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TOdays 2023 • Day 3

La terza sera ha due protagonisti.
La pioggia, che decide di non perdersi lo spettacolo, accompagnandoci per sei ore senza mai far mancare la sua gradita presenza, e la festa, perché alla fine, nonostante tutto, è stata un meraviglioso pool party senza piscina.
È un peccato la scarsa affluenza di pubblico, ma comprensibile, dato il meteo avverso. Nonostante questo i Porridge Radio suonano un set lunghissimo e pieno di energia. La band inglese, capitanata da Dana Margolin, nasce a Brighton dopo una lunga gavetta nelle serate open-mic. Hanno all’attivo due LP, e il loro ultimo lavoro, Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky, è presente nella mia personalissima top 5 degli album del 2022, sia messo agli atti. Sono indie nel genere, indie nello stile, indie nell’attitudine. Non è un caso se solo per loro venga rispolverato il cavo da cento metri per il microfono, quando la Margolin decide di rompere la quarta parete e farsi un giro nel prato. Lo spettacolo però è più sobrio e contenuto rispetto al satiro Tim Harrington. 

Il premio Mercuzio di Romeo + Juliet va agli Ibibio Sound Machine. Sobri come al carnevale di Notting Hill (che tra l’altro cadeva proprio domenica), la band londinese ha fatto ballare tutto il prato del TOdays.
L’improbabile uomo di mezza età che reggeva un sax vestito da commerciante di spezie al mercato di Stone Town è in realtà uno dei fondatori della band, insieme ad altri due eroici produttori. L’idea di base era unire afro-beat anni ottanta con un po’ di drum-and-bass anni novanta, qualche potente riff funk, alcuni riferimenti al folk nigeriano e qualunque altra cosa non stonasse, come ad esempio citare Zangalewa, superhit camerunense, a noi nota grazie a Shakira e alla coppa del mondo del 2010.
La maestra di cerimonia è Eno Williams, carismatica, danzante signora di nostro carnevale. Sono una esplosione di colore e musica, tanto che il pubblico decide di adorarli nei primi dieci secondi, senza riserva e arrendendosi alla pioggia, ormai costante presenza della serata. La serata finale del TOdays promette umidità ed ecclettismo, in egual misura.

Avevamo appena finito lo stretching dopo l’ondata afro-beat quando veniamo investiti da un’esplosione franco-funky, nel momento stesso in cui sul palco salgono i parigini de L’Imperatrice, sei giovanissimi che chiudono proprio ai TOdays un tour durato due anni, che li ha visti protagonisti al Coachella, Rock en Seine, Lowlands, Primavera.
Un wahwah. Ecco cosa rimane dopo la loro esibizione. Wahwah a pioggia, una quantità di disco anni settanta e di puro, grasso, untissimo funk vecchia maniera. Si comprenda, il tutto passato per l’omaggio quasi programmatico ai mostri sacri d’oltralpe, Daft Punk e Air sopra tutti, ma l’elemento electro non riesce a sovrastare il duo chitarra-basso che fa saltare il prato dei TOdays per tutta l’esibizione.
I ragazzi sono alla festa di fine anno, il party di chiusura di un tour eterno, hanno voglia di divertirsi e risultano, inevitabilmente, contagiosi.

Segue un cambio palco che assomiglia a un trasloco. Elementi scenografici come statue, sedie e scale vengono posizionati in attesa dell’headliner della serata, Christine and the Queens.
Héloïse Adélaïde Letissier nasce a Nantes, trentacinque anni fa. Balla fin da piccolo, formazione classica, poi jazz. Nel 2022, dopo aver sempre definito il suo rapporto con i generi “tumultuoso”, propende per l’uso del pronome maschile. Anche i nomi cambiano, da Christine passa a Chris, poi Rahim, diventa anche Sam le pompier e Redcar, per gli amici Red. È una ricerca irrequieta, artistica e identitaria, che marcia parallela al suo percorso artistico. 

Percorso che sembra una marcia trionfale, in Francia, Regno Unito, Stati Uniti, insomma, mentre il mondo riconosce a Christine una lista infinita di premi e lo celebra come uno degli artisti più influenti degli ultimi anni, da noi non si è ancora mai esibito. Eppure si tratta di uno degli artisti pop più importanti del pianeta.
A proposito di pop, la critica internazionale ha etichettato il suo genere musicale con un numero imprecisato di declinazioni: pop (liscio), synth-pop, electropop, indie pop, experimental pop, art pop. Lui forse ha fatto centro, quando lo ha semplicemente chiamato freakpop.
Lo show di Christine è una pièce teatrale cantata, in cui scenografia, musica e ballo si mescolano in un flusso ipnotico. Il pubblico rimane immobile a bocca aperta, rischiando pertanto l’annegamento verticale, data la pioggia, ma è davvero impossibile non ammirare quello che accade sul palco. C’è chi, nel prato, non apprezza la nudità di Chris, altri la trovano un’esperienza “passiva” per lo spettatore. La mia personale verità è che davanti a un certo tipo di spettacolo e di arte si cede il passo e si ammira. Di più non è richiesto. Né possibile.
Il TOdays 2023 finisce così, quando Christine esce di lato dal palco sembra la fine di un sogno. Mi giro e vedo persone ancora incantate. Forse finale migliore non si poteva desiderare.
La pioggia mi ricorda che quantomeno avrei l’urgenza di un cambio.
Mi manca già tutto questo.
E l’asticella è già più alta, vi aspetto al varco, pieno di fiducia.
Grazie, anche per quest’anno, grazie.

T-shirt dei Joy Division: nessuna, dispiace ma stasera si balla.
Token in tasca: uno, per ricordo.

Andrea Riscossa

TOdays 2023 • Day 2

Dieci gradi di meno e un sold out annunciato, questo è il sabato dei TOdays. I Verdena in cartellone hanno portato al tutto esaurito e code virtuali, e lo sPAZIO211 inizia a riempirsi fin dall’apertura dei cancelli.
Il primo live di giornata è quello dei Gilla Band, padri del post-punk irlandese, figli del fu myspace e di un mondo che non esiste più. Attivi dal 2011, noti allora come Girl Band, nati con intendo programmatico di essere “a shit version of the Strokes” per stessa ammissione del frontman Dara Kiely. La loro musica è caotica, sfiora il noise, con testi deliranti e geniali. Verso la fine dell’ esibizione una cassa dritta clamorosa annuncia la cover Why They Hide Their Bodies Under My Garage? di Blawan, pezzo che consentì ai ragazzi di Dublino di uscire da myspace e trovare un’etichetta, nel lontano 2013.
Primo momento “caldo” del sabato del TOdays. 

Tutti immobili, come statue greche, davanti allo charme di Anna Calvi e alla sua chitarra. E alla sua voce. E alla sua musica. Del resto per lei si spese, e non poco, un certo Brian Eno che sostenne gli esordi della cantautrice britannica. Poi arrivarono gli endorsement di Nick Cave e David Byrne. E ancora due candidature a BRIT Awards e Mercury Prize.
Ha scritto colonne sonore per film e serie tv (Peaky Blinders su tutte), insomma, non avrebbe bisogno di presentazioni. Ma a colpire non è solo l’eleganza del suo set, il blues declinato in sei gusti e panna montata, è la sua voce a inchiodare il pubblico e piazza note così alte che anche le nuvole si tengono alla larga e ci regalano un live tecnicamente ineccepibile. E tempo stabile almeno per un’ora.

Peaky Blinders in qualche modo collega la Calvi agli Sleaford Mods. Il cantante della band inglese infatti compare in un cameo nell’ultima stagione della serie. I collegamenti però, finiscono qui. Il duo di Nottingham è decisamente agli antipodi del live che li ha preceduti.
Al secolo sono Jason Williamson e Andrew Fearn, hanno alle spalle dodici album, un numero imprecisato di collaborazioni, Prodigy su tutti. Minimalismo radicale, sul palco c’è un laptop e un microfono. Fearn, producer, balla senza sapere che in questo paese abbiamo avuto un Repetto, anni fa. Williamson parla, urla, canta (?) con lo stesso piglio del signore del piano di sopra che, inforcate le ciabatte, scende a spiegarti l’educazione, secondo lui. Spoken-word da pianerottolo, con personaggi usciti da Lock & Stock.
Eppure quello che avviene sul palco è uno show di socialismo in musica elettronica. Perché hanno urgenza di raccontare un punto di vista, denso di significati e di riferimenti. Si parla di lavoro, di weekend da riempire, di orizzonti che non sono più tali perché rimpiccioliti anzitempo.
Detta la loro, chiudono il laptop, lo infilano in uno zaino, salutano e se ne vanno. E io sento di averne ancora bisogno, nonostante abbia consumato i loro album. 

Il prato dello sPAZIO211 è gremito in ogni ordine di posto. Il pubblico ha seguito e sostenuto le esibizioni del pomeriggio, ma è evidente che la folla che si è creata ha una grande voglia di Verdena.
Saranno diciotto canzoni, da quattro album. Sarà una piccola bolgia, sarà una grande madeleine, perché i Verdena sono legati agli anni dell’università, alla fine del decennio musicale più incredibile cui abbia assistito, sono famiglia e ricordi.
Sono fedeli al loro spleen, anche se col tempo migliora nell’arrangiamento, tanto da risultare attraente e forse un po’ autoreferenziale. Il primo caso di meta-spleen che canta sé stesso, o forse canta quello che siamo stati, caricandosi di ulteriore forza.
Perdonate la malinconia davanti al loro live.
Alla fine sono solo serate di inizio millennio e suoni che non si sono mai puliti, voci che non sono mai cambiate, anni mai superati.
Qui dal parterre è tutto, vi chiedo scusa ma mi è entrata una Luna in un occhio.

T-shirt dei Joy Division: sette.
T-shirt dei Mad Season: tre. Fenomeno tuttora al vaglio degli inquirenti. 
Token in tasca: due.

Andrea Riscossa