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Mese: Novembre 2019

Visual Journal vol.3: Spinelli

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• Spinelli @ Serraglio (Milano) // 16 Novembre 2019 •

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Questo mese abbiamo deciso di parlarvi di un nostro amico, Spinelli.

Siamo stati alla terza serata del Culture Club al Serraglio, in cui il primo a salire sul palco è stato proprio Marco Spinelli, accompagnato dal suo immancabile batterista Emanuele Farina.

Con due singoli già fuori, Non Ti Vedo Più e Dopo Una Vita, Spinelli è entrato da poco nella scena indie italiana; prima di essere un cantautore, però, è un videomaker a tutti gli effetti e, ispirandosi a registi come Xavier Dolan e Wes Anderson, cerca di mettere questa sua passione per il cinema anche nella sua musica, realizzando video musicali con una fotografia perfetta e dalla narrazione fantastica.

Il 3 dicembre uscirà il suo nuovo singolo, Paradosso, che possiamo già dirvi essere la vostra prossima nuova canzone indie preferita.

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Testo e Foto: Elisa Hassert

 

PER SCORRERE LE IMMAGINI UTILIZZARE LE FRECCE AI LATI

DA MOBILE SI CONSIGLIA DI RUOTARE IL DISPOSITIVO IN ORIZZONTALE PER UNA MIGLIORE VISIONE DELLE IMMAGINI

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Mika @ Unipol Arena

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• Mika •

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R E V E L A T I O N   T O U R

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+
Wrongonyou

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Unipol Arena (Bologna) // 29 Novembre 2019

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Foto: Luca Ortolani

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Wrongonyou

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Grazie a: Barley Arts

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Il ritorno alle radici dei THINKABOUTIT

Sono nel bel mezzo di un cambio di rotta, i THINKABOUTIT, collettivo di musicisti nato a Bari. Con i due singoli Arturo Gatti e I Fly High hanno anticipato Marea, secondo lavoro in studio in uscita quest’inverno, che rappresenta una decisa innovazione nel loro stile, nonché un ritorno alle loro radici mediterranee. 

Abbiamo fatto due chiacchiere con Claudio, voce del collettivo.

 

La prima domanda volevo farla sul vostro nome, THINKABOUTIT. C’è qualcosa in particolare su cui volete far pensare?

Leggenda narra che, quando abbiamo iniziato il progetto nel 2014, esistesse un gruppo su Messenger che si chiamava “Dobbiamo pensarci”, proprio perché non avevamo idea di quale nome usare. Poi un giorno ci è venuto in mente di tradurlo in inglese, quindi appunto Think About It. Solamente con l’ultimo cambio di formazione — ci siamo sempre considerati più un collettivo che una band statica — abbiamo deciso di riorganizzare il nome in THINKABOUTIT.

 

Il 29 novembre uscirà il vostro nuovo singolo I Fly High. Come lo descrivereste?

È un pezzo molto diverso da Arturo Gatti, il singolo precedente. In un certo senso è più cattivo, perché nasce dalla rabbia e dalla frustrazione che si provano quando ci si rende conto che sono sempre esistiti due tipi di persone. C’è chi lavora e fa sacrifici per guadagnare ciò che ha e chi invece parte già con la tavola apparecchiata e quindi non deve compiere sacrifici. Ad ogni modo, chi segue una strada solo in discesa, non potrà mai godere della stessa vista che avrà invece chi ha dovuto camminare in salita per tutta la vita.

 

Il singolo anticipa Marea, vostro secondo LP. Cosa dobbiamo aspettarci da quest’album?

Marea è il frutto di una pausa di più di due anni in cui ci siamo interrogati molto su cosa siamo e cosa vogliamo comunicare. Ci siamo resi conto che il sound dei nostri lavori precedenti, Sulle Grate e In Secondo Piano, non ci rispecchiava più, quindi abbiamo deciso di iniziare un processo di ricerca sulle nostre radici mediterranee, sia a livello di suoni che di tematiche dei testi. La presenza di alcuni colori sonori, dalla scelta dei suoni alla ricerca di linee melodiche ‘’più nostre’’, sono stati il collante di tutta la ricerca. È un album comunque molto eterogeneo, che mischia l’elettronica alle chitarre, il pianoforte al moog, sonorità calde a fredde. Sappiamo che è un album importante, che può essere ascoltato su più livelli e analizzato sotto vari punti di vista, per questo pensiamo che siano necessari più ascolti per poterlo capire in pieno.

 

I due singoli che avete pubblicato, Arturo Gatti e I Fly High, sono in inglese a differenza degli altri vostri lavori. Come mai questa scelta?

In realtà l’intero album è in inglese, con alcune incursioni più “mediterranee” in alcuni pezzi. Sicuramente durante i due anni di pausa siamo cambiati e il passaggio dall’italiano all’inglese è legato a questo processo, ma è stata una scelta assolutamente naturale. Personalmente, ho sempre scritto e cantato in inglese, in quanto una buona parte della mia vita è stata sommersa da musica anglofona. Non è stata una scelta legata alla logica di mercato, secondo cui scrivere in inglese ti permette automaticamente di arrivare anche fuori i confini italiani, anche se ovviamente ci auguriamo di far arrivare il progetto e i messaggi contenuti nel disco a più persone possibile. 

 

Francesca Di Salvatore

 

Cappadonia “Corpo Minore” (Brutture Moderne, 2019)

Una gemma rara

 

È arrivato il secondo atteso lavoro da solista di Cappadonia, musicista e cantautore che, dopo anni di tour con nomi importanti della scena alternativa del calibro di Pan del Diavolo e Sick Tamburo, ha deciso di esprimere la sua arte in un progetto solista in grado di dare libero sfogo al suo immaginario. Dopo il primo capitolo pubblicato nel 2016 e la parentesi del progetto Stella Maris, esce per Brutture Moderne il suo nuovo album, Corpo Minore. 

Interamente prodotto e arrangiato dallo stesso Ugo Cappadonia, il disco è relativamente breve, nove tracce, ma questo è molto probabilmente un punto di forza. Infatti, una maggior compattezza sonora permette all’opera di essere estremamente incisiva, priva di riempitivi, ogni cosa è essenziale ai fini del racconto. La coerenza del sound si percepisce fin da subito, tutte le composizioni sono guidate dalle chitarre, siano esse acustiche o elettriche, che si stratificano in arrangiamenti curati nel dettaglio. Qua e là troviamo sprazzi di sonorità noise a colorare il tutto, basti pensare alla title track, dove compare come ospite Alessandro Alosi dei Pan del Diavolo, capace di donare al pezzo un’atmosfera decisamente particolare. Il suo sodale compagno di band, Emanuele Alosi, invece, compare in tutto il disco come batterista, e la cosa si fa sentire. Le rullate e i tocchi percussivi sono raffinati e potenti allo stesso tempo, ottimi per accompagnare il crescendo emotivo dei pezzi. Un ulteriore ospite illustre è Federico Poggipollini, storico chitarrista di Ligabue, presente in Sotto Tutto Questo Trucco con un assolo di chitarra immediatamente riconoscibile. Il pezzo è uno dei più rock e tirati del lotto, ha una vera carica esplosiva. In generale, Cappadonia è stato abile nel mantenere nella totalità dell’album un’atmosfera in bilico tra il cantautorato classico e un sound più prettamente rock, piacevolmente calibrato per alternare momenti riflessivi ad altri di maggiore forza e impatto. L’autore è un musicista a tutto tondo e non lesina sul sound design, estremamente a fuoco grazie ad inserti di synth, hammond e piano mai scontati. 

I testi sono piuttosto intimi e personali, riguardano principalmente esperienze di vita dell’artista ma con l’uso di immagini universali in cui è facile riconoscersi. È percepibile grande sincerità creativa, l’insieme tocca le corde emotive giuste fino a farsi quasi catartico. Ciò è possibile grazie alla potenza granitica conferita da Cappadonia ai brani, in un continuo gioco di rimandi fra passato cantautorale e contemporaneità sonora. 

Il lavoro sembra seguire un concept legato al mondo dell’universo e delle galassie, utilizzati come punti metaforici di partenza per descrivere esperienze puramente umane. Ogni elemento, nel suo complesso, è messo al punto giusto, dalle parole ai suoni. Dunque, nonostante il forte impeto, vi è anche una intelligente spazialità, che rende il progetto di totale gradevolezza per l’ascoltatore. A tal proposito, si passa dalle chitarre distorte e fuzz di Stelle Latenti alle dolcissime acustiche di Fango con grande facilità e coerenza. La canzone di chiusura, l’emblematica Siamo in Tempo, è senza dubbio la più originale, basandosi per gran parte della sua durata solo su un intreccio di chitarre elettriche e voce che esplode in un muro di suono finale, perfetta conclusione dell’opera. 

Insomma, Cappadonia si dimostra essere un artista completo, capace di raccontare se stesso e il mondo con estrema attualità e contemporaneità, inseguendo, però, sempre la sua visione sonora, libera da vincoli e barriere di mercato. Se già in passato la sua produzione ci aveva fatto ben sperare, Corpo Minore è l’ennesima conferma che siamo di fronte a un autore di grande talento, dall’attitudine coraggiosa e indipendente, una gemma rara nel panorama italiano.

 

Cappadonia

Corpo Minore

Brutture Moderne, 2019

 

Filippo Duò

La Gabbia “Madre Nostra” (You Can’t Records, 2019)

C’è un equilibrio perfetto tra rabbia e introspezione in Madre Nostra, primo LP de La Gabbia. Con otto pezzi che nell’insieme ricordano un giro sulle montagne russe, grazie all’alternanza tra un sound incendiario ed uno più tranquillo, la band bolognese riesce a scavare a fondo nella nostra natura e a metterci davanti agli occhi un’ampia gamma di sentimenti autentici, positivi o negativi che siano, ma tutti spaventosamente umani. 

Il giro di giostra inizia con Ilaria, dove è un risentimento senza filtri e quasi cattivo a fare da padrone. Il pezzo ricorda nello stile e nei suoni decisamente rock i due singoli pubblicati dalla band, Ho Bisogno e Violenza, dove troviamo anche una sorta di spiegazione a questi sentimenti più bassi e istintivi. “Violenza sei madre nostra, ma non ci hai mai riconosciuto”, ma, come con tutte le madri, arriva prima o poi la fase della ribellione nei suoi confronti.

Paradossalmente, in questo disco, la ribellione a “madre nostra” sembra proprio un abbandono a suoni più tranquilli e a testi che mantengono una certa tenerezza di fondo nonostante i ritmi ben scanditi delle chitarre o le esplosioni di batteria. È il caso di La Luna e i Falò, chiaro omaggio al romanzo di Cesare Pavese che ruota attorno alla necessità di mettere radici, oppure di Memorie di una Prostituta, il racconto molto sentito di una storia di dolore e riscatto. 

Più ci avviciniamo alla fine della corsa, più il disco fa emergere quella vulnerabilità che tendiamo a tenere nascosta. È un esempio Non Esisti, penultima traccia dell’album, che, inizialmente solo con voce e chitarra, ci racconta una storia d’amore tra due persone che si avvicinano senza raggiungersi mai. È quindi anche una storia di paure, di fughe e di rimorsi, perché la fine è inequivocabile: “non c’è più nessuno”, un grido triste che continua finché non sopraggiunge il silenzio. 

Quindi, dopo otto canzoni, cosa rimane alla fine di questo giro di giostra?

Forse la consapevolezza che non si può ridurre la natura umana ad un solo polo, solo al bianco o solo al nero. Non a caso, Madre Nostra è un melting pot, una scala di grigi.

Ma forse è un’altra consapevolezza che, soprattutto in questo periodo storico, vale la pena ribadire. La stessa espressa anche da Pavese quando nel suo romanzo scrive che “il sangue è rosso dappertutto”. 

Nel bene e nel male, facciamo tutti parte della stessa umanità.

 

La Gabbia

Madre Nostra

You Can’t Records, 2019

 

Francesca Di Salvatore

La riscoperta del territorio come forma di creatività

La Linecheck Music Week ha offerto la possibilità di assistere a panel di approfondimento senza dubbio unici e in grado di mostrare prospettive nuove sul mondo musicale.

Uno di questi è stato l’incontro avvenuto sabato 23 Novembre in una delle learning rooms di BASE Milano, il cui tema è stato il turismo culturale e la costruzione di una comunità come occasioni per rilanciare un territorio. A intervenire alla discussione, moderata da Alessandra Di Caro di Butik, erano presenti Maurizio Carucci, cantante degli Ex-Otago, con la sua compagna Martina Panarese, proprietari di Cascina Barban e promotori del Boscadrà Festival, Daniela Frenna di Farm Cultural Park e Federica Verona del Festival delle Periferie di Milano.

Il focus del panel era volto a comprendere come poter riqualificare meglio una zona geografica tramite attività culturali capaci di coinvolgere gli abitanti e non solo. A tal proposito sono degli ottimi esempi quelli portati da Daniela Frenna e Federica Verona. La prima si occupa di Farm, una vera e propria galleria d’arte e residenza per artisti situata a Favara, in provincia di Agrigento. È il risultato del recupero di un quartiere fortemente colpito dalla criminalità e dall’abbandono sociale, in cui si è inserita una realtà nuova, con l’obiettivo di raggiungere una rigenerazione urbana. Il luogo è caratterizzato da una serie di edifici collegati tra loro in cui sono ospitati workshops, installazioni e attività di vario tipo pensate anche e soprattutto per i giovani. Dopo alcune diffidenze iniziali il progetto si è rivelato vincente portando un ottimo flusso turistico nel paese, favorevole per l’indotto economico.

Simile è ciò che è accaduto con il Festival delle Periferie di Milano, nato con la speranza di dare voce alle zone più periferiche e marginali della città, permettendo uno scambio di prospettive, idee e influenze tra coloro che ci abitano grazie a eventi interdisciplinari. I promotori del festival hanno girato per due anni Milano quartiere per quartiere, intervistando i residenti e scoprendo una grande varietà di storie troppo spesso ignorate. Il tutto in un’ottica che possa far ragionare sul tema della gentrification, sempre più d’attualità.

Maurizio e Martina hanno raccontato della loro esperienza di agricoltori e produttori di vino in una realtà come quella della Val Borbera, in Piemonte, al confine con la Liguria, dove si sono trasferiti da Genova, loro città d’origine, una decina di anni fa. In Val Borbera non sono presenti infrastrutture moderne e si respira un’atmosfera ancora piuttosto rurale, che permette loro di mantenere il contatto con la gente del posto. La cascina in cui vivono è appunto la Cascina Barban, che nel corso del tempo ha spinto in maniera significativa per una riscoperta della lentezza tipica della vita quotidiana sull’Appennino. Maurizio ha posto un’interessante riflessione, secondo cui bisognerebbe ripensare a cosa si intende per “tutto” e “niente”, dato che molto frequentemente ai due termini viene attribuito un significato univoco ben preciso, che, però, può essere rimodulato. Per portare avanti questa idea il cantautore ha così promosso la realizzazione di un documentario di prossima uscita, intitolato Appenino Pop, con il desiderio di mostrare il grande numero di meraviglie naturali e di sentieri presenti in Val Borbera, valorizzando una zona d’Italia dimenticata e sottovalutata in molti casi. A tutto questo si aggiunge il Boscadrà Festival, organizzato dalla coppia il primo fine settimana di Luglio ogni anno dal 2012, da loro definito come “festa rurale”, dove i loro ospiti si riuniscono per stare insieme, bere buon vino e ascoltare la musica sotto le stelle immersi nella natura. Un’esperienza decisamente significativa che negli anni si è ingrandita sempre di più fino ad arrivare a quasi 1000 presenze nell’ultima edizione. Maurizio e Martina hanno sottolineato come la loro non sia stata una fuga volontaria dal mondo urbano, non rifiutano affatto la città, hanno semplicemente trovato un modo nuovo di affrontare la modernità, riscoprendo le cose semplici di tutti i giorni. Maurizio non ha dubbi nel considerare tale contesto favorevole per la sua creatività, la quale riesce ad essere maggiormente stimolata dal contatto umano più profondo e dall’assenza delle distrazioni talvolta eccessive tipiche delle metropoli. Molte canzoni degli Ex-Otago sono nate tra le pareti della Cascina, dove il cantante della band ha anche un piccolo studio casalingo attrezzato per la registrazione. Infatti, tutte le voci degli ultimi dischi le ha registrate lì, dimostrando, dunque, che vivere in provincia non sia necessariamente un fattore negativo per un lavoro come il suo.

Ascoltandoli parlare si ha la netta impressione che l’arte possa vivere ed essere florida ovunque si creda, basta soffermarsi sulla realtà con maggiore attenzione, cogliendo un possibile grado poetico in qualunque cosa. Significativa, allora, una frase di Maurizio, perfetta per sintetizzare l’idea alla base del panel: “In questi luoghi apparentemente non c’è nulla, ma proprio per questo forse c’è tutto.”

L’incontro è stato la prova che la musica e le produzioni artistiche non hanno vincoli spaziali e geografici, mettendo in luce un prezioso sguardo laterale. Insomma, come ogni anno il Linecheck si conferma essere un raccoglitore di prospettive non scontate e utili per immergersi nel mondo musicale con punti di vista inediti.

Filippo Duò

Tananai e l’importanza di seguire sempre il proprio istinto

Tananai è senza dubbio un artista eclettico, dalle idee chiare e precise, in grado di rappresentare molto bene il suo immaginario sonoro e visivo. È uscito da poco il suo nuovo brano Calcutta, il cui titolo non parla della città ma proprio del cantautore capostipite della nuova generazione indie, con in mezzo tutta una serie di riferimenti alla cultura pop, da Cambiasso a Scamarcio.

Il pezzo è il suo quarto da quando ha deciso di lasciarsi alle spalle il passato da dj e producer. Fino a due anni fa era, infatti, noto come Not For Us. Ora è arrivata una nuova fase della sua carriera in continua evoluzione, che lo ha portato a scrivere testi in italiano e a raccontarsi come mai aveva fatto prima.

Siamo stati alla prima data del tour al Serraglio di Milano, organizzata da Culture Club e Humble Agency, e nell’occasione abbiamo fatto una chiacchierata con lui sul suo percorso artistico e non solo. Ecco cosa ci ha raccontato.

 

Ciao Tananai! È uscito da poco il tuo ultimo singolo Calcutta, ci puoi raccontare un po’ come è nato e di cosa parla?

“Il singolo parla, in modo un po’ ironico e un po’ no, di un problema che non riguarda solo me, ma che immagino sia anche di altre persone, ovvero quello di cercare di rifarsi ai propri idoli, non per forza nel settore musicale. Magari, all’inizio, in una cosa ritieni di non essere molto bravo e pensi: “Vorrei essere bravo a calcio e giocare nell’Inter come Cambiasso” oppure “Vorrei essere in grado di scrivere come Calcutta.” In linea di massima però è importante riuscire a trovare se stessi e il proprio modo di esprimersi. Infatti nel video prendo consapevolezza di questo e arrivo a spegnere, metaforicamente, con un estintore le fiamme di quell’inferno che ti porta costantemente a paragonarti agli altri.”

 

Il video segue in maniera coerente il concept alla base del pezzo. Come lo hai ideato e successivamente realizzato? 

“L’ho ideato con l’aiuto fondamentale dei miei videomaker, ma prima di tutto amici, Olmo e Marco, che mi seguono nei miei progetti fin dall’inizio. Abbiamo sempre realizzato video molto “street”, fuori dai canoni della comfort zone di un set. In questo caso, invece, volevamo trasmettere un messaggio un po’ più intimo, dal momento che il pezzo avrebbe potuto essere facilmente frainteso. Quindi abbiamo deciso di girare su un set, realizzandolo noi e seguendo fin dal principio tutto. Ho trascorso gran parte dell’estate così e nel mese e mezzo in cui lo abbiamo costruito ho visto più i commessi del Brico che i miei genitori. Spesso abbiamo dovuto superare delle difficoltà, infatti le pareti a volte tenevano e a volte no, abbiamo cercato di recuperare qualsiasi oggetto possibile, persino un ventilatore abbandonato per strada, vecchie foto e vecchi giocattoli. C’è da dire che è stato molto bravo in questo Marco, che si occupa più prettamente della produzione: ha creato una squadra di ragazzi che volevano fare qualcosa di bello, i soldi non sono mai stati un elemento portante in questo lavoro. Inoltre, abbiamo collaborato con Nico Cacace, un direttore della fotografia veramente bravo, conoscendo così il suo team. Insomma, c’era proprio una bella atmosfera, sono venute anche le nostre mamme sul set a farci da mangiare, abbiamo formato una squadra molto casereccia di persone davvero forti e siamo decisamente contenti del risultato.”

 

Parlando un po’ del tuo percorso artistico, sappiamo che hai un passato da producer elettronico. Come sei passato da Not For Us a Tananai decidendo di raccontarti in prima persona? 

Il passaggio è stato molto naturale. Ho sempre fatto, fin da quando ho 14 anni, essenzialmente musica elettronica e nel momento in cui è uscito il mio primo album come Not For Us, due anni fa, ho avuto una sorta di “depressione post-parto”. Per me quell’album non era solo il frutto di due anni di lavoro, era proprio la conclusione di un ciclo iniziato molto prima. Quando ho visto il disco concluso e pubblicato mi sono chiesto in che modo sarei potuto andare avanti con quel sound. Sentivo il bisogno di nuove sfide e ho attraversato importanti cambiamenti come l’andare a vivere da solo e la separazione dalla mia ragazza, mi sentivo una persona del tutto diversa. Questo, come Not For Us, non riuscivo a farlo trasparire. In generale, credo che non sia corretto continuare a fare un lavoro di un certo tipo se senti che stai attraversando una trasformazione. Penso, ad esempio, a grandi band come i Radiohead, che hanno pubblicato album diversissimi come The Bends e Kid A, assecondando la loro necessità di trasformazione artistica. Io sentivo che con l’elettronica quel che dovevo dire lo avevo detto e, influenzato dalla mia ragazza e dagli amici, ho ascoltato molta più musica italiana. Tutto ciò mi ha portato a scrivere in maniera estremamente diversa.”

 

A tal proposito, hai riscontrato particolari differenze di approccio in fase di scrittura e produzione? 

“Completamente. Non scrivo e non produco come facevo prima, sono molto più attento a quello che provo quotidianamente. In precedenza, quando andavo in studio e iniziavo il processo creativo, mi isolavo in tutta un’altra dimensione all’interno di cui lavorare. Ora, invece, osservo maggiormente ciò che mi circonda e ho ampliato la mia sensibilità.”

 

Ti trovi meglio a scrivere quando sei in un periodo negativo della tua vita o all’opposto, quando sei più felice? Perché spesso per molti artisti è più facile esprimersi in situazioni di difficoltà. Vorrei sapere cosa ne pensi, sulla base della tua esperienza.

“Bella domanda. Secondo me qualsiasi forma d’arte serve a controbilanciare una parte di te che non emerge facilmente. Io, essendo una persona estroversa, quando scrivo faccio uscire sempre un lato più malinconico che magari nella vita quotidiana non riesco a dimostrare. Ma, dall’altra parte, c’è anche chi può dare l’impressione di essere continuamente “preso male” e poi scrive testi al limite del satirico e della gag. Personalmente quando sono felice penso a vivere il flusso delle cose senza interromperlo, se ho un’intuizione magari la butto giù, ma più come promemoria, perché voglio lasciare spazio alle belle sensazioni di quel momento.”

 

Per concludere, ci potresti anticipare qualcosa sul tuo futuro artistico?

A breve faremo uscire un altro pezzo e poi sicuramente pubblicherò più cose possibili. Finora è uscita relativamente poca roba rispetto a quanta ne abbia effettivamente prodotta, per cui è arrivato il momento di farla sentire.”

 

Filippo Duò

Foto di copertina: Luca Ortolani

Justfor1day: Matt Elliott @ Cage Club

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• Matt Elliott •

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+
Pieralberto Valli

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Just For 1 Day

Cage Club – Admiral Art Hotel (Rimini) // 24 Novembre 2019

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Foto: Luca Ortolani

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Pieralberto Valli

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Joan As Police Woman @ Teatro Sperimentale

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• Joan As Police Woman •

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Teatro Sperimentale (Pesaro) // 24 Novembre 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Joan Wasser, conosciuta come Joan As Police Woman, cantautrice statunitense di livello internazionale, torna a suonare in Italia per promuovere il suo nuovo lavoro uscito quest’anno Joanthology: una mega raccolta in 3 atti dei suoi brani, tra cui un inedito, una cover di Kiss di Prince e un album intero live registrato durante una BBC session.

Lo fa con una semplicità dirompente, urlando in punta di piedi, lo fa soprattutto da sola, one woman band. Lei, un pianoforte, una chitarra. Nulla più.

Pesaro, terza data italiana di quattro: la venue è il Teatro Sperimentale, in pieno centro, a pochi passi dalla casa del maestro Rossini. La musica scorre potente in queste vie!

Joan si palesa sul palco alle 21:15 circa, in un teatro pieno anche se non sold out, applausi, silenzio: si sistema al pianoforte e parte la magia della sua inconfondibile voce.

Tira fuori dal cilindro quasi tutti i suoi brani più celebri, accompagnata solo dal pianoforte o dalla sua chitarra, sempre da sola, semplice, potente, avvolgente.

Warning Bell, Tell Me, Human Condition, Wonderful solo per citarne alcuni, per poi sorprendere gli avventori con una meravigliosa cover, pianoforte e voce naturalmente, di Out Of Time dei Blur.

La cantautrice statunitense parla con il pubblico, lo fa spesso, forse anche per stemperare il clima di rispettoso silenzio, coinvolge, lo fa cantare, quasi a portarlo con se sul palco: Joan non è più sola, la sua band è il pubblico. Meraviglioso. Passano cosi i brani proposti, uno dopo l’altro, in un clima di rispettosa armonia.

Il concerto termina dopo quasi un’ora e tre quarti. 

Applausi scroscianti, Joan saluta e si inchina più volte, e scompare dietro le quinte del teatro.

Uno show unico, coinvolgente nella sua semplicità, sussurrato ma deciso, urlato in punta di piedi.[/vc_column_text][vc_column_text]Testo e Foto: Siddharta Mancini

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Grazie a: Amat

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Temples @ Locomotiv Club

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• Temples •

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Locomotiv Club (Bologna) // 23 Novembre 2019

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Foto: Andrea Venturini

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Grazie a: Comcerto

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Levante @ Mediolanum Forum

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• Levante •

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Mediolanum Forum (Milano) // 23 Novembre 2019

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Foto: Elisa Hassert

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Grazie a: Mn Italia | Shining Production

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PSICOLOGI @ Covo Club

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• PSICOLOGI •

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Covo Club (Bologna) // 22 Novembre 2019

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Ci volevano due ragazzi affamati di musica come gli PSICOLOGI per trovare una forma espressiva in grado di andare al di là della trap. Il duo, metà romano e metà napoletano, è costituito da Lil Kaneki (Alessio) e Drast (Marco), classe 2001. In meno di un anno hanno già pubblicato due EP speculari, 2001 e 1002, caratterizzati da un sound senza dubbio originale, ben prodotto e dai testi estremamente personali e incisivi. Tutto ciò anche grazie alla collaborazione di producer eccellenti del calibro di Frenetik & Orang3, Zef e Sick Luke, in grado di inserire i due ragazzi all’interno di sonorità a fuoco e coerenti. In pochi mesi la loro musica è nelle orecchie di tutti, fino a comparire come ospiti nell’ultimo album di Mecna, Neverland. Giorno dopo giorno sono stati in grado di confermarsi tra le figure più promettenti della scena musicale italiana. Nei loro brani, infatti, i beat hip hop e la melodia si uniscono alla perfezione, dando spazio a liriche generazionali che fotografano in maniera lucida e diretta la realtà.

Fuori dal Covo Club di Bologna ci sono centinaia di fan pronte ad aspettare il duo e nell’aria c’è profumo di festa.

Il primo a salire sul palco è Danny (strumentista) che dà uno sguardo agli strumenti e li accorda. Marco sale sul palco seguito da Alessio, sono le 22.45 quando i fan cominciano a saltare sulle note di Robin Hood; l’ambiente si scalda mentre il duo sembra essere entrato già in confidenza con il pubblico cantando abbracciati ribellandosi al sistema.

Passano poi a Futuro prima traccia dell’album 2001. La canzone tocca un argomento ancora attuale, il 1968, l’anno per eccellenza della contestazione contro i pregiudizi socio-politici.

I fan sanno tutte le parole, i rapper ringraziano e si complimentano per la città di Bologna, parlandone come una delle più belle d’Italia. Sale sul palco Mr.Monkey (Matteo) che con la sua chitarra acustica accompagna il duo in Festa; finito il brano Matteo torna tra il pubblico lanciandosi sulla folla come una vera rock star.

Ora è il momento di un colore, il rosso, un colore importante che portano anche sul petto, chiedono al pubblico di saltare come non hanno mai fatto e cominciano ad intonare Alessandra, una canzone che ha suscitato grandissima attenzione da parte della società, ed è così che a mani alte riscuotono il loro successo. Alessio chiede al pubblico se va tutto bene, che nessuno si sia fatto male, per la foga di saltare e strillare a squarcia gola la canzone. Il pubblico sorride.

Ora è Marco a parlare introduce il nuovo singolo spacciandolo come il più amato dalle ragazze, ed è qui che le voci fresche delle giovani trovano sfogo. Autostima viene filmata dal palco, poi di nuovo Marco si avvicina al pubblico, ma con un fare diverso, più delicato e romantico; si accovaccia e accompagnato dalla chitarra di Danny canta Guerra e Pace.

Arriva un altro momento per il pubblico, due tra i ragazzi del parterre salgono sul palco e cantano insieme al duo Ancora Sveglio. Sembra un vero e proprio concerto rock, i piedi si staccano da terra di decine di centimetri, la testa si muove a ritmo del beat che coreografa il tutto insieme alle luci, i due fan sono alle stelle, ricorderanno questo momento per sempre.

Danny prende di nuovo la sua chitarra e introduce Stanotte: il pubblico si abbraccia e canta forte ancora una volta. Gli Psicologi si sentono amati, si sentono apprezzati, forse si sentono capiti. Cantano insieme la loro prima canzone Diploma e quasi si fatica a distinguere i due dalla folla che sembra travolgerli con le braccia che si tendono sempre di più verso i propri giovani idoli. Ringraziano i loro fan che li fanno essere dove sono a diciotto anni: “essere qui è bellissimo girare l’Italia e cantare a diciotto anni è stupendo”.

I ragazzi sono tristi, è il momento dei saluti e ci cantano il singolo che rappresenta la loro giovane età, simbolo di forza e coraggio in un’età dove tutto è concesso non lasciandosi spaventare da niente e nessuno, mirando dritto al loro obbiettivo.

Marco e Ale si abbracciano fanno una foto con il pubblico che chiede insistentemente un bis, canteranno Robin Hood ancora una volta con una grinta spontanea che i diciotto anni rendono una facile riuscita.

Sono come pazzi sul palco, la loro forza travolge tutti, anche il pubblico più grande che accompagna i giovani figli, nipoti e amici.

Schiacciano il cinque ai fan e si defilano tra la folla.

Quello di stasera è stato un concerto dove si rimane piacevolmente sorpresi dai temi presenti nelle canzoni degli Psicologi: testi fuori dagli schemi che si distinguono per la loro unicità; testi che toccano argomenti sempre attuali; testi non facili da comunicare vista la loro giovane età.

[/vc_column_text][vc_column_text]Testo: Arianna Boattini

Foto: Luca Ortolani

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Grazie a: Covo Club | Bomba Dischi

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