono d’emergenza che di fatto non corrisponde alla realtà. Non c’è più la ricerca di equilibrio».

 

I temi portanti del libro sono l’amore, il tempo, la quotidianità. Qual è il filo rosso che tiene tutto insieme?

«Il filo rosso della raccolta è la necessità di innamorarsi, perché spesso, anche se non sempre, innamorarsi o riuscire a innamorarsi ancora rende liberi.  Che poi sia una libertà illusoria ed effimera, che non può fare i conti con la realtà, è vero, ma l’esigenza rimane. Se vogliamo tracciare un parallelo musicale, ciò che lega i miei testi è l’innamoramento che dà il la a un sentimento amoroso, proprio come la prima nota avvia un brano».

 

Irene Lodi

Nada @ Bronson

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Nada •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Bronson (Ravenna) // 13 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Per descrivere il suo ultimo lavoro in studio, nato dalla reiterata collaborazione con John Parish (PJ Harvey, Eels), Nada ne ha parlato come di “dieci canzoni nate dagli abissi del mio nero più profondo, per poi misteriosamente raggiungere i colori e la leggerezza del pensiero, finalmente libero di andare dove portano sentimento e ragione che si uniscono per diventare tutt’uno”.

L’atmosfera che si respira al Bronson di Ravenna, sabato 13 aprile, in occasione della nona data del tour che celebra il disco È un momento difficile, tesoro rimanda un po’ alle parole citate. Il pubblico adulto, rilassato e “in pausa” magari per una sera è avvolto nel buio del locale, illuminato soltanto dal riverbero metallico delle luci sul palco.

Scortata dalla band, la cantante di Gabbro entra in scena intonando Un angelo caduto dal cielo, omaggio indiretto a una delle sue hit storiche, ma ora rinnovata in senso introspettivo, spirituale e cromaticamente in contrasto con le piume nere di cui è vestita.

Buonasera Ravenna! È bellissimo tornare qui e vedere che ci siete. Prima di proseguire, alcune istruzioni per il concerto”. Attraverso un effetto-sdoppiamento della sua voce fuori campo, con la più seria delle ironie e con i gesti propri del personale di volo, Nada spiega che il live sarà finalizzato all’esplorazione della nostra mappa emotiva, diversa in ognuno, ma sempre composta di molteplici parti, di colori che sfumano dal blu, al rosa, al celeste, al verde. Non sempre abbiamo la forza e il coraggio di vederle. Insieme, però, sarà più facile. E sarà più facile continuare a cercare. Perché cercare è l’unica ragione.

Nessun filtro, nessun orpello nella sua timbrica così potente, graffiante e viscerale. La fragilità ruota attorno a una tavolozza di chiaroscuri in Disgregata e Stasera non piove che anticipano un brano dedicato a tutti, agli uomini e alle donne. Una dedica, tuttavia, che si addice più alle donne, alla loro capacità di sgretolarsi per poi rimescolare il sangue, le ossa, i sentimenti in una costante rivoluzione interiore. Una canzone che diviene uno strumento per poter dire: “Ehi brutto stronzo… Chi ti credi di essere? Ma vaffanculo!”. È Guardami negli occhi il contenitore, in musica, di tutto ciò.  Il sound erosivo, il girare vorticoso, le mani che si allungano come per allontanare qualcosa.

Continuiamo a vivere su questa massa incandescente, senza una direzione” – confessa Nada, con il microfono stretto in mano e lo sguardo fisso e premuroso sul pubblico – “Benché la direzione non sia certa, è fondamentale continuare a correre”. Ed è Correre a tingersi della melodia pizzicata del violino e di un arrangiamento che dimostra l’enorme abilità del quartetto di giovani polistrumentisti. Sonorità che trasportano in una dimensione altra, in cui la cantautrice si eleva a sacerdotessa, avvolta nelle sue movenze ipnotiche, come in un rito sciamanico.

Un viaggio in cui lo sguardo rivolto in avanti e la malinconia della strada percorsa non si lasciano mai la mano. Una confessione incentrata sulla tristezza come condizione dell’anima, talvolta straziante, ma meravigliosa e necessaria. “Questa è la mia tristezza, questo è il mio blues”. Questo È un momento difficile, tesoro.

Il picco emotivo, quasi psicanalitico, è affidato al tema toccante della madre. “Può succedere a un certo punto della vita di rivedersi nella propria madre, perdonarle tutto, tutto, tutto. Anche se è difficilissimo. Volersi solo inginocchiare, per rientrare, spingendo, nel grembo. E lì, in quei confini oscuri, trovare l’essenza per rinascere, dando nuova vita a se stessi”. O Madre è un’invocazione, una preghiera, un’esplorazione interiore e fisica, nei movimenti delle mani a toccare le zone del corpo che rimandano all’istinto autentico del ventre e al dolore imprescindibile del parto, in un’esplosione catartica.

Sulla scia della mancanza, Dove sono i tuoi occhi rappresenta la disperata domanda rivolta a chi non c’è più o a chi è rimasto indietro, nella rinnovata consapevolezza che qualunque viaggio si compia, qualunque mappa si disegni, l’aspetto vitale è riconoscere gli occhi di si ha accanto.

Qui, Nada saluta ed esce. Tuttavia nessuno si muove, sappiamo che non può finire così. Insieme al presente, deve essere citato il passato. Eccola, infatti, tornare sul palco per ben tre volte. Ogni encore, ogni applauso è dedicato a una delle sue canzoni che hanno resistito alla prova del tempo. Ti stringerò, Amore disperato, Ma che freddo fa. È come rivedere la ragazza ribelle che negli anni ’60 bucava lo schermo con la sua diversità, con i suoi capelli lunghi, con il volto ombroso, volutamente lontano dalle luci della ribalta.

Una ragazza che ha ballato, nella disperazione di un amore, fra le stelle accese. È tornata sulla terra, ha abbracciato i fantasmi della solitudine, li ha condotti con sé negli abissi.

Risalendo, li ha esorcizzati, trasformandoli in ricordi da accendere davanti a un fuoco o distesa su un prato, in una sera senza pioggia. Un’artista che non vuole gentilezze, solo verità. Una donna che arriva dritta al cuore, proprio per questo.

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Big Time

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13167,13161,13163,13159,13164,13166,13162,13165,13160″][/vc_column][/vc_row]

Giorgia @ Grana_Padano_Arena

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• Giorgia •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

Grana Padano Arena (Mantova) // 13 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a VIVO Concerti | Words For You

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Foto: Mirko Fava

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13156,13150,13151,13152,13149,13148,13155,13153,13154″][/vc_column][/vc_row]

Aspettando Game of Thrones

•Quando i camei musicali approdano a Westeros•

 

L’inverno sta arrivando. No, non mi sono bevuta il cervello ma i milioni di fan che stanno aspettando con trepidazione l’arrivo dell’ottava, ed ultima, stagione di Game of Thrones sono certa che mi capiranno.

Otto anni. Otto intensi inverni che ci hanno tenuti incollati allo schermo regalandoci gioie (poche) e traumi (tantissimi).

Tutti, volenti o nolenti, sono a conoscenza delle vicende e dei personaggi che abitano il mondo inventato dalla penna di George R. R. Martin. Tutti, anche solo per sentito dire, conoscono vicende, protagonisti e persino modi di dire che vengono proprio da Il Trono di Spade.

Nessuno è rimasto immune al suo fascino, nemmeno le star. Numerosi cantanti, più o meno famosi, sono rimasti affascinati dalle vicende di Westeros e dalla corsa all’ultimo sangue per ottenere l’ambito trono.

Alcuni di loro, i più fortunati, sono persino riusciti a vestire i panni di alcuni dei personaggi e a ricoprire un ruolo attivo all’interno delle vicende narrate.

In questo articolo vedremo chi e quando si è calato nell’atmosfera dei Sette Regni.

Prima stagione, primo trauma e prima guest star musicale.

Tutti ci ricordiamo quando Ned Stark è stato decapitato da Illyn Payne. Tutti siamo rimasti sconvolti, nonostante il fatto che fosse interpretato da Sean Bean potesse farci capire che il lieto fine, per lui, non era previsto.

Quello che forse abbiamo rimosso però è che a calare la spada sulla testa del protettore del Nord sia stato Wilko Johnson, a lungo membro dei Dr. Feelgood.

Questo evento però ci ha fatto capire qual è l’unica regola per un fan di Game of Thrones: MAI affezionarsi ad un personaggio.

Dobbiamo aspettare l’ultima puntata della terza stagione per assistere ad un nuovo evento traumatico, persino più destabilizzante della decapitazione del buon Ned. Sto parlando delle nozze rosse; quando metà della famiglia Stark viene trucidata durante il corso di un ricevimento nuziale.

Noi fan quando sentiamo Le Piogge di Castamere, avvertiamo un brivido lungo la schiena perché le note ci riportano alla mente la fine di Rob. A suonare al matrimonio però era stato chiamato un bardo di tutto rispetto: Will Champion dei Coldplay. Il batterista interpreta uno dei musicisti/assassini assoldati da Lothar Frey per assassinare gli Stark.

Nella stessa stagione, nel terzo episodio, troviamo anche un altro ospite Gary Lightbody degli Snow Patrol. Il cantante interpreta un soldato dei Bolton e intona la ballata The Bear and the Maiden Fair.

Nuova stagione, nuove nozze, nuova morte. Il secondo episodio della quarta stagione è incentrato sul matrimonio tra Joffrey Baratheon e Margaery Tyrell.

Al Royal Wedding di Westeros non potevano certo suonare gli ultimi arrivati e, per questo motivo, ad allietare la giornata con musiche e balli sono stati chiamati nientepopodimeno che i Sigur Ros. Vi do un consiglio spassionato; se volete un matrimonio felice io, visti i risultati, mi rivolgerei ad un’altra band.

 

DSC 7993
I Sigur Ros durante un concerto. Foto di Francesca Garattoni

 

Nella quinta stagione i Bruti iniziano a ricoprire un ruolo più importante, quando Jon Snow decide di provare a fondare un’alleanza con loro. Fuori dalla Barriera troviamo un’intera band metal, quella dei Mastodon, a interpretare un gruppo di Bruti. Ovviamente nemmeno per loro c’è stato un lieto fine: dopo essere stati uccisi sono stati trasformati in Estranei.

Nella stessa stagione la piccola Arya decide di darsi all’arte dedicandosi alla recitazione ed entrando a far parte di una compagnia teatrale. Durante gli spettacoli, è presente una band che accompagna le performance degli attori sul palco; si tratta degli Of Monsters and Man che hanno preso parte a ben tre episodi.

Nella settima stagione troviamo il cameo più chiacchierato della serie, che ha anche causato un caso mediatico. Ed Sheeran nei panni di un soldato Lannister canta una canzone ad Arya, che ricorda la relazione tra Tyrion Lannister e la prostituta Shae.

 

IMG 20190410 224615 min

 

Il cameo non è stato apprezzato da molti fan, che lo hanno visto come una forzatura non inerente alla storia, che  hanno preso di mira l’account Twitter del cantante che si è visto costretto a chiuderlo per alcune ore.

Quelli elencati fino a qui sono solo dei piccoli camei ma, in realtà, alcuni cantanti sono entrati in pianta stabile nel cast della serie.

Joel Fry degli Animal Circus ha impersonato Hizdar zo Loraq uno schiavista di Mereen intenzionato a sposare Daenerys (nella quarta e nella quinta stagione).

Natalia Tena, volto già conosciuto per Harry Potter, ha interpretato Osha. Nonostante la sua fama sia legata principalmente al mondo della recitazione è anche la cantante dei Molotov Jukebox.

E poi c’è Verme Grigio, l’Immacolato innamorato della bellissima Missandei . L’attore che lo interpreta è Jacob Anderson, conosciuto nel mondo del R&B con lo pseudonimo di Raleigh Ritchie.

Questi sono solo alcuni dei musicisti, più o meno noti, che hanno preso parte a questa serie, che ha segnato un’intera generazione di persone, tenendoci incollate ai teleschermi e insegnandoci a evitare gli spoiler. 

Dopo otto stagioni l’inverno è finalmente arrivato e noi, domani, lo aspetteremo con il fiato sospeso e i pop-corn alla mano.

E voi per chi fate il tifo? 

Laura Losi

The Zen Circus @ PalaDozza

[vc_row][vc_column][vc_column_text]

• The Zen Circus •

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435921124{margin-top: 20px !important;margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row css=”.vc_custom_1552435940801{margin-bottom: 20px !important;}”][vc_column][vc_column_text]

PalaDozza (Bologna) // 12 Aprile 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Ci sono situazioni nelle quali scrivere un report è piuttosto difficile. Difficilissimo anzi, non difficile, nonostante la presenza fisica e mentale sia al 100% durante l’intero corso delle venue.

Questo accade, sicuramente accade a me, con quelle band che hanno sempre qualcosa di importante da dire e che mi toccano ad un livello profondo, proprio lì dove vivono e coesistono i tuoi valori e le basi fondanti su cui si sviluppa l’intero arco di una vita.

Ho il grande rimpianto di non aver mai imparato a suonare uno strumento e di non essere quindi in grado di partecipare alla magia e alla splendore che è la creazione musicale.

Oppure a scelta, posso prendere dei piattini o un triangolo e mettermi all’angolo sperando di andare a tempo, perchè l’opzione canto non è da prendere in considerazione.

Ad un concerto quindi non solo ascolto e osservo, ma “invidio” anche quelli che sono sul palco. Li invidio e li ammiro e se riescono anche a catturare ogni mio respiro, allora hanno vinto e li ricorderò per sempre.

Assistere ad un live degli Zen Circus rapisce con la potenza di una manifestazione in piazza. Ti strappa la mente dall’amarezza quotidiana e ti costringe a fare a pugni con la voglia di ridere e di piangere a ripetizione. Ma tu resisti e non piangi, così, giusto per non sembrare bipolare.

La musica, la presenza scenica, le parole delle canzoni, la dirompenza delle idee e il coraggio di metterlo nero su bianco fanno di questi musicisti dei professori moderni.

Degli attuali Robin Williams che ti spiegano la realtà e poi ti interrognano senza mai assegnare a nessuno un 30 e lode perché sarebbe troppo e la vita reale può arrivare piuttosto ad un 29 e mezzo.

Inoltre, come se non fosse già tanto, sul palco sfilano nomi come Nada e i Tre Allegri Ragazzi Morti tra gli altri, in un Palazzetto pieno che nemmeno si aspettava uno show così potente.

Esci portando con te l’energia con la quale Appino ti urla “sei l’unica, sei il sole”, perché la dittatura dell’amore è spiazzante quanto violenta in ogni esternazione.

Unica nota dolente di una bomba atomica di serata è l’audio del PalaDozza di Bologna che non è dei migliori, anche se in fondo gli Zen sono comunque arrivati.

BOOM!!!

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Big Time

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Sara Alice Ceccarelli

Foto: Alessio Bertelloni

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13136,13134,13138,13140,13135,13144,13141,13143,13145″][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551660750403{padding-top: 0px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”13142,13137,13139″][/vc_column][/vc_row]