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Mese: Agosto 2019

Bay Fest 2019 @ Bellaria – Igea Marina

 

C’era una volta la riviera romagnola la settimana di ferragosto. Le serate in discoteca, le feste nei chiringuitos in riva al mare e il Bay Fest. 

Tra il 12 e il 14 agosto, al Parco Pavese di Igea Marina é andata in scena la V edizione del festival punk rock più amato del nostro paese. La line up ricca, anzi ricchissima, é stata in grado di attirare persone da tutta Italia, anche se sarebbe più corretto dire da tutta Europa.

Varcata la soglia mi sono ritrovata in un marasma di individui completamente diversi tra loro (punk, alternativi, gente in kilt) ma che parlavano tutti la stessa lingua: la musica.

Tre giorni di concerti, uno dietro l’altro, un via vai continuo di performer che hanno riempito le nostre giornate tra un bicchiere di birra e l’altro.

Band italiane e eccellenze internazionali si sono alternate sul palco: nessun ritardo nella scaletta, le performance spaccavano il secondo. Ma andiamo con ordine.

 

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Primo giorno

Con quel misto di eccitazione e trepidazione che accompagna ogni nuova esperienza io e i miei compagni di avventure varchiamo la soglia del Parco. Sembra di essere stati catapultati in un altra dimensione: tutti sono felici e rilassati, pronti a godersi lo spettacolo che sta per incominciare.

Se i presenti sono stati relativamente calmi durante il concerto dei Masked Intruders con i Punkreas ho capito cosa mi sarei dovuta aspettare in quei tre giorni: il delirio.

L’eroe della giornata, per me, è stato Frank Turner che si è lanciato il una performance scatenata che è terminata con lui che ballava tra il pubblico.

Con i Nofx c’è stata una esplosione di grinta. Quando Fat Mike, in abito succinto rosso e capelli azzurri, si è presentato sul palco il pubblico é impazzito. Sotto il palco c’è stata una vera e propria tempesta di sabbia causata dal pogo sfrenato e senza sosta dei fan. C’erano i giovani e i meno giovani ma tutti erano animati dallo stesso fuoco e dalla stessa passione chiamata punk.

 

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Secondo giorno

Per me è stato il migliore di tutto il festival. 

Nonostante i Less Than Jake, i Good Riddance e i Pennywise abbiano fatto un grandissimo show e ci abbiano fatto cantare, ballare e pogare non possono reggere il confronto con i protagonisti indiscussi della giornata: gli Ska-p.

In un mondo dominato dal reggaeton ci pensano loro a ricordarci che la musica spagnola é molto di più. 

Non sono canzoncine che ti tengono compagnia durante le lezioni di zumba o gli aperitivi, gli Ska-p ci sbattono in faccia i loro ideali. La libertà, l’antifacismo, la critica alle tradizioni sbagliate e gli orrori delle istituzioni.

Non sono solo dei cantanti, sono dei veri e propri performer. Il loro non è un semplice concerto è un tripudio di suoni, colori e costumi. Il momento più alto e toccante del concerto si è avuto con Crimen Sollicitationis, la canzone che accusa il Vaticano per aver coperto i preti pedofili. Li, quando un paio di enormi ali nere si sono aperte per far librare in volo il prete corrotto, ho avuto i brividi. Anche il pogo, con gli Ska-p era diverso. Non era una battaglia all’ultimo sangue, é stata una danza. Un ballo tra migliaia di persone, unite dagli ideali di pace e antifascismo della band. Da El Gato Lopez fino al grido di Insistimos de El Vals De L’obrero non c’è stato un momento di pace. Ah, vi ho detto che in tutto questo il buon Pulpul ha cantato su una sedia a rotelle? Eroi.

 

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Terzo giorno

Ultimo giorno, stanchi e provati dal viaggio, dai concerti precedenti e dalle partite di beach volley arriviamo al parco Pavese. Non ho più voce, uno dei miei compagni di viaggio si è rotto il dito di un piede. Sembriamo reduci da qualche battaglia ma non basta certo così poco a fermarci. É la sera degli Offspring, uno dei miei gruppi preferiti. Gli Shandon ci danno la carica che ci serve per affrontare al meglio questa serata. Sangue e Lava dal vivo é da brividi. Il pomeriggio scorre tranquillo. I Dead Kennedys scaldano il palco in attesa degli headliner e si fanno amare. Il loro frontman é uno showman: balla e dialoga con il pubblico.

Poi è il loro turno, gli Offspring stanno per arrivare. Me la sento e decido di puntare alle transenne: sono una povera illusa. Quando i californiani salgono sul palco, e partono le prime note di Americana, il pubblico impazzisce e inizia a pogare senza sosta. E io sono lì, bloccata nel mezzo. Mi sono dovuta dare alla fuga prima della fine della canzone. Bilancio: un livido sulla schiena e moroso disperso. Non male.

Gli Offspring mi sono sembrati decisamente sottotono e fuori forma, per non parlare del fatto che Dexter non riesca più a raggiungere determinate tonalità. Tuttavia sono riusciti a farci cantare e ballare, come fanno da 20 anni a questa parte.

Questo è quello che è successo al Bay Fest. 

Una festa, in puro stile romagnolo dove la musica, il divertimento e la solidarietà sono al centro di tutto. 

Un luogo dove nascono amicizie e dove si fanno incontri inaspettati. Un evento in cui anche se vieni sorpreso da un temporale che ti lava da cima a fondo non ti importa perché l’importante è continuare a cantare.

C’era una volta, e per fortuna c’è ancora, il Bay Fest.

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Testo di Laura Losi

Foto di Luca Ortolani | Daniele Angeli (Offspring)

Daniele Silvestri @ Festambiente

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Diodato @ Festambiente

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Mirkoeilcane @ Festambiente

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Bay Fest 2019 • Day 2

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• Bay Fest 2019 •

Day 2

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Bellaria Igea-Marina  // 13 Agosto 2019

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SKA-P

Pennywise

Good Riddance

Less Than Jake

Persiana Jones

Viboras

Joey Cape (Acoustic Stage)

Sam Chalcraft (Acoustic Stage)

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Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad Hub Music Factory

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Bay Fest 2019 • Day 1

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• Bay Fest 2019 •

Day 1

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Bellaria Igea-Marina  // 12 Agosto 2019

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NOFX

Sick Of It All

Frank Turner

Masked Intruder

Punkreas

All Coasted

Dave Hause (Acoustic Stage)

Mike Noegraf (Acoustic Stage)

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Foto: Luca Ortolani

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie ad Hub Music Factory

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P0P al Goa Boa • Episodio VI: Izi

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P0P al Goa Boa

 

Episodio VI: Izi

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I NOP e la riscoperta del sano rock italiano

“Ciao mi chiamo Francesco sono il cantante dei NOP e questo è il nostro singolo…”

Ecco come ho conosciuto la musica di questi cinque ragazzi bolognesi che prima di essere una band sono soprattutto un gruppo di amici e sono Francesco Malferrari, Claudio Bizzarri, Gianluca Davoli, Marco Righi e Andrea Pirazzoli, ed ecco come ho scoperto il loro singolo Le strade di Bologna. 

Ricordo di aver pensato due cose dopo il primo ascolto… La prima è stata: “Che bravi!” e la seconda è stata: “Finalmente qualcosa di diverso”. Sì perché ascoltare qualcosa di diverso da quello a cui ci stiamo abituando è davvero cosa rara, così com’è raro trovare qualcuno che faccia musica nel vero senso della parola. Se Spotify avesse tra le sue play list una Scuola Rock e non solo una Scuola Indie, i NOP ne farebbero sicuramente parte.

Con loro è possibile staccarsi completamente dalla massa e da quell’ammasso (se così possiamo definirlo) di musica che sembra non avere neanche più un confine. Che fine ha fatto il vero pop, ma soprattutto che fine ha fatto il vero rock italiano? Mettendo da parte le domande sulla fine dei vari generi musicali, con quella creata da questi ragazzi è possibile ritrovare gran parte di ciò che sembra apparentemente perso. E’ possibile intravedere e  ritrovare quel confine che delinea ciò che fanno gli altri da ciò che fanno loro, ma soprattutto è possibile ricaricare le batterie e allo stesso tempo lasciarsi “coccolare” da testi che vanno a toccare corde profonde dell’anima, come il loro secondo singolo L’unico per te

Dopo anni di gavetta, prove e live, questi due singoli rappresentano solo l’inizio di una nuova storia tutta da scrivere che prenderà definitivamente forma con l’uscita del loro album di debutto, ma lasciamo che siano loro a raccontarci qualcosa in più…

Partiamo dal “punto zero” che comprende la scelta del vostro nome e della vostra formazione, siete stati immediatamente i NOP di nome e di fatto oppure c’erano in ballo altre opzioni? E chi sono i NOP prima di essere una band nella vita di tutti i giorni?

Noi eravamo NOP anche prima di essere NOP, anche se non lo sapevamo ancora! A parte gli scherzi siamo arrivati a questo nome dopo aver scartato, come da migliore tradizione, fantasiosi acronimi dei nostri nomi e cognomi o inglesismi legati ai nostri studi scientifico-chimici. Quando poi ci siamo resi conto che la N, la O e la P sono le lettere centrali dell’alfabeto, abbiamo capito di aver trovato il nome giusto. È solo guardando le cose dal centro, equidistanti dagli estremi, che si può̀ raccontare la totalità delle emozioni. E questo è ciò che cerchiamo di fare con la nostra musica, che rappresenta un pezzo importantissimo della nostra vita. Ovviamente ognuno di noi ha un lavoro che occupa la maggior parte delle ore del giorno: nel nostro “menù” abbiamo un proprietario di una palestra, un ingegnere elettronico e uno chimico, un sistemista e un comunicatore che lavora in ambito politico-amministrativo. Insomma, ce n’è per tutti i gusti

Nel panorama musicale attuale siete sicuramente una sorta di “voce fuori dal coro” per il vostro genere musicale che riporta un po’ a quel sano rock italiano attualmente quasi inesistente tra gli artisti e band emergenti, quali sono secondo voi i vantaggi e gli svantaggi sotto questo punto di vista?

Il primo e più grande vantaggio è sicuramente che riusciamo a suonare la musica che amiamo. Ciascuno di noi viene da culture musicali molto eterogenee, che vanno dal metal al cantautorato italiano, ma riusciamo nel nostro genere, come dicevi tu un po’ “fuori dal coro”, a fondere i diversi stili. Sicuramente il rock, nonostante stia un po’ riemergendo, non è il genere più in voga in questo momento. E sicuramente suonare un genere non “alla moda” rischia di tagliarti fuori da molte opportunità. Ma è altrettanto vero che, in un mondo di trap e indie, se senti un gruppo rock bravo vieni colpito e poni più attenzione nell’ascolto. Ma, ripeto, dietro alla nostra scelta non c’è alcun calcolo utilitaristico: semplicemente suoniamo il genere che amiamo. Il Rock, con la sua forza, pensiamo riesca a rappresentare al meglio le emozioni, sia quelle belle che quelle brutte. Quelle forti, che ti cambiano. Quelle genuine.

Dal primo singolo “Le strade di Bologna” al secondo “L’unico per te” c’è un’enorme differenza soprattutto per quanto riguarda i testi, chi è la penna del gruppo? Vi è capitato di scrivere qualcosa tutti insieme?

Inizialmente Frizz (il cantante), ma negli ultimi anni moltissimi brani sono nati anche dalla penna di Riguz (il bassista) e un paio anche dalla penna di Bizzo (il chitarrista). Poi quei brani, un po’ grezzi, arrivano in sala prove e insieme li stravolgiamo, li modelliamo e insieme li rendiamo nostri. Ogni volta ogni membro dei NOP riesce a mettere la propria cifra distintiva all’interno di un nuovo brano.

 

per presskit3 1

 

Siete una band composta da 5 componenti e suppongo sia difficile mantenere un equilibrio e trovare sempre un punto d’incontro, chi di voi è il più bravo a scendere a compromessi e chi invece è quello che crea più “casini”?

Tu lo sai vero che questa domanda sta già provocando delle discussioni, vero? No, a parte gli scherzi la forza del nostro gruppo è che prima di essere una band siamo un gruppo di amici. Veri, senza infingimenti. E quindi quando ci sono dei momenti di discussione, ed è inutile negare che capiti, ci troviamo davanti ad un mc chicken o ad una birra e ne parliamo, da amici. E andiamo avanti più forti di prima. Ah, comunque il diplomatico della band è Frizz (il cantante), ça va sans dire e il più schietto Bizzo (il chitarrista).

Avete avuto modo di esibirvi nella vostra città (Bologna) in occasione del primo maggio, quali sono state le sensazioni pre e post live e qual è il palco sul quale un domani sognate di salire?

Un’emozione immensa. Davvero immensa. Lasciamo a voi immaginare cosa possa significare per 5 ragazzi di 28-30 anni che fanno musica, nati e cresciuti a Bologna (e follemente innamorati di questa città), suonare per ben due volte consecutive nel giro di due anni sul palco di Piazza Maggiore. Quando sali su quel palco vedi da un lato San Petronio in tutta la sua bellezza, dall’alto “al Zigànt” (la statua del Nettuno) e davanti a te la Piazza piena di gente. A quel punto sai che devi goderti quel momento fino all’ultimo istante. E dopo Piazza Maggiore ora bisogna puntare allo Stadio Dall’Ara. Tanto sognare è gratuito!

Avete annunciato l’uscita del vostro primo album, potete svelarci qualcosa in più? Sarà un giusto mix romanti-rock?

Sarà un album da vivere tutto di un fiato, dal primo al decimo brano. All’interno ci saranno canzoni per innamorarsi, per ridere, per saltare, per commuoversi e per emozionarsi. D’altronde non potrebbe essere altrimenti: contiene 8 anni della nostra vita artistica insieme. Ci stiamo lavorando notte e giorno e non vediamo l’ora di farlo ascoltare.

Fare musica per voi è…

Emozionare. Ma prima di tutto emozionarci. E capita magicamente ogni volta che Piraz batte i 4 con le bacchette e dà il via ad un live.

 

La verità è che i NOP ad un primo ascolto potrebbero ricordare sonorità familiari, dei chiari richiami a quel sano rock tutto italiano che purtroppo negli ultimi tempi sembra essersi quasi perso, ma poi arrivano loro a ricordarci cosa vuol dire mettere insieme chitarre e batterie e fare musica, ma farla davvero. Insomma potrebbero essere “paragonati” a diversi artisti dello stesso genere, in realtà ascoltandoli ci si rende conto che sono semplicemente loro.

Sono semplicemente i NOP.

Claudia Venuti

 

Easy Star All Stars @ Villa_Ada

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• Easy Star All Stars •

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Villa Ada (Roma) // 01 Agosto 2019

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Foto: Simone Asciutti

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Grazie a Barley Arts

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Diario di una Band – Capitolo Nove

“Stare lontano da lei non si vive, restare senza di lei mi uccide”

 

Lucio Dalla

 

 

Ti affezioni a certi oggetti, a certe semplici abitudini, a certi gesti. Ti affezioni nel prendere la via dell’ordinario senza snaturare, sgretolare e inaridire giornalmente lo stimolo di fare.

Suonare uno strumento non è del tutto un gesto meccanico, nemmeno sempre un rito sacro per carità. Suonare uno strumento è un collage di situazioni, condizioni e stati mentali, correlati indissolubilmente anche allo stato fisico. Lo paragono a volte al modo in cui scendevo in campo nel mio passato calcistico. Che sia stato allenamento o partita ufficiale, ogni primo passo e ogni prima palla toccata, ogni prima giocata, sanciva il tipo di relazione mentale che avrei avuto da li alla fine dei giochi.

Cosi succede per la prima pennata sulla chitarra. Lo senti il manico, se morbido o ostile, le senti le dita della mano che scandiscono il ritmo, se seguono la linearità del vento oppure no, lo senti il feeling con lo strumento, un po’ come appoggiare l’orecchio sul petto dell’amata e sentirne il pulsare del cuore, capendo che quel frangente di tempo è perfetto cosi e nessuno te lo potrà portare via.

E penso probabilmente in maniera folle o del tutto surreale che spesso sia proprio la tua “arma” spara note a dettarti i tempi, a darti e trasmetterti quel che ti manca in corpo in quel preciso momento, un po’ come ad accompagnare lentamente la palla in rete sulla linea di porta dopo un assist al bacio di un compagno di squadra (se vogliamo ritornare nella metafora calcistica).

Hai magari fatto una partita imbarazzante fino a quel momento ma l’aver insaccato quel pallone, palesemente per meriti che ti appartengono ben poco, fa decollare il match nel corpo e nell’anima, e da quel punto la musica cambia, la scossa è arrivata, si cambia registro, arriva qualcosa a compensare il vuoto di giornata.

Ed è cosi con lo strumento quindi, capisci che ti trasmette , che ti parla, probabilmente rendendoti indietro quello specchio di intensità e passione datole in precedenza.

Mi ha sempre affascinato e davvero mi ha illuminato di vita una leggenda giapponese che narra un concetto molto semplice ma che se preso sul serio rischia veramente di farti vedere il mondo con un’altra ottica. La storia vuole semplicemente dare un’anima alle cose, agli oggetti. Un’anima toccata dalle tante o poche persone che ne hanno fatto o ne fanno uso. Può sembrare pazzia, ma ripeto che lo è per chi si adegua a rispettare regole morali fondate sulla moderazione dell’anima.

Questa per me è divenuta una certezza abbastanza consolidata e a dir la verità è una convinzione che permette ai miei momenti di out cosmico di non sentirmi mai veramente solo. Mi incentiva all’applicazione pensare e credere che la mia chitarra preferita, storica (per giunta giapponese) ha la facoltà di sentirmi e consigliarmi, seguirmi ed aiutarmi, capirmi e perdonarmi.

Emma, questo è il suo nome.

Lei è una modestissima Takamine acustica, amplificata, mancina. Una chitarra semplicemente onesta, adatta perfettamente a me che sono un musicante che canta canzoni proprie in chiave punk folk, ma con la vena cantautorale stretta al nodo dell’orgoglio.

Chitarra che non si esalta in troppi virtuosismi, ma lo fa in linee guida che facciano da cuscino alle parole per renderle più morbide possibili. Legno chiaro, un’”ascia” normale che però nel corso di questi anni ha raggiunto una maturazione d’esperienza importante, trasformandola per me in un sacro e venerabile prolungamento del mio essere.

Ne ha viste più o meno di cotte e di crude in questo lasso di tempo e mi chiedo alle volte cosa racconterebbe se avesse la facoltà di parola per solo dieci minuti. E qui un classico legame “professionale” o di circostanza diviene un rapporto vero, legame profondo, una promessa reciproca che regala alla passione, al progetto, che poi è semplicemente la tua vita, una vena poetica e romantica.

Il tempo passato assieme, dai primi palchi blasonati, alle serate a chilometri infiniti da casa per esibirsi davanti a nessuno. Alle serate al fiume, alle giornate nel bosco, agli acustici col side project cantando i brani dei cantautori della mia vita. Alla “Pasquella”, vero e proprio rito sacro musicale Romagnolo nelle notti del 5 e 6 gennaio, ai campeggi estivi ed invernali, ai video clip girati in ogni condizione atmosferica, ai matrimoni degli amici, alle notti insonni a casa e a tutte le prove di questi anni.

Sommersa di risate, sommersa di lacrime, sommersa di gioie ma anche di tanto odio tramutato poi in ispirazione e necessità di emergere da ceneri un po’ troppo dense. Parte della famiglia insomma, parte di un modo di pensare e parte integrante di ogni ricordo che meriti di essere scalfito nel firmamento della memoria. Posso dire, appellandomi alla questione che ho esposto in precedenza che la mia chitarra mi conosce come un fratello o una sorella, nell’intimo, nella profondità del labirinto che traccia l’impellenza di fare musica.

Il principio di condivisione spinge ad affezionarsi e a legarsi per la vita a certe cose, per questo rimarrà sempre con me anche quando sarà ora di congedarla. Non puoi essere indifferente a questo se vivi coi nervi scoperti la musica come un’attitudine, come dovrebbe essere vissuta la politica per capirci bene, senza fini, se non quelli del benessere personale e comune.

Sarà difficile mandarti in pensione mia cara, ma l’usura e il tempo stanno parlando chiaro. Mi accorgo però del tuo sforzo, noto realmente che in certe situazioni chiedi una tregua, me lo fai capire e sento la stanchezza nel tuo corpo di legno che no sarà mai solo un involucro di suoni senza linfa.

Dopo mille revisioni, botte, sudate e sventagliate di sangue, cerchi la tua giusta cerimonia di chiusura, pronta per essere appesa al muro della stanza più importante di casa, in modo da essere sempre sotto la supervisione del mio sguardo, in modo che nei momenti di solitudine possa parlarti in maniera franca come fatto fino ad ora.

Può sembrare una cosa da matti parlarti, ma in fondo, chi sono realmente i normali?

Non di certo noi, e nemmeno vogliamo esserlo, per questo anche se le tue corde andranno a risuonare sempre meno e non sarai più cosparsa di birra e sudore, tu sarai sempre la mia fedele compagna di viaggio. Per sempre mia cara Emma, fedele ed intramontabile amica.

 

 

VezBuzz: i Gorillaz e il teasing tecnologico per l’uscita di Humanz

Esiste qualcosa di più coerente di una band virtuale che decide di stuzzicare la curiosità dei fan per l’uscita di un disco, unicamente su web e social network? Questo è quello che hanno fatto i Gorillaz, la band di Damon Albarn, in occasione di Humanz, nel 2017. L’album arrivava dopo un silenzio durato anni e nell’aria si respirava tutta l’elettricità tipica dei grandi eventi, ma andiamo con ordine: i Gorillaz sono nati dall’estro di Albarn e del fumettista Jamie Hewlett.

Il progetto “Gorillaz” è uno dei più riusciti e interessanti della musica pop degli ultimi venticinque anni, il loro primo album uscì nel 2001 e da allora non si smise più di parlare di questa band composta da personaggi disegnati: 2D, Murdoc, Noodle e Russel Horbes.

Già di per sé sarebbero un interessante caso di buzz: una band “animata”, guidata dal genio del britpop, che nei primi anni Duemila ipnotizzava con i loro videoclip, su MTV, me e tanti altri adolescenti e che non si è mai mostrata al pubblico se non dietro a fumetti animati, perfino ai concerti.

Arriviamo all’uscita di Humanz. Il 2017 è stato l’anno di Instagram, con milioni di utenti iscritti in più rispetto al passato. Una crescita verticale e vertiginosa che avrà convinto Damon Albarn e i suoi a coinvolgere proprio questa piattaforma per il lancio del loro ultimo lavoro. Le possibilità offerte dai social, per una band come i Gorillaz, sono ovviamente infinite. Il “semplice” lancio di un album può diventare un’occasione virale irripetibile.

La promozione del disco iniziò molti mesi prima della sua uscita. Su Instagram la band, dopo aver creato un account ufficiale, iniziò a postare con costanza immagini che ripercorrevano la strada fatta, a partire dalla loro nascita. In sole 24 ore si unirono al profilo ben 300.000 followers. Nel mese di Marzo venne annunciato post dopo post, lettera dopo lettera, il nome del nuovo album.

Ma non si sono fermati qui: l’aspetto visual ha guidato anche tutte le successive pubblicazioni, nelle quali venivano date informazioni enigmatiche sul nuovo lavoro.

I Gorillaz, sempre un passo avanti a tutti per quanto riguarda la sperimentazione di nuove tecnologie, hanno ben pensato di accompagnare i quattro singoli estratti dall’album – Ascension, We Got the Power, Saturnz Barnz e Andromeda – con videoclip in realtà virtuale per permettere ai propri fan di immergersi ancora di più nel loro mondo. I video interattivi hanno atmosfere cupe e sono pieni di demoni e case stregate.

Damon Albarn ha spiegato poi, in un’intervista rilasciata all’emittente radiofonica della BBC, di aver scelto questo tema per l’album a causa di una riflessione fatta sulla vita moderna: “gli umani sono in transizione, si stanno trasformando in qualcos’altro” disse, “l’album proviene da questa fantasia oscura. Immagina la cosa più strana e imprevedibile in grado di cambiare il mondo.

Come ti sentirai quella notte? Uscirai? Andrai a ubriacarti? Resterai a casa e guarderai la TV? Ha un’atmosfera interessante questo disco, perché è festaiolo. È un disco da club, ma ha anche questa strana oscurità”. A questo si aggiunge anche la Gorillaz App, una delle prime app ad utilizzare la Realtà Aumentata e gli ambienti 3D in un contesto narrativo.

Tramite l’app all’uscita di Humanz, il 28 Aprile, gli utenti hanno potuto partecipare ad uno speciale “party”: un evento mondiale ed esclusivo che ha permesso di ascoltare per la prima volta e per intero il nuovo album. L’esperienza condivisa tra gli utenti ha dato vita al più grande ascolto collettivo localizzato, che ha messo in contatto fan della band provenienti da 500 diverse location in tutto il mondo.

L’uscita di Humanz è stata anche l’occasione per intrecciare collaborazioni con tante interessanti realtà tecnologiche, ma non solo. Oltre alla Gorillaz App ne viene lanciata anche un’altra, in collaborazione con Electronic Beats: Lenz App. Gli utenti potevano visualizzare contenuti della band puntando con il proprio dispositivo su un qualsiasi oggetto color magenta, oppure con il servizio di streaming musicale, Pandora Premium. Fu infatti creata una playlist di artisti che li hanno ispirati per la scrittura del nuovo disco.

L’iniziativa prese il nome di “Sounds like Gorillaz”. Senza poi dimenticare la collaborazione con Red Bull, che ha organizzato un vero e proprio festival, chiamato Demon Dayz, per celebrare l’uscita del disco, e che per l’occasione ha anche creato un’uscita speciale di Red Bull dal design customizzato.

 

Daniela Fabbri

“Night club” di Jacopo Et: l’avanguardia del dance pop contemporaneo

Nato a Forlì, ma formatosi nell’ambiente musicale bolognese, Jacopo Ettorre, in arte Jacopo Et, riporta in auge la sfrontantezza tipica del ragazzo di provincia.

Cresce infatti a San Ruffillo, in quel bar dove le giornate scorrono fra motorini, discussioni sul calcio e litri di birre industriali.

Jacopo Et nasce musicalmente l’11 maggio del 2018 con l’uscita di “Fulmini”, che nei mesi successivi viene seguita da “Fuori”, “Golf”,“Grattacieli” (feat. Kharfi) e “Buio”.

Ciò che gli preme è esprimersi liberamente, raccontando quello che lui ama chiamare “il lato oscuro della provincia”, in cui si scovano personaggi tutt’altro che politically correct e viene scansato arduamente ogni falso buonismo.

Lo scorso 19 luglio, distribuito dall’etichetta Fulmini Records ed edito da Sony ATV, è uscito il suo nuovo singolo “Night club”, prodotto da Gabry Ponte, che lo ha affiancato anche nella stesura degli arrangiamenti. Ai mix & master c’è invece la mano di Patrizio Simonini, già noto per il sodalizio con artisti del calibro di Tiziano Ferro, Jovanotti, Franco Battiato.

Non passa affatto inosservato l’artwork, che è stato abilmente realizzato dall’eclettico fumettista Maurizio Rosenzweig.

Il pezzo, “orgogliosamente tamarro”, da un lato richiama uno dei film più cari all’artista, ossia “Fight club” di David Fincher, dall’altro mette in evidenza il tema della notte, uno dei fili conduttori del progetto.

Jacopo Et, in quanto figlio musicale degli 883, ci tiene a sottolineare come questo brano sia inoltre una risposta alla domanda “Come sarebbe stata la regina del Celebrità se fosse stata al Pepe nero?”. Per chi infatti conosce “La regina del Celebrità” degli 883, non può non saltare all’occhio la citazione, che diventa esplicita nel verso che recita“Senza pietà”.

Il fil rouge che lo unisce agli altri brani è decisamente la musica elettronica e l’evidente passione per la retrowave e per la synthwave, per Kavinsky e Perturbator.

Il suo è un progetto che è difficilmente ricollegabile a qualcosa di già presente sulla scena musicale, infatti l’artista rifugge qualsiasi etichettatura o categorizzazione.

Molto atteso è l’EP, che, in uscita venerdì 26 luglio, conterrà anche tre brani inediti: “Benzinaio”. “Luci”, “Cani randagi”.

Si conclude così il primo ciclo del percorso artistico di un ragazzo che, con un mix letale di provincialismo applicato ad un accenno di musica pop elettronica e una buona dose di arroganza benevola, tenta di fare del pop senza parlare di lacrime, abbandoni o addii.

 

Greta Samoni

 

 

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